Relazione basilare elaborata in occasione della tavola rotonda 4 luglio 2002 del Centre de Droit pénal fiscal de Turin e consegnata in testo scritto per l’Audizione pubblica di Brussels del 17 settembre 2002.
Torino (4 luglio 2002)-Brusséls (16-17 settembre 2002)
CENTRO DI DIRITTO PENALE TRIBUTARIO – ITALIA – TORINO
Il tema della discussione finale sul P.M. Europeo [1].
Alcune riflesioni su
Il “Libro Verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una procura europea”
Massimo C. Capirossi
- Un punto di partenza per la discussione finale del Centro Torinese sul P.M. Europeo.
Questa relazione ha il proposito di dare esecuzione alle indicazioni emerse in sede di assemblea – convegno annuale 4 luglio u.s del Centro di Diritto penale tributario[2] (associazione italiana di esperti giuridici in materia di tutela degli interessi finanziari della Comunità europea in ambito e sotto l’egida della Commissione europea) per quanto concerne il fatto che le associazioni giuridiche europee sono state invitate dalla Commissione europea -attraverso l’Ufficio europeo di lotta antifrode (OLAF – Ufficio politica legislazione ed affari giuridici)- ad esprimere un motivato parere sui fondamenti, sui contenuti nonché sulle modalità e proposte di attuazione contenute nel cd. Libro verde[3]. Lo scopo pertanto delle presenti note è quello di fornire una sintetica illustrazione dei contenuti del c.d. Libro verde, con riserva di elaborare successivamente le osservazioni provenienti dalle associazioni italiane e non[4] e dai componenti che a proposito hanno espresso osservazioni commenti e rilievi circa le proposte del Libro verde.
Questa illustrazione sarà prossimamente oggetto di discussione e di “posizione finale” in sede assembleare del 20 dicembre 2002.
Prima di affrontare partitamente i singoli settori della proposta formulata in sede alla Commissione europea in ordine alla istituzione del procuratore europeo è opportuno premettere che lo scopo delle presenti osservazioni è da un lato quello di enucleare i temi meritevoli di discussione che emergono dall’impostazione che caratterizza il Libro verde, dall’altro tuttavia di focalizzare ed unire i contributi intorno a quegli aspetti problematici che emergono dallo studio delle linee conduttrici del Libro verde.
- La posizione dei problemi.
Si tratta dell’individuazione dei problemi e delle questioni che si presentano in ordine ad aspetti di legittimità e di fattività emergenti, se si confrontano le linee del Libro verde e le proposte contenute nel medesimo con le caratteristiche dell’ordinamento o dei vari ordinamenti nazionali comparate e poste in relazione con la struttura, dalle fonti ai meccanismi di integrazione e modificazione caratteristici del diritto comunitario.
Questi problemi acquistano maggiore rilevanza sullo sfondo generale del problema dell’ammissibilità e dei limiti di una normazione comunitaria in materia penale, vera la possibilità di individuazione di una nozione di diritto penale[5] valevole in sede comunitaria e in questo senso comune ai vari paesi membri.
L’impostazione che appare allo stato più opportuna è quella che muove da una analisi effettuata in termini di diritto positivo con riferimento agli istituti tratteggiati sia pur nella loro suscettibilità di varia integrazione nel contesto del Libro verde. E’ stato acutamente osservato, per quanto riguarda la dottrina italiana (Giorgio Licci), che la questione dell’opzione e della temporizzazione dell’opzione verso le linee guida del procuratore europeo tratteggiate dal Libro verde andrebbe tuttavia articolata tenendo conto del futuro progetto di Costituzione federale, in quanto la questione della istituzione di un procuratore europeo e dell’articolazione di una struttura giudiziaria europea non potrebbe che essere affrontata e costituire oggetto specifico di studio in sede di costituente comunitaria, tenendo conto di una struttura federale dello stato comunitario.
In questa prospettiva apparirebbe di attualità sia la recente presa di posizione, ad esempio, della Repubblica federale tedesca in ordine all’opportunità di visionare la questione dell’autorità giudiziaria europea nel contesto di una futura struttura federale della Comunità. Su questa linea le obiezioni sollevate al progetto comunitario in ordine all’istituzione del procuratore europeo, relative in precipuo modo al rischio di perdita di sovranità delle singole nazioni in termini di diritto penale sostanziale, in termini di ordine pubblico nonché di sicurezza pubblica, apparirebbero scongiurate in realtà dalla constatazione, diffusa soprattutto nei paesi di carattere anglosassone, che la coesistenza tra istituzioni anche giudiziarie federali poste a presidio e tutela di interessi efferenti e caratteristici dell’organizzazione federale, in realtà attenuerebbe il rischio di perdita di sovranità alle singole nazioni, ovvero dei singoli stati o “substati” (a seconda, chiaramente, dei paesi a cui si possa fare riferimento).
Nel senso invece di un orientamento volto alla accelerazione e al procedere per progressive introduzioni (la cd. “politica del carciofo”) verso la “comunitarizzazione” del diritto penale, che costituisce l’ideale a cui pervenire cui si giunge attraverso lo sfogliamento dei vari ostacoli di carattere tecnico e politico nella prospettiva di previa verifica della fattibilità di alcune soluzioni positive volte all’armonizzazione e alla tutela di interessi comuni e comunitari fondamentali, in seno all’Associazione torinese (per l’Italia denominata Centro di Diritto penale tributario), ad esempio, si sono autorevolmente espressi il Prof Ivo Caraccioli, l’Avv. Maurizio Vecchio, il Prof. Lorenzo Picotti, l’Avv. Michele Galasso. E ciò tenendo conto del carattere inevitabilmente graduale della crescita e dello sviluppo delle istituzioni comunitarie, come ad esempio la Corte di Giustizia europea, che ha proceduto per progressive indicazioni e progressivi adattamenti.
E’ in ogni caso emerso il problema, meritevole di discussione, sollevato dal Prof. Giorgio Licci in un proprio pregevole intervento nella seduta del 4 luglio 2002 dell’assemblea annuale del Centro di Diritto penale tributario. Rispondendo ad una obiezione metodologica in ordine alla necessità di distinguere tra profili di scienza giuridica e di tecnologia giuridica non di pertinenza dello scienziato giuridico, che non deve affrontare problemi di politica criminale e di opportunità, ma esclusivamente problemi di natura tecnica (nel senso di verificare la fattibilità delle soluzioni proposte con riferimento ai meccanismi di compatibilità o compatibilizzazione [consistency] fra gli ordinamenti nazionali e l’ordinamento comunitario, nel doppio senso reciproco di relazioni), Licci appunto ha osservato che in realtà non si possa escludere la vigenza, sotto il profilo del diritto positivo, della istituzione di una Assemblea costituente in ordine alla formulazione di un diritto comunitario federale.
- I problemi non risolti.
Fatta questa premessa di metodo e storica in ordine alle ragioni che consigliano la stesura della presente bozza, che a sua volta sarà discussa dagli esperti italiani prima della sua comunicazione alla Commissione europea attraverso i siti che sono messi a disposizione con la diretta collaborazione dell’OLAF, può essere ancora utile precisare che nel contesto e nel corso della illustrazione dei tratti salienti del progetto di cui al Libro verde sarà possibile per i sottoscriventi la relazione di sintesi prendere posizione con un meditato ed articolato parere in ordine alle innumerevoli questioni numerate a pagina 99 della versione italiana del Libro verde. Il taglio della presente illustrazione, in ogni caso, si propone di non discostarsi da un’analisi, chiaramente successiva alla loro enucleazione, dei problemi che appaiono di difficile soluzione sia sotto il profilo della strutturazione delle fonti e dei meccanismi di funzionamento delle fonti di diritto comunitario e in principal modo di un diritto penale comunitario, sia con riferimento alle singole articolazioni delle singole soluzioni di compatibilizzazione che possono essere date in maniera compatibile con i concorrenti ordinamenti nazionali, da una parte nelle relazioni fra di loro singoli nazionali e dall’altro nazionali nel loro complesso con l’ordinamento comunitario attraverso il suo funzionamento e attraverso la sua progressiva integrazione.
La discussione appare tanto più opportuna in quanto dall’esame dei contributi innumerevoli provenienti dagli esperti e dagli operatori giuridici di ambito comunitario sono ad oggi emerse alcune sensibili lacune in ordine alla soluzione – o quanto meno alla precisazione degli esatti termini – dei problemi di fondazione del procuratore generale europeo sotto il profilo della giustificazione (base) giuridica (I. Caraccioli) nonché dei meccanismi di integrazione con la normativa fondamentale dei trattati comunitari e di quella derivata che dovrebbe essere, insieme alla prima, il meccanismo combinato di introduzione nell’ordinamento comunitario – e quindi nazionale – del procuratore europeo.
Ad esempio, in particolar modo dal Centro di Diritto penale tributario, in una relazione di sintesi del dicembre 1997 illustrata[6] nel Convegno internazionale sulle frodi all’Iva di Venezia[7] è sviluppata da Massimo Capirossi e Lorenzo Imperato (ripresa da A. Rossi Vannini nel Convegno internazionale di Torino sulle società off shore nel marzo 1997 (supra) e in più ampi lavori) relativa ai problemi di compatibilità della strutturazione di un autorità giudiziaria di rango comunitario ed organizzata secondo fonti anche derivate di diritto comunitario, incisive sui meccanismi penali, fra la positura di un’azione di carattere penale intitolata – e quindi posta in titolarità di un pubblico ministero europeo – con i paralleli principi costituzionali [8]di giurisdizione e con la storica, inevitabile inscindibilità fra la pretesa sostanziale tutelata da singole fattispecie incriminatrici con la titolarità dell’esercizio, obbligatorio o meno da parte di un procuratore e quindi dal titolare di un azione con la medesima pretesa sostanziale. Il tema in questo senso dell’inscindibile collegamento tra il diritto soggettivo privato o pubblico e l’esercizio di un’azione consente di comprendere gli sviluppi sia dei sistemi continentali che dei sistemi non continentali anglosassoni, di stampo e derivazione più romanistica. L’abbandono e quindi la frattura fra questi due poli del meccanismo di tutela di situazioni di vita pone dei problemi anche con riferimento – pur già emersi negli amplissimi studi effettuati sul Corpus Juris– con riferimento, dicevo, al procuratore europeo così come delineato sia nei progetti di corpus juris, sia nel Libro verde.
- Fotografia del Libro Verde . – Alcuni cenni di metodo.
Prima di affrontare partitamene le questioni emergenti dalla lettura sintetica del Libro verde, conviene ancora effettuare una citazione diretta del medesimo Libro verde in ordine alla natura e agli scopi che il medesimo si propone.
L’ attuale inefficace possibilità di perseguire in giudizio gli autori di reati che ledono interessi finanziari della Comunità europea ha indotto la Commissione europea a proporre la creazione – come anticipato – di una procura europea. La proposta di principio è già stata adottata dalla Commissione. Il Libro verde si pone lo scopo di essere uno strumento di consultazione ai fini di ricevere osservazioni in ordine esclusivamente alla possibilità di attuazione ed alle eventuali modalità di attuazione della proposta.
Mi si consenta di aprire una parentesi sul concetto di adozione di una proposta di principio. Nella prospettiva della intraneità del diritto penale al diritto comunitario e secondo un orientamento diverso rispetto ad esempio a quello di Giovanni Grasso in “ Comunità europea e diritto penale – Rapporti tra l’ordinamento comunitario ed i sistemi penali degli Stati membri”, nonché in altri lavori, per cui il diritto penale non rientrerebbe nelle competenze delle comunità ma in quelle di ciascuno stato membro, Lorenzo Picotti, appunto, commentando il Libro verde inteso come “mezzo di consultazione finalizzato ad allargare il confronto fra interessati istituzionali e no”, nell’interessante lavoro “Dal libro verde: sull’istituzione di un procuratore europeo ad un sistema di diritto penale comunitario”, ha ancorato a istituti vigenti del diritto comunitario, muovendo da un punto di vista sostanzialistico del diritto penale, a norme come l’art. 2 del trattato UE (Spazio di libertà, sicurezza e giustizia), l’art. 280 del trattato CEE e l’art. 29 del trattato UE che fa salve le competenze della Comunità in ordine alla prevenzione ed alla lotta contro la criminalità, in particolare economica, ed in specie la frode.
Lo stesso Picotti in sede di convegno ordinario annuale del 4 luglio 2002 ha sottolineato la necessità di ancorarsi a criteri ed a presupposti strutturali di “fattibilità” e opportunità della proposta, che ad avviso dello scrivente, potrebbe, sotto certi aspetti, considerarsi per così dire diritto pre – vigente comunitario. L’osservazione è pertinente nella misura in cui sarebbe apparsa insufficiente la via dell’affidamento e la tutela offerta dai sistemi penali dei membri secondo un principio di assimilazione ai corrispondenti interessi nazionali pur prescritto da tempo dalla Corte di giustizia. Pensiamo alla sentenza del Mais greco del 21.09.1989 in cui la Corte ha obbligato gli stati membri “a presidiare gli interessi finanziari comunitari con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, non inferiori a quelle utilizzate per sanzionare i propri corrispondenti interessi”. Ciò sulla base del generale obbligo di solidarietà comunitario che su di essi incombe ex art. 5 (ora 10 del Trattato CEE poi espressamente sancito dell’art. 209 del trattato CEE introdotto nel 1992 in Maastricht). Il nuovo art. 280 del Trattato CEE nella riformulazione di cui al trattato di Amsterdam del 1997 stabilisce che è “compito della comunità intervenire presso gli stati per la prevenzione e repressione delle frodi e degli altri delitti che danneggiano i propri interessi finanziari, così da garantire una protezione sia efficace e proporzionata, sia e soprattutto equivalente su tutto il territorio dell’Unione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità che devono guidare la Comunità e le iniziative dell’unione”. Il principio di sussidiarietà in materia penale acquisirebbe valenza di secondo grado, dato che già il ricorso a sanzioni di tale natura deve di per sé rispondere al criterio dell’extrema ratio, legittimantesi solo di fronte all’insufficienza degli altri mezzi di tipo preventivo ovvero di natura non penale, cui si aggiunge l’esigenza, trattandosi di materia di competenza non esclusiva della comunità, che gli obiettivi non possano essere sufficientemente realizzati dagli stati membri, potendo esserlo meglio a livello comunitario ovviamente nel rispetto del principio di proporzionalità. Vale a dire senza andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato (art. 5 Trattato CEE, cui rinvia anche l’art 2 ultimo comma trattato UE). Congrua rispetto a tali principi è la riserva della II parte del comma 4 dell’art. 280 trattato CEE secondo cui le misure che al riguardo può prendere il Consiglio, o la procedura di co-decisione con il Parlamento di cui all’art 251, non riguardano l’applicazione del diritto penale nazionale o l’amministrazione della giustizia degli stati membri. Picotti in questa prospettiva ritiene condivisibile ed adeguata – purché circoscritta alle competenze attuali della Comunità in materia penale – la limitazione per ora agli interessi finanziari della comunità del campo di azione – o meglio, dell’oggetto – della proposta tutela penale comunitaria.
Picotti in questa prospettiva sottolinea la necessità di individuare e creare modelli di istituto di diritto penale europeo, investendo non solo il diritto sostanziale ma anche il diritto processuale e le diverse tecniche di tutela disponibili anche sanzionatorie, di natura amministrativa, comunitaria o nazionale. La proposta del Libro verde, pur riduttiva nella sua impostazione generale, introdurrebbe una procura europea come nuova istituzione della comunità, prima ancora che quale organo destinato ad esplicare un ruolo del tutto inedito al sistema di incriminazioni penali di fonte comunitaria, in un contesto sovranazionale di norme di diritto sostanziale e procedurale .
Nella prospettiva, pertanto, intermedia fra le indicazioni di Caraccioli e di Bacigalupo, il quale esige prima la creazione delle norme di diritto penale sostanziale e solo successivamente quella dell’organo deputato ad applicarle, le procure europee, in quanto titolari di un’azione penale riferibile solo a fattispecie e pene predeterminate, Picotti ritiene in ogni caso che l’attribuzione di poteri all’organo dell’accusa trovi legittimazione soltanto in un sistema di diritto penale che – pure anche non esaustivo, autonomo rispetto a quelli statali, con cui deve in ogni caso interagire – abbia connotati sufficienti per assurgere a sistema tale da potere essere ricostruito, sia pur movendo da più livelli di fonti e principi, secondo criteri precisi.
E’ possibile individuare alcune analogie tra il pensiero di Picotti, in questa prospettiva, e quello di Licci, anticipato poc’ anzi sia pur nel fuoco di un carattere federale della comunità (nella prospettiva di Bacigalupo, aderiamo) – . Ma di ciò in seguito.
In ogni caso, per Lorenzo Picotti il riferimento a questo sistema sostanziale appare indispensabile in quanto soltanto a questa condizione può essere rispettato il principio di legalità a cui si collega il principio di obbligatorietà dell’azione penale e di indipendenza ed autonomia dell’organo dell’accusa. In questa prospettiva di necessario collegamento – movendo da norme costituzionali italiane – l’esigenza di legalità e tassatività del diritto penale art 25 comma II della Costituzione, inteso complessivamente quale sistema radicalmente e storicamente, sarebbe correlato al principio di obbligatorietà dell’azione penale (art 112 Cost.) da un lato e alla garanzia della difesa quale diritto inviolabile ex art. 24 della Costituzione dall’altro . I criteri di esercizio dell’azione penale possono essere ricondotti al contenuto delle fattispecie da applicare ai casi concreti, senza lasciare spazio a valutazioni di mera opportunità. Sarebbero da respingere le osservazioni di cui al Libro verde pag 34 e 35 sui livelli differenziati di armonizzazione attraverso le due diverse logiche da una parte dell’unificazione o armonizzazione totale – che andrebbe limitata a settori di precisa competenza quali quelli della definizione delle fattispecie costitutive di reato o del relativo termine di prescrizione – e dall’altra invece di rinvio parziale o totale al diritto nazionale per quanto riguarda gli aspetti di disciplina sostanziale penale della materia.
Più tardi ritorneremo sull’argomento. E’ comunque da approvare l’osservazione in ordine al fatto che il rinvio non può essere all’unico diritto nazionale ma piuttosto a tanti diversi diritti nazionali, cosicché non appare logicamente sostenibile l’idea di distinguere ed individuare isolati settori di competenza nell’interno della disciplina penalistica . Il diritto penale inteso quale tecnica di tutela o modo di disciplina, destinato ad operare in materie anche diverse tra di loro, per poter fornire una protezione efficace e quindi legittima ai sensi dell’art 280 del trattato CEE deve rispondere a condizioni di funzionamento come sistema e non come sistema singolo nazionale. Si ritornerà poi sulle osservazioni di Capirossi circa il fatto che la pura e semplice scelta fatta dal procuratore europeo, così come configurato dal Libro verde, con riferimento alla strumentazione processuale, alla raccolta delle prove e quant’altro, in realtà non provoca il rinvio al diritto sostanziale di un paese ma corre il rischio di poter spostare il diritto sostanziale applicato. Deve essere quindi – nella prospettiva di Picotti – garantito un minimo di sistematicità e di possibilità di ricostruire coerentemente quale autonomo sistema di diritto penale l’insieme delle norme di parte generale che regolano i presupposti e i limiti dell’imputazione e della responsabilità su cui si basa l’applicazione delle pene per i diversi reati. Il diritto penale non può garantire l’efficacia general-preventiva della pena stessa e si preclude la possibilità di raggiungere i suoi obiettivi di tutela oltre che la propria legittimazione sostanziale. In questa prospettiva la preferenza per il principio di unificazione o di armonizzazione totale sotto il profilo sostanziale è accolta da Picotti in ripudio del criterio dell’affidabilità delle diverse discipline degli ordinamenti nazionali già abbandonato dal Trattato di Amsterdam per garantire l’equivalenza della tutela in tutti gli stati, e l’autonomia della diretta attribuzione di competenza alla stessa Comunità come strumento necessario appunto per una protezione equivalente in tutti gli stati membri (art. 280 Trattato CEE).
Picotti richiama qui l’acquis communautaire elaborato soprattutto nel campo delle sanzioni amministrative dalla Corte di Giustizia della Comunità europea così che ha portato ad un ricco, articolato insieme di principi generali del sistema punitivo validi, per argomento a fortiori, anche nel campo delle sanzioni penali (come nel caso dell’irretroattività, della colpevolezza, del riconoscimento di cause di esclusione oggettive come l’errore – compreso quello di diritto – e oggettive come le scriminanti, criteri di commisurazione e cumulo di sanzioni).
Sempre in una prospettiva sostanzialistica, Picotti richiama il regolamento CEE del 18.12.1995 n 2988, che consentirebbe la ricostruzione sistematica della parte generale della materia, inclusa la disciplina dei rapporti tra illeciti sanzionatori di fonte comunitaria e di fonte nazionale e il riferimento al possibile concorso con illeciti penali in senso stretto. Sarebbe utile, quindi, riferirsi agli strumenti del cosiddetto “terzo pilastro” dell’UE pensando alle sanzioni penali e tenendo ben ferma chiaramente la distinzione tra il primo ed il terzo pilastro, così a formare un gruppo di strumenti, anche se non per lo più ratificati od attuati, quali quelli della Convenzione 26.7.95 sulla protezione penale degli interessi finanziari della Comunità europea, convenzione PIF e relativi protocolli addizionali del 1996 e 1997. E’ stato così sottolineato che proprio il nucleo di diritto penale sostanziale di tali disposizioni è stato recepito nella proposta di direttiva comunitaria presentata dalla Commissione in data 23 maggio 2001 sul presupposto della competenza comunitaria in materia. Si ritornerà sul punto successivamente, con riferimento alle osservazioni di Capirossi sul muoversi del Libro verde fra un idea di individuazione di una lista di fattispecie incriminatrici che costruirebbero unicamente l’oggetto di un criterio di ripartizione della competenza processuale tra procuratore nazionale e procuratore europeo e invece la introduzione, sia pur con la nomenclatura definitoria di distinzione delle competenze, di vere e proprie fattispecie incriminatrici di derivazione comunitaria che attribuirebbero, sia pure scaturite da fonte comunitaria, al giudice comunitario che si identifica con il giudice nazionale la competenza a pronunciarsi in materia di fattispecie incriminatrici poste a tutela dei beni comunitari. In questa prospettiva una particolare enfasi sul concetto di bene tutelato, di interesse protetto comunitario e pertanto sopranazionale, è stata posta da più autori nel convegno di Budapest organizzato dalla Commissione europea e dall’OLAF con la collaborazione della Federazione ungherese, nonché l’acuto cenno posto sul profilo dall’intervento di Alessandra Geraci, Stefano Massimino e Carmine Toro, pubblicato su “Agòn”, nella prospettiva di una selezione dei beni giuridici comunitari che legittimi l’intervento penale a livello comunitario conformemente al principio di sussidiarietà. Tornando comunque nella prospettiva sostanzialistica di Lorenzo Picotti, ad avviso del medesimo negli atti citati sopra vi sarebbero non solo definizioni di reati specifici – quali frode agli interessi finanziari della Comunità, corruzione di pubblici ufficiali anche stranieri o comunitari, specificazione della disciplina di riciclaggio già oggetto di convenzione internazionale e di direttive comunitarie – ma una significativa regolamentazione anche di istituti di parte generale, con riferimento alla punibilità del tentativo, alla partecipazione criminosa nelle sue varie forme dell’istigazione, complicità, agevolazione, ma anche con norme in materia di elemento soggettivo intenzionale e di requisiti concernenti in specifico la sua prova che può essere desunta da elementi esterni, di responsabilità sanzionatoria delle persone giuridiche sia pur non necessariamente di natura penale (in questa anche noi, fino alla fissazione dei limiti sanzionatori edittali anche minimi riferiti altresì a soglie di gravità di determinati reati, ad esempio frodi comunitarie (per importi maggiori di una certa somma) con previsione di sanzioni anche accessorie ed interdittive, nonché di casi di confisca obbligatoria anche per equivalente.
Si può parlare – nella prospettiva di Picotti – della acquisizione di un livello di armonizzazione totale anche per essenziali istituti di portata generale, percepiti come necessario oggetto di intervento per garantire la funzionalità del sistema complessivo. Sempre nella prospettiva analogica dianzi enucleata, si potrebbe guardare al sistema della Corte penale internazionale intesa come nuova giurisdizione autonoma dai singoli stati e dalla stessa organizzazione delle Nazioni Unite con piena legittimazione rispetto al principio di legalità (artt. 22 e 23 dello Statuto) per garantire beni giuridici essenziali, universali, indipendentemente dalla volontà politica degli stati, attribuendo la titolarità dell’azione penale ad un pubblico ministero indipendente, affiancato, tutto ciò, all’elencazione delle fattispecie incriminatici, di numerose regole di parte generale idonee a fornire la base di disciplina per un’applicazione uniforme delle medesime fattispecie. Si rinvia al testo.
Questo ampio riferimento alla relazione di Lorenzo Picotti è stato posto all’inizio della presente relazione in quanto utile a chiarire gli aspetti metodologici che la vogliono guidare, già anticipati. Prima ancora difatti di affrontare il problema della giustificazione giuridica e delle fonti e della strumentazione per consentire la compatibilità del progetto di cui al Libro verde con i singoli ordinamenti anche costituzionali, e con i principi tipici fondamentali del diritto comunitario, (effettività, proporzionalità, sussidiarietà e quant’altro) i profili relativi alla base giuridica sufficiente e necessaria a garantire l’effettiva fattibilità della figura del procuratore europeo e della sua relativa indipendenza. Picotti ritiene allo stato necessario, per ammettere la proposta, la fondazione, – l’organizzazione di regole di fondo, tali da ricostruire, pure in sede interpretativa, un sistema autonomo di diritto penale comune, imposta dalla ratio dell’art. 280 del Trattato Cee che, nel porre l’obiettivo di un’equivalente tutela penale nel territorio degli stati membri della Comunità, dimostra tale volontà nel senso di voler superare l’affidamento del potere punitivo ai sistemi degli stati membri.
Argomento parzialmente contrario, finalizzato alla conservazione senza particolari mutamenti dell’attuale assetto proposto con il Libro verde, è quello di ritenere sufficienti i criteri (contenuti nel medesimo Libro verde) di armonizzazione nel senso che attraverso la strumentazione definitoria del contenuto delle fattispecie incriminatrici il giudice nazionale, operando come giudice comunitario, avrebbe a sua disposizione solo e soltanto fattispecie incriminatici pienamente armonizzate ed identiche nei vari paesi.
In questa prospettiva acquisterebbe pregio, tuttavia, la nostra osservazione che (ad esempio con la utilizzazione di norme di diritto derivato ai fini di regolare i confini delle fattispecie -sia pur intendendoli formalmente come meccanismi di attribuzione di riparto di competenza tra il PM europeo ed i PM nazionali , nonché con riferimento al tema della prescrizione) si sarebbe cioè già in presenza di veri e propri istituti di diritto penale. I quali consentirebbero di risolvere il problema della compatibilità tra i principi costituzionali di giurisdizione e l’ipotetica separazione tra PM e giudice nazionale.
In una prospettiva ancora più rigorosa, rispetto a quella introdotta da Lorenzo Picotti, Giorgio Licci pone seri problemi di compatibilità del linguaggio (ad esempio il caso del dolo, inteso in alcuni paesi come non traducibile nel vocabolo intention e la lettura – interpretazione secondo gli schematismi di parte generale tipici dei vari sistemi in termini di ammissibilità o meno del dolo indiretto, del dolo eventuale, del dolo diretto.
L’enfasi, pertanto, sulla necessità di una sufficiente articolazione di parte generale intesa come linguaggio naturale di comunicazione fra autorità giudiziarie e giuristi appare meritevole di piena approvazione. In questa prospettiva va sottolineata (Capirossi) l’opportunità di studiare la necessità di indicare una netta separazione tra profili di parte generale e di parte speciale per lo più bypassati in culture giuridiche come quella inglese o come quella francese. L’utilizzazione di una parte speciale unitamente ad un apparato sufficiente o minimale di parte generale caratterizza forse meglio del GB il progetto sia pur nelle sue diverse articolazioni del Corpus Juris (si pensa alla versione di sintesi della professoressa Vingevaert) . In ogni caso appare da approvarsi l’osservazione per cui il parametro di proporzionalità e … deve esser riferito al raggiungimento effettivo di una tutela equivalente in tutto il territorio comunitario, perché presuppone la previa definizione delle regole – condizioni giuridiche che consentono l’applicazione di un nucleo limitato di diritto penale comune idoneo alla repressione equivalente della frode e degli altri delitti che ledono gli interessi finanziari della comunità su tutto il territorio dell’Unione.
- Ancora sulla natura del Green Book.
Nella conferenza intergovernativa di Nizza la Commissione ha proposto di avviare il frazionamento dello spazio penale sul territorio dell’Unione e la procura europea. Si veda il contributo complementare della Commissione alla “Conferenza intergovernativa sulle riforme istituzionali – Tutela penale degli interessi finanziari comunitari – Procuratore europeo” del 29.09.2000.
“La tutela degli interessi finanziari comunitari esige – secondo il Libro verde – una risposta specifica che prescinda i limiti della cooperazione giudiziaria classica. Storicamente si è voluto approfondire il problema della tutela penale degli interessi finanziari comunitari già con l’assegnazione di risorse alla Comunità con un primo progetto di modifica del Trattato in data 6 agosto 1976. Con la firma di strumenti convenzionali (Convenzione 26.07.1995) nel quadro della cooperazione su giustizia ed affari interni (di seguito chiamata “terzo pilastro”) non ancora ratificati da tutti gli stati membri (si vedano anche i protocolli aggiuntivi). Questa tutela penale è sancita dal Trattato di Amsterdam nel quale è inserita una base giuridica che consente al legislatore comunitario di legiferare limitatamente nella tutela penale degli interessi finanziari comunitari. Su questa base la Commissione ha adottato recentemente la specifica proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale presentata dalla Commissione il 23.05.2001. La stessa peculiarità ha imposto la proposta in commento. Nel Parlamento e nella Commissione gruppi di esperti di diritto penale dei vari stati hanno lavorato sul tema. Accolti questi lavori dal Parlamento europeo con la risoluzione sulla creazione di uno spazio giuridico e giudiziario europeo per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione Europea contro la criminalità internazionale (12.06.1997), e dalla Commissione, si è sfociati in una proposta di un corpo di norme relative alla tutela penale degli interessi finanziari comunitari definito Corpus Juris (studio comparato dei sistemi penali nazionali) da cui è emerso il progetto di procura europea.
Il Corpus juris reca anche disposizioni penali sulla tutela degli interessi finanziari dell’unione europea (a cura di Mireille Delmas-Marty, “Economique de Paris”, 1997). Più di recente vi è stato uno studio comparato sulla necessità, legittimità e fattibilità della procura europea con studio dell’incidenza sui sistemi nazionali (“ L’attuazione del corpus juris negli stati membri, Mireille Dèlmas-Marty – John Albert Vaervale – Intescentia –Utrecht, 2000, 4 volumi). Detta relazione è quella di Firenze (citata anche la relazione di sintesi letta e commentata nel convegno di Trier del 2001- viene allegato il cosiddetto appello di Trier).
Il contributo di cui alla proposta della commissione esposta alla conferenza intergovernativa di Nizza sulla revisione del trattato CEE per introdurre una base giuridica per creare la procura europea non è stato accolto dai capi di stato e di governo in quella fase del dicembre 2000.
Il Green Book pertanto è stato adottato in conseguenza del piano di azione 2001 – 2003 relativo agli interessi finanziari della comunità della Commissione.
Tema centrale è quello della frode che intensifica a livello internazionale il profilo del problema di come lottare contro la criminalità finanziaria e il suo carattere transnazionale. Il ruolo dell’OLAF si spiega in quanto sin dal 1988 è stata creata l’ “Unità di coordinamento e di lotta contro le frodi” (l’UCLAF), diventata undici anni dopo l’ “Ufficio Europeo per la Lotta Anti Frode” (OLAF) che ha compiti di indagine amministrativa indipendente. Il programma repressivo , in base ai requisiti fissati dal trattato di Amsterdam sono collegati all’art 280 del trattato CEE che obbliga di garantire la tutela degli interessi finanziari della comunità effettiva, dissuasiva ed equivalente. Vanno richiamati l’appello di Ginevra 1° ottobre 96 ancora la dichiarazione di Treviri del 15.09.2001 (dallo scrivente sottoscritto), nonché il manifesto di Strasburgo del 20.10.2000.
Raccomandata la creazione di una procura europea, anche dal Comitato degli esperti indipendenti, dal Comitato dei saggi, dal Comitato di vigilanza dell’OLAF nel 1999”.
La creazione di uno spazio comune di attività investigativa e di azione penale fondata sul principio del reciproco riconoscimento (si vedano le conclusioni di Tampére) permetterebbe di superare, ad avviso del Libro verde, alcuni ostacoli. L’ufficio europeo per la lotta antifrode – OLAF è un servizio amministrativo di inchiesta e l’azione penale nei casi individuati dipenderebbe dalle autorità nazionali responsabili dell’azione penale nello stato membro. Altro limite, per esempio nei casi di frode interna alle istituzioni comunitarie vista anche la rarità di esiti giudiziari nei vari stati membri, porta a pensare, ad esempio, a fatti che richiedono interrogatori, perquisizioni domiciliari, indagini bancarie o trasmissioni di rogatorie internazionali, non prerogativa dell’OLAF. Aggiungasi anche il problema dell’individuazione della giurisdizione nazionale da adire qualora vi possa essere la competenza concorrente di autorità di più paesi pone problemi; la non sfruttabilità o utilizzabilità dibattimentale delle testimonianza raccolte dall’OLAF, la possibilità che autorità giudiziarie nazionali caratterizzate dal principio di opportunità dell’esercizio dell’azione penale possano chiedere l’archiviazione o i casi in cui l’archiviazione può essere disposta dall’autorità inquirente senza l’autorizzazione del Giudice.
Questi e altri sono i problemi che hanno indotto la redazione del Libro verde.
- 6. Green Book e l’orizzonte del primo pilastro.
La procura potrebbe operare sotto il controllo, chiaramente rispetto a dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 6 del Trattato UE, nonché fondamentali di diritto comunitario della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che impongono che i provvedimenti coercitivi della procura possono essere controllati e disposti da un tribunale della libertà designato a livello nazionale. Sarebbe accelerata l’azione penale nell’interesse anche dell’imputato, le autorità nazionali modererebbero il ricorso alla custodia cautelare ed ai provvedimenti restrittivi della libertà allo scopo di mantenere l’imputato nel proprio territorio in quanto vi sarebbe una competenza sopranazionale della procura e del giudice nazionale-comunitario investito della vicenda.
“L’art. 2 II trattato di Amsterdam impone all’Unione di svilupparsi quale spazio di libertà sicurezza e giustizia, di garanzia della libera circolazione delle persone e con misure appropriate per quanto concerne la prevenzione della criminalità. Questo orientamento sarebbe stato avallato dal Consiglio europeo di Tampére. I criminali non dovrebbero poter sfruttare le differenze esistenti tra i sistemi giudiziari degli stati membri. Si dovrebbe raggiungere l’obiettivo della elaborazione equilibrata di misure a livello dell’Unione contro la criminalità, proteggendo insieme libertà e diritti giuridici delle persone e degli operatori economici. Pur mantenendo la funzione giudiziale a livello nazionale, dovrebbe assicurarsi reciproco riconoscimento degli atti giurisdizionali tra gli stati senza ricorso a decisioni supplementari di convalida o di exequatur, reciproco riconoscimento applicabile alle ordinanze preliminari, che permettono alle autorità competenti di procedere al sequestro probatorio ed alla confisca di beni facilmente trasferibili. In questa direzione fu proposto il mandato di arresto europeo, ben noto, oggetto di una proposta di decisione quadro presentata dalla Commissione, cui seguì il mandato europeo di arresto e di estradizione.
Lo sforzo del Libro verde sarebbe in questa prospettiva di mantenersi nel contesto del primo pilastro. La procura europea verrebbe configurata come un organo comunitario dotato di poteri propri di azione penale nel settore specifico della tutela degli interessi finanziari comunitari. Il consiglio europeo, avendo focalizzato l’attenzione su aspetti di diritto procedurale che impongono norme minime comuni, gli atti della procura europea risulterebbero validi i tutti gli stati membri perché atti di un organo comune.
- La c.d. base giuridica.
Premesso quanto fino ad ora sommariamente delineato, sulla finalità del Libro verde, può iniziarsi la discussione in ordine al presupposto della proposta adottata di istituzione del pubblico ministero europeo.
Allo stato non essendoci altro – salvo interpretazioni emerse a più riprese in dottrina, circa la possibilità di normare in materia penale, stante la mancanza di una definizione comunitaria, contenuta in un trattato, di norma penale contraddistinta da precisi caratteri rispetto alla norma amministrativa e stante la ormai decennale giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia della Comunità europea, che ha posto specifici obblighi ai paesi membri di normare o non normare in materia penale ovvero di normare a certe condizioni, con certi limiti minimi o massimi e con certe caratteristiche (rinviamo alla sterminata letteratura in proposito) – dicevamo, non sussisterebbe una attuale base giuridica.
La Commissione, nel contesto del Green Book, ha proposto – stante appunto il testo dell’art. 280 che non riguarda l’applicazione del diritto penale nazionale e l’amministrazione della giustizia negli stati membri, le misure adottate dal legislatore comunitario – di inserire nel trattato CEE un art., 280 bis con modifica del trattato limitata però alle condizioni di nomina, di destituzione del pubblico ministero europeo, definendo i suoi compiti e le principali caratteristiche della sua funzione. In questa prospettiva sarebbe proposto di completare le disposizioni del 183 a del Trattato Euratom con disposizioni analoghe. Sempre in questa prospettiva (illustrata a pag 20 del Libro verde) i trattati rinvierebbero poi al diritto derivato per le disposizioni relative allo statuto ed al funzionamento della procura europea. Dette norme verrebbero adottate dal Consiglio dell’Unione europea deliberando a maggioranza qualificata in codecisione con il Parlamento.
I primi commentatori, fra cui l’estensore della presente relazione, osservano tuttavia sin da questo momento non tanto di potere escludere la praticabilità di questa soluzione, quanto che vi è l’opportunità di discutere dell’ampiezza del contenuto dell’art. 280 bis in quanto si ritiene che l’incisione sull’ambito dell’incremento del penalmente rilevante dal punto di vista comunitario non potrebbe limitarsi alle semplici condizioni di nomina e di destituzione del procuratore europeo, ai suoi compiti ed ai caratteri della sua funzione. Questo a dispetto della norma de jure condendo.
2) Il consiglio conformemente alla procedura di cui all’art 251 fissa lo statuto del procuratore europeo 3) Il consiglio deliberando secondo la procedura di cui all’art 251 fissa le condizioni di esercizio delle funzioni di procuratore europeo adottando in particolare a) un regolamento che fissi gli elementi costitutivi dei reati penali per frode per qualsiasi attività illegale lesiva degli interessi finanziari della comunità, nonché le pene previste per ciascuna di esse; b) regole di procedura applicabili all’attività del procuratore europeo nonché le norme che disciplinano l’ammissibilità delle prove; c) regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti di procedura disposti dal procuratore europeo nell’esercizio delle sue funzioni”.
Il Libro verde avrebbe pertanto ad oggetto l’ampiezza di queste norme di diritto derivato che avrebbero lo scopo di determinare come il dispositivo comunitario si articoli con i sistemi penali nazionali. Verrebbe istituita la procura europea senza istituire, per controllarla, una giurisdizione speciale comunitaria e si deciderebbe quale grado di armonizzazione del diritto penale sostanziale e procedurale sia necessario al buon funzionamento della procura europea.
In altri termini la presente soluzione merita due temi di riflessione.
L’interpretazione dell’art. 280 può portare a ritenere che una sua modifica con l’introduzione del 280 bis possa mutarne l’interpretazione nel senso che la portata del 280 verrebbe quindi limitata pattiziamente dal 280 bis. Il principio suonerebbe che le misure adottate dal legislatore comunitario riguardano l’applicazione del diritto penale nazionale o l’amministrazione della giustizia negli stati membri. Il principio così introdotto verrebbe tuttavia nelle intenzioni del Libro verde ulteriormente limitato dal tenore dell’art.280 bis (una limitazione della limitazione). Verrebbe cioè demandato al trattato in primo luogo questa deroga, nonché le condizioni di nomina e di destituzione del procuratore europeo, i suoi compiti ed i caratteri della sua funzione. Verrebbe affidato all’organo legislatore comunitario, sia pur con la procedura della concertazione – sottolineiamo che in questo caso a livello di trattati verrebbe affidata potestà normativa derivata al consiglio insieme al parlamento, procedura di cui all’art. 251 – lo statuto del procuratore, le condizioni di esercizio delle sue funzioni, attraverso .- via regolamento -: a) la fissazione di elementi costitutivi dei reati penali per frode e per attività illegali in ogni modo lesive degli interessi finanziari della comunità, nonché le pene, b) le regole di procedura e norme sull’ammissibilità delle prove, c) regole sul controllo giurisdizionale degli atti di procedura.
Concentriamoci su questi aspetti.
- Le fonti derivate. La giurisdizione (?) della Procura Europea.
Il punto a) elementi costituitivi dei reati penali per frode e la sua effettività lesiva di interessi, purché illegale, nonché le pene. Si è in presenza dell’attribuzione – alla fonte consigliare di concerto- della potestà legislativa in materia di introduzione di fattispecie incriminatici per frode con sanzioni penali, pene, nonché della facoltà di individuare- introducendo idonee fattispecie – quali di loro siano (sul presupposto di una loro previa illegalità – si presume) – lesive di interessi finanziari della comunità. In questo caso si potrebbe dire per via analogica per così dire che il 280 bis attribuirebbe una delega al consiglio indicando dei temi di massima direttivi (questo è il ragionamento da farsi ai fini di valutare la compatibilità con la costituzione – italiana – della adozione, da parte ad esempio di un paese membro – tra cui l’Italia – di questo trattato modificativo del 280 bis) in ordine all’individuazione di elementi di fattispecie, e di fattispecie, a condizione di una loro previa illegalità ( non si sa se in base agli ordinamenti nazionali, se con riferimento alla norma penale oppure a norme civili o a norme tributarie o a norme amministrative, ovvero con riferimento a normative non penali comunitarie) sull’unico presupposto della lesività o idoneità lesiva o di pericolo di lesione – questo è un altro problema – in ordine a un bene sovra nazionale – interesse finanziario della comunità.
Le regole di procedura e le condizioni di ammissibilità delle prove meriteranno una trattazione successiva apposita, così come le regole di controllo giurisdizionale degli atti di procedura che meriteranno ulteriore approfondimento anche con riferimento ai principi costituzionali e, sullo sfondo, al principio di equivalenza nel contesto della comunità.
In questa prospettiva del 280 bis la procura dovrebbe ricercare, perseguire rinviare a giudizio gli autori e i complici dei reati che ledono gli interessi finanziari della comunità esercitando dinanzi ai tribunali competenti degli stati membri l’azione penale relativa a questi reati, nel quadro delle regole fissate dal legislatore comunitario ut supra.
Questa attività verrebbe regolata secondo questi quattro principi: a) sarebbe una pura competenza di attribuzione circoscritta: rispetterebbe il principio di sussidiarietà (b) e di proporzionalità, (c) seguirebbe il principio dell’extrema ratio (d) (il minimo necessario per esercitare efficacemente l’azione penale, la quale verrebbe esercitata in maniera equivalente contro le attività illecite lesive sull’intero territorio delle comunità).
Il diritto nazionale sarebbe il diritto regolativo sia sotto il profilo sostanziale (si presume anche in questo modo si bypassi il problema della scelta del corpo di norme di parte generale) sia per quanto riguarda le norme sostanziali, sia per quanto riguarda le norme procedurali ove non eccezionalmente emanate attraverso il diritto comunitario.
Sempre il principio di sussidiarietà limiterebbe ai soli interessi comunitari l’intervento, ma ciò pare francamente tautologico.
La fondazione giuridica ulteriore di questi principi riposerebbe nel principio di responsabilità a tutela dei propri interessi finanziari fissata in Amsterdam nel 280 CEE. In quanto la comunità è dotata di bilancio per il 274-276 CEE la Commissione risponde dell’esecuzione del bilancio dinanzi all’autorità di bilancio costituita dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea. Di qui la necessità che la tutela sia effettiva, il che presuppone la realità della sanzioni (il che a sua volta impone la dissuasione, la quale a sua volta ancora imporrebbe una risposta penale che comprende atti istruttori coercitivi e pene che giungano fino alla privazione della libertà. Di qui la necessità che la repressione penale sia omogenea ed equivalente in quanto i fondi comunitari costituiscono interessi fondamentalmente comuni.
Non si amplierebbero le competenze sostanziali della comunità. L’ambito degli interessi finanziari comunitari rimarrebbe come definito dall’art. 280 CEE. Gli interessi finanziari comprenderebbero il bilancio generale, i bilanci gestiti dalle comunità o per loro conto e determinati fondi non iscritti in bilancio (ad esempio il fondo europeo di sviluppo, gestito dalla commissione e dalla banca europea per gli investimenti) gestiti per proprio conto da organismi che non hanno il rango di istituzione.
Detta tutela non riguarderebbe così solo la gestione degli stanziamenti di bilancio, ma sarebbe estesa anche ai beni patrimoniali delle comunità (per esempio i beni immobili). Le spese sarebbero toccate se gestite dagli stati membri come sovvenzioni erogate nel quadro delle garanzia agricole (fondo europeo di orientamento delle garanzie agricole – sezione garanzia) o delle azioni strutturali (fondo sociale europeo, fondo europeo di sviluppo regionale, fondo europeo di orientamento e di garanzia agricola – sezione orientamento, strumento finanziario di orientamento della pesca, fondo di coesione) e sarebbero poi anche coperte le spese direttamente gestite dalle comunità politiche e che interessano fattori come formazione, giovani, cultura, informazione, energia, ambiente, mercato interno, reti transeuropee, ricerca, azioni esterne etc. (si pensi ai casi della distrazione di fondi destinati ai programmi di aiuti esterni). Sul lato delle risorse invece si può parlare di dati sugli scambi con paesi terzi nel quadro della politica agricola comune o contributi previsti nell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero oppure i dati doganali sugli scambi con paesi terzi etc.
Sarebbe altresì competente la procura per le entrate derivate dall’applicazione di aliquote uniformi alla base imponibile I.V.A. degli stati membri nonché nei casi transnazionali che appare logico trattare a livello comunitario. Le leggi ed autorità nazionali difficilmente potrebbero ad esempio individuare casi di sfruttamento dei regimi di esenzione IVA in materia di forniture intracomunitarie o regimi di favore per le esportazioni per ottenere la restituzione dell’ IVA senza averla previamente corrisposta in quanto la situazione contabile del singolo stato individuale sarebbe spesso apparentemente ordinata. L’imposta frodata sul piano transnazionale soprattutto per prodotti a forte valore aggiunto che possono essere trasportati rapidamente.
In questa misura si configurerebbe uno spazio comune di attività investigativa e di azione penale coincidente con il territorio delle comunità definito dall’articolo 299 del Trattato CEE. Gli atti avrebbero valore identico in tutti gli stati membri. Sarebbe affidata ad un organo comunitario la direzione centralizzata dell’attività investigativa e dell’azione penale entro uno spazio comune. La fase del giudizio verrebbe mantenuta a livello nazionale lasciando impregiudicati sia la cooperazione giudiziaria generale che la prevenzione comunitaria della criminalità finanziaria. La procura riunirebbe le prove a carico e a favore per permettere l’avvio di un’azione penale nei confronti degli autori dei reati comuni definiti per tutelare gli interessi finanziari della comunità. La procura generale europea dirigerebbe e coordinerebbe l’azione penale. Già nell’ordinamento giuridico internazionale, ad esempio, lo statuto della Corte penale internazionale di Roma del 17.7.98 ha previsto una procura internazionale con poteri investigativi sui territori dei paesi. I quindici stati membri dell’unione hanno firmato la convenzione ed il consiglio ha auspicato che questa entri in vigore ai sensi della posizione comune dell’11 giugno 2001 concernente la Corte penale internazionale.
La procura generale europea dirigerebbe direttamente le inchieste che la interessino e le libertà individuali ed i diritti fondamentali sarebbero soggetti ad un controllo del tribunale nazionale che funge da tribunale della libertà. Il controllo verrebbe riconosciuto nell’intera comunità così che gli atti autorizzati possano essere eseguiti e le prove raccolte siano ammissibili. La procura, sotto il controllo del giudice, rinvierebbe a giudizio innanzi all’autorità giurisdizionali gli autori dei fatti per cui si procede. Non si tratterebbe di un sistema penale comunitario completo ed autonomo. La procura europea colmerebbe una lacuna e si limiterebbe a ciò in quanto verrebbe configurata come strumento supplementare articolato armonicamente con i singoli ordinamenti nazionali giuridici attraverso procuratori europei delegati ubicati nei rispettivi stati, mettendo i tribunali nazionali – e qui preciseremo meglio – in grado di giudicare in alcuni settori: fondi comuni, risorse proprie. In questa fase – e preciseremo – i tribunali nazionali sarebbero giudici di diritto comunitario applicando a particolari categorie di reati le norme integrate nell’ordinamento giuridico nazionale analogamente a come si applicano le regole di diritto comunitario in tutti i settori del Trattato CEE. In questa prospettiva si potrebbe affrontare il tema che ci occupa dall’angolazione già anticipata nello studio del diritto comunitario tout court. Sarebbe interessante approfondire il tema del rapporto tra le fonti nazionali e comunitarie con riferimento sia al diritto sostanziale che al diritto procedurale.
La procura difenderebbe interessi e beni giuridici sopranazionali finanziari della comunità, indipendenti e tutelati da fattispecie incriminatici comuni frutto di armonizzazione esercitando un’azione penale davanti ad un giudice nazionale cosicché quest’ultimo non potrebbe essere configurato come organo giurisdizionale comunitario per giudicare nel merito.
Questo profilo ci sembra definitorio e alquanto problematico in quanto il giudice nazionale in questo caso opererebbe come giudice comunitario e come tale di nuova istituzione.
Potrà affrontarsi poi e svilupparsi la discussione in ordine a profili relativi alla retroattività e a quant’altro.
E’ stato posto l’analogismo con quanto contenuto nella Mise neuve du corpus Juris dans les Etats membres. Il risultato dell’evoluzione è una compatibilità superiore a quella che i paesi avevano un tempo e il principio sarebbe quello di un’azione penale di carattere pubblico e non privato ereditato dalla tradizione del sistema inquisitorio senza però ammettere il ricorso al giudice istruttore, il quale invece verrebbe sostituito dal tribunale della libertà che esercita la garanzia giudiziaria imparzialmente e neutralmente secondo la tradizione del sistema accusatorio.
Questo il carattere di fondo del Green Book.
- La domanda generale sull’impostazione di fondo.
Abbiamo cercato di non effettuare delle anticipazioni e ci siamo limitati sino a questo momento ad introdurre sia pur in modo estremamente sintetico alcuni temi di riflessione in quanto si è voluto presentare le soluzioni in linea di massima proposte dal Green Book dal punto di vista degli estensori delle tesi. Vi sono alcuni temi di ulteriore riflessione relativi all’utilizzo dei canali normativi proposti nel Libro verde e in particolar modo relativi alla nozione – per cui ci limitiamo a rinviare ad altro lavoro dello scrivente – di diritto penale che potrebbe ricavarsi nell’ipotesi in cui si ritenesse praticabile la soluzione proposta.
Sulla domanda generale di parere “qual’è la vostra valutazione circa l’impostazione generale proposta per la procura europea ovvero per il suo campo di azione limitato alla mera dimensione finanziaria degli interessi comunitari, per i suoi poteri e per il modo in cui si articola con i sistemi penali nazionali”, il tema sarà oggetto di un più ampio approfondimento. Allo stato si può osservare quanto segue.
Richiamiamo per quanto riguarda l’associazione italiana del Centro il parere di Lorenzo Picotti che è tendenzialmente favorevole sia pure con i citati accorgimenti in ordine alla strumentazione di diritto sostanziale.
Il parere della segreteria del centro verrà illustrato successivamente in ordine alla compatibilità dell’iniziativa con il regime comunitario e con gli acquis communautaires. Alcuni rilievi dallo scrivente sono già stati espressi nell’intervento del 97 sulle difficoltà di compatibilizzazione con il principio giurisdizionale costituzionalizzato, nonché su ulteriori riflessioni che possono effettuarsi sul problema generale di compatibilità fra le normative comunitarie e le normative costituzionali (come si sa diversamente risolti dalla Corte costituzionale tedesca rispetto alla Corte costituzionale italiana).
Se ci si pone in questa prospettiva è indubbia, come già anticipato – in questo senso si richiama la relazione presentata nel novembre 2001 in Torino nel contesto del corso di diritto penale comunitario – la sussistenza di fonti che operano sulla struttura della norma penale da parte del diritto comunitario sia nel senso positivo di imporre obbligazioni e obblighi di adeguamento ai diritti nazionali (attraverso ad esempio la pregiudiziale comunitaria in termini di disapplicazione di norme incompatibili) e va posta particolare enfasi sul problema delle norme in bianco o dei precetti integrati da norme di fonte comunitaria, del rapporto gerarchico tra le fonti comunitarie e le fonti nazionali, della difficoltà di individuare un criterio sostanziale di distinzione tra norma penale e norma amministrativa (M. Capirossi, del convegno di Padova 29 ottobre 2001 del ns. Centro– Unindustria, Atti).
A fronte di posizioni rigorosamente federaliste e di posizioni di carattere costituzionale rigoroso, tuttavia il Centro opta per una soluzione di carattere favorevole sui profili di ordine generale, relativi alla domanda generale.
- Le giustificazioni del parere favorevole.
Il parere favorevole tuttavia è sia giustificato, sia condizionato da alcuni accorgimenti.
Un primo accorgimento dovrebbe essere quello di un’ulteriore discussione in sede di rielaborazione del Libro verde per assicurarne la piena compatibilità con i sistemi nazionali ed il fondando sistema federale.
Se è vera l’osservazione di Licci (l’ordinamento processuale europeo deve muovere in parallelo con il diritto sostanziale così come i codici europei devono muovere in parallelo con la costituzione europea), la soluzione ottimale consisterebbe , in questa prospettiva di maggior rigore, nell’inserire a pieno titolo la tutela degli interessi economici della comunità nei lavori della costituente, cioè nel quadro di un ordinamento giudiziario che distingue competenze nazionali e federali e garantisca l’unità di interpretazione tramite un vertice comune (Corte di Cassazione federale). Emergono difatti alcuni dubbi – sui quali si ritornerà – in ordine alla possibilità di un pieno atteggiamento nomofilatico da parte della Corte di Giustizia europea in termini di risoluzione sia delle questioni pregiudiziali che potrebbero essere demandate in ordine alle questioni interpretative dei trattati da parte dei giudici nazionali sull’ordinamento introducendo – eventualmente sulla falsa riga di quanto proposto nel Libro verde, – sia per quanto riguarda i meccanismi di risoluzione di eventuali conflitti di competenza territoriale e sostanziale, nonché i problemi e profili su cui si ritornerà relativi ai principi del ne bis in idem sia processuale che sostanziale.
A differenza di quanto espresso dal Centro di diritto penale europeo in ordine ad una rigorosa limitazione della previsione di una competenza comunitaria in campo penale alla tutela di interessi finanziari comunitari (per ragioni evidentemente pratiche la relazione dell’Associazione catanese è concentrata su aspetti sui quali si ritornerà) il Centro diritto penale tributario torinese sottolinea con Ivo Caraccioli che la politica in termini di tecnologia giuridica contenuta nel Libro verde è possibile rifuggendo da soluzioni totalizzanti od utopistiche come quella della creazione di un giudice unico nell’attuale momento storico. Dopo avere creato degli organi di politica per le indagini amministrative (Europol- OLAF) si passa infatti alla seconda fase, consistente nelle indagini giudiziarie affidate appunto ad un pubblico ministero europeo senza toccare gli organi giudicanti interni. Si tratterebbe di una scelta limitata e realistica. La mancanza di una dettagliata specificazione dei criteri per la nomina del PM europeo, sostanzialmente lasciata alla libera valutazione dell’istituzione comunitaria, parrebbe opportuna in quanto la sua scelta fra giudici e comunque magistrati (per il procuratore delegato nazionale sorgerà il problema che sarà oggetto di specifica trattazione in seguito) avrebbe creato problemi con gli ordinamenti processuali interni che non prevedono la appartenenza all’ordine giudiziario del PM.
Il campo di azione limitato al momento della tutela degli interessi comunitari pare felice in quanto si tratterebbe degli unici fatti criminosi che siano capaci di unificare l’intervento. I poteri ed i rapporti con i sistemi penali nazionali non sembrerebbero – nella prospettiva di Caraccioli- problematici, tali da dar luogo ad insuperabili rilievi critici in quanto la fase storico politica attuale “non consentirebbe fughe in avanti e sarebbe attualmente impraticabile una più incisiva sovrapposizione (C.N.) rispetto agli ordinamenti giudiziari dei singoli paesi dell’unione europea”.
In termini maggiormente favorevoli ma critici si è espresso Michele Galasso in un intervento del 4 luglio 2002 per quanto riguarda la mancata previsione di indicazioni a livello di normazione derivata per la normazione interna che dovrebbe (secondo la prospettiva del Libro verde) occuparsi di ristabilire i criteri di nomina e di compatibilità dei procuratori delegati, è stata espressa da Domenico Bonifacio. In termini critici circa il rischio di difformità di lettura e di orientamento in ordine a specifiche fattispecie comunitarie si è orientato Gianmaria Nicastro.
- Le fattispecie.
Sul modo in cui il sistema si articolerebbe con il sistema penale nazionale si è già detto e si ritornerà infra. Per quanto riguarda i poteri si ritiene opportuno affrontare la questione con riferimento ai quesiti specifici successivi sulla circolazione per così dire delle prove e sulla localizzazione degli interventi incisivi sulla libertà. Per quanto concerne il campo di azione – se limitato alla dimensione finanziaria di interessi comunitari – appare meritevole di cenno il parere di Ivo Caraccioli in termini di elencazione di fattispecie criminose previste su cui, comunque, in ogni caso si tornerà.
Le fattispecie criminose dovrebbero essere quelle indicate dal Green Book in quanto non realistico il loro aumento. Potrebbe però porsi l’opportunità – in questo senso si anticipano la domanda n. 2 e la n. 6 – di parlare di una possibile diretta incidenza sulle finanze comunitarie dei reati fiscali in materia di IVA – imposta europea – la cui evasione con comportamenti fraudatori – ad esempio fatture false – anche se in forza di meccanismi correttivi interni assorbita dagli altri stati membri, ridonda a danno dell’unione, nonché i reati di contrabbando delle merci provenienti da paesi terzi , sempre che i reati predetti non siano ritenuti già ricompresi nella generica ma, a parere di Ivo Caraccioli, con una certa difficoltà, definizione di frode.
11) La competenza “stretta” del P.M. Europeo. Connessione con fattispecie nazionali.
Particolarmente delicato – si anticipa il ragionamento – appare il problema dei reati connessi, che sarebbe opportuno rilasciare alla competenza del PM nazionale, non potendosi seriamente immaginare varie indagini a livello europeo per gli stessi. “Si pensi al caso di un’organizzazione criminale di tipo mafioso o simile che sia principalmente dedita al traffico di stupefacenti e che tra le sue attività minori realizzi anche frodi comunitarie. Non è certo pensabile che il PM europeo debba e possa svolgere le indagini anche per i reati in materia di droga, commessi da un’organizzazione criminale fortemente radicata sul territorio. Anche a costo di creare problemi di coordinamento tra le indagini europee e quelle interne per quanto riguarda la raccolta delle prove e l’individuazione del concorso di persone nei reati associativi, non sembra assolutamente concepibile ipotizzare il trasferimento automatico delle indagini per i reati diversi e connessi presso il PM europeo”.
Al riguardo si potrebbe – questo è un tema che lo scrivente introduce – riflettere nell’ipotesi di connessioni, sulla necessità di imporre – cosa che peraltro è stata già proposta in linea generale nel contesto del Libro verde – al PM, investito di reati per cui si possa parlare di connessione in relazione ad altri reati, di trasferire il fascicolo al PM nazionale o viceversa affinché possano essere disposto obbligatoriamente, in modo concertato e congiunto da parte dei rispettivi pubblici ministeri – ovvero fra pubblici ministeri nazionali e pubblici ministeri delegati o pubblico ministero europeo -, lo svolgimento congiunto o separato delle indagini con un meccanismo di attrazione, sotto il profilo della competenza territoriale, di fronte al giudice comunitario, senza però nulla togliere alle specifiche competenze dei singoli procuratori.
Il problema in generale si potrebbe porre in ordine alla connessione fra diversi reati nazionali con reati comunitari od alla connessione di reati, ad esempio eseguiti in un contesto in termini di medesimo disegno criminoso, sia pure separati ma connessi e attraibili nella competenza di diversi P.M. nazionali, diversi procuratori delegati.
Altro problema è da affrontarsi in ordine all’istituto dell’avocazione o della direzione delle indagini. Sia la prima sia la seconda soluzione dovrebbero essere tuttavia ancora ulteriormente articolate, in quanto il principio tendenziale preferibile – ad avviso dello scrivente – della delega esclusiva (contra P.Grasso) ai procuratori nazionali delegati europei i quali si occupino esclusivamente dei reati di competenza europea potrebbe porre dei problemi puramente “pratici” di coordinamento e mancata punizione di alcuni, senza ricorrere al meccanismo dianzi appena proposto se non si pensasse -come osservato da Riccardo Salomone – ad un’attrazione al procuratore europeo di reati esclusi dalla sua competenza con il meccanismo della connessione oggettiva e soggettiva.
Il coordinamento -questo potrebbe essere anche un ulteriore rimedio (intermedio tra posizioni estreme)- tra procuratore delegato e procuratore nazionale, facilitato dalla probabile contiguità fisica tra i due uffici e dalla provenienza dei due ruoli dal medesimo ufficio della Procura della repubblica. Ciò comunque, in ogni caso, imporrebbe di adottare la soluzione puramente giudiziale a livello di magistratura inquirente nazionale.
E’ stata suggerita da Salomone l’estensione in futuro all’immigrazione clandestina, ai reati di traffico degli stupefacenti ed armi, terrorismo non interno, falsificazione e contraffazione di euro, marchi, diritti di autore e denominazioni europee.
Salomone in modo penetrante aderisce alle tesi di Picotti della prefissazione di regole che definiscano un regime di comune applicazione dei principi generali di diritto penale (dolo, colpa prescrizione, concorso di persone, responsabilità oggettiva, responsabilità personale che richiedono chiarezza e linguaggio comune) e, che in verità “ci procureranno poi certamente una legislazione interna tecnicamente e costituzionalmente foriera di una corretta applicazione dei principi per i reati di applicazione europea”.
- La necessità di ricercare “principi centrali” relativi alle fattispecie.
Questo tuttavia sembra essere esterno agli interessi del Libro verde che pare non essersi occupato degli ulteriori problemi di coordinamento diretto fra legislazione futura derivata e futura normazione interna. In ogni caso, secondo Salomone, la soluzione più opportuna e meno macchinosa passerebbe da principi centrali (68) da attuarsi con norme concrete nazionali sotto il profilo del diritto penale sostanziale (in questo senso, v. Palazzo – Papa) . Profilo che non è studiato e comunque sarebbe meritevole di particolare attenzione é quello dell’esecuzione e del carattere derogabile o meno dei criteri di competenza individuatori dei contenuti interni ed esterni delle fattispecie incriminatici di rilevanza comunitaria.
La presente specificazione ci consente incidentalmente di affrontare (prima ancora che definire i contenuti della domanda n.2 che costituisce uno dei cardini del Green Book relativi alla) questione su quali fattispecie di reato la procura europea dovrebbe essere competente. Le definizioni di fattispecie di reato già acquisite nel quadro dell’unione europea andrebbero completate. Si è già osservato dallo scrivente così come da Picotti che le fattispecie penali vengono considerate dal Green Book come semplici norme di delimitazione della competenza della procura europea, laddove invece esse sono definitorie dell’area sostanziale di illiceità penale comune, per cui sanzione è data azione al PM europeo.
E’ condivisibile per Picotti la nozione di nucleo essenziale di delitti nelle frodi e nel riciclaggio, data la riconosciuta interconnessione tra tali delitti e la rilevanza nell’ambito della criminalità transnazionale, fissata dalle convenzioni e dai protocolli del terzo pilastro e dalla proposta di direttiva della Commissione, ma anche nella più recente convenzione ONU sulla criminalità transnazionale. Vi è però l’esigenza di precisare le fattispecie che poi dovranno essere applicate come segnalato a pag. 35 del Green Book perché il rispetto del principio di legalità si attua nella parte speciale in conformità con i requisiti dell’art. 7 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e anche perché l’idea di obbligatorietà dell’azione penale richiede logicamente la esatta definizione del parametro sostanziale che, definendo i fatti perseguibili, fa scattare l’obbligo del suo esercizio. Migliore definizione di frode appare contenuta nel Corpus juris che unifica le ipotesi di commissione ed omissione in materia sia di spese che di entrate comunitarie e “trasforma la fattispecie in reato di pericolo, consentendo un’anticipazione delle punibilità, fondata sul carattere concretamente lesivo, perché pericoloso, della condotta”.
Questo aspetto appare però meritevole di ulteriore discussione. Sarebbe consigliabile secondo Picotti per altro aspetto escludere l’incriminazione difatti non intenzionali, commessi per grave negligenza, data la sanzionabilità già in via amministrativa, in quanto irregolarità rilevanti secondo il regolamento CEE 2988 del 1995. Parimenti, eliminare reati colposi di mera condotta, in quanto i reati di pericolo sarebbero più armonizzabili con il dolo.
Sarebbe necessario meglio definire il concetto di dolo (in questo senso si è già espresso Giorgio Licci) gli elementi di prova, nonché, soprattutto, la disciplina della complicità e dell’istigazione, oltre che il tentativo. E’ il discorso di una parte generale che, in ogni caso, merita ritorno.
Si ricorda che per i reati di corruzione e riciclaggio il primo protocollo 1996 e il II protocollo 97 stabiliscono la punibilità anche a titolo di complicità e istigazione, di agevolazione e di tentativo.
Sarebbe altresì consigliabile l’autonoma incriminazione -come già anticipato- dei reati associativi per colpire le specifiche aggregazioni a livello transnazionale ( in questo senso il Green Book pag. 38).
In questa prospettiva potrebbe studiarsi un’autonoma fattispecie di associazione criminosa caratterizzata da stabile struttura organizzativa, come strumento per realizzare nel tempo una pluralità indeterminata di frodi, corruzioni e riciclaggio, previa e parallela definizione, – di parte generale – di condizioni e requisiti di punibilità, per concorso, partecipazione e tentativo.
Il che però richiede comuni requisiti di disciplina sotto il profilo della logica e delle scelte di politica criminale. Vanno difatti previamente definiti i rapporti tra le ipotesi delittuose e i requisiti di rilevanza penale di condotte meno rigorosamente caratterizzate rispetto alle attività iniziali –tentativo- collaterali di complicità e istigazione, comunque agevolazione, partecipazione criminosa anche alla luce di quella che è l’esperienza dei paesi anglosassoni (vd. l’istituto della conspiracy).
Potranno successivamente essere configurate ipotesi di fattispecie di reato, previa articolazione quelle dei funzionari delle istituzioni comunitarie: abuso di ufficio, rivelazione di segreti di ufficio, malversazione od altro.
Il che comunque richiederà un separato intervento nei vari ordinamenti che diversamente dipingono l’istituto.
- Le vie per la normazione sostanziale. L’orientamento “definitorio”.
Sul diritto penale sostanziale e quindi sulla domanda n. 2 il Green Book ammette la necessità di elaborare norme sostanziali generali per la responsabilità penale e la prescrizione. A questo riguardo, di fronte a quattro strade il Green Book ritiene di assumerne una peculiare. La prima ipotesi sarebbe di rimando puro e semplice al diritto interno; la seconda una parziale armonizzazione di alcune disposizioni nazionali più o meno elevata; la terza di armonizzare totalmente determinate disposizioni nazionali così che le norme comunitarie sostituiscano, una volta abolite, le fattispecie incriminatici nazionali; la quarta soluzione l’unificazione, nel senso di creare un corpus giuridico comunitario autonomo e distinto (foriero di – aggiungeremmo noi – problemi di studio di compatibilità e di ne bis in idem).
Di fronte a queste soluzione il Green Book opta per coniugare il principio di armonizzazione totale di determinate disposizioni nazionali con la logica del rimando, in maniera più limitata rispetto ai suggerimenti del Corpus Juris in ordine ad una maggiore spinta in materia di diritto penale generale.
Sarebbe quindi consigliabile, in virtù dell’assolvimento del principio di obbligatorietà dell’azione penale per determinate fattispecie, una definizione comune dei reati perseguiti con riferimento alle fattispecie che hanno già formato oggetto di accordo tra gli stati membri o altre eventualmente ipotizzabili sulla scorta del Corpus Juris.
- Nucleo di Base. Frode, corruzione, riciclaggio (e altri ipotizzati). Sanzioni.
Vi sarebbe quindi un nucleo di base di diritto penale speciale nel campo, quale quello disegnato dalla Convenzione di Brussells del 26.07.95 sulla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee, con i relativi protocolli aggiuntivi, ripreso nella proposta di direttiva del 23.05.2001 (l’art. 3 della proposta di direttiva in materia di frode definisce “frode che lede gli interessi finanziari della comunità europea in materia di spese” qualsiasi l’azione od omissione intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle comunità europee o dai bilanci gestiti dalle comunità stesse o per loro conto; la mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto; la distruzione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi. Il medesimo testo definisce “frode” (l’azione disegnata in termini identici a quelli appena citati cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle comunità europee) e via dicendo come nella disposizione appena citata.
Questo – come detto – l’art. 3 della proposta di direttiva che ricalca l’art. 1 della convenzione 26.07.1995.
Il Green Book al riguardo, tuttavia, prendendo spunto dal Corpus juris, adotterebbe un’unica definizione della frode a prescindere dal suo oggetto, sia essa ai danni delle spese o delle risorse della comunità, estesa, quindi, alla semplice messa in pericolo, così come ai casi di grave negligenza. Al riguardo si è già espresso il parere del Centro penale tributario di Torino.
Per quanto riguarda invece la corruzione, ai sensi dell’art. 4 della proposta di direttiva, che riprende anche qui l’art. 2 del protocollo 27.09.96 aggiunto alla convenzione del 1995, corruzione passiva sarebbe il “fatto che un funzionario deliberatamente direttamente o tramite un terzo solleciti o riceva vantaggi di qualsiasi natura per sé o per un terzo o ne accetti la promessa per compiere o per omettere un atto proprio delle sue funzioni o l’esercizio di queste, in modo contrario ai suoi doveri di ufficio, che leda o possa ledere gli interessi finanziari delle comunità europee”.
Sulla corruzione attiva l’art. 4 paragrafo II riprendendo l’art. 3 del citato protocollo, la definisce come il “fatto della persona che deliberatamente prometta o dia, direttamente o tramite un terzo, un vantaggio di qualsiasi natura ad un funzionario, per il funzionario stesso o per un terzo, affinché questi compia od ometta un atto proprio delle sue funzioni o l’esercizio di queste in modo contrario ai suoi doveri di ufficio, che leda o possa ledere gli interessi finanziari delle comunità europee”.
Per entrambi i casi le sanzioni scatterebbero sia per il reato principale che per il complice o l’istigatore,
L’art.6, riprendendo l’art. 1 del protocollo 19.06.97 relativo alla Convenzione del 1995, per il riciclaggio di capitali connesso con il provento della frode, quantomeno nei casi più gravi della corruzione attiva e passiva, rimanda al concetto di riciclaggio di capitali della Direttiva modificata del 10.06.1991.
Commette riciclaggio di capitali chi “intenzionalmente converte o trasferisce beni essendo a conoscenza del fatto che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni”, oppure: occulta o dissimula la reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o diritti sugli stessi, essendo a conoscenza del fatto che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; o ancora: acquista, detiene, utilizza beni essendo a conoscenza, al momento delle loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o dalla partecipazione a tale attività. Ciò anche ove le attività all’origine dei beni da riciclare siano ubicate su territori di stati membri o terzi.
Previste anche la partecipazione, l’associazione, il tentativo, l’aiuto, l’istigazione, il consiglio o l’agevolazione e l’esecuzione quali illeciti.
Per quanto riguarda l’interesse del Green Book per reati comuni connessi, che potrebbero in astratto ma in futuro rientrare nella competenza del pubblico ministero europeo, vengono rammentati la frode in materia di aggiudicazione di appalti, in quanto la truffa risulterebbe poco efficace, soprattutto in termini di prova del pregiudizio materiale; l’associazione per delinquere, sotto il profilo dello snellimento della procedura, il nucleo della partecipazione; l’abuso di ufficio – come già detto – lesivo degli interessi finanziari comunitari, che arrechi intenzionalmente pregiudizio agli ultimi attraverso l’abuso di poteri conferiti nell’ambito delle mansioni; rivelazione di un segreto di ufficio da parte di un pubblico agente in violazione di un segreto di ufficio o di un’informazione ottenuta nell’esercizio delle sue funzioni o grazie alle funzioni, qualora la rivelazione arrechi pregiudizio o rischi di arrecarne agli interessi finanziari comunitari.
Cenno anche è fatto a un’ipotesi di fattispecie di reato che va al di là di una pretta tutela degli interessi finanziari comunitari, finalizzata ad una tutela penale della funzione politica europea: l’abuso di funzione e la rivelazione di segreti di ufficio o il semplice furto di effetti personali all’interno delle istituzioni, la violazione della protezione dei dati o le forme di favoritismo nell’applicazione del diritto comunitario.
15) Le Sanzioni. Minimi e massimi. Autonomia e rinvio
Suggerimento del Green Book in termini di sanzioni comuni è di non fissare un livello di sanzioni penali al di sotto di quanto previsto dalla proposta di direttiva del 23.05.2001, che impongono, per i reati di frode, corruzione, e riciclaggio di capitali, sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive e, nei casi più gravi, anche pene privative della libertà che possono condurre all’estradizione, ovvero la confisca degli strumenti e dei proventi (l’art. 5 della proposta di direttiva utilizzava un criterio quantitativo considerando frode grave la frode per importi minimi non superiori ai 50.000 Euro, così come sanzioni anche non penali nei confronti di persone giuridiche responsabili di frode, corruzione attiva o riciclaggio di capitali).
Il Green Book proporrebbe di determinare, a cura del legislatore comunitario, il solo livello massimo delle sanzioni, lasciando al Giudice nazionale la facoltà, nel limite, di valutare l’entità della sanzione che commina o di ricorrere a pene alternative o complementari, ad esempio pene complementari di tipo comunitario, come l’esclusione dalla funzione pubblica europea, dall’accesso alle sovvenzioni, o ancora l’inammissibilità a gare d’appalto se intervenienti finanziamenti comunitari.
Le circostanze potrebbero incidere nei limiti voluti dal diritto comunitario senza avere effetti sul livello massimo delle pene, riservando la determinazione delle circostanze alla legislazione nazionale, così come per il caso di concorso di reati e per la previsione della confisca di strumenti o di proventi di reati e la pubblicazione di decisioni giudiziarie definitive.
In questo senso Picotti si è espresso, come già anticipato, piuttosto che verso la maggior rilevanza dell’effettiva prassi applicativa della pena detentiva in sede di giudizio, per la necessità di applicare pene tendenzialmente omogenee, con armonizzazione dei livelli minimi comuni. Le pene alternative o complementari dovrebbero in questa prospettiva prevedersi a livello comunitario si parla appunto di questa misure limitative appena accennate.
- Domanda n. 3. Regole comuni comunitarie ?. Minimi e massimi.
Il riferimento fatto dal Green Book al tema della responsabilità delle persone giuridiche imporrebbe una maggiore attenzione per quanto riguarda l’eventuale coniugazione della responsabilità degli enti morali in sede comunitaria rispetto alla in vari paesi già sussistente responsabilità a livello penale o amministrativo a seconda delle attuazioni interne e con i conseguenti problemi di concorso fra gli illeciti comunitari.
In questa linea si può già rispondere alla domanda n.3 in ordine alla creazione di una procura europea, “se eventualmente dovesse comportare l’adozione,” di determinate regole comuni supplementari in materia sicuramente di parte generale, certamente di sanzioni che costituiscono l’aspetto peculiare della fattispecie criminosa.
Vedremmo da parte nostra la necessità di una – ammessa la fattibilità del Green Book su questi aspetti – previsione a livello di normazione derivata sia dei minimi che dei massimi, del regime circostanziale, di cause di esclusione (parte generale richiamata o meno da parte della fonte comunitaria).
L’introduzione di una semplice fattispecie di parte speciale porrebbe, chiaramente , il Giudice nazionale nella condizione di dover per così dire “pescare” il linguaggio ed il meccanismo applicativo nel proprio ordinamento nazionale, con evidenti concrete differenziazioni di trattamento sanzionatorio e mancata evasione dei principio di diritto comunitario.
Sulle sanzioni si è detto e si approfondirà la discussione. Sulla responsabilità si ritornerà come detto. Sulla prescrizione richiamiamo quanto detto infra, così come sugli altri aspetti e sulla misura degli aspetti.
- La prescrizione.
Quindi pieno avallo può darsi al Green Book per quanto riguarda la discussione sul regime di prescrizione, volto ad evitare disparità di trattamento. Il termine di prescrizione breve imporrebbe per altro verso una certa maggiore velocità del procedimento. In ogni caso appare senz’altro da accogliersi la soluzione proposta dal Corpus Juris circa un termine di prescrizione di cinque anni su un periodo massimo di dieci anni.
L’opzione del Green Book sulla definizione a livello comunitario di prescrizione potrebbe essere accolta a condizione però che la medesima opzione circa la fonte comunitaria valga integralmente per tutti gli istituti di parte generale, a meno di non contenere l’intervento comunitario semplicemente in ordine alla durata del termine di prescrizione in maniera tale che venga elisa, nel caso di reati transnazionali comunitari, la discrezionalità in ordine alla scelta del Giudice competente. Praticabile potrebbe essere la proposta dell’interruzione della prescrizione regolata dal diritto nazionale.
Giunti a questa fase della disamina, tenendo esclusivamente conto delle anticipazioni effettuate in ordine al profilo sostanziale, ritengo di poter effettuare alcune brevi osservazioni.
- Cenni intermedi ed alcune questioni di “frizione”della teoria delle fonti.
Certamente negli anni futuri la materia verrà maggiormente elaborata. Una considerazione di fondo va però effettuata sin da questo momento in ordine all’eclissi della teoria delle fonti nel diritto penale. Gli sconosciuti rapporti tra i diritti nazionali ed i diritti comunitari devono essere studiati certamente partendo da una nuova elaborazione del rapporto tra le fonti comunitarie e nazionali.
Certamente non può parlarsi di un diritto nazionale – nell’ottica dell’esaminato Green Book – e di un diritto comunitario. L’opzione verso una soluzione di armonizzazione totale o parziale ovvero verso una uniformazione delle norme di carattere sostanziale vuoi dal punto di vista procedurale, vuoi dal punto di vista sostantivo, vuoi attraverso la tecnica del rimando e del richiamo, non elude il problema di sostanzialmente stabilire dei rapporti precisi e netti tra il diritto vigente nei paesi membri e quello vigente a livello comunitario o internazionale attraverso le indicazioni del Green Book.
Per così dire, il diritto nazionale, nella misura in cui viene connesso con sé stesso da parte del diritto comunitario diventa diritto comunitario, ed il diritto comunitario, nel momento in cui trova risposta nel diritto nazionale avvalendosi anche di posizioni di confine, diventa diritto nazionale .
L’individuazione di autonome fattispecie criminose non può eludere il problema del loro rapporto con l’autonoma statuizione nazionale, né la regolazione di istituti che eventualmente necessitano di un’ulteriore articolazione quali il concorso apparente di norme od il principio di specialità.
Strettamente connesso alla soluzione di questi problemi è il profilo del ne bis in idem sostanziale e “processuale” (introdotto questo dal Green Book).
- Status e organizzazione del P. M. Europeo.
Così viene sinteticamente delineato lo status giuridico e l’organizzazione interna del pubblico ministero europeo rispetto al cosiddetto giudice nazionale del diritto comunitario. Sicuramente l’espressione “procuratore europeo” voluta dal Green Book va intesa come organo preposto o persona posta al vertice. Il procuratore europeo viene scelto tra personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e riuniscano le condizioni richieste per l’esercizio nei rispettivi Paesi delle più alte funzioni giurisdizionali.
Nell’adempimento dei suoi doveri egli non sollecita né accetta istruzioni di sorta. Da questa indicazione emerge tuttavia una propensione da parte del Green Book per la nomina del procuratore generale, se pur affidata a criteri di carattere tecnico politico, tra soggetti che possano, nell’esercizio per i rispettivi paesi, ricoprire le più alte funzioni giurisdizionali, il ché significa magistrati ordinari il cui requisito li porrebbe al di fuori della magistratura ordinaria nell’ipotesi per cui si opterà, ma richiede comunque l’attualità, al momento della presentazione della domanda o della designazione, della titolarità delle funzioni giurisdizionali direttive superiori in base all’ordinamento giudiziario, o quanto meno l’idoneità a ricoprire dette funzioni direttive superiori (nei tre gradi caratteristici, ad esempio, dell’ordinamento giudiziario italiano).
La nomina da parte del Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, previo parere conforme del Parlamento europeo, sembra rispecchiare – come detto – la garanzia di indipendenza e di legittimità.
Nulla in contrario rispetto alla non rinnovabilità del mandato pare potersi esprimere.
Si ritiene consigliabile la previsione di un autonomo ordinamento giudiziario che affidi lo statuto e le garanzie di tutela e di responsabilità disciplinare diverse ed autonome.
Si approva la decisione di sostituzione a cura della Corte di Giustizia al fine di garantire la massima indipendenza dopo la nomina del procuratore generale europeo.
Pienamente condivisa è la disposizione proposta del 280 bis sulla cessazione di soddisfare i requisiti necessari all’esercizio delle sue funzioni: se ha commesso una colpa grave può essere destituito dalla Corte di Giustizia, su richiesta del Parlamento, del Consiglio o della Commissione. Meglio sarebbe, tuttavia, aggiungere una procedura di destituzione di ufficio, a cura di un apposito organo istituito presso la Corte di Giustizia, con le garanzie della magistratura comunitaria. Certamente decesso, dimissioni spontanee e scadenza del mandato andrebbero aggiunti. Piuttosto andrebbe studiato come estendere dette garanzie, nonché la possibilità di cessazione delle funzioni nei casi spettanti al procuratore generale europeo, anche ai suoi delegati.
Il procuratore europeo svolgerebbe poi un’attività di direzione e coordinazione delle attività investigative e dell’azione penale decidendo l’organizzazione interna del servizio, le istruzioni ai procuratori europei delegali, le linee di condotta in materia criminale nei limiti fissati dal legislatore comunitario.
Si avvarrebbe dei procuratori europei delegati appartenenti ai sistemi giudiziari nazionali (al riguardo sono meritevoli di attenzione i dubbi sollevati da Bonifacio circa la necessità di riarticolare con legge nazionale l’estensione del rango degli idonei a ricoprire la funzione delegata).
Il problema da affrontare sarà il problema dei rapporti tra capo e delegati. Sarebbe opportuno estendere, appunto – come anticipato – ai delegati le medesime garanzie, il medesimo status comunitario del procuratore generale, così da consentire la piena indipendenza dei medesimi.
Il rapporto gerarchico tuttavia andrebbe specificamente regolato, garantendo piena autonomia ai delegati una volta che a loro siano state affidate le inchieste, salvo una specifica regolamentazione dei poteri di avocazione delle indagini, in una prospettiva quale, ad esempio, quella disegnata dall’ordinamento giudiziario italiano così come interpretato dal Consiglio Superiore della Magistratura, dal Consiglio di Stato e dalle alte autorità giudiziarie.
Meglio la designazione dei procuratori delegati sarebbe se effettuata su semplice domanda dei medesimi, indipendentemente dalla proposta dello Stato di origine, purché essi muniti di titoli idonei, ove la nomina dei delegati dovrebbe essere effettuata con gli stessi sistemi del capo. Sarebbe consigliabile, a mio sommesso avviso, tuttavia, la creazione di uno status europeo autonomo per i procuratori delegati, i quali rimarrebbero in aspettativa rispetto al proprio status nazionale, salvo per tutti gli aspetti relativi dall’assunzione, alla nomina, alla promozione, (anzianità nella funzione) alla retribuzione, alla previdenza sociale, alla gestione corrente, che dovrebbero essere congelate in favore del delegato, in modo da non disincentivarne la domanda. Con attenzione in buona sostanza agli aspetti relativi a quanto appena detto e con alcuni accorgimenti tuttavia in ordine alla promozione e ai trasferimenti, che dovrebbero essere regolati secondo lo status del procuratore delegato (riservato alla funzione requirente).
Va esclusa la cumulabilità pro tempore di funzioni.
Creato un autonomo status europeo, non dovrebbe prevedersi né un mandato a tempo determinato né la necessità di un’ulteriore nomina alla scadenza del mandato: così come il magistrato ordinario permane nelle proprie funzioni in modo che ne sia assicurata la più totale indipendenza, la medesima cosa dovrebbe avvenire per il magistrato europeo. Lasciando a lui la scelta se, recuperata o raggiunta una certa permanenza della funzione, abbia interesse di passare ad altra funzione comunitaria ovvero rientrare nelle funzioni requirenti della magistratura ordinaria del proprio paese.
La specializzazione de facto e de iure, l’esclusione del potere di effettuare delle contestazioni su supposte ipotesi di connessione per reati esulanti da quelli comunitari, l’agevolezza e dimestichezza con le specifiche fattispecie comunitarie, la necessità di escludere interferenze con indicazioni e direttive provenienti dall’Ordine nazionale, l’esigenza di imparzialità e la soggezione al principio obbligatorio di legge in ordine all’azione penale, imporrebbero di eliminare la discrezione dello stato membro in ordine alla scelta di cumulo.
La responsabilità civile – penale – disciplinare dovrebbe essere trattata esclusivamente davanti la Corte di Giustizia, escludendo una responsabilità nazionale. Doveroso sarebbe avviare l’istituzione di un organismo di autogoverno e di auto – amministrazione presso gli organismi comunitari, in modo da assicurare l’imparzialità e l’indipendenza dei magistrati comunitari, (e le loro responsabilità amministrative e disciplinari) sia pur caratterizzati dalla funzione del PM. Potrebbe essere necessario coniugare le eventuali procedure disciplinari, nel senso di ricondurre alla perdita del requisito l’eventuale procedibilità ed eseguibilità di un procedimento disciplinare nazionale e viceversa, per fatti anteriori alla ricopertura della funzione comunitaria o, viceversa, nazionale.
- Il territorio Europeo. Competenza territoriale e operatività europea.
Piena approvazione merita la limitazione del campo di azione al Paese membro per quanto riguarda la individuazione dei fatti di reato che radicherebbero la competenza territoriale del procuratore europeo delegato. La medesima cosa tuttavia non dovrebbe valere per quanto riguarda la esistenza dello spazio giuridico europeo all’interno di tutto il quale il procuratore delegato potrebbe operare indipendentemente dall’autorizzazione del procuratore europeo, fermo però l’obbligo del medesimo di agire in cooperazione con il procuratore europeo corrispondente.
L’obbligo di assistenza fra i procuratori è di difficile formalizzazione, se non in maniera analoga a quella che avviene tra i procuratori distrettuali antimafia e fra essi e la Direzione generale. Verrebbe chiaramente sospeso ogni obbligo di osservanza delle istruzioni da parte delle rispettive autorità nazionali da parte sia del procuratore generale europeo che da parte dei procuratori delegati, se si escludono i precipui obblighi di trasmissione e di collaborazione di cui infra.
Pare meritevole di pregio l’orientamento del Green Book in ordine ai mezzi di funzionamento.
- Le definizioni comunitarie del Green Book del “normabile nazionale”.
A questo punto dell’illustrazione delle linee portanti del Green Book e prima di addentrarci sui rilievi e sui limiti delle norme procedurali, pare opportuna una piccola rassegna per un verso circa alcune questioni di fondo e per l’altro verso circa alcune ricadute delle ragioni di fondo, che meritano sicuramente futura e più particolare riflessione da parte degli esperti comunitari.
Andremmo di contrario avviso rispetto a quanto espresso, pur nelle relazioni degli esperti dell’Associazione catanese, circa i limiti di un’eventuale riflessione di carattere dogmatico da parte della Commissione in ordine all’individuazione di ulteriori beni tipici comunitari e delle forme di aggressione di tali beni che giustifichino il ricorso al diritto penale. Quasi che il principio di extrema ratio, in base al principio di sussidiarietà fosse un principio foriero di indicazioni precise, idonee a risolvere la vexata quaestio dei rapporti tra i poteri nazionali di normazione e poteri comunitari. Certamente per pacifica giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle corti costituzionali prevalenti, ove esistenti tra i Paesi membri, si propende nel senso di attribuire priorità alla norma comunitaria[9]
Mentre nel rispetto di principi immutabili costituzionali relativi alla cosiddetta costituzione materiale, non modificabile dai singoli Paesi, il legislatore nazionale è sovrano rimutare i propri precedenti orientamenti quasi che lo spazio del normabile o dell’incriminabile delle situazioni di vita o delle sfere di interesse non siano esauribili una volta che su di esse il legislatore (in questo caso penale) intervenga, il problema invece andrebbe affrontato da un’altra angolazione per quanto riguarda il tasso di esauribilità del disciplinabile da parte del legislatore nazionale dopo che su di esso è già intervenuto il legislatore comunitario.
In questa luce il principio di extrema ratio non consentirebbe di risolvere il problema se il legislatore nazionale possa avocare a sé la materia con una disciplina differente da quella approvata a livello di fonti comunitarie. Una maggiore incisione nella sfera della libertà (o non incisione) da parte della strumentazione penale ovvero della strumentazione amministrativa in assenza di un criterio ontologico di distinzione fra penale o amministrativo o civile a livello sovraordinato comunitario, eventualmente anche successiva all’intervento normativo comunitario, potrebbe porre rilevanti problemi di compatibilizzazione fra le diverse discipline.
Cosa succederebbe se lo stato francese predisponesse un regime meno rigido in materia di tutela penale della moneta unica o della funzione pubblica ?
Può parlasi di sottrazione alla sfera nazionale in via definitiva, attraverso le modifiche prospettate in sede di Green Book, da parte della Comunità europea?
In ogni caso è da approvare l’orientamento che vede il PM europeo ed il suo delegato completamente sciolto per il compimento di alcuni atti rispetto alle autorità nazionali.
- Obbligatorietà “secca” dell’azione penale comunitaria. Caratterizzazione e principio di giurisdizione.
Saremmo per la titolarità dell’azione penale da parte del PM europeo, caratterizzata da un obbligo esclusivo e non assoggettato ad eccezioni.
Senz’altro è ammissibile l’istituzione di una diversa articolazione del pubblico ministero, in quanto il PM comunitario è a pieno titolo PM (riconosciuto dall’ordinamento nazionale).
Non sembra invece poter riservare alla autonomia normativa dei singoli paesi membri una regolamentazione dei rapporti tra PM europeo e PM delegato difforme da quella comunitaria che ne garantisce la totale indipendenza nei confronti di ogni autorità politica, giudiziaria od amministrativa nazionale e comunitaria.
Ma su questo si ritornerà in appresso.
Allo stato nelle ipotesi in cui in base alla indicazione del Green Book si ritenga, sotto il profilo della procedura, di limitare la definizione di specifiche norme procedurali europee a casi minimali, rinviando al diritto nazionale nella massima parte dei casi, sul presupposto di un riconoscimento reciproco delle norme procedurali (vedremo poi i problemi relativi all’acquisizione ed all’utilizzazione della prova ed alle misure informative o restrittive) nella stessa prospettiva con cui non si ritiene di formare un corpus autonomo relativo ad un parte generale in deroga rispetto alle parti generali ove esistenti (e questo è un altro problema) nei vari paesi membri, la soluzione pare in linea con la necessità di mantenere il collegamento nazionale – o quanto meno a livello nazionale – fra norme di diritto penale sostanziale e norme procedurali che sono agganciate ad articolate secondo schemi complessi e frutto di una spontanea evoluzione e normazione tipica dei vari paesi, e quindi difficilmente scorporabili e separabili.
23) Obblighi di azione.
Pare estraneo alla cultura dei Paesi evoluti un obbligo – che sarebbe tipico dell’autorità amministrativa – del titolare dell’azione penale comunitaria nell’ipotesi in cui un’autorità pubblica fornisca una informazione ufficiale circa la notitia criminis. Sistema auspicabile potrebbe essere quello analogo all’italiano, ove spetti l‘obbligo di denuncia alle autorità pubbliche e soltanto in limiti casi alle autorità private. Notitia criminis che, se in possesso dei requisiti, impone al PM le indagini e, eventualmente, l’esercizio dell’azione penale in caso di sussistenza del reato.
Agenti delle amministrazioni doganali, fiscali, servizi di polizia, autorità giudiziaria, autorità medica e sanitaria avrebbero specifico obbligo di denuncia. Con ciò ci pare di avere risposto alla domanda n. 4. E così per tutte le attività di controllo (ad esempio nel senso indicato da Salomone), forze di polizia di ogni livello, autorità amministrative competenti su determinate operazioni, amministrazione e finanze, uffici doganali, come detto, commissioni tributarie, che in modo e momento vengono a conoscenza di fatti che costituiscono o possono costituire fattispecie di reato comunitario.
Certamente sarebbero operative le fattispecie nazionali relative alla calunnia o quant’altro.
In ogni caso, non inverosimilmente, sarebbe necessaria un‘espressa previsione al riguardo, in quanto dal rinvio, ove non diversamente stabilito, con fonte prioritaria alla normativa nazionale, tutte le norme che stabiliscono degli obblighi di denuncia o di riferimento vigenti nel singolo ordinamento nazionale, sarebbero perfettamente in vigore. Così, l’espressione “autorità giudiziaria” non potrebbe essere che interpretata nel suo corretto senso.
Parimenti fermi rimarrebbero gli obblighi di comunicazione alla Commissione dei casi di irregolarità ed i limiti dovuti, ad esempio, al dovere di confidenzialità già sussistenti.
Potrebbero essere previste, ove non previste per gli ordinamenti nazionali, neppure in via interpretativa, delle specifiche obbligazioni a carico dei funzionari comunitari o comunque di altri soggetti che operano nel contesto.
Già abbiamo detto dell’obbligo in ordine alla fase istruttoria del PM.
Ci pare pleonastico l’approfondimento in ordine sia ai diritti fondamentali ed ai diritti di difesa e tutela dell’imputato, nonché all’obbligo di procedere a carico ed a favore del PM, nonché al principio di presunzione di innocenza e di procedimento contraddittorio, al diritto delle parti e dei legali di accedere ai fascicoli detenuti dalla procura europea, al diritto di difesa, al diritto di esprimersi pienamente sui fatti che lo confermano, al principio di equità che trova il richiamo dei principi procedurali, sostanziali e costituzionali dei singoli Paesi e comunque diretto e ben chiaro nell’espressione contenuta nel Green Book .
I problemi potrebbero porsi per eventuali ordinamenti nazionali che non fossero informati a detti principi in ordine alle questioni relative al mutuo riconoscimento dei provvedimenti, delle sentenze e delle prove.
- Ne bis in idem. Patteggiamento.
Merita plauso il principio del ne bis in idem, diritto a non essere perseguito penalmente due volte per il medesimo fatto di reato, così come da art. 50 della carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea. Al riguardo, tuttavia è meritevole di studio la distinzione tra principio di ne bis in idem sostanziale (pacifico) e principio di ne bis in idem processuale, ove vi sia stata una definizione intangibile del procedimento attraverso un proscioglimento giudiziale in via definitiva.
Sarà interessante lo studio della giurisprudenza della Corte di giustizia in ordine a stabilire da quale momento nel corso della fase istruttoria il principio trovi applicazione.
Il limite del divieto di avvio dell’azione penale per gli stessi fatti dovrebbe essere tuttavia limitato alle assoluzioni o condanne definitive. Pare difatti di difficile praticabilità la costruzione di un’indagine preliminare volta alla delibazione – appunto – preliminare circa la sussistenza del bis in idem ai fini dell’avvio di un’eventuale azione penale, che renderebbe veramente macchinosa e costituirebbe l’elisione del principio del divieto del procedimento attraverso un’ultronea distinzione e scorporazione dell’azione preliminare rispetto al vero e proprio esercizio dell’azione penale.
Se l’azione penale non può essere iniziata o proseguita, il giudice non può che disporre immediatamente il proscioglimento.
La soluzione ordinamentale italiana può essere utile al riguardo.
Il problema sarà quale è il primo momento in cui venga investito del principio del contraddittorio il Giudice nazionale da parte del PM, perché soltanto in quel momento potrebbero, nel caso fossero sfuggite al PM delegato eventuali proscioglimenti pregressi nel Paese o successivi in altri Paesi, cui le parti potrebbe far presente la sussistenza del bis in idem.
Meritevole di studio sarà anche il criterio di definizione del “medesimo reato” nell’ipotesi ad esempio in cui il proscioglimento sia intervenuto precedentemente in conseguenza di una contestazione per una fattispecie nazionale assorbente od assorbibile da quella comunitaria, eventualmente successiva, per quanto riguarda la sua previsione normativa.
Analogo discorso vale per il patteggiamento, anche se al riguardo può farsi un’ulteriore osservazione.
Se senz’altro l’archiviazione non fa stato, anche se disposta dal Giudice, potrebbe sorgere il problema qualora in certi Paesi non vi fosse la garanzia del giudice in ordine all’archiviazione ovvero non vi fosse la distinzione tra l’archiviazione ed il proscioglimento oppure, in sede di proscioglimento o di archiviazione, la distinzione fra formule quali l’insufficienza di prova o l’insussistenza del fatto o quant’altro.
Per i paesi in cui il patteggiamento non esistesse, o non fosse condizionato all’approvazione del giudice, potrebbe sorgere il problema se venga esaurita la potestà punitiva comunitaria.
Il medesimo discorso andrebbe poi approfondito guardando il profilo dal punto di vista del bis in idem ai fini del diritto nazionale rispetto al diritto comunitario.
25) E del Giudicato?
Così come per il patteggiamento, anche per la nozione di “passaggio in giudicato” potrebbero sorgere problemi in quanto, mancando da parte del Green Book delle comuni nozioni sul giudicato, e quantomeno essendo senz’altro diversamente regolato per i vari Paesi il passaggio in giudicato della sentenza (nel caso in cui ad esempio vi siano diversi, o manchino, gradi di giudizio) il rinvio al riguardo alla legislazione del singolo Pese farebbe sì che il principio di ne bis in idem comunitario potrebbe de facto e da iure essere disapplicato in base alla norma interna o se fosse appunto il giudice nazionale, in base al proprio ordinamento, a dover applicare la norma interna che esclude o diversamente qualifica il giudicato ad esempio intervenuto in altro Paese della Comunità.
Il semplice rinvio fatto dal Green Book all’autorità reciprocamente riconosciuta della decisione del giudice nazional-comunitario presuppone la definizione di definitività e quindi di giudicato della medesima decisione. Se manca una definizione di giudicato, il principio di ne bis in idem potrebbe essere di difficile attuazione e non fattibile.
Al riguardo sarebbe opportuna a livello di strumentazione generale del Green Book una definizione di giudicato e un espresso vincolo interpretativo per il Giudice nazionale investito.
- L’araba fenice dell’azione.
Grossi dubbi solleviamo sulla rinnovabilità dell’effetto di un’azione penale nell’ipotesi in cui dopo un proscioglimento anche per insufficienza di prove emergano nuovi elementi, pena incisione grave del principio della definitività dell’accertamento, a meno che non si possa ricavare una precisa comune nozione di archiviazione non vincolante distinta dal proscioglimento definitivo.
Poco chiaro è il punto 6 2.2. circa l’avvio delle indagini e dell’azione penale.
Si propende per la motivazione, in ogni caso, delle decisioni di archiviazione, e per la ricorribilità delle medesime, mentre non si propende, ammessa l’obbligatorietà dell’azione penale, per temperamenti al riguardo.
Il criterio di temperamento per “scarsa gravità” con riferimento agli interessi finanziari della comunità europea richiama pericolosamente concetti estremamente elastici e mutevoli, di difficile controllo interpretativo da parte della Corte di giustizia o di altre Autorità giudiziali.
Medesima osservazione vale per la nozione di “utilità dell’azione” e per la possibilità di limitare il procedimento a certi capi di imputazione ritenuti sufficienti, così come la percentuale di maggiore efficacia nel recupero delle somme corrispondenti agli interessi finanziari lesi.
Tecniche di patteggiamento di questo genere incorrerebbero certamente nei rilievi costituzionali caratteristici o caratterizzabili all’interno di singoli ordinamenti (come avvenuto, ad esempio, per il patteggiamento italiano). I meccanismi di riparazione del danno porterebbero o potrebbero portare sicuramente a delle attenuazioni di pena, in virtù di precipui istituti sostanziali o premiali.
Anche l’eccezione esclusa nell’ipotesi della presenza di determinate aggravanti sembra frutto di una confusione tra istituti di natura sostanziale e principi-cardine dell’esercizio dell’azione penale, come il principio dell’obbligatorietà.
La possibilità di pluriqualificazione da parte dell’autorità comunitaria o del PM nazionale degli stessi fatti non caratterizzati da un’apparenza di concorsualità delle fattispecie non appare assolutamente sufficiente, essendo rilievo puramente statistico, a giustificare un’eccezione al rigoroso principio obbligatorio.
Pare minare il principio di obbligatorietà ed il principio di stretta legalità e di necessaria connessione tra l’azione penale e la pretesa sostanziale comunitaria fatta valere, sia pure riconosciuta a livello nazionale, l’idea contenuta a pagina 49 del Green Book di ripartire tra le procure la responsabilità dell’azione penale, in virtù del principio di sussidiarietà. Il criterio di ripartizione della giurisdizione, ovvero della competenza, ammesso che spossa distinguere in materia tra autorità comunitaria ed autorità nazionale, verrebbe inficiato dalla occasionalità e dall’elasticità dei criteri di ripartizione ad hoc delle competenze.
I criteri proposti di soglia fissata a priori dal legislatore come ipotesi del reato, ovvero di facoltà di rinvio alle autorità inquirenti nazionali – in base all’esperienza pratica, a determinati orientamenti – alla circoscrizione “del caso” nel territorio dello stato ci sembrano poter sottrarre al procuratore naturale costituito, in base a criteri opinabili e di difficile risolubilità a livello di giudice nazionale o, in caso di conflitto di competenza positivo o negativo non espressamente regolamentato, di fronte alla Corte di Giustizia europea, con evidenti macchinosità e profili che potrebbero diventare vieppiù gravi attraverso il ricorso esteso alla pur fondamentale istituzione della pregiudiziale comunitaria, cui il Giudice nazionale (si esclude la potestà in materia di sollevare direttamente la questione da parte del procuratore nazionale o del PM europeo comunitario) porterebbero a evidenti profili di lentezza e di irrisolubilità in via definitiva di profili processuali e sostanziali.
Verosimilmente, nell’ipotesi in cui si ravvisino le notitiae criminis, nulla impedirebbe, prima della qualificazione in via definitiva giudiziale, ad entrambe le procure o più procure, dietro chiaramente il coordinamento dei rispettivi capi, sia nazionali che comunitari, di effettuare i rilievi, le indagini e le contestazioni che essi ritengano più opportune, in maniera del tutto indipendente, salvo chiaramente la pratica possibilità di una collaborazione.
- I casi misti. Le relazioni fra Autorità.
I problema di quale sia la fonte cui riferirsi per disciplinare e vincolare i Paesi membri a specifiche normative sulla collaborazione è un problema di cui ampiamente dovrà discutersi. Discorso a parte merita la cosiddetta teoria dei “casi misti” contenuta nel Green Book.
Ci sembra indispensabile escludere la praticabilità di soluzioni attrattive della competenza nel caso di “casi misti”.
Se un reato è di matrice comunitaria, procederà il procuratore comunitario. Se il reato è reato nazionale, procederà il procuratore nazionale.
Nel caso in cui interviene un reato comunitario e un reato nazionale, il problema non si pone. Se tuttavia un medesimo comportamento ricade sotto due fattispecie di reato rispettivamente nazionale e “comunitario”, riguardanti un medesimo interesse da tutelare, qualora dette fattispecie concorrano formalmente o materialmente, ciascuna autorità, collaborando eventualmente con l’altra o non collaborando se non lo ritiene, procederà autonomamente. Se vi sono due comportamenti connessi ovvero distinti ma strettamente collegati che rispettivamente corrispondono a due reati, nazionale e comunitario, anche se la concentrazione dell’azione può presentare un interesse operativo, non ci pare che il rischio di conflitto tra politiche criminali o tra procedure possa consentire alla medesima procura cui dovrebbe essere obbligatoriamente affidata una competenza, di decidere di trasferire un reato comunitario comunitario o nazionale e viceversa all’altra procura in base ad una valutazione, di fatto difficilmente sindacabile data l’elasticità del principio, di c.d.“principalità” dell’interesse nazionale o comunitario.
Anche la primazia del diritto comunitario sposterebbe la questione in termini di sottrazione di una potestà espressa legal-punitiva nazionale o comunitaria e viceversa, con evidente rischio di sottrazione al Giudice naturale di un responsabile.
Anche la previsione di un azione penale comune in qualche modo pare incompatibile, in quanto vi sarebbe l’imposizione da parte di una procura all’altra di esercizio dell’azione penale, che diventerebbe in questo modo non tanto obbligatoria, quanto necessitata.
Piuttosto, e con ciò manifestiamo un orientamento in ordine alle domande n. 15, 16 e 17, alcune osservazioni.
Senz’altro il diritto comunitario dovrebbe occuparsi di stabilire le relazioni fra la procura europea e le autorità nazionali di polizia e giudiziarie, perché una riserva di ciò agli ordinamenti nazionali senza meno espungerebbe di rilievo l’intero apparato normativo dal punto di vista delle informazioni, della collaborazione, delle esecuzioni, delle decisioni e dei provvedimenti riconosciuti.
Interessante per i casi misti e solo in questa limitata misura la agevolazione delle consultazioni reciproche, lo scambio di informazioni e l’assistenza giudiziaria (da regolarsi come per l’esecuzione degli atti istruttori).
Non interveniamo specificamente sui casi e sulla questione di Eurojust che meriterebbe una trattazione separata, né su Europol, essendo estranea la questione o le questioni alla presente relazione. Il medesimo omissis vale per i magistrati di collegamento, i punti di contatto, gli agenti, le relazioni bilaterali dirette tra le autorità competenti, che saranno oggetto di una necessaria e nuova regolamentazione che ne assicuri per tutti il dovere di collaborazione e di riferimento alla procura, previo (come osservato da Salomone) quale primus inter pares la presenza del procuratore europeo al fine di coordinare, stimolare, raccogliere dati, verificare inutili “raddoppi di marcature” e “fungere da collante per quanto riguarda le funzioni di tutela relative al primo ed al terzo pilastro”.
E’ apprezzabile l’indicazione contenuta nel Green Book sul ruolo futuro dell’OLAF che vedrebbe la sostanziale creazione di due enti. L’uno con funzioni di inchiesta amministrativa e obbligo di trasmissione di risultati delle indagini; l’altro come organo di “ polizia giudiziaria” e collaborazione esclusiva con il PM europeo, munito ad hoc di poteri di indagine istruttori all’interno delle strutture della procura. Il medesimo potrebbero riservarsi altresì conservandoli i poteri di indagini (istruttoria) all’interno delle istituzioni e degli organi in maniera tale che entrambi gli organi abbiano uno la funzione di collaborazione in seno alla Commissione, l’altro la garanzia di indipendenza delle proprie funzioni investigative, garantite dalla giurisdizionalità del controllo degli atti della procura che vigilerebbe ed avrebbe poteri quasi di definizione e di indirizzo di polizia giudiziaria comunitaria.
Riteniamo plausibile il cumulo tra procure nazionali e procura comunitaria, ciascuna per parte di propria competenza, del rapporto di assistenza giudiziaria con i Paesi terzi.
Rientra sicuramente nelle competenze comunitarie la previsione ai singoli Paesi di obblighi di estensione dei poteri che derivano dalle Convenzioni stipulate con i Paesi terzi agli organi del PM comunitario che opera anche come riconosciuto PM nazionale.
Alternativamente a ciò andrebbe proposto di chiedere alle autorità nazionali di rivolgere direttamente le richieste di assistenza giudiziaria ai Paesi terzi conformemente alle norme di diritto internazionale applicabili.
Ci vorrebbe al riguardo una disposizione comunitaria autonoma.
- Le indagini. Premesse di merito e cenni a questioni.
Uno dei più spinosi problemi contenuti nel Green Book e che è suscettibile di osservazioni e di effettive difficoltà in termini di organizzazione della norma procedurale è quello costituito dalle indagini del PM europeo.
Un’annotazione preliminare (da pag. 52 e segg. fino a 67 dell’edizione italiana del Green Book).
Il Green Book presenta le soluzioni proposte in forma dialogica. Non commenta un testo di legge. Il suggerimento che potrebbe essere formulato alle Associazioni aderenti al progetto di collaborazione in sede comunitaria tra le associazioni degli esperti giuridici è quello di formulare ipotesi sui testi di legge.
La strumentazione verbale, porrà problemi in fase di commento in ordine all’interpretazione degli istituti e i necessari gedankenexperimenten di applicazione in via di ipotesi delle norme procedurali.
Quando nel Green Book si legge che la Procura europea si avvarrà dell’intera gamma dei provvedimenti istruttori previsti a livello nazionale per contrastare le forme di criminalità finanziaria si afferma un qualcosa che verrà tradotto in norma. Si esegue, nella sostanza, il principio che verrà contenuto in un’altra norma attuativa di quanto già esposto in precedenza ed in base al quale, ove non disposto dal Trattato modificato con il 280 bis e non disposto dalle normative derivate, varranno i principi e le direttive del diritto pro cedutale dei Paesi nazionali coinvolti.
L’affermazione di rinvio ai provvedimenti istruttori previsti a livello nazionale pertanto appare come una riflessione tautologica.
Il PM riunirà, acquisirà ogni informazione utile, sentirà testimoni, interrogherà sospetti, costringerà, sotto il controllo di un giudice, quando siano in causa diritti fondamentali, i sospetti o i testimoni a comparire; procederà a perquisizione ed a misure di sequestro anche della corrispondenza, congelerà beni, ricorrerà ad intercettazioni telefoniche o forme di comunicazione informatica, usando tecniche investigative speciali ammesse dal diritto convenzionale (il rinvio alle convenzioni chiaramente non è sufficiente qualora esse non riguardino tutti i Paesi comunitari NDR), operazioni di infiltrazione, consigli controllati; chiederà mandati di arresto, libertà vigilata o custodia cautelare.
Il Green Book definisce i provvedimenti investigativi come singoli atti di indagine. Presuppone il reciproco riconoscimento dei provvedimenti coercitivi nazionali, dettati nell’ambito del terzo pilastro (congelamento dei beni, trasferimento temporaneo a fini istruttori di persone detenute, audizione in videoconferenze e teleconferenze, consegne sorvegliate, intercettazione delle comunicazioni, mandato di arresto europeo).
Anche le autorizzazioni verrebbero riconosciute ai fini comunitari come parte del provvedimenti investigativi nazionali di cui potrebbe avvalersi la Procura europea.
Di qui la reciproca ammissibilità con riferimento alle prove raccolte mediante questi atti istruttori.
I provvedimenti investigativi comunitari, gli atti della procura europea, avrebbero la stessa portata giuridica nell’intero dello spazio comune di indagine e di azione penale.
Distinguiamo pertanto tra: a) provvedimenti istruttori comunitari a discrezione della procura europea (raccolta, sequestro di informazioni, audizione e interrogatorio di persone), b) provvedimenti istruttori soggetti al controllo del Tribunale della libertà (comparizione forzata, perquisizione del domicilio, sequestro, congelamento dei beni, intercettazione delle comunicazioni, operazioni di infiltrazione, consegne controllate o sorvegliate); c) provvedimenti istruttori emessi dal tribunale della libertà su richiesta della procura europea (mandato di arresto, libertà vigilata, custodia cautelare).
I primi non richiedono alcun potere coercitivo (copia o sequestro di informazioni, audizione di testimoni, interrogatorio di imputati consenzienti) e fra essi sarebbero includibili, secondo il Green Book anche ispezioni presso le imprese per le quali (non ?) in tutti gli Stati membri è necessaria l’autorizzazione del Giudice. La procedura comunitaria riguarderebbe questi casi a ricalco con gli statuti internazionali (assistenza di legale, traduzione, facoltà di non rispondere, diritto di non riconoscersi colpevole, informazione preventiva sui propri diritti, uso delle sue dichiarazioni come prova, notificazione dei capi di imputazione eccetera).
I provvedimenti di cui alla lettera b), soggetti al controllo del Tribunale della Libertà, imporrebbero l’autorizzazione dello stato membro del Tribunale della Libertà attraverso il diritto nazionale applicabile, con riferimento allo Stato in cui avviene l’atto istruttorio in sede di esecuzione in alternativa a quello di autorizzazione. L’autorizzazione sarebbe reciprocamente riconosciuta e le prove legalmente raccolte reciprocamente ammissibili.
L’idea del Green Book non è di armonizzare le varie normative ma è limitata ad accertare l’esistenza in ciascun stato di una normativa che disciplini i provvedimenti istruttori ai quali la procura europea potrebbe ricorrere.
Il reciproco riconoscimento si applicherebbe alla forma, non al principio (rectius: contenuto) stesso del controllo da parte del Tribunale nazionale della Libertà.
La terza categoria di cui alla lettera c) (provvedimenti istruttori emessi dal Tribunale della Libertà) verrebbe eseguita mediante atti del Tribunale delle libertà del luogo, diversamente da quelli di cui alla lett. b), che richiederebbero la previa autorizzazione.
Chi si vuole opporre, ad esempio al mandato di arresto, potrà agire davanti al Giudice della libertà dello Stato di esecuzione. Il problema dell’estradizione verrebbe superato.
Salomone suggerisce che due periodi potrebbero essere distinti: uno transitorio di 3-5 anni, in cui la convalida dei provvedimenti potrebbe essere effettuata dagli organi che nei singoli Stati corrispondono ai relativi Tribunali della Libertà in Italia (ex art. 309 c.p.p), previo accertamento che in ogni stato sussistano le condizioni per effettuare e convalidare ognuno dei singoli atti istruttori e di raccolta e di formazione delle prove.
In un secondo momento, dopo il periodo transitorio, si potrà predisporre una procedura che – unica – venisse applicata dai medesimi tribunali nazionali di cui sopra.
- Ammissibilità e utilizzabilità delle prove.
Ci pare di potere accogliere l’indicazione del Centro di diritto penale europeo circa la non sufficienza dell’accertamento dell’esistenza in ciascun membro di una normativa che disciplini i provvedimenti istruttori ai quali la Procura europea potrebbe ricorrere.
E’ importante invece che vengano garantiti i diritti della difesa e sancite l’inammissibilità e l’inutilizzabilità delle prove acquisite in modo illegittimo. ”Solo in questo caso” – Geraci, Massimino e Toro – “il principio del reciproco riconoscimento sarebbe ancorato al cardine normativo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali”.
Anche per l’ammissibilità delle prove è stato osservato che non è sufficiente rinviare alla reciproca ammissibilità, così come detto dal Consiglio Europeo a Tampere, per il quale le prove legalmente raccolte da uno stato membro dovrebbero essere ammissibili innanzi ai Tribunali degli altri stati membri, tenuto conto delle norme ivi applicabili (conclusione 26 della Presidenza del Consiglio Europeo).
Occorre che questo principio sia integrato dall’esplicito riconoscimento del doveroso rispetto dei principi contenuti all’art. 6 TUE della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e nella Convenzione Europea per la salvaguardia.
Questo tessuto connettivo giuridico comune sarà integrato da norme comunitarie ad hoc che disciplinino il mandato di arresto e/o il verbale europeo, nella misura in cui tali atti possono costituire una prova utilizzabile in dibattimento.
In questa prospettiva le prove legalmente raccolte in un diverso stato membro potranno essere ammissibili dinanzi ai Tribunali degli altri stati membri, tenuto conto delle norme ivi applicabili, a condizione che non violino i diritti fondamentali della persona e difesa, ma utilizzabili esclusivamente nei limiti in cui lo sarebbero prove legalmente raccolte all’interno dello stato in cui si radica la giurisdizione.
Di qui il rinvio alla procedura dello stato in cui si radica la giurisdizione con riferimento all’utilizzabilità delle prove. L’ammissibilità delle prove dovrebbe invece rispettare il criterio meno rigoroso del mancato rispetto dei diritti fondamentali della persona e della difesa, purché vengano rispettate le norme del posto dove sono state assunte.
- Collaborazioni. (Ancora).
Circa la domanda n. 8, se ben si comprende lo spirito del Green Book, meglio sarebbe – come osserva Salomone – confermare il sistema di relazioni vigenti tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale e le autorità investigative. I P.M. nazionali ed europei avrebbero gli stessi poteri nei confronti delle autorità nazionali responsabili dell’azione penale.
La difficoltà di legiferare circa le istruzioni europee dirette ai sevizi investigativi dei singoli stati oppure dar corso ad un astratto obbligo di assistenza da parte dei servizi nazionali nei confronti della Procura europea controllabile ed eseguibile sarebbe inutile complicazione.
Se certamente i principi relativi alla conclusione delle indagini preliminari possono armonizzarsi e sovrapporsi nel senso della loro identità con quelli italiani, nel caso vi siano dei reati “interni” oggetto di indagini per mere ragioni di connessione oggettiva o soggettiva, certamente la Procura europea avrà l’obbligo di trasmettere gli atti al Procuratore nazionale, il quale agisce secondo le regole ordinarie interne.
Qualcosa di simile all’obbligo di trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria sussistente nel nostro ordinamento dovrebbe essere disciplinato dalla norma comunitaria ovvero essere semplicemente applicabile in virtù dell’astratto rinvio alle medesime norme nazionali, fatto a livello comunitario.
- Quando si estingue già l’azione penale?
Sicuramente, se si esamina l’impostazione del Green Book circa l’esito dell’azione penale e il problema dell’archiviazione e del non luogo a procedere, succede che la scelta processuale del PM di evocare, nel caso di un illecito attratto nella sfera di competenza di uno specifico Giudice nazionale, il Giudice competente (o uno dei giudici competenti) – e questo sarà un problema meritevole di discussione, circa il vincolo tra i vari procuratori delegati europei a rispettare la scelta processuale prima dell’intervento di una decisione del Giudice – porrebbe il problema dell’esaurimento dell’azione penale ad esempio in virtù, una volta eletto un sistema nazionale, dell’applicazione di una causa di estinzione dell’azione penale o del reato in base al diritto sostanziale del Paese membro evocato (ad esempio con il rinvio a giudizio o con altre forme di richieste).
Parimenti il discorso va sviluppato per il tema dell’eventuale avocazione del P.G. Europeo .
Infatti in qualunque momento – anche nella fase istruttoria – può intervenire una causa di estinzione dell’azione penale indipendente dalla volontà del PM. Certo il PM potrà chiedere l’archiviazione per ragioni di merito, ma nell’ipotesi in cui dovesse intervenire una causa di estinzione dell’azione penale (questa è una nozione nuova, rispetto ad esempio all’ordinamento italiano): la scadenza dei termini di prescrizione, il decesso o la scomparsa dell’autore del fatto, il provvedimento nazionale generale di amnistia o di clemenza – e questo è altro problema da valutare per quanto riguarda la potestà residuale o meno, che a nostro avviso dovrebbe essere a questo punto esclusa, attesa la fonte comunitaria per i reati, con problemi costituzionali di comunità in ordine al potere amnistiale ed indultale: appunto, si parla anche di atti di clemenza. Atteso l’accertamento dell’estinzione del reato, dovrebbe essere regolata a livello comunitario la improcedibilità, esaurito il principio del ne bis in idem processuale e sostanziale, dell’azione penale.
Con termine tecnico – e questo è il rispecchiamento di quanto sollevato in partenza – a pag.- 56 dell’edizione italiana del Green Book si parla di archiviazione nei casi in cui il fatto non costituisca reato, nei casi di insufficienza di prove o di non identificazione dell’autore dei fatti di reato comunitario.
Fermo l’eventuale obbligo di motivazione della decisione di richiedere al Giudice competente l’archiviazione – in questo senso si esprime recisamente la nostra Associazione – da notificarsi all’imputato, alla vittima ed alle Autorità nazionali eventualmente preposte all’azione penale, il Green Book osserva che se il principio di ne bis in idem lo consente, la decisione discrezionale del Procuratore europeo di archiviare il fascicolo non impedirebbe alle Autorità nazionali la possibilità di avviare a loro volta l’azione penale per reati di rilevanza nazionale.
A parte che ci sembra un falso problema perché se il reato è nazionale nulla è escluso, fermo resta che il Procuratore europeo delegato, ai fini del rinvio a giudizio, debba adeguarsi alla procedura penale nazionale ove non derogata da fonte comunitaria.
I requisiti dell’atto di accusa sono evidenti e riservati, nel rispetto dei principi comuni, al diritto nazionale.
- Il Giudice territorialmente competente al giudizio e al “controllo”.
Per quanto la domanda n. 10 (Giudice o giudici del rinvio a giudizio e dell’eventuale sindacato sulla scelta del P.M.), si rinvia a quanto si svilupperà infra.
In ogni caso, per Picotti e Caraccioli l’individuazione del Giudice nazionale competente sarebbe la conseguenza dell’individuazione del procuratore delegato competente in ordine al luogo di commissione del reato.
Se però la nozione di locus commissi delicti viene determina in base al diritto nazionale, il primo procuratore europeo che imposta l’iniziativa investigativa ed eventualmente esercita l’azione penale, attrae a sé la competenza e quindi attrae la medesima giurisdizione
La discrezionalità dei PM europei pertanto potrebbe essere nel privilegiare, non essendo essi criteri ordinati in forma gerarchica, un criterio dell’attribuzione della competenza piuttosto che un altro. (per analogie e differenze col Corpus Iuris )
Altro problema sarà quello di fondare successivamente i criteri di trasferimento della competenza una volta che le indagini siano proseguite o eventualmente la contestazione debba essere elevata o debba essere coltivata una volta elevata.
Il foro della “buona amministrazione” della giustizia non pare recisamente approvabile.
Non sembra da avallarsi il criterio – proposto in via alternativa – della “discrezionalità” della procura europea sull’asserito presupposto dell’eguaglianza, posto che la scelta del diritto nazionale procedurale e sostanziale, per quanto riguarda la parte generale applicabile, non può comportare in astratto alcuna differenza di trattamento.
Attraverso questa discrezionalità verrebbe de facto modificato il principio di pre-costituzione del giudice naturale, ove per “giudice” si intende il complesso delle norme che regolano, nella procedura e nel concreto assetto dei beni giuridici, la attuazione della legge.
Il semplice riferimento al controllo da parte del giudice impinge la questione della precisazione dei criteri preposti al controllo.
Anche il Giudice nazionale non può controllare, se non munito di espressi criteri di competenza. Anche la Corte di giustizia, in via interpretativa via ex 177 del Trattato non potrebbe, senza criteri specifici, di fonte sovra ordinata, delibare.
Il rischio sarebbe che il giudice nazionale preposto al controllo applicasse il diritto nazionale di competenza; ragion per cui la scelta processuale del Pubblico Ministero europeo verrebbe regolata secondo il diritto nazionale e non secondo l’apertura sui criteri di competenza dianzi indicati nel Green Book.
Con ciò ci pare opportuno richiamare i rilievi espressi da Capirossi ed Imperato circa le difficoltà già emerse in sede di prima elaborazione del Corpus Juris circa l’attribuzione della competenza.
Non vuole il Green Book creare una giurisdizione speciale comunitaria per controllare la scelta ad opera della procura europea dello stato membro del rinvio a giudizio.
A prescindere dal fatto che le questioni relative al criterio di competenza rientrano comunque nell’oggetto del decisum del giudice nazionale, ove non prevista un’autonoma procedura di preventiva risoluzione da parte della Corte di Giustizia europea sui conflitti positivi e negativi di competenza, ci sembra che la soluzione esclusa dal Green Book, vale a dire di non istituire un giudice di controllo delle scelte del Procuratore europeo, imponga la precisazione di limiti non oggetto di discrezionalità in senso tecnico da parte del Pubblico Ministero sui quali possano tutti gli organi deputati delle legislazioni nazionali a livello giudiziario intervenire e con precisione delibare.
O, quindi, si affida alla Corte di Giustizia in funzione di giudice penale europeo (come sostenuto da Salomone), sul modello del Tribunale del riesame incardinato nel Tribunale ordinario, la definizione in via preventiva o definitiva, eventualmente in grado di ulteriore gravame rispetto alle ultime autorità di legittimità dei singoli paesi nazionali, ovvero si esclude la costituzione di tale giudice penale europeo e si demanda la soluzione, così come in astratto espressa dal Green Book, delle questioni ai Giudici nazionali.
Non ci sembra tuttavia accoglibile la tesi del principio di residenza di uno dei rei (che comporterebbe scelte casuali e, in ogni caso, strumentalizzabili in base alle scelte – si auspica non preventive – dell’imputato) ovvero dello stato che per primo ha avuto la conoscenza del fatto di reato in quanto non evitabile, diversamente da quanto sostenuto in dottrina, ma a quello non tanto della commissione del reato ma della praticabilità dell’istituto definitorio del locus commissi delicti fissato in norme specifiche di diritto nazionale legittimamente evocato in fase di esercizio dell’azione penale dal Pubblico Ministero competente.
- Soggetto passivo delle fattispecie criminali comunitarie. Esperti e prove.
Tema poi che manifesta carattere di grande interesse è rappresentato dalla posizione del soggetto titolare del bene protetto dalla norma comunitaria violata.
Il Green Book profila l’alternativa tra l’attribuzione al soggetto passivo del reato (che in certi casi può essere lo stato membro, in altri – o insieme al primo – la Comunità europea) il ruolo di titolare di un’eventuale azione civile in sede penale ovvero di parte offesa del reato analogamente a quanto previsto nei vai paesi membri.
L’orientamento del Green Book, se letto per le espressioni usate, pare essere quello di non prevedere espressi istituti al riguardo, ma di rimettere le condizioni di ammissibilità dell’esercizio dell’azione civile in sede penale o la posizione di vittima ai singoli ordinamenti nazionali.
Medesimo discorso potrebbe essere fatto per quanto riguarda la nominabilità di esperti nel procedimento o l’ammissibilità come testi di ruoli comunitari agli agenti dell’OLAF o di altri servizi comunitari.
Come è stato osservato, ad esempio da Salomone, problemi eventuali ed ipotetici di incostituzionalità per disparità di trattamento fra prove europee e prove nazionali potrebbe insorgere qualora il tema della disciplina dell’ammissibilità dell’esclusione delle prove, non fosse completamente trattato e disciplinato.
Difatti, il profilo della diversità di norme (domanda 11) in materia di ammissibilità delle prove produce effetti in ordine alla necessità di precisare il principio in base al quale le prove legalmente acquisite in uno stato membro dovrebbero essere ammissibili dinanzi ai Tribunali di qualsiasi altro stato membro.
Allo stato, difatti, manca un riconoscimento automatico all’interno dell’Unione delle prove legalmente assunte in uno stato membro. Il puro rinvio al diritto nazionale non risolve il problema dell’ammissibilità delle prove nel quadro di uno spazio giuridico di indagine e di azione penale .
Le prove assunte in uno stato membro debbono infatti potere essere ammissibili dalle giurisdizioni di qualsiasi altro Paese dell’Unione se si vuole, ad avviso del Green Book, rendere praticabile la concentrazione dell’azione penale nello stato membro legalmente scelto per il rinvio a giudizio.
Date le varie discipline della prova, al di là di una serie di principi comuni, tale carenza comporterebbe per la procura europea di dover scegliere tra – ad avviso del Green Book – una selezione abusiva del foro ed il concentrare il rinvio a giudizio nello o negli stati membri più elastici in materia di produzione delle prove, il che sarebbe inammissibile, o addirittura potrebbe comportare impunità per autori di reati a seconda della disciplina che la legislazione nazionale prevede per le prove.
E’ escluso dal Green Book la probabilità di unificare a livello comunitario la disciplina della prova, che comporterebbe da un lato una codificazione penale europea generale, sproporzionata rispetto all’obiettivo specifico perseguito e di estrema complessità nelle procedure, attesa in questo caso la coesistenza addirittura di due discipline parallele della prova: quella comunitaria e quella nazionale.
Fra, quindi, esclusione (o meglio: l’unificazione in un codice completo) delle norme in materia di ammissibilità ed utilizzabilità delle prove e il rimando al diritto nazionale, la strada indicata dal Green Book è il reciproco riconoscimento dei criteri di ammissibilità delle prove, così da ammettere qualsiasi prova legalmente acquisita in base al diritto nazionale in altro stato membro.
Le prove legalmente raccolte dall’autorità di uno stato membro dovrebbero essere ammissibili dinanzi ai tribunali degli altri stati membri tenuto conto delle norme ivi applicabili (conclusione 36 della Presidenza del Consiglio europeo di Tampére).
Viene suggerita altresì la creazione di un verbale europeo modello per la Procura europea nei casi in cui la Procura procedesse direttamente ad un interrogatorio o ad un’audizione senza ricorrere alle autorità investigative nazionali. Il verbale europeo di audizione, stilato in base ad una testimonianza, il verbale europeo di interrogatorio per la dichiarazione degli imputati, anche tramite videoconferenza.
Potrebbero in questa prospettiva essere acquisite, nel senso di considerarsi ammissibili, le prove acquisite legalmente nello stato membro nel quale si trovano, pena l’esclusione di quelle prese in violazione delle norme di quello stato, vale a dire dello stato nazionale del luogo in cui le prove sono ubicate.
Qualora vi siano tuttavia delle norme comunitarie – ad esempio quelle sul mandato di arresto, sul verbale europeo – il diritto nazionale terrebbe conto di queste disposizioni comunitarie. Il giudice che esercita il controllo sul rinvio a giudizio, il giudice ad hoc, il giudice di merito, a seconda degli stati membri, escluderebbe le prove inammissibili ut supra applicando norme di esclusione tipiche dello stato nel quale le prove sono state acquisite, sul presupposto della conoscenza della disciplina della prova vigente negli stati interessati. Così come avviene in materia di diritto internazionale privato.
Potrebbe profilarsi anche la possibilità di utilizzazione nel processo penale di prove ottenute nel quadro di procedure amministrative comunitarie, subordinatamente al rispetto, sin dalla fase amministrativa, qualora vi siano connessioni con illeciti penali comunitari, dei principi di procedura penale, applicabili chiaramente nello stato vuoi di acquisizione, vuoi di utilizzazione.
Ciò chiaramente è tema o di diritto comunitario o di puro rinvio – ci vien fatto di osservare – alle norme del paese nel quale o vengono assunte le prove o vengono ammesse o vengono utilizzate (teoria del cosiddetto diritto nazionale del giudice istruttorio o di rinvio).
Il diritto nazionale porrà poi i criteri per l’attribuzione del valore probante alle prove.
Vanno pertanto – dovremmo osservare al riguardo – distinti il profilo dell’acquisizione (a), il profilo dell’assunzione (b), il profilo della ammissione (c), il profilo dell’utilizzazione (d) ed il profilo dell’attribuzione di rilevanza (e).
- Il giudice delle garanzie.
Già si è detto delle cause di estinzione dell’azione penale nella fase di giudizio, determinate dal diritto nazionale applicabile al processo. Si è altresì chiarito come il Green Book opti per un rinvio al diritto nazionale per quanto concerne il tema dell’esecuzione delle sentenze.
Si è detto poi della garanzia dell’intervento di un giudice. In inizio di trattazione abbiamo ricordato come sia stabilito nella proposta che il legislatore comunitario fissi le condizioni per l’esercizio delle funzioni di procuratore europeo, adottando (tra l’altro alla lettera c) regole, applicabili al controllo giurisdizionale, di procedura per atti o provvedimenti disposti dal procuratore europeo nell’esercizio delle sue funzioni.
Il giudice dovrà essere competente, indipendente, imparziale, conformemente ai principi generali riconosciuti da tutti gli stati membri.
Detto giudice delle garanzie, giurisdizionale, durante la fase istruttoria esercitando la funzione di controllo degli atti coercitivi presso il tribunale della libertà deve emettere od autorizzare, in base ad un controllo della legalità e della proporzionalità, gli atti rispettivamente richiesti o disposti dalla procura europea, comportanti una restrizione dei diritti fondamentali.
Sotto un secondo profilo, al termine della fase istruttoria in base alle decisioni della procura europea, chiaramente, a nostro avviso, regolate da precise e precipue norme comunitarie sulla competenza, il giudice che esercita la funzione di controllo del rinvio a giudizio deve confermare l’imputazione in base alla quale la procura europea intende procedere, oltre a convalidare la scelta della giurisdizione del rinvio a giudizio (giudice-filtro).
Occorre esaminare se le prove siano sufficienti e ammissibili, se la procedura seguita sia regolare, onde evitare un processo illegittimo ed il conseguente pregiudizio per l’onorabilità dell’imputato.
Rifiutato il profilo organico della creazione di una giurisdizione comunitaria incaricata di fungere da tribunale della libertà, che comporterebbe l’obbligo di creare una legislazione comune in materia di provvedimenti istruttori o di prevedere un diritto europeo completo in materia di perquisizione, sequestro, intercettazione delle comunicazioni, ordine di comparizione, arresto, libertà vigilata, custodia cautelare, il Green Book opta per un tribunale della libertà situato a livello nazionale nel contesto delle disposizioni dell’art. 234 c) e della giurisprudenza della Corte di giustizia (causa Fotofrost 314 c del 1985).
Gli stati membri sarebbero liberi di stabilire e di regolamentare i tribunali della libertà con giudici designati da ciascun stato con funzioni di giudice della libertà, incompatibili (diversi da) con quelli della giurisdizione, vale a dire del giudicante il merito.
Funzionalmente, il tribunale nazionale della libertà da adirsi è quello dello stato membro del procuratore europeo delegato competente. In uno stesso caso, secondo il Green Book, potrebbero intervenire vari tribunali nazionali della libertà se ciò implica un’azione della procura europea in più stati membri. A questo riguardo potremmo, tuttavia, osservare che, estesa eventualmente con riferimento all’intero spazio giudiziario europeo la sfera di operatività di qualsiasi procuratore delegato, che potrebbe quindi operare previo avviso e, eventualmente, concerto con colleghi di altri paesi, anche in paesi diversi da quello di propria incardinazione ed istituzione, il tribunale nazionale della libertà funzionalmente competente potrebbe essere quello in cui devono essere assunte o comunque eseguite le iniziative istruttorie.
Tra queste tre ipotesi, la commissione esprime una preferenza.
Secondo la prima ipotesi, la procura potrebbe rivolgersi al Giudice della libertà di qualsiasi stato in cui desideri eseguire un atto istruttorio.
Secondo una seconda ipotesi, il tribunale nazionale della libertà sarebbe quello che emetterebbe o autorizzerebbe gli atti necessari alle indagini eseguibili sull’intero territorio della Comunità, in virtù del principio del reciproco riconoscimento. C’è da dire che detto tribunale della libertà sarebbe quello fissato in anticipo secondo le ordinarie regole di competenza riferibili al luogo di commissione del reato e la sua autorizzazione avrebbe effetto e riconoscimento in qualsiasi altro stato membro, ove eventualmente la misura dovesse essere eseguita.
Il giudice autorizzerebbe perciò tutti i provvedimenti necessari fondando la propria competenza sulla competenza del procuratore europeo a sua volta individuata dai criteri attributori di competenza al Pubblico Ministero comunitario in relazione al luogo di commissione del reato.
Questa non è in ogni caso la soluzione prospettata come esclusiva dal Green Book.
Una terza ipotesi consentirebbe alla procura europea, secondo il diritto derivato emanando, di combinare le due ipotesi precedenti.
Essendo, ad esempio, predeterminato il luogo di esecuzione della misura, quello sarebbe il giudice della libertà; in caso di impossibilità di determinare la misura, il procuratore europeo, vale a dire il suo delegato, potrebbe concentrare presso l’unico tribunale nazionale della libertà competente le proprie richieste.
La Commissione opta per l’esecutorietà all’intermo dell’intero spazio europeo delle misure autorizzate dal giudice del luogo di esecuzione ovvero del luogo di competenza.
Il criterio disciplinerebbe l’intera procedura di autorizzazione e controllo degli atti. Fermo il rinvio alla normativa del paese di esecuzione dell’atto in ordine alle modalità di esecuzione, ammesso il principio di reciproco riconoscimento, a nostro avviso dovrebbe optarsi per la precisa attribuzione integrale ed esclusiva della competenza autorizzatoria alla autorità giudiziale della libertà nazionale competente, in ragione della radicazione della competenza con riferimento al luogo di commissione del reato, in capo al titolare dell’azione penale comunitaria.
Estenderemmo un avviso favorevole alla proposta contenuta nel Green Book in ordine all’individuazione, dal punto di vista organico, del giudice del rinvio a giudizio analogamente a quanto vale per il giudice nazionale, che per l’Italia corrisponde al GIP, con i medesimi criteri utilizzabili per il cosiddetto giudice della libertà.
- La soluzione dei conflitti.
La creazione di un Camera europea, anche eventualmente nella forma specializzata rispetto alla Corte di Giustizia, pur comportando una unicità di specializzazione della giurisdizione, comporterebbe – o quanto meno potrebbe comportare – profili di contestazioni e complicazioni nell’ipotesi in cui fossero eventualmente sorte questioni relative alla natura comunitaria ovvero nazionale dell’illecito, con eventuali conflitti positivi o negativi di competenza fra giudici nazionali e giudici comunitari.
E’ opportuno, difatti, che le questioni vengano risolte dal giudice nazionale competente, o al più possano essere risolte mediante la soluzione di eventuali conflitti di competenza fra più giudici nazionali.
Questo è il problema residuale che meriterebbe un ulteriore riflessione in ordine all’autorità che, nel caso di conflitti di questo genere, relativi chiaramente non al medesimo paese membro, ma a più paesi membri, possa dirimere la questione. Potrebbe profilarsi, sotto questo aspetto, una giurisdizione della Corte di Giustizia europea, quanto meno sul presupposto che non sia necessario il conflitto di statuizioni in ultimo grado definitivo dalle autorità giudiziarie dei vari paesi.
Una forma sostanzialmente potrebbe essere proposta di decisione preliminare di questioni relative al riparto di giurisdizione fra la norma nazionale e la norma comunitaria. In questa prospettiva può essere avallata l’idea in base alla quale il giudice che esercita il controllo sul rinvio al giudizio è il giudice nazionale designato e investito per questa competenza da ciascun stato membro.
La varietà degli ordinamenti comporta che, in certi casi, essi identificano nel medesimo giudice il giudice del controllo del rinvio a giudizio o dell’invalidazione degli atti istruttori con il giudice di merito. Nulla osta comunque, se ciò va ancora chiarito, che il giudice del rinvio o il giudice del merito possa essere diverso dal giudice della libertà e il giudice del merito possa essere diverso dal giudice del rinvio.
Questo è un problema che, comunque, è suscettibile di ulteriore approfondimento. L’ammissione di una non necessaria identità tra il paese del giudice del rinvio e quello del giudice del merito porrà sicuramente problemi e necessità di ulteriori specificazioni.
- Facoltà di scelta del Pubblico Ministero.
Altro profilo è quello di valutare l’ultimo momento in cui il Pubblico Ministero possa effettuare in via irretrattabile la scelta di evocare un giudice del rinvio piuttosto che un altro nell’ipotesi in cui si profili alternatività secondo i vari diritti nazionali e compatibilmente con la normativa derivata da emanarsi che regola la ripartizione di competenza fra i tribunali, e fra i procuratori (momento oltre il quale non sarebbe più possibile una variazione del giudice del rinvio e quindi del giudice di merito).
Va chiaramente sottolineato che, superato il termine di irretrattabilità delle scelta (richiesta di rinvio?) ciò pone problemi relativi all’indubbio potere di ufficio del giudice competente di valutare la propria competenza con eventuale onere od obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente.
Il profilo della competenza territoriale all’interno dello spazio giuridico europeo e del riparto di giurisdizione fra giudice nazionale tout court e giudice nazionale comunitario va ulteriormente coordinato con la normativa caratteristica dei paesi membri rispettivamente per ciascuno in ordine alla graduazione delle competenze sotto il profilo funzionale all’interno del giudice nazionale. Si pensi alle vecchie preture, ai tribunali, alle corti di assise, solo per fare un esempio).
- Sintesi sul controllo del rinvio e del principio del ne bis in idem.
Per quanto riguarda quindi le domande n. 13 e 14, la valutazione sintetica finale può essere così condensata: se in astratto il filtro – come osserva Salomone – del tribunale della libertà in conformità con i principi costituzionali dei singoli stati, le carte e le pene internazionali pare garantire un buon grado di tutela dei diritti fondamentali, e se – per quanto riguarda il ne bis in idem – potrebbe essere opportuno ritoccare le singole norme nazionali sul tema in modo da renderlo esplicito, è anche vero che la assoggettabilità di enti e di soggetti alla norma penal-comunitaria veicolata tuttavia dall’applicabilità del “ nazionale” –ove non corretta con principi di parte generale, con dettagli modificativi rispetto al diritto internazionale sostanziale, o in base alla procedura locale penale corretta eventualmente dalle norme derivate – comporta la possibilità di un diversificato trattamento, ivi incluse le misure premiali, le misure di detenzione, le modalità alternative di esecuzione della pena, i criteri di determinabilità in concreto della pena, le cause di esclusione ed i estinzione del reato, le cause di giustificazione, il diverso regime del tentativo e delle circostanze, delle forme di manifestazione del reato (concorso di persone nel reato), della specialità (principio di specialità) e quindi dell’apparenza delle norme che sono tipiche del diritto nazionale dei vari paesi.
Questo è il limite strutturale, in sostanza, ben comunque conosciuto, della impostazione minimalista che caratterizza sotto questo profilo il GB e che inevitabilmente pone vieppiù problemi incrementantisi di specificazione e di integrazione.
Sul ne bis in idem faremo infra ulteriori osservazioni, incidentalmente con riferimento a profili più generali.
Un punto rimane da chiarire. Pur in presenza del tendenziale principio procedurale del ne bis in idem che eviterebbe l’esercizio per gli stessi fatti e davanti a qualsiasi paese membro di più azioni penali comunitarie esercitate da diversi procuratori delegati, è opportuno distinguere al riguardo fra la possibilità che ciò avvenga prima della vera e propria iniziazione delle indagini ovvero nel momento successivo, ovvero nella richiesta del rinvio a giudizio.
Stante l’unicità dell’ufficio del procuratore europeo, nulla osta a che più Pubblici Ministeri comunitari delegati territoriali possano contemporaneamente occuparsi di un’indagine. Il profilo della radicazione della competenza dipende dalle regole di competenza di cui si è già parlato in precedenza. Nell’ipotesi in cui l’illecito possa essere unificato in quanto la sua esecuzione o i momenti della sua esecuzione avvengano frazionatamente all’interno dello spazio giuridico europeo e quindi contestualmente o consecutivamente in vari paesi eventualmente da parte di più soggetti o, eventualmente, si ponga un problema di continuazione (che dovrebbe, detto per inciso, essere regolata dai regimi nazionali e sulla quale comunque sarebbe opportuno che la normativa derivata si esprimesse in proposito), effettivamente potrebbe accadere che diversi Pubblici Ministeri delegati formulino indagini o richieste di rinvio a giudizio davanti a diversi giudici nazionali nella funzione comunitaria. Dovrebbero pertanto essere previste, analogamente anche se in maniera più specifica di quanto fatto nel Corpus Juris (rimando) (note) regole che prevedano e in concreto consentano di dirimere eventuali conflitti positivi di competenza tra i vari Pubblici Ministeri delegati.
In questo caso potrebbe profilarsi una doppia alternativa: che la fase di conflitto positivo di competenze venga elevata dal giudice che ne viene a conoscenza o che venga risolta dal Pubblico Ministero generale europeo con, nel caso di potenziale concorso di competenze tra vari giudici nazionali, l’elezione di uno e solo di uno giudice nazionale che attrarrebbe pertanto a sé la competenza anche per i fatti o i pezzi del fatto illecito penale commessi al di fuori del territorio a sé relativo; potrebbe altresì profilarsi una terza soluzione, quale quella della prevenzione, con riferimento al primo atto istruttorio compiuto od all’inizio dell’esecuzione del reato. Problemi potrebbero darsi, tuttavia, sia nel caso di continuazione che nel caso di concorso di persone nel reato, ove una parte dell’illecito fosse commesso compiutamente da soggetti diversi ciascuno nei vari paesi, posto che i criteri di collegamento sulla competenza potrebbero non consentire la soluzione del caso. Potrebbe profilarsi l’ipotesi di un concorso di persone emerso, eventualmente, successivamente al rinvio a giudizio, e all’atto di controllo del giudice di controllo del rinvio a giudizio (chiamiamolo GIP comunitario).
Addirittura ciò potrebbe avvenire anche dopo che il giudice del merito si sia pronunciato nei confronti di uno o più dei concorrenti, nell’ipotesi in cui a concorrere nel reato sia un soggetto che viene scoperto al riguardo successivamente.
In questi casi la soluzione potrebbe spezzarsi: o (prima ipotesi) ritenersi che venga definitivamente attratta la competenza presso il giudice nazionale di rinvio a giudizio con riferimento al criterio della prevenzione o al giudice nazionale che avesse eventualmente già pronunciato sentenza; ovvero, (seconda ipotesi) potrebbe ritenersi, esclusa la medesimezza del fatto, stante la diversità del soggetto, che a giudicare del concorrente fosse il giudice successivamente adito.
Anche qui la soluzione potrebbe essere biforcata: o rinviarsi al diritto nazionale per regolare gli effetti materiali o giuridici che la sentenza provvisoria o eventualmente passata in giudicato pronunciata in un altro paese potesse avere sul giudizio del secondo giudice adito, ovvero predeterminare a livello di normazione derivata i criteri di efficacia e di rilevanza del pronunciamento provvisorio o definitivo, agli effetti di un altro giudizio.
Altra ipotesi potrebbe essere quella della eventuale separazione dei giudizi, ma ciò comporterebbe delicati problemi di coordinamento e possibilità di giudizi divergenti per i concorrenti, ciascuno dei quali verrebbe regolato da diverse normative nazionali.
Altro profilo può essere quello della sospensione del giudizio in attesa del pronunciamento o dei giudici nazionali o della corte di giustizia su questioni pregiudiziali, ai sensi dell’ex art. 177 del Trattato od il profilo relativo al modo di disciplinare eventuali coesistenze fra giudicati parziali o provvisori – o eventualmente anche giudicati definitivi, con riferimento ad alcuni dei fatti di reato posti in essere dai concorrenti all’interno di paesi membri diversi – ovvero i casi in cui, pendendo un’indagine o un procedimento penale istruito eventualmente già munito di richiesta o di autorizzazione al rinvio a giudizio per un verso, si profilasse il caso dell’intervento di giudicati provvisori in altri paesi con riferimento ai medesimi fatti.
Profili di complessità potrebbero altresì sorgere nel caso di concorrenza di giudicati provvisori o definitivi, relativi agli stessi fatti, in pendenza di procedimenti penali relativi a diversi paesi membri, alcuni dei quali definiti dai giudici nazionali, altri dal giudice comunitario.
La enorme difficoltà nel disciplinare situazioni del genere senza la formulazione di una normativa comune, quindi di un codice penale e procedurale penale europeo consiglia di affrontare con estrema attenzione il profilo dell’individuazione dei criteri di competenza.
Solo in questo caso potrebbe essere praticabile il principio dell’applicazione del diritto nazionale del giudice evocato con l’accettazione di eventuali difformità di giudicati.
Soltanto la sentenza di responsabilità o di proscioglimento per il medesimo fatto costituirebbe una condizione di improcedibilità dell’azione davanti a un giudice di altro paese nei confronti del medesimo soggetto ovvero la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di improcedibilità, essendo il caso già stato deciso (ne bis in idem sostanziale).
Per quanto riguarda il tema del controllo giurisdizionale degli atti della procura europea si é già parlato del controllo a priori del tribunale nazionale della libertà e del giudice che esercita il controllo sul rinvio a giudizio e del procedimento disciplinare per inciso.
- Gravami.
Contro qualsiasi provvedimento della procura europea che costituisce una restrizione dei diritti fondamentali della persona è aperto senz’altro il ricorso giurisdizionale. Gli atti istruttori della procura europea devono formare oggetto di ricorso giurisdizionale se implicano ad avviso del Green Book una restrizione o una privazione di libertà delle persone (ad esempio, gli atti che il tribunale della libertà deve autorizzare: mandato di arresto, custodia cautelare).
Se nei confronti di atti istruttori della procura europea, autorizzati dal tribunale della libertà (sequestro, congelamento dei beni, intercettazione delle comunicazioni, operazioni di infiltrazione, consegne controllate) è previsto nel paese competente uno specifico mezzo di gravame, ciò è chiaramente ammissibile.
Il Green Book suggerisce che a livello di legislazione derivata, tuttavia, non si introducano per questi casi ulteriori mezzi di gravame; e, in particolare di non prevedere il principio del carattere sospensivo dei ricorsi, ove esistenti.
Non dovrebbero essere impugnabili gli atti istruttori autonomi della procura della repubblica (documentazione, audizione, interrogatorio), in quanto si ritiene non pregiudicativi.
Altro profilo è quello dei mezzi di opposizione del titolare del bene pregiudicato nei confronti di eventuali decisioni di archiviazione. Il problema, comunque, è già stato affrontato.
Le giurisdizioni nazionali sarebbero regolate dai rispettivi diritti per quanto riguarda le possibilità di ricorso nei confronti degli atti di rinvio a giudizio una volta accertata la competenza da parte del giudice-filtro alla luce delle norme internazionali ed integrate con quelle nazionali.
Riteniamo di non condividere la possibilità di ricorso nei confronti della scelta del PM di uno stato membro in quanto la scelta discrezionale a riguardo del PM europeo dovrebbe essere esclusa, come detto in precedenza.
Per quanto riguarda i mezzi della comunità intesa come parte lesa o di diverse parti lese (ad esempio gli stati membri) o di soggetti provati che potessero essere pregiudicati dagli illeciti penali comunitari, residua il delicato profilo dei mezzi di gravame nei confronti sia delle iniziative istruttorie, sia degli atti di rinvio a giudizio e di mancato rinvio a giudizio o delle delibazioni di archiviazione, sia nei confronti delle sentenze di primo o di secondo grado e, quindi, del regime dei mezzi di gravame.
Per la procura europea potrebbero consentirsi le stesse possibilità di ricorso offerte alla pubblica accusa del diritto interno secondo le norme del paese di competenza (appelli contro assoluzione, appelli per quanto concerne la pena così come spettante all’imputato o all’ente).
Profilo relativo è quello di un’eventuale responsabilità comunitaria penale nei confronti dell’ente che in ogni caso andrebbe regolata secondo le disposizioni nazionali (vedi l’attuale caso della responsabilità degli enti amministrativi e degli enti morali, praticata secondo norme procedurali penali).
Ammessa la qualità di parte civile o di parte lesa nei soggetti titolari di interessi protetti per gli illeciti comunitari, anche qui dovrebbero essere i diritti nazionali a regolare i mezzi di gravame, così come sono attualmente regolati, senza interventi al riguardo della normativa derivata, questo quanto meno è il parere dello scrivente, nel silenzio del Green Book.
Ciò comunque imporrebbe, a nostro avviso, un intervento della legislazione derivata, integrativo della legislazione penale interna, in quanto non espressamente è dato al Pubblico Ministero europeo il rimedio dell’appello o, eventualmente, del doppio o triplo grado di giurisdizione. Esclusa una competenza in ultimo grado della Corte di Giustizia per il giudicato dei giudici nazionali, resta – come anticipato – la competenza alle condizioni dell’art.234 CEE di interpretazione pregiudiziale ex art. 280bis CEE sulle norme comunitarie, impregiudicato il ricorso per inadempienza ex artt. 226-228 CEE e per omissione art. 232 CEE nella misura in cui la procura sia considerata organo comunitario. Solo la Commissione e gli stati membri potrebbero investire la Corte di Giustizia di una controversia relativa all’applicazione dell’art. 280bis CEE e delle norme comunitarie dettate per l’applicazione dello stesso, ferma – in base al 178 e 288 – la responsabilità extracontrattuale della comunità tenuta a risarcire i danni causati dalla procura europea e dai suoi addetti nell’esercizio delle loro funzioni.
A nostro avviso, tuttavia, questa disposizione andrebbe integrata con le disposizioni nazionali e sulla responsabilità civile dei magistrati in quanto l’operatività come autorità giudiziaria del PM europeo all’interno dei paese membri parrebbe incompatibile con la responsabilità di un organo amministrativo o con la responsabilità extracontrattuale ove non diversamente regolata dalla legislazione nazionale. In difetto di una norma derivata prevalente della competenza al riguardo della comunità rispetto agli ordinamenti dei singoli stati membri, sarebbe opportuno uno studio sulla fattibilità e sulla conciliabilità di tali disposizioni.
La Commissione ritiene che i mezzi di ricorso contro gli atti della procura europea vadano organizzati dinanzi al giudice nazionale, per il caso in cui si è ritenuto che il ricorso per l’annullamento ai sensi dell’art. 230 CEE comporterebbe una revisione del trattato.
Residua il problema se sia necessario conferire espressamente alla Corte di Giustizia la competenza sulle questioni di competenza sollevate dalla procura europea o dalle giurisdizioni nazionali ove queste questioni potrebbero già essere concentrate, comprese nella competenza ex 177 di interpretazione pregiudiziale.
Torino, 4 luglio-16 settembre 2002
Avv. Massimo C. Capirossi (Segretario Generale Centro di Diritto Penale Tributario di Torino)
- Osservazioni di sintesi*. Green paper /European public prosecutor public hearing[10] 16 – 17 september 2002, Brussels. Observations. Conclusions (scritto sintetico 2° allegato agli atti della conferenza).
Le presenti note finali sintetizzano e sviluppano le opinioni del Centro di Diritto Penale Tributario di Torino sulle condizioni di approvazione delle indicazioni minimaliste del Green Book circa la necessità di istituire l’Autorità giudiziaria del PM europeo in senso compatibile con la disciplina delle fonti normative caratteristiche degli ordinamenti dei Paesi membri integrati da ed integranti l’ordinamento delle Comunità europee.
Data la concentrazione dei temi ci concentriamo – favorevoli al testo del proposto articolo 180 bis – sulle ulteriori sfere di intervento della legislazione derivata comunitaria che sono state lasciate aperte dal Libro Verde ma che sono necessarie per rendere il procuratore europeo quale istituzione fattibile e funzionante nella legislazione nazionale dei paesi membri.
L’associazione italiana ritiene inevitabile che il parere richiesto muova da:
- a) un criterio di fattibilità, nel senso che l’ipotesi minimalista del Green Book è accettabile nella misura in cui non contrasti con eventuali sviluppi federali delle Comunità, ma che va condivisa in quanto munita di ulteriori precisazioni normative comunitarie con legge derivata;
- b) un criterio scientifico giuridico di esame del diritto condito nazionale e comunitario, senza indicazioni di politica criminale;
- c) la presa d’atto che se la suprema e sopra ordinata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha inciso ed incide direttamente od indirettamente (attraverso ad esempio la pregiudiziale comunitaria ovvero attraverso l’istituzione di obblighi per gli Stati di usare in certi settori la sanzione penale ovvero non usarla, ovvero usarla in una certa misura) sui possibili limiti negativi o positivi della norma penale e sulla sua costruzione o costruibilità, e se tutti i Giudici nazionali hanno ritenuto di considerare cogente e prioritaria la norma comunitaria disapplicando quella penale nazionale contrastante, ne deriva che si è venuta progressivamente a creare nell’ordinamento complesso internazionale e comunitario una strutturale nozione di carattere penale della fattispecie incriminatrice. Il fatto che non esista una comune nozione ontologica di carattere criminale della norma sanzionatoria se si eccettua il criterio tipico e per lo più formalistico dei diversi Paesi membri per quanto riguarda gli illeciti penali tipici e conseguenti alla scelta politica dei medesimi e riferita ai cosiddetti reati posti a tutela e rafforzamento di beni nazionali non esclude che tale carattere definitorio posa trovarsi in astratto nelle indicazioni strutturali della Corte di Giustizia. Il Centro di Torino pertanto prende atto che una nozione di bene sovranazionale tipico della Comunità possa a fortiori essere individuata con l’art. 180 bis in progetto, il quale in questa prospettiva rappresenterebbe una ampliamento della già riconosciuta ed operativa fonte comunitaria di normazione in materia penale in senso ampio (non va dimenticato difatti che non è tipica e identica nei vari Paesi membri la distinzione tra diritto penale sostanziale e diritto penale procedurale).
Mancando una comune definizione di “penale” nei trattati, non pare sussistere un divieto della Costituzione comunitaria materiale per le Comunità europee di articolare una comune nozione di diritto penale.
- d) La presa d’atto che dati i diversi regimi sovraordinati costituzionali, è necessario procedere con attenzione attraverso la normativa comunitaria derivata, al fine di evitare che non sia fattibile (ora in astratto, man mano in concreto) la graduale proposta, che si approva. Il parere presente ha difatti per oggetto i limiti negativi della proposta, da integrarsi.
- e) La presa d’atto di quanto è comune fra le tradizioni giuridiche continentali ed anglosassoni, fondate sul principio di giurisdizione che vede legati in modo inscindibile il diritto – pretesa pubblica di punire che ha violato un bene affidando la richiesta di punizione ad un soggetto pubblico direttamente riferibile al un Giudice indipendente.
I punti che precedono vengono sottratti alla discussione, possibile solo a condizione che i caratteri di profonda struttura del diritto del Paese membro siano integrabili e possano continuare a funzionare dopo l’intervento della normazione costituzionale e comunitaria derivata proposta.
Ciò premesso, si osserva:
1) l’indipendenza del Procuratore europeo e assetto (statut or status) dei suoi delegati. Se il Green Book riserva la domanda di procuratore capo (questo vale anche per gli aggiunti?) a chi sia abilitato in base al rispettivo ordinamento giudiziario nazionale a ricoprire le massime funzioni giudiziarie, i Paesi che le riservano ai soli magistrati ordinari verrebbero limitati e verrebbero ancora più limitati i Paesi che hanno differenti ordini giudiziari per il PM.
Per i Procuratori delegati si ritiene indispensabile il medesimo status di nomina, sempre su domanda e mai su proposta governativa, di garanzia e disciplinare, rispetto a quello del Procuratore Europeo capo. La disciplina deve avvenire a livello comunitario e il Procuratore delegato deve appartenere esclusivamente all’Ordine dei Procuratori Europei.
2) Definizione delle materie di competenza del Procuratore Comunitario. Se è vero quanto detto in premessa generale, quello che è presentato dal Green Book come criterio di delimitazione di competenza fra procuratore nazionale ed europeo con riferimento a tassative ampliabili fattispecie di reato (si rifiutano le ipotesi di spostamenti di competenza per connessione o per i casi misti) può a pieno titolo essere definito come introduzione di nuove, diverse, assorbenti e quindi speciali (ne bis in idem sostanziale) incriminazioni per la violazione di beni sovra nazionali o inter nazionali. Deve perciò essere aggiunta una specificazione, attraverso la normativa derivata, dei modi minimi e comuni (tipologie e limiti minimi delle sanzioni penali; termini di prescrizione identici; cause comuni di estinzione dei reati e delle pene; regolamentazione della partecipazione nel reato; circostanze aggravatorie o favorevoli; punibilità dell’inizio di esecuzione; etc.) per consentire alle norme nuove di “parte speciale comunitaria” di poter essere applicate attraverso il ricorso alle regole di “parte generale” esistenti nel diritto nazionale applicabile (cosiddetta necessità di un linguaggio giuridico comune che metta in relazione le regole sui reati con le regole dei reati. E’ il Giudice nazionale, ove non la Corte di Giustizia nei casi di pregiudiziale interpretativa, a decidere su tutti i problemi che precedono circa la riconduzione del fatto connesso o meno al reato comunitario e circa la competenza per materia del Procuratore delegato o centrale.
Riteniamo che il procuratore delegato possa muoversi per ogni iniziativa senza alcuna autorizzazione espressa del Procuratore generale in tutto il territorio comunitario.
3-4) Obbligatorietà dell’azione penale ed eccezioni .Riconoscimento reciproco e diritti fondamentali nella fase preparatoria.
La normativa comunitaria derivata deve intervenire di più rispetto a quanto nel Libro verde. Il concetto di dolus e di intention sono diversi e non identificabili in unica nozione. La parola legalité è molto più ampia della parola “obbligatorietà”. Ciò depone perché, pur affidandosi al Giudice nazionale sia per le norme sostanziali diparte generale sia per le norme di procedura non derogate, il Green Book venga integrato con precisi criteri di attribuzione della competenza territoriale del Procuratore intesa come necessario riferimento sia al Giudice del controllo sul rinvio a Giudizio, sia al Giudice che si pronuncerà sul merito. Il Giudice della libertà sarà quello del Procuratore delegato competente che, a meno di avocazione territoriale del Procuratore capo sarà esattamente quello del Paese tipico del Giudice naturale precostituito per legge in base a rigidi criteri di competenza territoriale e per materia non assolutamente derogabili dal procuratore, da alcun giudice, da alcun giudice di controllo sulla competenza. Unica soluzione è il criterio di prevenzione, nelle sole ipotesi in cui il reato sia stato commesso in più Paesi ovvero, anche in tempi diversi da più persone, anche scoperte successivamente al rinvio a giudizio od alle statuizioni del giudice.
Si può pensare alla separazione di processi verso persone diverse, alla comune definizione di giudicato (res decisa) senza affidare l’abolizione del ne bis in idem ai diritti nazionali.
Non vediamo quindi alcuna eccezione per la assoluta obbligatorietà dell’azione penale, se si eccettua la necessaria collaborazione tra l’autorità nazionale e quella comunitaria, senza vincoli reciproci che non siano decisi dalla norma derivata.
5) Il sindacato sul rinvio a giudizio. Già si è detto, ma va aggiunto che affidandosi alla norma dei vari Paesi è opportuno che il Procuratore europeo, unico ed indiviso ma ramificato nei vari Paesi unicamente per radicare la competenza del Giudice nazionale in base al locus commissi delicti, dovrà rivolgersi unicamente ed esclusivamente al Giudice della libertà, del controllo o del merito preveduto in anticipo per ogni provvedimento che avrà autorità in ogni zona dello spazio comune. La prova così legalmente acquisita potrà essere considerata dal giudice competente funzionalmente in base al Paese di appartenenza e in base ai criteri di giurisdizione (la Corte di Giustizia potrà risolvere conflitti preventivi positivi e negativi di competenza) e di competenza territoriale e per materia secondo i seguenti profili: acquisizione, ammissione, esecuzione, utilizzazione, attribuzione di rilevanza. Questi cinque profili verranno regolati dalla norma nazionale in questo modo: le prime tre in base al diritto nazionale; le ultime due in base al diritto nazionale ove non derogato dalla fonte derivata”.
Brussèls, 17 settembre 2002
Mr. Massimo Capirossi
(Segretario Generale Centro di Diritto Penale Tributario)
*Testo orale di quattro minuti (si cinque) dell’audizione: “Cercherò di limitarmi in meno del tempo concesso.
Per quanto riguarda l’Associazione italiana torinese, in definitiva certamente la nostra posizione è assolutamente favorevole rispetto ai contenuti ed all’idea contenuta nel Green Book, nel senso di ritenere che l’idea di varare un Pubblico Ministero europeo è assolutamente praticabile.
Direi, per ordinare il discorso, che questa sintesi, questa opinione italiana, di giuristi italiani, si giustifica partendo da cinque osservazioni preliminari.
- Innanzitutto, la prima osservazione è quella che l’idea di un Pubblico Ministero europeo deve incontrare – ed eventualmente cercare di non scontrarsi – con delle difficoltà che potrebbero sorgere – molti illustri relatori già difficoltà ne hanno solevate – con un criterio di fattibilità.
La prima domanda quindi che noi ci poniamo è quella: è fattibile ? non contrasta con cardini costituzionali e sostanziali degli ordinamenti dei vari paesi membri o comunitari l’idea di costituire un PM ?
- Di qui si passa alla seconda questione: é un’ipotesi praticabile ? non viola quei limiti della costituzione materiale comune ai Paesi europei, vale a dire quell’aspetto comune a tutti i regimi costituzionali ?
La risposta nostra è che non li viola, e quindi sicuramente il criterio di fattibilità – in Italia lo ha osservato bene il professor Picotti – è indubbiamente un criterio a cui ci si può affidare (sia per 1 che per 2)
- Sicuramente il Legislatore comunitario – cercherò poi di avvitarmi velocemente su questo punto – non esaurisce la propria potestà legislativa operando eventualmente anche in parte attraverso la norma derivata. Può, ad esempio, porsi quest’ idea paradossale che possa esserci un secondo intervento (ad un anno di distanza, a due anni di distanza) in modo tale da verificare se va ampliato l’ambito della legislazione derivata.
- Il nostro punto di vista, chiaramente, è un punto di vista che esamina l’attuale diritto positivo, diritto che esiste oggi, per vedere se ci sono criteri di compatibilità (non incompatibilità).
Dal punto di vista del divieto, cioè dell’uso di questo articolo 280bis, noi pensiamo che sicuramente è una buona idea, ma potrebbe anche essere un’idea non inevitabile, nel senso che manca a livello di definizione normativa dei vari Paesi membri una definizione di diritto criminale, o di norma criminale.
- La Corte di Giustizia però ha contribuito nel dare delle indicazioni – mi viene in mente Lévy-Stràuss – strutturali sui caratteri della norma penale.
Allora, il divieto a questo punto è praticamente un divieto che è perfettamente componibile con le soluzioni proposte dal Green Book
* * * .
I problemi di fondo sono quelli di quale ampiezza dare alla legislazione derivata.
Le cinque domande che sono state proposte sono di facile risposta sintetica da parte degli Italiani.
Sicuramente il problema è quello di qual’è il soggetto che può ricoprire all’interno dei vari Paesi le funzioni di procuratore europeo.
E’ un magistrato con funzioni direttive superiori in termini italiani.
Per quanto riguarda la questione dell’obbligatorietà, noi non vediamo la possibilità di fare alcun tipo di eccezione alla obbligatorietà. Anche i “casi misti” vanno risolti nel senso che il procuratore comunitario deve occuparsi esclusivamente di reati di interesse comunitario.
Nessuna ipotesi quindi applicabile di connessione”.
** La presente relazione è stesa come elaborazione personale dell’Autore muovendo da alcune indicazioni di massima emerse dall’Assemblea-tavola rotonda 4 luglio 2002 in Torino.
Prossimamente verranno trasmesse sul sito relativo al Green Book: a) entro il 31.12.2002 Relazione di sintesi della posizione finale del Centro di Diritto Penale Tributario sul Green Book tenuto conto delle ulteriori indicazioni dell’Assemblea 20.12.2002 in Torino; b) testo esteso ed articolato di ricerca dell’Autore (in via di pubblicazione) sulla norma penale nel contesto comunitario in sede di commento al Green Book.
[1] “Lo spazio giuridico europeo: il pubblico ministero in Europa” è il titolo della ricca “Bibliografia” che F. Bertani (in Riv.Ital.Dir.Pubbl.Comunitario, 1999) aveva già curato nel clima della più generale discussione sull’istituto, già coltivato nei numerosi studi e convegni internazionali –di cui infra rassegnati – a latere e nel contesto dell’elaborazione progressiva del c.d. Corpus Juris. La bibliografia raccoglie per i soli anni ‘93-‘97 ben 177 titoli, che si richiamano nella presente relazione.
[2] Per la sintesi delle Finalità ed attività del Centro si rinvia all’atto 6 novembre 2002 (Atti del Centro di Diritto Penale Tributario di Torino, sito).
[3] Brussels, 11.12.2001, Com. (2001) 715 definitivo. Commissione Comunità Europea “Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una procura europea”, presentata alla Commissione, in commento.
[4] Si rinvia sopratutto al sito http://europa.eu.int/olaf/livre_vert.
[5] Rimandiamo per la nozione al ns. “I reati presupposto delle sanzioni amministrative ed i rapporti con la responsabilità penale della persona fisica. Cenni sull’oggettività dei reati configurati come evento naturalistico nella struttura degli illeciti amministrativi previsti e sanzionati a carico degli enti collettivi per effetto della legge delega 29.09.2001 n. 300 così come disciplinata dal d. lgs. 08.06.2001 n. 231”, relazione in corso di pubblicazione tenuta in “Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società. Novità e profili operativi”. Convegno Centro di Diritto Penale Tributario, Unindistria, Padova, 29 ottobre 2001.
[6] M. Capirossi-L. Imperato, Note sulle disposizioni in materia di procedura penale contenute nel Corpus Juris, Atti del centro di Dir. Pen. Trib, Venezia, 1997, sui temi di giurisdizione, compatibilità, fonti.
[7] L’IVA e l’Unione Europea. Frodi, controlli, sanzioni, Atti del Convegno di Venezia 24 febbraio 1996, in “Quaderni del Giornale economico”, n 1/97, Venezia, Centro di Diritto Penale Tributario.
[8] M. Capirossi, op. cit., pp.1-6.
[9] M.C. Capirossi: Relazione 4 luglio 2002 in corso di pubblicazione: “Ringraziamo il Prof. Licci per le suggestive considerazioni citate ad inizio lavoro. Tuttavia, sia per i temi costituzional-federalistici, sia per i cennati criteri di competenza, vorrei stimolare il dibattito e provocatoriamente provo a fare solo due considerazioni, perché è importante che ciascuno di noi rifletta su questi temi.
Io vorrei spezzare una lancia in a favore del Green Book che a favore delle tesi di Licci e mi dichiaro completamente d’accordo con le osservazioni che ha fatto Picotti.
Ritengo che la possibilità di armonizzare queste tesi sia possibile. Si è qui tenuta ferma l’intenzione di non dire quali sono le mie opinioni personali, anche perché ai fini di una discussione è opportuno procedere su linee abbastanza anodine e neutrali, ma vi sono dei punti che meritano ancora discussione sul Green Book e sul Corpus Juris, sulla possibilità di armonizzare parametri apparentemente diversi.
Innanzitutto ho accennato a problemi come la competenza: un grande tasso di discrezionalità da parte del Pubblico Ministero europeo nella scelta del Paese; ho (infra) espresso dubbi sulla praticabilità del ne bis in idem sostanziale e processuale all’interno dei vari Paesi; ho espresso dubbi sulla possibilità, con l’introduzione di un organo (chiamiamolo comunitario) come il procuratore europeo, di rispettare istituti di diritto sostanziale come le cause di estinzione del reato, la prescrizione, nel senso che il Pubblico Ministero riparte come la Fenice, esercita nuovamente l’azione penale in un altro Paese, potendo però sostanzialmente, grazie alla propria strumentazione processuale semisostanziale, andare a ‘recuperare’ gli istituti sostanziali che non vengono – dietro l’apparenza che venga fatto salvo il diritto nazionale – disegnati dal diritto comunitario e ‘spariscono’ nel rapporto con i vari ordinamenti nazionali.
Gli avvocati penalisti diventeranno bravissimi nel sollevare davanti ai Giudici nazionali delle questioni ad esempio di pregiudiziale comunitaria: chiederanno che il giudice penale in qualsiasi ordine e grado, non obbligato, ma comunque facoltizzato, sospenda il processo per chiedere ad esempio alla Corte di Giustizia Europea di esprimersi sull’interpretazione delle norme comunitarie o nazionali che regolano ad esempio i meccanismi di competenza del procuratore europeo o il riparto di semigiurisdizione tra le rispettive procure.
La Corte di Giustizia europea che sarà competente per dirimere le questioni di competenza magari in via pregiudiziale sarebbe tenuta ad esprimersi, se considerasse rilevante la questione. Poi, in via ultimativa, potrebbe essere investita, magari su iniziativa della Commissione europea, per esprimersi su altre questioni interpretative sulle norme dei trattati.
Quindi un processo che fosse sospeso, oppure una questione teorica sulla competenza che fosse accolta, potrebbe porre il problema che ad esempio la prescrizione interrotta davanti al Procuratore europeo continui a decorrere nell’ipotesi in cui ad agire poi successivamente fosse il Procuratore nazionale, per un altro reato, magari in un altro Paese.
I meccanismi di incisione che possono avvenire in termini di restrizione delle libertà personali, o intercettazioni telefoniche, sequestro presso le aziende, sono notevoli.
Nel Green Book addirittura si propone di dare rilevanza ed ammissibilità alle prove raccolte in via amministrativa, ad esempio dall’OLAF.
Sono temi, questi, importanti. Condivido quello che dice Licci per quanto riguarda la necessità che la “giurisdizione” (cambio un po’ l’espressione ma la sostanza è quella) debba essere concepita in modo unitario, che non si possa scindere un discorso sostanziale e un discorso ipoteticamente federale da un discorso processuale. E’ anche vero però che (e questo me lo ero già domandato quando cercavo di chiarirmi quale fosse il rapporto tra le fonti comunitarie e le fonti nazionali: se fosse un rapporto gerarchico, se fosse un rapporto di coesistenza). Probabilmente siamo di fronte ad un nuovo diritto e forse gli schemi cui noi siamo abituati, che noi abbiamo prelevato dalla tradizione germanica piuttosto che dalle tradizioni anglosassoni, vanno un pochino rivisti.
Come ha osservato Picotti c’è l’esigenza di considerare gli aspetti sostanziali, perché sennò il diritto processuale – che è un “pezzo”, sostanzialmente., della giurisdizione – rischierebbe di essere monco.
Ma questi aspetti sostanziali li troviamo già nel contesto di quella integrazione fra ordinamenti nazionali fra di loro e ciascuno con l’ordinamento comunitario.
In un recente convegno a Padova (citato) sul problema della responsabilità penale od amministrativa degli enti morali, avevo discusso perché era sorto il problema (ed anche a Firenze in un bellissimo convegno organizzato dall’università di Firenze, Societas puniri non potest. Le responsabilità da reato deglienti collettivi, 15-16 marzo 2002, AA.VV. Atti convegno (C.E. Paliero-P. Bastia-J. Pradel-C.Ducouloux Favard-C. Wells.J. Vervaele- L. Arrojo Zapatero- K. Volk (oltre a vari interventi programmati, citati nel presente lavoro) su quali siano i criteri per stabilire se la responsabilità sia penale piuttosto che amministrativa: se siano criteri di incisione particolare sulla sfera patrimoniale, sulla sfera della libertà personale.
I meccanismi di distinzione che noi conosciamo nei vari ordinamenti sono per lo più a carattere formale, a carattere definitorio: non esiste una condivisa nozione di penale o di amministrativo in questo contesto.
Nel diritto comunitario vediamo che indirettamente, anche senza passare attraverso il terzo pilastro, vi sono delle profonde incisioni sulla norma penale, grazie all’intervento delle fonti comunitarie. Per cui i temi sostanzialmente di riflessione – a mio avviso – sono veramente significativi e, probabilmente, si può dare un giudizio sostanzialmente favorevole all’idea del Pubblico Ministero europeo proprio partendo da un’idea federalista.
Comunque, incrementiamo la discussione.
- a) Richiamerebbe il Green Book l’ordinamento giudiziario del vari Paesi su quelli che sono i criteri e, per quanto riguarda il cumulo di funzioni, l’orientamento del Green Book è quello di ritenere che forse sia opportuno che il magistrato nazionale faccia solo il Pubblico Ministero europeo e sia soggetto probabilmente ad una doppia responsabilità disciplinare, anche se protetto dalle garanzie del Pubblico Ministero europeo.
- b) La facoltà, in base al Green Book, del Pubblico Ministero europeo di scegliere, magari dopo avere svolto atti istruttori all’interno di un Paese o essersi fatto autorizzare dai vari Tribunali della Libertà, di agire davanti ad un primo Giudice nazionale oppure di optare per un giudice di rinvio di un certo altro paese, fa scattare l’applicabilità delle norme sostanziali di quel
Ad esempio, se quel Paese considera come norme di diritto penale sostanziale o norme di procedura i criteri per determinare il locus commissi delicti, o l’applicabilità o meno del principio di universalità o quello stretta territorialità o quant’altro, la scelta di carattere procedurale sulle competenze, veicolata dalle norme procedurali sul Pubblico Ministero europeo fissate dal Green Book, ha un effetto notevolissimo dal punto di vista sostanziale: perché se il reato di rilevanza comunitaria è stato commesso in più paesi, se ciascun paese applica regole diverse per quanto riguarda l’attrazione di certi momenti consumativi o meno, ovvero l’irrilevanza di certi momenti (perché ad esempio la norma di quel Paese non si occupa di quello che è accaduto nel territorio di altri paesi), ci sono degli effetti dal punto di vista sostanziale molto importanti.
In questo senso era esatta l’osservazione di Licci quando diceva: mancherebbe una norma federale.
Apparentemente c’è. C’è una parte generale: c’è se è contenuta nella parte generale del diritto dei singoli Paesi, Però esiste una parte generale in astratto, mentre in concreto risulta in certi casi non applicabile, o comunque applicabile con dei meccanismi aleatori. Dipende da quello che succede in concreto. Quindi ci sono molti temi di riflessione.
- c) Se l’ordinamento comunitario è diverso dall’ordinamento federale, ne dobbiamo prendere atto. Se non esiste una precipua gerarchia delle fonti ma una costante integrazione dei diritti nazionali con il diritto comunitario, se i giudici sono insieme giudici nazionali e giudici comunitari senza che esistano due ordinamenti diversi, ecco, questi sono aspetti che probabilmente è importante tenere in conto, se dobbiamo andare a vedere quali sono i problemi di compatibilità del nostro ordinamento nazionale con quello comunitario e viceversa. Il diritto federale non è diritto vigente”.
[10] « Ces notes représentent une épreuve d’extrait de la relation synthétique sur les opinions du Centre de Droit pénal fiscal de Turin en matière de l’approbation des indications de minimum du Livre Vert au sujet de la nécessité d’instituer l’Autorité judiciaire du Procureur européen en façon compatible avec la discipline des sources normatives particulières des systèmes des Pays membres qui sont complétés par le système des Communautés européennes et qui les complètent à leur tour.
A’ cause de la concentration des thèmes et de l’exiguïté du temps, nous nous déclarons favorables au texte du proposé article 180bis et nous nous concentrons dans les ultérieurs milieux d’intervention de la législation dérivée communautaire laissés ouverts par le Livre Vert, mais qui sont nécessaires pour rendre le Procureur européen une institution faisable et fonctionnant dans la législation nationale des Pays membres.
L’Association italienne estime inévitable que l’avis demandé parte de :
- un critère de possibilité, dans le sens que l’hypothèse de minimum du Livre vert est acceptable seulement si elle n’est pas en contradiction avec éventuels développements fédéraux des Communautés, mais qu’elle doit être partagée tandis que elle soit munie d’explications normatives communautaires ultérieures par l’intermédiaire de la lois dérivée.
- Un critère scientifique juridique d’examiner le droit formé national et communautaire en l’absence des indications de politique criminelle ;
- La prise d’acte du fait que si la suprême et sur-ordonnée jurisprudence de la Cour de Justice Européenne a eu – et a – une répercussion directe ou indirecte (à travers, par exemple, la préjudicielle communautaire ou à travers l’institution des obligations, pour les Pays, d’employer, dans certains domaines, la pénalisation ou de pas l’employer ou de l’employer en partie) sur les limites négatives ou positives de la norme pénale et sur sa construction réelle ou potentielle, ainsi du fait que si tous les juges nationaux ont considéré coactive et prioritaire la norme communautaire, en excluant celle nationale qui contraste, ça veut dire que dans le système complexe international et communautaire il y a été la progressive création d’une structurale notion de caractère pénal de la norme criminelle. Si c’est vrai que n’existe pas une notion ontologique commune de caractère criminel de la norme pénale – sauf le critère typique et pour la plupart formaliste des différents Pays membres pour ce qui concerne les actes illicites typiques et suivants leur choix politique, notion qui est de toute façon mise en rapport avec les délits qui protègent les biens nationaux – cela n’exclut pas que cette définition soit présentée abstraitement dans les indications structurales de la Cour de justice. Le Centre de Droit pénal fiscal de Turin, donc, prend acte qu’une notion de bien sur-national typique de la Communauté puisse a fortiori être repérée avec l’art 180bis en projet, qui dans cette perspective, pourrait représenter un accroissement de la déjà reconnue et en vigueur source normative communautaire en matière pénale dans un sens large (il ne faut pas oublier que parmi les différents Pays membres, la distinction entre droit pénal substantiel et droit pénal de procédure n’est pas typique ni identique). Puisqu’en littérature il n y a pas une commune définition de « pénale », on n’ a pas l’impression qu’il y soit, dans la Constitution communautaire matérielle, à l’égard des Pays membres, une défense de réaliser une commune notion de droit pénal.
- La prise d’acte du fait que en regard des différents systèmes supérieurs constitutionnels il faut avancer prudemment à travers les règles communautaires dérivées, pour éviter que ne soit pas possible (maintenant abstraitement, de main en main concrètement) la graduelle proposition, approuvée. Le présent avis a pour objet les limites négatifs de la proposition, qui doit etre complétée.
- La prise d’acte de ce qui est commun aux traditions juridiques continentales et anglo-saxons, qui sont fondées sur le principe de juridiction qui voit la liaison inséparable du droit-prétention publique de sanctionner celui qui a violé un bien (prétention qui confie la demande de pénalisation à un sujet public qui peut se rapporter directement à un Juge indépendant) et le meme bien qui, après l’exercice de l’action, a été reconnu par le Juge et est devenu un concept civilement et scientifiquement organisé.
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Ce qui précède est soustrait à la discussion, qui est possible seulement à condition que les caractères de profonde structure du droit du Pays membre soient intégrables et puissent poursuivre leur fonction meme après l’intervention de la production normative constitutionnelle et communautaire dérivée proposée.
Ceci dit, voilà nos remarques.
- indépendance du Procureur européen et statut des procureurs européens délégués
Si le Livre Vert réserve la demande de procureur général (le meme pour les adjoints ?) à celui qui ait les requises – selon son propre système juridique national – pour occuper les maximales charges judiciaires, les Pays qui réservent ces charges exclusivement aux magistrats titulaires en auront des limites, et ca vaut encore plus pour les Pays qu’ont différents ordres judiciaires pour le PM.
Pour les procureurs déléguées c’est indispensable le meme « status » de nomination – toujours sur demande et jamais sur proposition gouvernementale -, de garantie et de discipline par rapport au Procureur européen général. La discipline doit se produire à niveau communautaire et le Procureur délégué doit faire partie exclusivement de l’Ordre des procureurs européens.
- Circonscription des matières de compétence du procureur européen.
Si c’est vrai ce qu’on a dit en préambule, on peut dire que ce qui est présenté par le Livre Vert en facon de moyen de circonscription des champs de compétence entre le procureur national et le procureur européen relativement à limitatifs – mais qu’on peut étendre – délits (on refuse les hypothèses de déplacement de compétence pour connexité ou pour les cas mixtes), peut surement etre défini comme l’introduction de nouvelles, différentes, absorbantes – et par conséquent spéciaux (ne bis in idem substantiel) – incriminations pour la violation de biens sur-nationaux ou internationaux.
Il faut pourtant ajouter une spécification, par les norme dérivées, des facons minimales et communes (typologies et limites minimaux des pénalisations ; memes délais de prescription ; communes causes d’extinction du délit et des pénalisations ; règlement de la participation au délit ; punissabilité du début du accomplissement ; etc) pour permettre aux nouvelles normes de la « parte speciale comunitaria » d’etre appliquées au travers des règles de la « parte generale » qui existent dans le droit national applicable (il s’agit de la prétendue nécessité d’un langage juridique commun qui mette en rapport les règles sur les délits avec les règles des délits. C’est le Juge national – ou la Cour de Justice en cas de question préjudicielle interprétative – qui décide des problèmes qui précédent à propos de la reconduction du fait connexe ou pas au délit communautaire et à propos de la compétence matérielle du Procureur délégué ou général. On pense que le Procureur délégué puisse entreprendre n’importe quelle initiative sans aucune expresse autorisation du procureur général à travers tout le territoire communautaire.
- Caractère obligatoire des poursuites pénales et exceptions. Reconnaissance réciproque et droits fondamentaux dans la phase préparatoire.
La norme communautaire dérivée doit intervenir davantage par rapport au Livre Vert. Les idées de « dolus » et d’ « intention » sont différentes et pas identifiables. Le mot « legalité » est beaucoup plus large du mot « obbligatorietà ».
Cela exige que – meme si on s’en remet au juge national soit pour les normes substantielles de la « parte generale », soit pour les normes pas dérogées de procédure, le Livre Vert soit complété avec précis critères d’attribution de la compétence territoriale du procureur interprétée comme nécessaire référence soit au Juge de contrôle du renvoi en jugement, soit au Juge au fond.
Le Juge de la liberté sera le Procureur délégué compétent qui – sauf l’évocation territoriale du Procureur général – sera exactement celui du Pays du Juge naturel constitué à l’avance sur la base des rigides critères de compétence territoriale et matérielle, auxquels on ne peut absolument déroger, par aucun Juge, par aucun Procureur, par aucun Juge de contrôle sur la compétence :
La seule solution est le critère de prévention, pour les seules hypothèses dont le délit soit commis dans plusieurs Pays ou, meme à temps différents, par plusieurs sujets qui soient découverts après le renvoi en jugement ou après les décisions du Juge.
On peut penser à la séparation des procès envers plusieurs sujets, on peut penser à la commune définition de force de chose jugée (res decisa) sans confier l’abolition du « ne bis in idem » aux droits nationaux.
Nous ne voyons pas aucune exception pour le caractère absolument obligatoire de l’action criminelle, sauf pour ce qui concerne la nécessaire collaboration entre l’autorité nationale et l’autorité communautaire, sans liens réciproques sauf ceux qui sont fixés par la norme dérivée.
- Le controle du renvoi en jugement.
A’ ce propos, il faut ajouter que en se remettant à la norme de différents Pays, il faut que le Procureur européen – unique et indivis mais ramifié dans les différents Pays seulement pour fixer la compétence du Juge national selon le « locus commissi delicti » – s’adresse uniquement et exclusivement au Juge de la liberté, du contrôle ou du fond, prévus d’avance pour chaque disposition qui aura vigueur dans chaque région de l’espace commun.
La preuve ainsi légalement acquise pourra etre considérée par le Juge compétent de facon fonctionnelle sur la base du Pays d’appartenance et sur la base des critères de juridiction (la Cour de Justice pourra résoudre les conflits préventifs positifs et négatifs de compétence) et sur la base de critères de compétence territoriale et matérielle selon les suivantes critères : acquisition, admission, exécution, utilisation, attribution d’importance.Ces cinq critères seront réglementés par la norme nationale comme ca : les premiers trois sur la base du droit national, les derniers deux sur la base du droit national où il ne soit pas dérogé par la source dérivée ».