SOMMARIO: 1. I1 nuovo «abuso d’ufficio» ed il mutato contesto strutturale e sistematico-funzionale nel quale si inserisce – 2. Dall’abuso dei «poteri» all’abuso dell’«ufficio»: il conseguente ampliamento della fattispecie – 3. Premesse ai l’indagine sul contenuto dell’elemento oggettivo della nuova fattispecie nell’orientamento della dottrina successiva alla riforma – 4. Alcuni criteri utili ai l’inquadramento dei limiti negativi e del contenuto positivo dell’elemento oggettive – 5. Segue: La necessità di fugare equivoci terminologici – 6. Analogia fra sindacato penale e sindacato giurisprudenziale amministrativo: cenni – 7. Rilevanza delle condotte omissive – 8. Alcuni problemi aperti, suscettibili di approfondimento dottrinario e giurisprudenziale – 9. La necessità di un rapido approfondimento del contenuto tipico dei fatti abusivi: prospettive future – 10. Conclusioni in chiave storico-giuridica – 11. La faticosa ricerca dell’interesse giuridico protetto dal nuovo art. 323 C.P.
- – II nuovo «abuso d’ufficio» ed il mutato contesto strutturale e sistematico-funzionale nel quale si inserisce.
Punto centrale di riferimento della presente relazione, dedicata ai rapporti fra illegittimità dell’atto amministrativo e giudice penale, non può non essere l’esame del delitto di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 C.P.,
a seguito della modifica apportata dalla legge 26 aprile 1990, n. 86 (1). Com’è stato autorevolmente sottolineato (2), il nuovo delitto è profondamente diverso dal vecchio «abuso innominato in atti d’ufficio» di cui all’art. 323 C.P. ante riforma, e ciò, sistematicamente ed essenzial-mente, per i seguenti punti:
- a) è mutata la categoria dei soggetti punibili, in quanto prima lo era solo il «pubblico ufficiale», ed ora anche l’«incaricato di pubblico servizio» (entrambe le figure sono da riferire alle nuove nozioni delineate dai novellati testi degli 357 e 358 C.P. per effetto delle leggi 26 apri
- per le discussioni che hanno preceduto tale innovazione, il lavoro colletaneo Stile (a cura di), La riforma dei delitti contro la pubblica Amministrazione, 1987. (2) PADOVANI, L’abuso d’ufficio, in Studí in onore di G. Vassalli, vol. I, 1991, pag. 582 e segg.
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le 1990, n. 86, e 7 febbraio 1992, n. 181); in particolare, quella di «incaricato di pubblico servizio» profondamente mutata, il che non manca di produrre i suoi effetti in ordine alla fattispecie in esame (3);
- b) è mutata la condotta punibile, che prima era di «abuso dei poteri inerenti alle funzioni» (di pubblico ufficiale) e di commissione di «qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge», ed ora è di «abuso dell’ufficio»;
- c) è mutato il dolo specifico richiesto, dato che prima si diceva «per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio» ed ora lo si è sdoppiato con riferimento alle due fattispecie rispettivamente delineate nel pri mo comma («al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per recare ad altri un danno ingiusto») e nel secondo comma dell’articolo in parola («per procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale»);
- d) è mutata la clausola di riserva, che prima era assolutamente indeterminata («qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge») ed ora è solo relativamente indeterminata («se il fatto non costituisce più grave reato»);
- e) è mutato il contesto nel quale si inserisce il nuovo art. 323 C.P., in quanto prima esso coesisteva con il peculato per distrazione, la malversazione per distrazione e l’interesse privato in atti d’ufficio, mentre nel nuovo assetto post riforma esso è chiamato a coprire gli spazi applicativi risultanti dall’abrogazione di tali fattispecie (4);
1) è mutato altresì il rapporto con l’omissione di atti d’ufficio, a seguito della profonda modifica apportata dalla riforma all’art. 328 C.P., onde la drastica riduzione dell’area applicativa di quest’ultima norma fi nisce con il dilatare quella dell’art. 323 C.P., chiamato ora a reprimere sia le condotte omissive irrilevanti alla stregua del nuovo art. 328 C.P., sia le condotte attive sufficienti ad escludere la responsabilità a questo titolo, ma connotate in termini di abuso (è stato fatto l’esempio della risposta pretestuosa all’interessato o dell’emanazione illegittima di un atto di diniego del provvedimento richiesto) (5); quindi, in presenza del richiesto dolo specifico, possono ora essere puniti come abuso la semplice omissione od il semplice ritardo di uno degli atti rispetto ai quali l’art. 328 C.P. incrimina soltanto il «rifiuto», nonché l’omissione, il ritardo od il rifiuto di un provvedimento in materie diverse da quelle indicate nel primo comma dell’art. 328 C.P. (il punto è, comunque, discusso sotto
(3) Ved., su tali figure, ma prima della nuova riforma del ’92, SEVERINO Di BENEDETTO, Commento all’art. 18 della legge 26 aprile 1990, n. 86, in «Legisl. pen.», 1990, n. 3.
(4) Ved., ampiamente, PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione, 1986, 4′ ed., pag. 327; IDEM, Commento all’art. 13 della legge 26 aprile 1990, n. 86, in «Legisl. pen.», 1990, n. 3.
(5) STILE, Commento all’art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 86, in «Legisl. pen.», 1990, n. 3.
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il profilo della sostenuta non riconducibilità di condotte omissive alla figura dell’«abuso»).
- – Dall’abuso dei «poteri» all’abuso dell’«ufficio»: il conseguente ampliamento della fattispecie.
È stato notato che il nuovo riferimento all’«ufficio» risulterebbe determinato dall’esigenza di utilizzare una locuzione adeguata alla più vasta cerchia dei soggetti attivi del reato, dato che il concetto di «funzione» corrisponderebbe alla sola figura del pubblico ufficiale, dovendosi intendere per «ufficio» il complesso delle situazioni soggettive attribuite al soggetto per il perseguimento di specifiche finalità pubbliche (6); ma in senso contrario può essere osservato che anche la nuova concussione (art. 317 C.P.) è stata estesa agli incaricati di pubblico servizio, eppure vi si parla di «poteri». Sembra, dunque, di potersi sostenere che la nuova formulazione corrisponda ad un contenuto più ampio della nuova fattispecie criminosa, che non è più meramente «sussidiaria» di altre, bensì è funzionalmente diretta, ora, a colpire uno spettro assai più ampio di comportamenti, e quindi anche i vecchi fatti di peculato e malversazione per distrazione e di interesse privato.
Quanto ai primi (7), non si può negare che la distrazione del bene, in quanto condotta consistente nel rivolgere un bene ad un fine diverso da quello cui era stato destinato, costituisce intrinsecamente un abuso d’uf ficio, atteso che, appunto, la distrazione della cosa implica di per sé una distorsione funzionale del potere che il soggetto qualificato esercita sul bene. Pertanto, siffatte condotte, anche in forza della più ampia figura dell’«abuso d’ufficio» rispetto all’«abuso dei poteri», possono essere ricomprese nel nuovo art. 323 C.P. Sono, invece, destinate a rimanere fuori – ed è giusto che sia così – quelle condotte di illegittima destinazione della cosa per finalità proprie della pubblica Amministrazione, ma non corrispondenti a quelle imposte dalla normativa amministrativa, che una giurisprudenza superata riteneva punibili ex art. 314 C.P., e che, al contrario, le più recenti evoluzioni giurisprudenziali avevano già escluso dalla sfera della punibilità.
Quanto all’interesse privato (8), le sezioni unite della Cassazione (9), muovendo dalla premessa che le due fattispecie «hanno in comune il medesimo oggetto giuridico, rappresentato dall’interesse al buon andamen
(G) PADOVANI, L’abuso, cit., pag. 587.
(7) In termini critici, prima della riforma, sul progettato «stemperamento» del peculato pe r distrazione nell’abuso d’ufficio, ved. PALAZZO, tli confini tra peculato ed abuso d’ufficio: la condotta di distrazione nelle attuali proposte di riforma, In STTLE (a cura di), La riforma, cit., pag. 197 e segg.; dello stesso autore, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: un primo sguardo d’insieme, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1990, pag. 815. (8) In argomento, ved. TAORMINA, Problemi di diritto intertemporale intorno alle vecchie fattispecie di interesse privato in atri di ufficio e di peculato per distrazione, in «Giust. pen.», 1990, lì, col. 373 e segg.
(9) Sent. 20 giugno 1990, n. 1502, in «Cass. pen. Mass. ann.», 1990, pag. 189G.
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to e all’imparzialità della pubblica Amministrazione», sono giunte a ravvisare una continuità fra l’abrogato art. 324 C.P. ed il nuovo art. 323 C.P., da un lato, per il fatto che «il requisito dell’abuso d’ufficio, inteso come esercizio illegittimo del potere, pur non essendo indispensabile per la sussistenza del delitto di cui all’art. 324 C.P., ne costituisce uno dei possibili modi di essere» e, dall’altro, perché «il fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, doveva ritenersi tuttavia ricompreso anche nella sfera di disvalore giuridico delineato dall’art. 324 C.P.», dato che «la presa di interesse privato in un atto d’ufficio implica, di per sé, il perseguimento da parte del soggetto di un fine di personale vantaggio».
Siffatta omogeneità strutturale tra il vecchio art. 324 C.P. ed il nuovo art. 323 C.P. deve, comunque, ravvisarsi soltanto nell’ipotesi in cui l’interesse privato non sia correlato ad atti legittimi, ma consista in concreto, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, in un abuso dell’ufficio.
In conclusione, dunque, il nuovo art. 323 C.P. risulta destinato, altresì, a sanzionare:
- a) condotte, sorrette dal relativo dolo specifico, di destinazione illegittima a finalità estranee alla pubblica Amministrazione, di denaro od altri beni appartenenti o non appartenenti alla pubblica Amministrazione stessa, risolvendosi le medesime in un abuso d’ufficio;
- b) condotte di presa di interesse privato in atti della pubblica Amministrazione, anche indirettamente o per interposta persona o con atti simulati, che, essendo correlate ad atti illegittimi, si concretino in un «abuso d’ufficio»;
- c) condotte di rifiuto o di omissione non riconducibili al nuovo testo dell’art. 328 C.P. (ancorché questo punto sia assai più discusso).
- – Premesse all’indagine sul contenuto dell’elemento oggettivo della nuova fattispecie nell’orientamento della dottrina successiva alla riforma.
Anticipato quanto sopra sulla permanente caratteristica di «residualità» (sebbene non così accentuata come in precedenza) della nuova fattispecie dell’art. 323 C.P. rispetto ad altre contigue, con riserva di ulteriore approfondimento, occorre ora passare a considerare lo stato attuale di dottrina e giurisprudenza come mero punto di partenza utile a chiarire i residui aspettí di insufficienza dei criteri proposti per individuare e delimitare univocamente il contenuto dell’elemento materiale (senza richiedere alcun ausilio delimitativo al dolo specifico ed allo stesso elemento psicologico) in cui consiste 1’«abusare dell’ufficio». Preliminare ad ogni altra indagine è, infatti, la necessità di chiarire, in via autonoma, che cosa si intenda per «abuso dell’ufficio», che è concetto nuovo. E ciò anche perché, in base ai principi generali, l’indívíduazíone della condotta tipica deve precedere l’esame del coefficiente psicologico ed essere daí risultati di questo esame del tutto indipendente. E questo anche al fine di non essere fuorviati, nella delicata materia, dalle deformazioni prospettiche in cui si rica
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de quando si esamina prima il risultato delle «regole del gioco»: prima dev’essere conosciuto cosa può portare alla punibilità, poi che cosa porta alla punibilità.
La ricerca dei limiti negativi esterni strutturali della fattispecie, conseguenti alla sua transizione modificata nel nuovo contesto sistematico è certo utile, ma deve essere integrata – per dare rilievo certo e tipico al fatto di reato – da una ricognizione letterale, logica e normativa della condotta descritta dal nuovo testo. Si tratta di uno sforzo indispensabile a gettare luce sui problemi sottolineati (o trascurati) da dottrina e giurisprudenza fino ad oggi, il cui quadro appare a volte connotato da spunti (non ancora sviluppati però nelle loro conseguenze) penetranti, più spesso caratterizzati, peraltro, da idee non chiarissime (in dottrina) e dal procedere (in giurisprudenza) per improvvisazioni ed intuizioni piuttosto che secondo un’anticipata e determinata ricognizione della condotta vietata (10).
(10) Nel senso, prevalente, della punibilità degli atti materiali ed omissivi, PADOVANI, L’abuso, Cit.; SEnttNnttn, II delitto di abuso d’ufficio, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1992, pag. 562 e segg., con l’apprezzabile esclusione dei soli atti commessi «in occasione» dell’ufficio, giacché preminentemente realizzabili dai privati (pag. 565), e quindi della rilevanza degli abusi di qualità e posizione (pag. 568). Così, perspicuamente quest’ultimo autore: «un atto viziato da violazioni di legge, incompetenza o eccesso di potere, ove non sia accompagnato dalla strumentalizzazione dell’ufficio … non denota ancora un abuso …» (pag. 572); «l’art. 323 non prevede un reato di infedeltà del funzionario nei confronti della P.A. …, ma tnira a garantire la corretta esplicazione del potere, a tutela anche dei soggetti privati» (pag. 587); «il dolo specifico ora rappresenta solo la proiezione soggettiva della condotta tipizzata, giacché il funzionario il quale abusa del suo ufficio necessariamente persegue uno scopo illecito di danno …» (pag. 593).Contrario alla rilevanza penale delle distrazioni, all’interno però di fini istituzionali dell’Ente, è GROSSO, L’abuso di ufficio, ne I delitti contro la pubblica Amministrazione dopo la legge n. 86 del 1990, in «Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura», 1992, n. 59, pag. 113 e segg.; così pure, nel senso di negare rilevanza alle omissioni ex art. 323 C.P.; IDEM, Poteri e responsabilità dell’amministratore pubblico. Esercizio della giurisdizione penale, in Atti del Convegno sul tema Giustizia e pubblica Amministrazione, Torino, 5-6 dicembre 1986.Ved. anche IADECOLA, La riforma dei delitti dei pubblici’ ufficiali contro la pubblica Ammir~strazione. Note di commento alla legge 26 aprile 1990, n. 86, Giappichelli, Torino, 1992, ultima ed. aggiornata con la giurisprudenza, il quale argomenta in favore della rilevanza penale dell’omissione (pag. 76), della coincidenza fra il nuovo testo e l’abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate (pag. 79), dell’abuso funzionale, della non punibilità ex art. 323 C.P. dell’abuso in atti di gestione (privatistici) (pag. 82), della necessità di una estrinsecazione dell’abuso di potere nel caso di violazioni dell’obbligo di astensione (pag. 92).Nel senso, prevalente, della punibilità degli atti materiali e omissivi, PADOVANI, L’abuso, cit.; SEMINARA, op. cit.; MELU.io, L’abuso d’ufficio e comportamenti omissivi, in «Giust. pen.», 1992, II, col. 364 e segg., il quale osserva, data la trasformazione della clausola di sussidiarietà in clausola di consunzione, che la dizione legale di abuso indica direttamente anche la condotta omissiva di violazione «di obblighi specifici 1 attivarsi in vista del corretto perseguimento dei fini assegnati istituzionalmente», ad esempio tramite «risposte pretestuose od artificiose» (coll. 366-367); DEntuxo, Note in tema di abuso d’ufFrcio e dolo specifico, ivi, 1992, II, col. 620 e segg., il quale sottolinea il ruolo delimitativo della fattispecie svolto dal dolo specifico, diversamente da quanto qui so-
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- – Alcuni criteri utili all’inquadramento dei limiti negativi e del contenuto positivo dell’elemento oggettivo.
Le seguenti anticipazioni diverranno più comprensibili nei paragrafi 5 e 6, nei quali cercheremo di dimostrare come il problema dell’abuso in atti legittimi, ovvero attraverso comportamenti materiali ed in virtù di omissioni, ovvero dell’interferenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria nella discrezionalità amministrativa, costituiscano più conseguenze di un’impostazione di ricerca non corretta che non questioni reali.
stenuto, con riguardo al caso di cui nella sentenza ivi commentata, nella quale venne escluso il reato in quanto risultò voluto, oltre all’interesse privato, anche quello pubblico. Sempre in tal senso, sia pure dalla diversa angolazione dell’imparzialità e del buon andamento dell’attività amministrativa intesi come interesse tutelato, ved. CORRADINO, II parametro di delimitazione esterna delle qualifiche pubblicistiche: la nozione di diritto pubblico, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1992, pag. 1317 e segg.: «È pienamente da condividersi – secondo l’autore – la riconduzione della funzione-attività funzionalizzata all’esistenza di provvedimenti normativi che disciplinano il contenuto dell’attività, regolandone l’organizzazione, i criteri di gestione e le modalità spazio-temporali di realizzazione». In tale luce, è stato altresì sottolineato dallo stesso come la disciplina penalistica di cui trattasi «imponga all’agente di svolgere la propria attività perseguendo l’interesse pubblico con continuità e regolarità e adottando criteri di imparzialità» (pag. 1350). Aderendo a tale ultima osservazione, ci permettiamo di sottolineare una rilevante convergenza sistematica, suffragante il suggerimento interpretativo qui compiuto in ordine alla struttura della condotta abusiva, ex art. 323 C.P., fra l’oggetto del divieto posto dallo stesso articolo (sviamento dalla funzione tipica) e la nozione di «norma di diritto pubblico» ex art. 357, intesa come «attività che sia sottoposta dalla legge ad un regime giuridico che imponga di perseguire un determinato fine …» (pag. 1350).In ordine all’asserito ruolo cosiddetto «di chiusura» svolto dall’art. 323 C.P. rispetto alle altre fattispecie incriminatrici potrebbero, invero, sollevarsi alcuni dubbi, qualora per un verso si considerino il contenuto tipico della condotta (di univoco abuso funzionale) richiesta e per l’altro il fatto che già l’art. 328 C.P. potrebbe apparire sanzionatorio della violazione di «quei doveri la cui inosservanza compromette l’adempimento delle facoltà istituzionali dell’ufficio o del servizio» (ved. la nota redazionale Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione, in «Giust. pen.», 1990, I, coll. 272-288).Se l’art. 328 venisse così interpretato, in materia di omissioni il ruolo dell’art. 323 non sarebbe che quello di norma speciale solo in virtù del coefficiente psicologico. Sotto il profilo della punibilità dei comportamenti con abuso delle «funzioni», ved. PAGLIA. RO, La legge penale tra irretroattività e retroattività, ivi, 1991, II, coll. 1-8.Non pare, poi, da condividere l’impostazione, in sede di commento ai progetti di riforma, fatta propria, autorevolmente, dal VASSALLI, La riforma dei delitti dei pubblici ufFciali contro la P.A., in «Quaderni di giustizia penale», 1985, pagg. 1-5. Infatti, l’illustre autore, manifestando il timore di ingerenze inammissibili della magistratura tramite censure di legittimità dell’atto per eccesso di potere, sembra manifestare l’idea di una possibile più riduttiva interpretazione della condotta ex nuovo art. 323 C.P., a prescindere dall’ausilio della teoria dello sviamento funzionale del potere. Il che, francamente, secondo noi, non consentirebbe di con-figurare il fatto materiale in modo tipico.L’effettivo esercizio dei poteri o delle attività funzionali, la legittimità del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo e, soprattutto, la necessità che la strumentalizzazione oggettiva verso funzioni diverse da quelle istituzionali sia motivata, appunto, dalla finalità eztraistituzionale, vengono con chiarezza sottolineate da Palaz–zo, La riforma, cit. Si vedrà nel testo la sottolineata necessità che, ai fini della responsabilità per abuso di ufficio, le particolari modalità e l’oggettivo assetto dell’atto 0
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Ci si può limitare, a questo punto, ad indicare alcuni punti fermi di partenza in tema di elemento oggettivo:
1) Limite negativo o confine esterno di fattispecie: inerenza di atti o fatti all’ufficio. Merito amministrativo solo in presenza di osservanza funzionale.
- a) La condotta vietata inerisce ad un potere-facoltà spettante ed
attribuito ex lege all’organo-ufficio; il pubblico ufficiale o l’incaricato di
comportamento amministrativo, che sia in contrasto con l’interesse pubblico inerente a quel tipo di atto o comportamento in modo istituzionale, siano causati dalla presenza del diverso fine extraistituzionale. Come osservato, pare da accogliersi, essendo parificate P.A. e privato da parte della legge ex art. 323 C.P. sotto il profilo della salvaguardia dell’interesse pubblico non deformato, la più rigorosa interpretazione che vede consumato il reato qualora venga oggettivamente perseguita, tramite atti o fatti inerenti l’ufficio e il servizio, una funzione pubblica «diversa» da quella dettata. L’opportunità di dedicarsi – come si è cercato di fare col presente intervento – all’esclustva determinazione degli elementi oggettivi della fattispecie era già stata sottolineata, d’altronde, da SINISCALCO, Premesse alla legge di riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione, in «Legisl. pen.», 1990, pag. 264. In questo stesso fascicolo, Pnctmxo, Commento, cit., pagg. 303-312, bene ha definito l’abuso di potete come «non esercizio del potere o il suo esercizio secondo criteri diversi da quelli imposti dalla natura della funzione o del servizio» (pag. 305). Lo stesso autore sottolinea, secondo una prospettiva meritevole di esame che tiene conto della natura non «ad evento» del reato in studio, che «l’accertamento dell’abuso delle funzioni riguarda, invece, il modo di formazione dell’atto, il suo nascere, cioè, obbedendo ad una causa privata, anziché, come era dovuto, ad una causa pubblica. Quindi, potrebbe esservi un atto abusivo il quale, visto a posteriori, nei suoi risultati, dimostri di accordarsi nel modo più conveniente ed idoneo con i fini dell’Amministrazione e, pertanto, non sia viziato nel merito».A1 proposito vi è, comunque, da osservare che, da un lato, non pare che il merito riguardi l’aspetto del perseguimento dell’interesse pubblico, che semmai ne è il presupposto, e, dall’altro, che, se lo sviamento di funzione dovesse esser fatto dipendere unica mente dalla causa genetica privata (o pubblica secondo un fine non istituzionale), per un verso si correrebbe il rischio di sanzionare nuovamente la mera coesistenza di diversi interessi rispetto a quello istituzionale, e per l’altro si sposterebbe la ricerca prevalentemente verso la direzione psicologica, con le incerte conseguenze del caso, minandosi, così, l’efficacia discriminatoria della condotta tipica, costituita dall’oggettività dello sviamento dal fine. E ciò a tacere del fatto che il criterio proposto non consentirebbe di connotare bene la condotta per le deviazioni «pubblicistiche».Si può ancora richiamare lo sguardo di sintesi di GROSSO, Riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione: brevi annotazioni a margine del testo approvato dalla Camera dei deputati, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1990, pagg. 700-703 e quello di STORTONI, La nuova disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.: profili generali e spunti problematici, in «Riv. trim. dir. pen. econ.», 1990, pagg. 707-722, il quale ben sottolinea la duplice anomalia della fattispecie, non coordinata con le figure degli
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pubblico servizio, in altri termini, devono quanto meno aver occasione di porre in essere l’abuso in quanto titolari di un rapporto con la P.A., di diritto o fatto, di impiego od onorario o elettivo, in relazione al quale svolgano una funzione ed un servizio pubblico che li legittimino a formare anche in parte atti amministrativi o comportamenti pubblici collega
incaricati di pubblico servizio (estesissime e incentrate sulle mere «attività», soprattutto economiche) e sanzionante, a differenza del mero peculato appropriativo, le distrazioni a prescindere dalla loro realizzazione. Si limitano, invece, a focalizzare la fattispecie sulla meta lesione dell’interesse al buon andamento ed imparzialità della P.A., FmNDncn-Musco, Diritto penale, parte speciale. Appendice. La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., 1992, pagg. 27-34. Ancora da menzionare sono gli scritti di IADECOLA, In tema di continuità di fatti-specietra peculato per distrazione ed abuso d’ufficio a lini patrimoniali, in «Giust. pen.», f991, II, coll. 121-123, che limita all’impiego illegittimo delle facoltà e dei mezzi (posti a disposizione del pubblico funzionario dall’ordinamento) la condotta punibile, e DE CHIARA, Alcune osservazioni in tema di riforma del reato di abuso in atti di ufficio, ivi, 1988, II, coll. 443-448, il quale, ante-riforma, individuava nodi problematici di rilievo in materia di cariche elettive; di concorso morale nel reato o di istigazione; della cosiddetta «delega interna» dell’ufficio per prassi in ordine all’iter di formazione degli atti; dell’attività di controllo; dei complessi rapporti tra uffici; dei controlli interni agli uffici (col rischio di responsabilità oggettive o per colpa, non contemplate dalla fattispecie criminosa); del rischio della fuoriuscita dal rapporto organico; della ineludibile portata del merito amministrativo; delle attività di gestione di enti pubblici economici.Bene ha sottolineato la «strumentalizzazione intenzionale della funzione per fini estranei alla dinamica dell’atto», DINACCI, Abuso di ufficio e interesse privato nelle prospettive di riforma, ivi, 1989, II, col. 120.Si ricordano ancora GUGLIELMINI, L’art. 323 C.P. nella nuova formulazione della legge 26 aprile 1990, n. 86. Successione delle leggi nel tempo e abolitio criminis, ívi, 1991, I, coll. 95-96, il quale ha sottolineato che «non è possibile l’induzione della finali tà … (illecita) sulla base della presunzione semplice che l’azione non poteva non essere causata da quell’intento specifico, quasi a negarne la possibilità di giuridica realizzazione se quel fine non fosse stato presente»; MAZZA, Delitti contro la pubblica Amministrazione: prospettive di ulteriore riforma, in «Riv. trim. dir. pen. econ.», 1992, pagg. 633-705.Bene ha sottolineato GROSSO, L’abuso d’ufficio, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1991, pagg. 319-326, come la norma vieti ogni condotta di utilizzazione dei poteri di ufficio che «oggettivamente frustri o alteri la finalità istituzionale … ponendo in essere, o concorrendo a porre in essere, nel quadro di un procedimento amministrativo o di un atto collegiale, un atto amministrativo, sia realizzando un’attività materiale confliggente col perseguimento di finalità pubbliche istituzionali». L’autore esclude la rilevanza delle omissioni ed ammette la rilevanza delle deviazioni ai fini pubblici rispetto ai fini istituzionali del settore della P.A. di appartenenza (pag. 323), sia pur con la limitazione che non si sia «all’interno» dei fini istituzionali dell’Ente (pag. 325). Altro spunto all’indagine è fornito da TAORMINA, Problemi, cit., coll. 373-379, il quale rileva, rispetto all’abrogato art. 324 C.P., che nel nuovo abuso di ufficio l’atto abusivo non è più distinto dal compimento dell’atto della P.A., ma deve, quanto meno – potremmo aggiungere – essere necessariamente a questo collegato.In tale prospettiva sottolinea che, rispetto all’art. 324 C.P., qui è presente la illegittimità dell’atto, PATANÈ, Abuso di ufficio e interesse privato nella successione di legge del 1990, in «Giust. pen.», 1991, II, col. 193 e segg. Rileva, invece, FIANDACA Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, in «Foro It.», 1990, col. 637 e segg., la maggiore ampiezza della fattispecie rispetto all’abrogato art. 324, non essendo, a riforma avvenuta, «più necessario un comportamento consistente nella formazione di un atto dell’ufficio o comunque nell’esercizio dei poteri funzionali finalizzato alla formazione di un atto dell’ufficio» (pag. 640). Non potendosi, data la sede di sintesi, richiamare ulteriormente e partitamente tutti i contributi, pare possibile rocedere pe r problemi ed aggiunte, al fine di specificare linee di una interpretazione dell’abuso di ufficio che non potrà non fondarsi su criteri il più possibile univoci.
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ti funzionali ad atti amministrativi;
- b) la condotta vietata presuppone l’esercizio di detti poteri o facoltà, che sono autorizzati ed imposti da un fine istituzionale prefissato e tipico cui la funzione o il servizio devono conformarsi in modo vincolato o discrezionale;
- c) la condotta vietata non può sussistere qualora l’attività amministrativa – rivolta obiettivamente, rispetto agli eventuali atti successivi, al rispetto della funzione ed all’ottenimento dell’interesse pubblico im posto dalla funzione o servizio – sia ricaduta in vizi di opportunità, di scelta tecnica, politica o di merito, che non abbiano consentito o non possano consentire la migliore attuazione dell’interesse pubblico.
2) Elemento oggettivo di fattispecie.
- a) Sviamento oggettivo del potere esercitato rispetto alla funzione/fine istituzionale per cui lo stesso potere è attribuito all’ufficio ricoperto ed esercitato; conseguente orientamento dell’atto amministrativo 0 del comportamento collegato all’atto amministrativo, in modo apprezzabile ed oggettivo, verso un fine diverso da quello per cui il potere è attribuito dalla legge;
- b) la funzione non deve essere presente ed assicurata neanche indirettamente;
- c) ancorché non esclusiva, la funzione deve essere compressa o diminuita in virtù di un contrasto con un fine diverso da quello istituzionale con esso incompatibile;
- d) detto sviamento del potere deputato alla funzione tipica deve comportare un atto o comportamento inerente all’atto, obiettivamente ed univocamente diverso da quello tipicamente funzionale (ed idoneo a quello successivo).
3) Fatto comportamentale.
Il comportamento materiale deve constare in, 0 l’atto amministrativo deve essere preceduto o collegato ad, un condotta obiettivamente costituita dall’utilizzazione del potere inerente all’ufficio ricoperto in modo distorto e non corrispondente a quello imposto dalla legge e dall’interesse pubblico istituzionale.
4) Attività vincolata o discrezionale.
Proprio la lettera della norma presuppone l’uso funzionale dell’uffi= cio richiamandone, appunto, la diversione o sviamento.
Quanto premesso consente di introdurre 1a distinzione fra attività amministrativa vincolata (sia per gli atti che per i comportamenti materiali funzionali) ed attività amministrativa discrezionale. Lo sviamento dai fini istituzionali può aversi in entrambi i casi: nel secondo, per pacifica acquisizione di giurisprudenza e dottrina amministrativistica, attraverso l’eccesso di potere (per sviamento dalla funzione tipica) apprezzabile direttamente dall’atto ovvero ricavato dai diversi sintomi del vizio (ad es.,
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carenza assoluta di motivazione); nel primo, in virtù della violazione delle norme vincolanti e / o di individuazione dei presupposti.
Pertanto, l’abuso dell’ufficio dovrà incentrarsi su attività amministrativa incompatibile con la funzione/interesse pubblico, tradizionalmente inquadrata nell’eccesso di potere per sviamento dell’attività discrezionale
o nella violazione della legge individuatrice dei presupposti (di diritto 0 di fatto) per l’esercizio della funzione da parte dell’attività vincolata. È chiaro che, in presenza di abuso della funzione tipica nell’attività cosiddetta discrezionale, non potrà parlarsi di merito (la cosiddetta «discrezionalità» intangibile della P.A.) o di opportunità nelle scelte amministrative o politiche, esercitabili solo sulla base, ed a condizione, dell’esercizio della funzione tipica.
5) Lesione del bene giuridico del vincolo amministrativo dell’attività alla funzione.
Se si considera quanto osservato, ricorrendo per mera utilità ad un’analogia con la pur contestata figura dell’interesse legittimo nel campo amministrativistico, in termini di oggetto giuridico della tutela penale potrebbe osservarsi l’esistenza di un interesse-bene protetto dalla norma avente ad oggetto il rispetto del vincolo ammininistrativo ovvero il corretto uso della discrezionalità amministrativa attraverso l’assenza di ogni forma di deviazione dal, od incisione del, fine pubblico per cui è stato attribuito il potere funzionale o di servizio. In questa luce, «buon andamento» ed «imparzialità» dell’attività amministrativa possono rilevare al più come coesistenti criteri interpretativi utili a verificare la rispondenza dell’attività alla funzione: se c’è sviamento, non c’è spazio discrezionale sottratto al sindacato del giudice amministrativo o penale; se non c’è abbandono dell’interesse pubblico, non esiste il reato ed il conseguente cosiddetto «controllo» del giudice penale, sussistendo appieno il merito amministrativo.
- – Segue: La necessità di fugare equivoci terminologici.
Limitandoci qui a richiamare la pacifica dottrina circa il corretto oggetto (fatti e comportamenti) del sindacato del giudice penale in materia, così come le acquisizioni della giurisprudenza ordinaria amministrativa, civile e penale, ove non sia toccato il merito amministrativo e politico come ricondotto ai limiti sopra chiariti, un cenno merita la discussione sorta in tema di necessaria, o meno, illegittimità dell’atto amministrativo ai fini della rilevanza ex art. 323 C.P. va chiarito, se è vero quanto detto al paragrafo precedente circa la necessità dello sviamento funzionale, che, di per sé sole considerate, possono essere in concreto del tutto irrilevanti agli effetti della responsabilità penale le violazioni specifiche di legge, l’incompetenza o le varie figure sistematiche quali i vizi di motivazione, istruttoria ed altri difetti procedimentali.
Se si vuole, si può parlare, perciò, di necessaria illegittimità (non necessariamente, ma anche extrapenale) solo per quanto tocca il grave vizio funzionale. Va tuttavia sottolineato che il termine «illegittimità» potreb-
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be indurre, com’è avvenuto, in contusione con la nozione (lata, e ben più estesa rispetto allo sviamento del potere, richiesto dall’art. 323 C.P.) di «illegittimità» accolta in materia di vizi dell’atto amministrativo.
Su queste basi è evidente che ci si deve intendere anche sull’espressione «abuso d’ufficio in atti legittimi». Gli atti penalmente antigiuridici – se, come abbiamo detto, irrilevante è l’eventuale violazione di legge che non si risolva in sviamento della funzione – possono per converso ben essere non inficiati da particolari violazioni normative, vizi sintomatici od incompetenza, ma volti al conseguimento rilevante di funzioni non ricomprese nelle «cause» del potere amministrativo.
- – Analogia fra sindacato penale e sindacato giurisprudenziale amministrativo: cenni.
Se ci è consentita la facile osservazione, mentre il ricorrente propone separati e specifici motivi di impugnazione dell’atto amministrativo cui il giudice ordinario dell’Amministrazione (tendenzialmente: T.A.R., Con siglio di Stato e Cassazione per gli atti invalidi; giudice ordinario per gli atti nulli) è vincolato, il P.M. solleva specifiche contestazioni in ordine alle asserite condotte di abuso della funzione tipica a norma dell’art. 323 C.P., se chiaramente suffragate da concrete condotte materiali di abuso assistite dal dolo specifico prescritto, delle quali il giudice penale verifica la fondatezza. Solo il giudice amministrativo, ovviamente, potrà annullare l’atto, mentre solo il giudice ordinario penale potrà ritenere la responsabilità penale per abuso funzionale doloso specifico.
I due ordini di valutazione giudiziaria sono, tuttavia, distinti e reciprocamente ininfluenti (anche se non si può negare, in linea pratica, la possibilità di influenze reciproche, tutte comunque da studiare, anche agli effetti del cosiddetto «diritto penale amministrativo»), e condizionati da criteri diversi quanto alla realtà indagata ed ai metodi probatori utilizzati. Peraltro, pur essendo il giudice ordinario sprovvisto di poteri di annullamento di atti (provvedimenti), esso potrà usufruire di poteri analoghi all’autorità giudiziaria amministrativa sotto il profilo del sindacato sulla rispondenza funzionale dell’attività. Il controllo sarà, per lo più, anche qui, a carattere negativo, nel senso di verificare se non vi siano stati obiettivati ostacoli della funzione.
Non potrà e non dovrà, però, il giudice ordinario, diversamente dal giudice amministrativo, limitarsi al contesto dell’atto, sia perché potrà darsi l’assenza di un atto amministrativo vero e proprio (si pensi a molti degli atti di polizia), sia perché egli dovrà per lo più verificare aliunde rispetto all’atto o comportamento gli indici rivelatori univoci della distorsione dell’ufficio, sia perché non è limitato, come il giudice amministrativo, al contesto, per lo più documentale, degli atti del procedimento cui inerisce il provvedimento impugnato.
Le norme imponenti e regolanti la funzione pubblica sono, comunque, le medesime, così come l’attività amministrativa dell’ufficio è la stessa: stessi poteri di verifica di abusi funzionali, del resto, sono pacificamente
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riconosciuti al giudice ordinario in materia di giudizi di opposizione ad atti amministrativi ingiunzionali ovvero di risarcimento dei danni da attività funzionali della P.A. (ove il criterio di collegamento è analogo a quello presente).
Il giudice penale certamente dovrà seguire, con propri strumenti probatori, necessariamente estesi a condotte debordanti dall’atto, i rigorosi criteri amministrativistici dei riscontri (seri, gravi, univoci e significativi) esterni all’atto per affermarne 1’abusività funzionale.
Il sindacato penale avrà esito positivo solo quando sarà univocamente ed oggettivamente esclusa una corrispondenza del fatto alla funzione, vale a dire in presenza di una frattura funzionale causata da un interesse non istituzionale confliggente ed incompatibile.
Emerge, così, l’ulteriore necessario requisito di una doppia attitudine causale nel contesto della condotta tipica ex art. 323 C.P.:
- a) l’obliterazione dell’interesse pubblico deve essere causato da un diverso fine estraneo (eventualmente anche inerente al più esteso ambito pubblicistico);
- b) lo sviamento della funzione istituzionale deve essere di per sé significativo nel senso di ostacolare da solo il perseguimento futuro dell’interesse pubblico specifico della P.A. di appartenenza dell’agente, senza che al fine dell’ostacolo si rivelino necessari nuovi ed altri atti o comportamenti eventuali di terzi.
- – Rilevanza delle condotte omissive.
Superati gli ostacoli normativi dovuti alla pregressa natura certamente sussidiaria dell’art. 323 C.P., non pare che il carattere di reato non ad evento sia ostativo di deviazioni funzionali tramite omissione di atti am ministrativi o comportamenti materiali che sarebbero stati posti in essere se fosse stata assicurata l’attività funzionale (dovuta o imposta da un corretto e non sviato esercizio della discrezionalità amministrativa).
Posto che – come detto – la norma sanziona condotte di sviamento dalh funzione amministrativa, queste ben possano consistere, sostenute da presupposti materiali significativi esistenti al di fuori della mera omis sione dell’atto dovuto o richiesto dall’interesse pubblico, in omissioni cui consegue l’interruzione dell’«alimentazione» dell’interesse pubblico. Ferma una presumibile frequenza di omissioni abusive in materia di attività vincolata (fra cui quella di controllo e vigilanza), di più problematíca e univoca configurabilità appaiono le omissioni in materia discrezionale o di merito (compresa la «vigilanza»).
La difficoltà è comunque più pratico-probatoria che teorica (11). (11) A1 fine di chiarire le notazioni seguenti, possono richiamarsi alcuni casi di
ritenuto sviamento dalla funzione tipica, i quali appaiono costituire conforto alla utilità, o quanto meno alla fecondità in termini di opportunità scientifica, dell’interpretazione prospettata.
La giurisprudenza penale ha riconosciuto rilevanti i casi di presidi di scuole medie, per aver proceduto, con interpretazione arbitraria di circolari ministeriali comportano
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- – Alcuni problemi aperti, suscettibili di approfondimento dottrinario e giurisprudenziale.
Verosimilmente, anche se dovesse essere intrapreso l’orientamento interpretativo proposto, la giurisprudenza sarà sicuramente condizionata dall’inevitabile maggiore difficoltà di scoprire e riconoscere il profilo delle deviazioni dal fine istituzionale in materia di meri comportamenti materiali, solo indirettamente ricollegabili ad atti amministrativi in senso tecnico, ovvero in tema di «incidenze» pratiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio solo occasionalmente collegate alla qualifi
libere attività complementari in doposcuola, alla istituzione di corsi consistenti in inutili duplicati di lezioni ordinarie, favorendo aspiranti agli incarichi, in difetto di vantaggio dei presidi; autorizzazione di permessi sindacali con scopo di esonero permanente dal servizio; componente Comitato di gestione di U.S.L. che dispone il trasferimento di un dipendente da una sede all’altra al solo scopo di avvantaggiare altro dipendente, senza motivazione; rilascio di concessione edilizia per fabbricato la cui direzione era affidata a geometra; componenti collegio provinciale dei geometri che non iscrivevano subordinando l’iscrizione ad un biennio di pratica e ad un esame, in difetto di previsione legislativa; pagamento di amministratore in favore di personale da esso illegittimamente assunto; Prefetto che, sollecitato da Questore e Ministro, precettò macchinisti delle Ferrovie dello Stato in sciopero; rivelazioni a ristretto numero di candidati per concorso di professore associato degli argomenti oggetto di prova didattica; omessa sottoposizione al CO.RE.CO. di delibera approvata dal Comitato di gestione U.S.L., con cui veniva conferito incarico di dirigente coordinatore amministrativo; magistrato che, in mancanza di esigenze cautelari, emette provvedimento di cattura per impartire una lezione all’imputato; ufficiale giudiziario che, violando le norme sul protesto cambiario e sul versamento del danaro riscosso, avvantaggi terzi per amicizia e umanità; assessore e dipendenti provinciali che concertano l’aggiudicazione, a ditta costituita appositamente, di forniture di inutile quantitativo di fitofarmaci da destinare ai comuni; Sindaco e assessori comunali che hanno precostituito ad impiegato titolo per l’assunzione definitiva; partectpazione di Vicesindaco alla delibera di costruzione e riattamento di strada servente fondi di sua proprietà, ritenuta irrilevante penalmente stante la necessità, per la strada, di condizioni di agibilità e sicurezza; membri di Giunta regionale per aver destinato fondi, non alla creazione di strutture di assistenza psichiatrica, ma al pagamento di degenza per ricoverati in istituti e case di cura private psichiatriche; attività giudiziaria di omessa applicazione di misura di prevenzione ed imposizione di cauzione (giurisprudenza per lo più sull’abrogato art. 323 C.P.). In sede amministrativa giurisprudenziale è stato riconosciuto lo sviamento nei casi di: amministratori comunali che hanno ampliato fasce orarie di chiusura al traffico nel centro storico, a meno che non vi fossero esigenze di salute pubblica, anche in presenza di pressione di terzi sull’Amministrazione; provvedimento sindacale sanzionatorio di abuso edilizio con sgombero di cani da azienda agricola difettante di concessione edilizia per canile; Amministrazione che riproduce precedente deliberazione annullata e sostituita dal Commissario ad acta; Consiglio provinciale sanitario che stabilisce copertura di nuovi posti organici per trasferimento alle UU.SS.LL., non per migliore organizzazione delle strutture, ma per garantire ad alcuni sanitari un concorso riservato e così un accesso preferenziale ai posti accantonati; diniego di concessione edilizia fondata su motivi attinenti a viabilità o igiene ambientale; giudizio negativo alla professione di procuratore legale espresso per intenzione della Commissione giudicatrice di limitare l’accesso alla professione forense; invio in missione di impiegato senza specificazione della durata a causa di asserita incompatibilità ambientale (al posto del trasferimento); ordine di demolizione di opere abusive da parte del Sindaco in corrispondenza di interesse di un privato alla rimozione (Irrilevante); diffida a demolire opere abusive entro termine lun
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ca ed alla funzione esercitata, per lo più volte a condizionare altri uffici collegati od organi collegiali.
La funzione di controllo, quella giurisdizionale, in cui maggiore è l’ampiezza delle valutazioni di opportunità ed il raggio delle possibili concretizzazioni delle singole scelte e modalità di attuazione dell’interesse pub
blico (si pensi alle diverse articolazioni degli interessi pubblici o privati subprimari rispetto a quelli primari) sono tutte funzioni connotate, per esigenze e fini di rilievo talvolta anche costituzionale (si pensi alla funzione giurisdizionale), in maniera tale da non «tollerare» un sindacato pena
ghissimo di 600 giorni per consentire regolarizzazione dell’abuso grazie alla predisposizione medio tempore di apposito strumento urbanistico; decadenza di assessore comunale ancorché vi fosse la finalità di adeguarsi alla mutata situazione politica, in presenza di ulteriori ragioni (irrilevanti); privazione dell’incarico, senza alcuna motivazione, di dipendente pubblico dopo un notevole lasso di tempo dall’inizio dell’attività lavorativa; provvedimento contingibile e urgente comportante spesa argomentata dalla difficoltà di finanziamenti per l’adozione del provvedimento tipico; revoca di concessione di autolinea per riprendere alla mano pubblica il servizio prima della scadenza della concessione; trasferimento d’ufficio di docente per finalità dovuta a nota riservata del Capo d’Istituto; realizzazione di centro sociale comunale senza disponibilità finanziarie; limitazione oraria alla sosta senza necessità; variante al programma di fabbricazione che modifichi la destinazione di area da zona a parco attrezzato a zona a verde pubblico o verde attrezzato per trasferire l’attività turistica adiacente dalla gestione privata a quella pubblica; annullamento da parte del CO.RE.CO. di provvedimento di pagamento di soprattassa per riversare responsabilità patrimoniale sugli amministratori controllati; tutela di immobili di interesse storico e artistico corì vincolo ingiustificato, non motivato da contemperamento di interessi privati con quelli pubblici; autoannullamento per frustrare gravame proposto dall’interessato; espropriazione fuori dai limiti finanziari; adozione e approvazione di piano regolatore fondate su mere ragioni politiche; piano finanziario per opera pubblica in presenza di mezzi esigui; sproporzione, in esproprio, fra area sufficiente all’opera pubblica e area destinata all’esproprio, ove l’intervento aveva di mira altra opera successiva non contemplata nel progetto e nella dichiarazione di pubblica utilità e urgenza; espropriazione non necessaria volta a regolarizzare occupazione abusiva, pendente il giudizio del risarcimento del danno; diniego di concessione per recinzione, allo scopo di rendere in futuro possibile l’apertura di una strada; divieto a proprietari di passaggio su strada campestre di collegamento a strada comunale sul presupposto di pubblicità della strada; approvazione di progetto di parco pubblico che stabilisca anche piano di campagna per terreni interessati mediante discarica di rifiuti solidi, invertendo il rapporto tra mezzo e fine, allo scopo di realizzare solo la discarica; provvedimento di vincolo di bene di interesse artistico, reale, su pressione di campagne di stampa (qui il vizio fu escluso); requisizione di alloggi per tutelare interessi di bisogni di famiglie sfrattate; espletamento di concorso di promozione ingiustificato per funzionari di Cassa di risparmio; mutamento della scelta di istituto di credito, per servizi di tesoreria, non giustificato; demolizione di palazzina di modeste dimensioni, isolata ed in posizione di essere chiusa al traffico, per recuperare la salma della persona perita a seguito del crollo; trasferimento di impianto di distribuzione di carburante per evitare di ostacolare il libero esercizio di un ristorante privato; diniego di autorizzazione ad esercizio di oli minerali di riscaldamento per tutelare impianti già installati; riduzione materie di esame introdotte da commissione di concorso; sospensione della licenza di conservazione di bellezze paesaggistiche oggetto di vincolo; procedimento disciplinare con contestazione in periodo in cui l’impiegato non è in servizio e con addebiti per fatti anteriori a quelli oggetto di altro provvedimento già concluso ma di identica natura; sospensione di lavori edilizi di trasformazione di centrale elettrica per ragioni non urbanistico-edilizie, ma con-
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le, soprattutto prima che i controlli istituzionali amministrativi o giurisprudenziali relativi ai singoli procedimenti abbiano fatto il proprio corso. Per altro verso, la necessità, ai fini dell’art. 323 C.P., di una condotta tipica articolata oltre il mero atto amministrativo, appare idonea a scongiurare processi penali volti, con sviamento però della funzione tipica, al mero sindacato delle scelte (legittime) istituzionali.
- – La necessità di un rapido approfondimento del contenuto tipico dei fatti abusivi: prospettive future.
Sicuramente verranno approfondite dal progresso dello studio della materia le questioni relative alla influenza che il carattere penalmente illecito di condotte abusive attuate attraverso atti o fatti amministrativi potrà esercitare, sotto l’aspetto della invalidazione, nei confronti degli atti anche successivi procedimentali. Non possono tuttavia escludersi conseguenze, talvolta a causa della disapplicazione degli atti sviati, talvolta in virtù del carattere viziato degli stessi, anche in termini di autotutela, controllo di legittimità, o controllo giurisdizionale successivo sugli stessi.
Non ci resta, in questa sede, che auspicare, in proposito, un futuro rigoroso rispetto, da parte dell’autorità giurisprudenziale penale inquirente e/o giudicante, dei criteri tassativi di stretta interpretazione dell’elemento materiale dell’abuso di ufficio, che tenga nel dovuto conto l’indispensabile obiettività ed univocità delle deviazioni dal fine istituzionale, soprattutto in presenza di un reato di mera condotta, che si consuma istantaneamente ed a prescindere da un concreto pregiudizio 0 vantaggio dei soggetti diversi della P.A. di appartenenza. Qui l’esigenza del rigoroso rispetto della legittimità della fattispecie è più presente che in altri istituti.
In caso diverso, potrebbe derivarne un irrigidimento della P.A., volto a sminuire il rilievo degli interessi privatistici, da contemperare, invero, con l’interesse pubblico immediato (si pensi alle concessioni edilizie, al regime autorizzatorio, alle autotutele amministrative), comportante una deresponsabilizzazione degli amministratori pubblici ed una crescita del contenzioso penale eventualmente stimolato dall’inflazione denunziatoria ispirata unicamente a motivazioni private o politiche.
Tali pericoli sembrano tuttavia essere ineludibili nell’ambito amministrativo, in cui istituzionalmente debbono problematicamente e quotidianamente conciliarsi norme attributive di funzioni e discrezionalità in ordine alla loro attuazione.
Il criterio suggerito dello sviamento di potere, tuttavia, nella stessa
sistenti nell’intento di imporre la modifica di una convenzione già stipulata ed ottenere la riconversione della centrale a metano e non a carbone; negazione di approvazione dei risultati della licitazione privata e contestuale indizione di trattativa privata con gara ufficiosa fra le imprese ammesse in sede di prequalificazione alla licitazione, quando non vi sia interesse pubblico a sollecita realizzazione dell’opera programmata, a condizioni economiche attuali e vantaggiose; licenziamento per scarso rendimento di bidella, noi per incapacità professionale o lavorativa, ma sulla base di fatti di rilievo disciplinare.
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misura in cui si è dimostrato praticabile in sede di assoggettamento della P.A. allo stato di diritto, appare praticabile anche sotto l’angolazione del rafforzamento della tutela della pubblica funzione sotto il profilo penale.
L’applicazione dovrà essere obiettiva e generalizzata, anche, pertanto, in relazione alle distrazioni ed agli abusi funzionali perpetrati per piegare le funzioni istituzionali fondanti i poteri e le facoltà pubbliche ad altri interessi lato sensu non individuali, vale a dire, sociali, partitici, geografici, in ogni modo non affidati alla gestione dell’Amministrazione di appartenenza del pubblico funzionario od incaricato (12).
- – Conclusioni in chiave storico-giuridica.
Con il nuovo art. 323 C.P. siamo, dunque, molto lontani dal clima storico-politico nel quale è maturata, sulla fine degli anni ’60, la cosiddetta «rivoluzione dei pretori d’assalto», quando fu scoperta dalle fasce più giovani della magistratura la possibilità – attraverso questo tipo di sindacato sulla legittimità degli atti amministrativi (esteso in quegli anni dalla Cassazione anche all’eccesso di potere) – di «condizionare» le scelte del potere politico (possibilità resa attuale anche dalla Corte Costituzionale (13) con il noto «salvataggio» della norma, ritenuta non lesiva del principio di tassatività). Possibilità che trovava il suo pendant nell’altro reato di competenza pretorile, anch’esso oggi profondamente rimaneggiato, cioè l’art. 328 C.P., sì che la P.A. era subordinata al controllo del giudice penale sia sotto il versante del «fare» sia sotto quello del «non fare».
Dopo la parentesi degli anni ’70-’80, dorninati dal terrorismo e dalla legislazione dell’emergenza, sulla fine degli anni ’80 ed all’inizio degli anni ’90 la magistratura, sostenuta ora dal consenso popolare, ha avviato una forte azione di repressione delle degenerazioni della P.A. e del costume politico. Il potere politico ha maldestramente reagito con la riforma del ’90, il cui caposaldo di «ridimensionamento» delle «invadenze» dei giudici avrebbe dovuto essere la soppressione dell’art. 324 C.P.; tentativo, peraltro, come si è visto, prontamente ed efficacemente rintuzzato dall’orientamento giurisprudenziale subito formatosi sulla continuità fra vecchio art. 324 C.P. e nuovo art. 323 C.P.
Nell’intenzione del legislatore del ’90, l’art. 323 C.P. avrebbe dovuto perdere la sua posizione «residuale», divenendo una norma centrale nell’ambito dei novellati delitti contro la P.A., e ciò attraverso le ampie
(12) In questo senso sembra orientato proprio il rilievo sistematico del nuovo art. 323 C.P., posto che il contenuto offensivo del comportamento vietato va incentrato nell’alterazione del regolare funzionamento della P.A. indipendentemente dalle finalità egoistiche (art. 324 abrogato) o patrimoniali. Attribuisce, al riguardo, carattere di elemento costitutivo determinante al requisito dell’«ingiustizia», Russo, I reati contro la pubblica Amministrazione, 1991, pag. 65 e segg., anche allo scopo di sottolineare la necessità, ai fini penali, dello sviamento funzionale nelle diverse scelte politiche e amministrative (pianificazioni urbanistiche di vantaggio, piante organiche di enti, priorità in procedure concorsuali). Ved., altresì, l’autore sul ruolo di elemento costitutivo obiettivo svolto dal fine (pag. 90).
(13) Sentenza 4 febbraio 1965, n. 7, in «Giur. it.», 1965, I, col. 501.
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modifiche delle quali si è detto all’inizio.
Siffatto risultato è stato, tuttavia, ottenuto soltanto in parte, e ciò in quanto le travolgenti vicende di «Tangentopoli» lo hanno nuovamente confinato in una posizione marginale, balzando al centro del settore in esame i fatti di corruzione e concussione.
L’abuso d’ufficio continua, così, ad essere una fattispecie di secondaria importanza che emerge quando non viene provato il cosiddetto «passaggio di denaro» dal privato al pubblico ufficiale. La notizia che un dato uomo politico o pubblico amministratore è imputato «soltanto» di abuso d’ufficio rende immediatamente leggera, nella pubblica opinione, la sua posizione.
- – La faticosa ricerca dell’interesse giuridico protetto dal nuovo art. 323 C.P.
Le procure della Repubblica non fanno mistero di contestare l’art. 323 C.P., appunto, quando non riescono a dimostrare la corruzione. Curiosamente, quindi, la linea distintiva fra detto articolo e gli altri delitti contro la P.A. non viene individuata attraverso linee sostanziali, bensì per mezzo di riferimenti processuali e manchevolezze probatorie.
Nulla di più falso. È, invece, di primaria importanza individuare con esattezza il bene giuridico tutelato dalla nuova norma.
Non è certo sufficiente dire – come talvolta si fa con approssimazione – che si tratta dell’«imparzialità» e del «buon andamento» della P. A., in quanto non è certo attraverso la semplice lettura di una norma costitu zionale (nella specie l’art. 97 Cost.) che si può ricostruire l’interesse protetto. A1 contrario, alla luce di tutte le osservazioni che precedono, l’interesse tutelato può essere individuato nella necessità di evitare la strumentalizzazione dell’ufficio, attraverso atti o comportamenti illegittimi, per sviamento di potere, e quindi per esclusiva finalità estranea alla P. A., sebbene non di carattere patrimoniale.
Si tratta – come si può notare – di un bene che, da un lato, risulta dall’avere il nuovo art. 323 «riempito» degli spazi lasciati vuoti dalla soppressione della punizione di talune condotte ad altro titolo (oltre ai già ricordati artt. 314, 324 e 328 si può anche aggiungere l’art. 326) – pur senza che siano valide le eccessive critiche di quegli autori (soprattutto Palazzo, Fiandaca-Musco), secondo i quali la riforma del ’90 avrebbe portato allo svuotamento del contenuto delle condotte di distrazione, ricondotte, come si è detto, nel «pantano concettuale dell’abuso di potere», con conseguente loro parificazione a mere forme di irregolarità – e, dall’altro, dall’essere, quello di «abuso dell’ufficio», un elemento normativo, il cui contenuto deve essere ricostruito – come pur si è cercato di fate – tenendo conto delle acquisizioni della dottrina e della giurisprudenza amministrativistica sullo «sviamento di potere» (l’unico comportamento che produce un vero e proprio abuso-strumentalizzazione dell’ufficio).
Se tutto quanto precede è vero, sembra non essere più corretto parlare — come pur si continua a fare — di «sindacato» o «controllo» del giudi-
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ce penale sulla legittimità degli atti anuninistrativi, essendo strutturalmente diverse le finalità del giudice penale e del contenzioso amtninistrativo («due binari che non si incontrano») e diversi i metodi di lavoro (ancorché, come si è visto, la rispettiva casistica sia sorprendentemente coincidente).
Il giudice penale, infatti, deve accertare l’esistenza di un reato, non sindacare o controllare un comportamento. E, nel clima di degenerazione politico-amministrativa che stiamo vivendo, con una corruzione diffusa
a tutti i livelli, il sindacato-controllo derivante dall’art. 323 C.P. sarebbe davvero ben poca cosa.
Sotto il profilo scientifico questa (ancorché non assoluta) «marginalità» dell’art. 323 C.P. può essere utile nel senso che la dottrina si può avvicinare a tale fattispecie con umiltà e serenità di intenti, al di fuori dei riflettori di «Tangentopoli».
Come diceva Luigi Einaudi, in tutt’altro campo (quello fiscale, ma nell’attuale clima di «panfiscalismo» la citazione può essere utile), «le imposte vanno riscosse silenziosamente, perché lo strepito ed il rumore non si convengono agli interessi del fisco».
Lo strepito ed il rumore non si convengono nemmeno alla delimitazione, in sede penalistica, degli abusi dei pubblici funzionari; lo strepito ed il rumore lasciamoli ai processi di corruzione che già tanto ne produco
- L’art. 323 C.P. merita di essere studiato in silenzio e con calma. Non è certo su una norma dì questo genere che si gioca il futuro del nostro Paese.