Introduzione
Questo lavoro vuole trattare esclusivamente gli aspetti di diritto penale sostanziale sottesi e conseguenti all’adozione della legge 69/2005 in esecuzione della DQ in commento.
L’argomento é stato fino ad oggi oggetto di una copiosissima discussione dottrinaria e solo di alcune interventi giurisprudenziali nel nostro paese, i quali hanno affrontato per lo più i temi delle garanzie di libertà alla luce dei principi costituzionali con riferimento all’arresto provvisorio ed alla convalida dell’arresto nonché alla fase dell’esecuzione vera e propria del mandato di arresto europeo.
I cenni alla situazione della giurisprudenza italiana ed alcuno marginale alla giurisprudenza dei paesi membri dell’ UE appaiono di interesse, nella limitata sede del presente commento, nella misura in cui possono essere considerati nella loro valenza strutturale in termini di attribuzione del sindacato e di contenuto del sindacato sulla giurisdizione interna.
Problema di fondo sotteso alle presenti note è tuttavia quello di verificare – e da taluni ciò si è sostenuto –se dagli oggetti dell’accoglimento del principio del diritto di bis in idem nonché del principio di mutuo riconoscimento e quindi di circolazione del territrorio europeo delle decisioni giudiziali provvisorie o definitive, possa derivare un contenimento della principio di territorialità o extraterritorialità, vale a dire della giurisdizione dei paesi membri.,
dopo il trattato di Amsterdam l’UE ha avuto l’obiettivi di garantire i cittadini con una protezione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, così come preveduto dal Piano di azione del Consiglio della Commissione del 03.10.l998 al fine delle misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi degli illeciti e delle sanzioni, con priorità per la criminalità organizzata, il terrorismo, gli stupefacenti, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale dei minori, i reati contro la legislazione antidroga, corruzione, frodi informatiche, reati terroristici, danni all’ambiente, reati di internet e il riciclaggio, in collegamento con le suddette forme di criminalità (L. Salazar, La costruzione di uno spazio di libertà,sicurezza e giustizia dopo il consiglio europeo di Tampere in cass.pen,2000,1115 e seg.)
Il 16.10.2001 è stato adottato un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di assistenza giudiziaria, ad esempio esteso alle informazioni sui conti bancari ed operazioni bancarie per indagini relative ai reati più gravi e si è ipotizzata la linea di un cammino verso il mutuo riconoscimento, al di là di diverse tradizioni giuridiche, da attribuire ad alcune tipologie di dizioni, nella prospettiva che esse abbino efficacia in tutto il territorio dell’unione. Il cammino è iniziato con la ricerca e assicurazione della persona incriminata o condannata per gravi delitti; in passato ottenibile solo con la procedura di estradizione, come auspicato dalla conclusione 35 del Consiglio europeo di Tampere. Nel preambolo della DQ sul presupposto della mutua fiducia tra gli stati e della comunanza fra le tradizioni giuridiche si è dato corso a un meccanismo non più interstatuale, ma alla presupposizione normativa in sede di III Pilastro dell’esistenza di uno spazio europeo di operatività giudiziaria. Con riconoscimento reciproco di validità nello spazio europeo della decisione giudiziaria emessa da un’autorità (un’autorità nazionale fra il resto) oltre i confini della competenza (o giurisdizione dell’autorità in presenza di presupposti e requisiti minimi di validità, salvi i controlli dello stato richiesto).
E stata adottato lo strumento della lista di reati gravi, selezionati sia per dosimetria sanzionatoria, sia per specificità, con la tendenziale conseguente eliminazione del requisito della doppia incriminazione (in termini, E.Rosi, L’elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo: l’UE lancia il cuore oltre l’ostacolo, in Dir. pen e proc, n. 3/2004).
L’evoluzione del sistema comunitario –si è osservato – sulla fissazione di elementi comuni in materie penali si è svolto in passato nei diversi ambiti del primo e terzo pilastro. Nel primo pilastro (regolamenti e direttive) sono stati indicati obblighi e condotte vietati con rinvio alle legislazioni nazionali per sanzioni in caso di violazione, ove gli stati siano liberi di scegliere tra azione amministrativa e sanzione penale per effettuare autonomamente una valutazione in termini sanzionatori del medesimo tipo nel rispetto della proporzionalità, effettività e dissuasività. Nell’insufficienza di tali strumenti, tipici del I pilastro, in secondo luogo si é fatto riferimento agli strumenti giuridici adottati nel III pilastro, in base all’art. 34 par. 2 lettera b) del Trattato UE, i quali vincolanti per gli stati, non avrebbero effetti costitutivi (di fonte normativa in senso proprio) nella sfera di diritto punitivo di ciascuno stato. Le azioni comuni si sono rivelate meri criteri-guida.
Con l’approvazione delle DDQQ per reati specifici in seguito accennate, sono stati fissati elementi strutturali delle fattispecie penali speciali, pur tuttavia senza l’accompagnamento di un sistema di sanzioni (è appena il caso di citare che il parlamento europeo, in vista di Lachen, il 19.10. 2001 aveva proposto una risoluzione che invitasse il Consiglio europeo a proporre il trasferimento ex art. 42 Trattato UE delle competenze per quanto riguarda il ravvicinamento della normativa in materia di questioni penali negli stati membri al Titolo IV del Trattato CE.
Il sistema delle liste fu mutuato dagli strumenti giuridici comunitari del III pilastro in ordine alla semplice attribuzione di aree di competenza ad organismi istituti (Europol,Eurojust) per lo più finalizzati, data la flessibilità della pura e semplice allusione al reato, nelle fasi investigative.
Anche nel I Pilastro (Dir.,97/2001 per il sistema finanziario a scopo di riciclaggio) in realtà il sistema della lista fu utilizzato per armonizzare la definizione di riciclaggio, indicando specifici reati presupposti,che erano per lo più reati comuni, costitutivi di una ristretta serie, caratterizzati da definizioni vincolanti in forza di convenzioni internazionali (droga, corruzione, frode comunitaria, gruppo criminale organizzato).
Tuttavia, anche la decisione quadro in commento adotta il sistema di una pura e semplice lista di reati asseritamente gravi, individuati con il riferimento ad una pena privativa di almeno tre anni, nonché con dosimetrie di pena minimali e più tenui per i reati non espressi in lista, sul presupposto che le tipologie delittuose fossero sostanzialmente simili tra gli stati membri.
Trattasi di tipologie di reati di rilevanza penale generica che a livello di presupposizione si ritengono accomunabili nel momenti in cui in via generale la DQ enuncia l’abbandono del principio della doppia incriminazione.
L’operazione ermeneutica del giudice del paese richiesto dell’esecuzione del mandato di arresto si dovrà basare su fonti diverse da quelle usate dal giudice nazionale: non solo il suo codice penale nP la scienza penalistica della sua nazione, ma anche gli altri codici penali, le elaborazioni dottrinali degli altri paesi, gli eventuali strumenti internazionali e comunitari dai quali trarre i profili di riconducibilità del fatto alla generica figura penalistica. Una via libera per l’interpretazione t5ransnazionale ed un operazione ermeneutica che dimostra carattere creativo ed affi9da una grande responsabilità alla magistratura degli stati dell’unione (E.Rosi,cit,p.382).
Questo chiaramente nella presupposizione del mandato di arresto auropeo contenuto nella DQ
Si è osservato che la legalità sarebbe ridimensionata da principio di normazione statalistico a programma inteso some interazione t5ra garanzie di legalità e criteri di competemza che regolano i rapporti tra i rispettivi ambiti della normazione (V.G. De Francesco, Internazionalizzazione del diritto e della politica criminale verso un equilibrio di molteplici sistemi penali,in Dir.pen e proc,2002,5 e seg.).Ci si limiti poi a richiamare n (già inclusi nella bibliografia) Selvaggi –Villoni, Questioni reali; M.Lugato, La tutela; De Amicis,la costruzione di Eurojust nell’ambito del III pilastro dell’UE, in Cass.pen 2001,1964;Grasso,Prospettive; Donini, L’armonizzazione; Bernardi, Strategie; Salcuni, La nozione comunitaria di pena, preludio da una teoria comunitaria del reato,cit.;Parodi Giusino, Diritto penale diritto comunitario; Picotti, Possibilità e limiti,cit,; Ritz, Unificazione europea e presidi penalistici, in Riv. trim.Dir.pen.ec,2000; Militello, Agli albori di un diritto penale comune in Europa; Bondi, Intervento in Il mandato di arresto europeo, San marino 22-24-05-2003; Rosi, Antiriciclaggio, la disomogeneità della direttiva nuova ma non troppo; occasione perduta per un’efficace risposta dei sistemi, in Dir.Giust.2002; Picotti, Diritti fondamentali; Sgubbi,Voce diritto penale comunitario in Dig. UTET; Baratta, Principi del diritto penale minimo; Grosso,Riserva di codice. Dirito penale minimo; Bernardi, diritto penale tra globalizzazione….; Rosi, Sistemi di lotta…;C.E. Paliero,La fabbrica del Golem…; Zuccalà,L’unitario diritto europeo come meta del diritto penale comparato, in Riv.trim.Dir.pen econ, 2002; V.C.Roxin, I Compiti futuri della scienza penalistica; Militello, Dogmatica … cit; Bernardi,Il principio di legalità dei reati e delle pene nella card …;Moccia, La promessa non mantenuta.Nuove prospettive del principio di determinatezza e tassatività nel sistema penale italiano, Napoli,2001;Sgubbi,Il diritto penale incerto ed efficace, in Riv.it.Dir e Proc. pen,2001, nonché le atre opere di Bernardi e Riondato di seguito ricordate.
La prospettiva e il rischio,conseguenza dell’adozione della DQ ,come si osservato da Riondato è che l’attività dello jus dicere vanga considerata come se risultasse fonte del diritto penale, seppur nel rispetto del limite dell’art.7 Conv europ. Diritti umani che stabilisce il canone della precisione di qualunque testo normativo in modo che ne sia assicurata la prevedibilità e l’applicazione.
La breve cronaca della misura annunciata che ha portato all’ adozione della DQ in commento è bene espressa da L Salazar, (La lunga marcia del mandato di arresto europeo, in Mandato di arresto europeo, a cura di Bargis-Selvaggi, cit.) il quale puntualizza le controversie del negoziato intervenuto a livello multilaterale e in particolar modo si riferisce alla iniziale posizione del governo italiano, poi trasfusa in una successiva dichiarazione, sia pure giuridicamente irrilevante. Sempre Salazar illustra (come altri autori) la dialettica parlamentare che ha portato nel 2005, ultimo fra i paesi membri, l’Italia all’adozione della legge che si commenta nei suoi sostanziali aspetti di puntualità e di osservanza delle garanzie tipiche dei principi fondamentali (fondanti) dell’ordinamento giuridici italiano, nella asserita compatibilità sia rispetto al quadro comunitario,sia rispetto al quadro intergovernativo strasfuso nelle affermazioni di principio e nei precetti di contenuto della DQ in commento .
Ferma la giurisdizionalizzazione della procedura e l’abbattimento della riserva sui reati politici che connota la DQ e le leggi di attuazione nei vari paesi, la scelta iniziale della Commissione era di segno diametralmente opposto in termini di lista dei reati,in quanto fu proposta un applicazione orizzontale dello strumento nei confronti di qualsiasi reato,purché provvisto di pena edittale superiore a un anno che avesse dato luogo ad una sentenza di condanna superiore a 4 mesi, con generalizzato abbandono del principio di doppia incriminazione.
Data la resistenza di alcune realtà nazionali verso talune fattispecie incriminatici (aborto,eutanasia,consumo personale di stupefacenti, bestemmia, etc) il temperamento rispetto alla scelta iniziale dell’applicazione orizzontale ed universale del mandato caratterizzata dalla pena edittale superiore ad un anno o a condanna superiore a 4 mesi,vi era la possibilità per ciascuno stato di stabilire una lista negativa di reati in ragione dei principi fondamentali del proprio sistema giuridico (art.27 proposta di dq della Commissione Doc.Com.,2001,522def,19.09.2001) . Il compromesso finale portò alla lunga lista positiva di cui al paragrafo 2 della DQ,che include ben 32 fattispecie di reato, genericamente identificabili con quelle più gravi, cui si rimanda.
Per tali reati di lista la pena doveva essere di almeno tre anni e il controllo sulla sussistenza del requisito della cd. doppia incriminazione era genericamente stabilito. In realtà come si vedrà., il legislatore italiano attuò una completa riscrittura delle norme attraverso dei criteri definitori on necessariamente coincidenti con le rispettive fattispecie di reato interne. Salazar fa l’esempio del traffico di veicoli rubati o del sabotaggio, specie quest’ultima che non manca di trovare riscontro nel nostro codice penale,ad esempio negli artt.253 o 508,
In realtà delle difficoltà a nostro avviso risolte dalla legge italiana erano consapevoli i ministri GAI, adottando la DQ. Peraltro, in seguito, essi convennero sulla necessità di proseguire i lavori per ravvicinare i reati elencati dall’ art. 2 par. 2 conformemente all’art. 31 lette e) TUE. Ad esempio,riconoscendo in un’altra dichiarazione la carenza di una definizione comune dei reati di razzismo e xenofobia di sabotaggio e di racket ed estorsione,con dichiarazioni pubblicate nel documento del Consiglio 9958/02ADD1 del 28.07.2002. L’invito fu rivolto ad ispirarsi alla definizione di razzismo e xenofobia dell’Azione comune 96/143GAI del 15.07.1996 nonché alle descrizioni delle condotte di sabotaggio o di racket figuranti all’interno della medesima dichiarazione. Ci si riferisce a GUCE 24.07.1996 n. L185, p5.
In realtà il punto 35 delle conclusioni del consiglio europeo di Tampere in seno al Considerando n. 1 della DQ che lo trasfonde si riferiva al semplice trasferimento –vale a dire alla circolazione delle decisioni giudiziarie –relative alle sentenza di condanna definitive. Tuttavia, la commissione, istruendo la fase preparatoria dello strumento, ritenne di non distinguere tra situazioni pre-sentenziali e post-sentenziali, distinzione che non sarebbe stata contenuta in alcun testo bilaterale (Salazar,cit.,p.23).
L’Austria otteneva all’interno dell’art.,33 della DQ una deroga transitoria sino al 31.12.2008 per provvedere a modifiche costituzi9nali,esclusivamente sulla posizione dei cittadini austriaci e sol per essi,nei casi di reati c di cui alla lista dei 32 che non risultino puniti ai sensi della legislazione austriaca, la Commissione europea del febbraio 2005 presentò una Relazione (Doc.Comm.2005,63 del 23.022005) e in seguito il Consiglio dei ministri GSAI il 2-3.06.2005 è intervenuto nella discussione sull’attuazione della DQ, invitando la Commissione – tenendo conto delle informazioni deglikstati membri – a riferire ni8ovamenete ntro il giugno 1006 sulle iniziative assunte daglkiustrati
Va ricordato ancora che l’art. 39 del Trattato di adesione dei dieci nuovi stati membri prevedeva la clausola di salvaguardia per la giustizia e gli affari interni,prevedendo la possibilità di sospendere l’applicazione dello strumento per un massimo di tre anni, anche se in concreto non consta l’adozione di decisione ad hoc adottate dal Consiglio su proposta della Commissione.
Le due importanti sentenze della corte di giustizia 11.02.2003 in causa Gozutok e Brugg, riunite, e 10.03.2005 in causa Pupino, nell’attribuire carattere vincolante alle DDQQ e statuendo sulla competenza della comunità in materia penale, hanno comportato l’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale riguardo alle DDQQ incluse nel III pilastro Titolo VI del Trattato sull’UE, interpretando da parte del giudice del rinvio il diritto nazionale per quanto è possibile alla luce della lettera e dello scopo della DQ,per consentire il risultato perseguito e di conformarsi all’art. 34 par. 2 lett.b2), salvo i limiti dei principi generali del diritto, di certezza del diritto e di non retroattività.
Ma va fatto un passo indietro a titolo di introduzione sui profili di diritto penale sostanziale che ci toccano.
Subito dopo l’approvazione dei trattai istitutivi delle CEE vi fu in contrasto tra le corti costituzionali nazionali italiana e tedesca in particolare (sent. Costa /ENEL; Frontini/Solange I,II,III9 e la corte europea di giustizia (caso ………………….). ove la corte di giustizia riteneva l’immediata applicabilità non solo dei trattati ma anche delle direttive nell’ordinamento interno dei vari paese. Le corti costituzionali si adeguarono,lasciando la preminenza del disposto costituzionale ove le disposizioni comunitarie venissero meno rispetto alla tutela dei diritti umani (P-Balbo,Il mandato,cit.). secondariamente, l’art.31 lett. a) del TUE avena previsto l’ attivazione della cooperazione giudiziaria penale attraverso l’esercizio di un’azione comune, individuando le modalità di intervento.
Si giunse quindi alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999 che fecero emergere il principio del mutuo riconoscimento destinato a sostituire con gli anni l’assistenza reciproca, anche rafforzata cerata dall’Accordi di Shengen, in ordine alle decisioni finali nelle materie penali prese dai tribunali degli stati dell’unione, già stabilito dal Consiglio di Cardiff (Conseil Européen de Cardiff, de 15-16-juin 1998), quale nuovo principio su cui fondare la cooperazione giudiziaria in ambito civile e penale. Il mutuo riconoscimento si basava sul principio del ne bis in idem, sulla possibilità di un casellario centrale (o un potenziamento del sistema nazionale di sicurezza –SIS –DQ 2002/584GAI) sulle questioni relativa alla recidiva e altri fattori di integramento con la materia sanzionatoria, con la Procura europea, criteri sulle procedure di exequatur.
In tale prospettiva interveniva recentemente la DQ sulle sanzioni pecuniarie del 2005 fino alle DDQQ sul sequestro dei beni. Di qui la tappa del Consiglio Europeo di Lacken (14-15.12.2001) fino al Consiglio europeo dell’Aja del 2004 oltre Alla DQ del Consiglio sulle decisioni di condanna e di una nuova procedura penale (le Proposte Com. 2005, 91; 2005,0018 del 17.03.2005).Ma di ciò oltre.
Il mandato di arresto europeo ex art.1 punto 1 della DQ è una decisione giudiziaria emessa da uno stato membro (stato emittente) in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro stato membro (lo stato di esecuzione) di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misure di sicurezza privative della libertà. La stessa connessione con il citato principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie del Consiglio di Tampere espresso limpidamente nel preambolo della DQ,oltre che all’art.1 punto2 di essa. Esso costituirebbe, nella presupposizione espressa della DQ, la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco definito dal Consiglio europeo come il fondamento della cooperazione giudiziaria (VI Considerando), contestualmente all’abolizione della procedura formale di estradizione (I Considerando), connettendosi alle misure per attuare il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali di cui alpujnto37 delle conclusioni (II considerando).Gli stati aderendo nella misura in cui avessero attuato tale principio, darebbero adesione al principio dell’art. 1 punto 2 della DQ ove si stabilisce che l’esecuzione del mandato di arresto ha luogo da parte degli stati in base al principio del riconoscimento reciproco. L’atto che dispone l’esclusione del principio della doppia incriminazione non è più strumento convenzionale che gli stati siano liberi o meno di ratificare, ma un atto normativi che genera effetti obbligatori ai quali gli stati non possono sottrarsi (conf. A. D’Amato,Il mandato di arresto europeo e la sua attuazione nel diritto italiano, I parte, in Dir Un.Eur, 2005,I 21,II parte in Dir. Un.Eur,2005, II,203. Si rinvia,sulla argomento a Tizzano, Il trattato di Amsterdam,Padova,1998; G. Carella,Gli sviluppi della cooperazione penale nel progetto di trattato che istituisce una costituzione e per l’Europa, in Sud in Europa, ottobre 2003,p.13 e seg.;L. Salazar,La costruzione di uno spazio di libertà,sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di Tampere, in Cass.Pen 2000,cit; Gualtieri, cit; S. Carbone, Il nuovo spazio giudiziario europeo,Torino,2002,p.238 e seg; E.Barbé, Un triple étape pour le troisième pilier de l’Union Européenne, 2002, 254, p.6.
Si accede ad una procedura non più politica ma puramente giudiziaria con il contatto diretto –previe le autorizzazione- fra le autorità giudiziarie. Punto centrale che caratterizza tuttavia la disciplina e di cui bene ha dato atto il legislatore italiano in sede di attuazione è che sostanzialmente in parallelo con la convenzione europea di estradizione l’ordinamento dello stato di esecuzione potrà non eseguire il mandato quando il reato sia considerato commesso in tutto o in parte nel proprio territorio o in luogo ad esso assimilato (art. 4. punto 7 lett. a). Quando il reato è commesso al di fuori del territorio dello stato emittente e si presume rientri nella giurisdizione del medesimo e lo stato di esecuzione –vale a dire lo stato ad esempio italiano –non consente l’azione penale per gli stessi reati se commessi fuori del proprio territorio,vi sarà legittima causa di rifiuto dell’esecuzione(art. 4 punto 7 lettera b). dovrebbe apparire salva la giurisdizione dello stato di esecuzione anche nei caso in cui il fatto,pur richiesto orientante nella giurisdizione dello stato richiedente il mandato, sia punibile secondo l’ordinamento giuridico dello stato richiesto. Si vedrà il problema costitutivo. Potrà essere l’assenza di un sindacato di conformità del fatto contestato al fatto attratto nella competenza dello stato richiesto, nonché potranno esservi profili di interferenza –ed questo argomento delle presenti note –in ipotesi di intervenuto giudicato da parte dello stato emittente. Altro tema è rappresentato dalla figura del cittadino, rilevante agli effetti della estensione, rispetto ad altri dati della giurisdizione territoriale o extraterritoriale dello stato di esecuzione.,
La DQ si inserisce su istituti e regole nel campo dell’estradizione (D’Amato) la quale osserva che tecnicamente il mandato non è un’estradizione,pur costituendo il naturale sviluppo di un processo normativo in atto. Come è stato correttamente osservato, la base giuridica della DQ è l’art. 31 lett.a) e b) del TUE. Così il mandato di arresto si inquadra nel settore di cooperazione giudiziaria. La cooperazione giudiziaria penale, ai sensi dell’art. 29 TUE è preordinata alla realizzazione di uno spazio di libertà,sicurezza e giustizia. L’azione comune degli stati (a) va esercitata nella direzione della cooperazione fra le AAGG ed altre autorità competenti nel settore panale; il ravvicinamento – ove necessario –delle legislazioni nazionali (b)in materia penale.
Il TUE prevederebbe due piani di articolazione di integrazione: uno processuale,l’altro sostanziale che, fissati in generale dall’art.29,trovano specificazione per richiamo di tale norma nell’art. 31. Tra la cooperazione ed il ravvicinamento delle legislazioni il Trattato non instaura alcun rapporto gerarchico. L’art. 29 indica le due linee direttrici dell’azione comune e, utilizzando la,locuzione “ove necessario”, in tema dsu ravvicinamento,denota che l’azione di armonizzazione non concepita come prodromica a quella di cooperazione giudiziaria. Neanche l’art. 31 sovraordina la natura sostanziale rispetto a,quella processuale, limitandosi a prevedere,nelle lettere da a) a d) misure concrete di attuazione della cooperazione panel e, nella lettera e) precisa per il ravvicina,mento che esso riguarda l’adozione di misure per la fissazione di norma minime relative agli elementi costitutivi di reati quali criminalità organizzata, terrorismo, traffico di stupefacenti e relative sanzioni. Le due azioni in parola,complementari,sarebbero autonome.
La DQ tra le misure dell’art. 31 fa riferimento a quelle di cui alla lettera b) che prevede la facilitazione dell’estradizione fra stati membri e dalla lettera a),che stabilisce la collaborazione tra le autorità esecutive giudiziarie in relazione ai procedimenti ed all’esecuzione delle decisioni, ed è stata interpretata come comprendente la cooperazione concernente gli atti distruzione penale, il riconoscimento delle sentenze penali, il trasferimento di procedimenti e l’esecuzione penale. Costituirebbe, su tale base giuridica, il mandato di arresto, espressione nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale ex art. 29 Tue,della cooperazione tra autorità giudiziarie ed altre autorità competenti degli stati membri.
In tale luce –ma di ciò si occuperà la Corte di Giustizia, investita dalla Corte costituzionale belga –appare che l’adozione della DQ non fosse condizionata dalla preventiva armonizzazione dei sistemi penali nazionali dal punto di vista prettamente formale della lettura sistematica del TUE.
Il punto storico e puramente ideale della nozione di reciproco riconoscimento viene fatto riposare nella celebre sentenza Cassis de Lion della Corte di Giustizia sulla libera circolazione e produzione e commercializzazione della merci; tuttavia vanno fatte le debite differenze,su cui si tornerà ampiamente in commento.
Il problema nucleare è la conciliazione del principio del mutuo riconoscimento afret5amnto nell’ordinamento comunitario rispetto all’armonizzazione delle legislazioni nazionali, dalle quali, secondo taluni (ma noi siamo di contrario avviso) no risulterebbe condizionato nel suo funzionamento. Il mandato di arresto in effetti non richiede delle enunciazioni ideali, pur presupponendola in maniera contraddittoria, in linea di principio la preventiva armonizzazione dei sistemi penali nazionali. Obiezione è stata sollevata dalla lettura della base giuridica; secondo taluni la DQ, prevedendo ipotesi di reato ulteriori (e questo è l’argomento in contestazione) rispetto a quelle contemplate dalla lettera e) dello stesso art. 31 non sarebbe in linea con i limiti fissati da tale norma. Si è osservato,di contro,che la lettera e) dell’art. 31 va interpretata nel senso che l’attività normativa dell’adozione da parte degli stati di norme minime sugli elementi costitutivi dei reati e sanzioni non riguardi in via esclusiva le fattispecie in esso esplicitamente indicate. E’ stato altresì obiettato che l’art. 31 lett. e) non verrebbe in rilievo per un’eventuale illegittimità della DQ non costituendone la base giuridica.
Altro punto nucleare del presente commento ha per oggetto l’esame di quale possa essere il sindacato di diritto sostanziale, vale a dire il criterio di riferimento cui il giudice ad quem deve riferirsi per stabilire l’appartenenza del fatto contestato previsti dal catalogo dei 32 reati.
Nel commento si suggerirà un orientamento definitorio in combinato disposto con la normativa interna. Da taluni si è invece suggerito che la tecnica legislativa utilizzata dal legislatore italiano, che fa ricorso a definizioni dei reati corrispondenti quelli inclusi nella lista,che per taluni non risulta in linea con l’eliminazione della doppia incriminazione effettuata dalla DQ,dal punto di vista pratico avrebbe un effetto più limitato,in quanto potrebbe apparire in astratto che – ove venissero in rilievo ai fini dell’esecuzione del mandato di arresto fattispecie criminose armonizzate nell’ambito dell’unione – sarebbe la nozione armonizzata ad over essere presa in considerazione (D’Amato, cit.,II parte). Ancora sul tema , P. Gualtieri Mandato di arresto, cit.; D.Cardile, Commento all’art. 31,cit; D.Rinaldi, a rt.31,ibidem,p.54; F.Pochar, Diritto dell’Unione delle comunità europee,Milano,2003, cit; G.De Francesco, reato politico,in Encicl. Dir, vol XXXVIII,Milano,1987,p.898 e seg; D. Pulitanò, Delitto politico, in Dig. Disc. pen, III parte,Torino,1989, p.358 e seg.. Sulle limitazioni di competenza della Corte di giustizia si rinvia a U. Villani, Diritti fondamentali tra Carta di Nizza,Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e progetto di costituzione europea, in Dir. Un.Eur, 2004, p. 92 e seg.
Tra l’adozione del mandato di arresto europeo e la sua attuazione in Italia si erano levato osservazioni preoccupate (ad esempio P.Gualtieri, Mandato di arresto europeo, davvero superato e superabile il principio di doppia incriminazione, cit., in Dir. pen.e proc. n. 1/2004 p.115 e seg.,con un’ampia rassegna delle Corti costituzionali italiane e uno specifico riferimento al gradi di resistenza,rispetto alla DQ delle convenzioni internazionali in materia dei diritti della persona, segnatamente la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui il principio di adeguamento automatici previsto dall’art.10 Cost. italiana si riferirebbe soltanto alle norme consuetudinarie e no a quelle patrizie e che le limitazioni di sovranità di cui all’art. 11 cost. si arrestano quando queste ultime siano in contrasto con i principi fondamentali della costituzione o con i diritti inalienabili della persona umana, ma soprattutto il divieto contenuto nell’art. 7 della CEDU, di condannare taluno per un’azione o un’omissione che al momento in cui è stata commessa non costituiva reato secondo il diritto interno internazionale; tanto più che l’art. 34 comma II lettera d) del Trattato dell’UE,con riferimento alle forme e ai mezzi diretti ad ottenere il risultato della DQ,apre al legislatore una alternatività di strade, soprattutto di ancoraggio, secondo la nozione di reato interno od acquisibile nel contesto internazionale.
Formalmente la DQ si pone sulla stessa linea, sia pure con le frizioni verso tale principio,dovute all’abbandono della verifica in astratto o in concreto, stando alla dichiarazione contenuta nel disposto normativo della medesima DQ, del principio della doppia incriminazione.
Anche in dottrina debole lo steso selvaggi; Il mandato di arresto,cit.,parla di presunzione semplice di assolvimento in entrambi glia ordinamenti del requisito di doppia incriminazione vincibile da un’opinione motivata e verificata negli ordinamenti giuridici vigenti da parte del giudice dello stato di esecuzione.
La legge attuativa ha senza meno introdotto un’eccezione alla regola fissata dall’art.1 3 del codice penale, ma senza derogare ai principi appena richiamati. Il suggerimento di Gualtieri fu quello disinserire nella legge di attuazione una lista di specifici reati riferibili alle categorie indicate nell’art.2 comma II della DQ, limitando ad essi la dispensa al giudice da ogni indagine in ordine alla sussistenza del principio di doppia incriminazione. Già nell’art. 27 della Proposta di Decisione Quadro della Commissione del 19.0. era –ma poi fu omesso nel testo definitivo –previsto il potere dello stato membro di compilare una lista esaustiva di condotte considerate reato in alcuni di essi,ma nei cui confronti le sue autorità giudiziarie rifiutano di eseguire i mandati di arresto europei in quanto tale esecuzione si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico di tale stato. Il punto è stato avanti rammentato con riferimento all’inversione del criterio da lista negativa a lista positiva. In realtà il criterio della lista negativa dei reati da comunicare a cura di ciascun o stato membro fu poi abbandonato nella revisione espressa, ma è stato da molti paesi recuperato come avvenuto per l’Italia.
Sui problemi generali si richiama ancora M.Chiavario, Giustizia: il mandato di cattura europeo mette nudo le contraddizioni italiane, in Guida al Dir., 2001,49, 11;V. Grevi, Il mandato di arresto europeo tra ambiguità politiche ed attuazione legislativa, Il Mulino,2002,cit.,già in precedenza Dir. pen. e proc. n. 12/2003; illuminante fu A. Cassese, Il recepimento da parte italiana della decisione quadro sul mandato di arresto europeo,nel ricordare che la Costituzione italiana con lungimiranza all’art. 11 prevedeva l’accettazione della repubblica alle limitazioni della sovranità. L’art, con il 10 e 26 esprime incisiva,mente l’apertura dell’ordinamento verso le comunità internazionali e l’intenzione di aderire prontamente ai valori e all’istituzione delle stesse; è l’art. 11 che consentì all’Italia di aderire alla CEE nel 1957 con legge ordinari1 .14.10.1957 n. 1203, malgrado le limitazioni della sovranità dello stato contenute nel trattato e recentemente mediante la L. 12.07.1999 n. 232 al Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, pur tale trattato comportando deroghe significative a norme costituzionali, ad esempio in materia di immunità degli organi statali di vertice, dei membri del parlamento in caso di crimini internazionali. Cassese, con riferimento ai dubbi di non corrispondenza delle aree tematiche della lista dei 32 rispetto ai termini tassativi della legge penale, fa il caso della criminalità informatica e ambientale, dl razzismo e della xenofobia, non corrispondenti a specifiche e tassative fattispecie penali nell’ordinamento. Anche Cassese suggeriva l’inserimento nelle legge ordinaria di norme penali che specificassero, anche se solo ai fini del mandato di arresto europeo, le fattispecie criminose di cui alle categorie indicate sopra.
Esaurita questa parentesi sulla situazione culturale e dottrinale antecedente e immediatamente successiva all’ emanazione della DQ in commento, conviene concentrarci, sempre sotto il profilo di mèra premessa al discorso di diritto penale sostanziale,sul rapporto tra il principio del ne bis in idem e il principio del mutuo riconoscimento delle decisione e, correlativamente sui conseguenti effetti.
Storicamente il principio del ne bis in idem concerne il rapporto tra la tutela della persone e la certezza del diritto e della giurisdizione sul piano internazionale,nel conflitto fra le pretese di sovranità territoriale scaturenti dal convergere sullo stesso fatto di concorrenti competenze giurisdizionali fondate sulle fattispecie di reato di natura extraterritoriale (in tal senso N.M., Galantini, L’evoluzione del principio del ne bis in idem europeo tra norma convenzionali e norme interne di attuazione, Roma, 19-21.09.2005,Quaderni CSM, 2005cit.). Il convergere di competenze giurisdizionali è dovuto dalla diversa vocazione extraterritoriale degli ordinamenti giuridici. Come altri sistemi l’ordinamento italiano ha esteso – codificandola –la giurisdizione in base ai tradizionali principi del diritto penale internazionale (artt.7,8,9,e 10 c.pc.) stabilendo la regola del rinnovamento condizionato o condizionato del giudizio già svolto si all’estero per lo stesso fatto (art.11 c.p.).Il giudizio ex 11 c.p. deve ri-svolgersi per l,o stesso fatto anche se il reato è stato commesso in è parte all’estero (art. 6 comma ii c.p.). La ripetizione del processo non è subordinata a condizioni. Se il reato é commesso interamente nel territorio estero, il rinnovamento del giudizio è condizionato alla richiesta del Ministro della Giustizia,oltre che dai presupposti sostanziali e processuali indicati negli artt. 7,8,9 e 10.[1]
Ancora non modificato dai vari progetti del codice penale (vd. gli artt. 4 e 5 dell’articolato della Commissione Nordio, poi sfumata) l’art. 11 del c.p. è l’unico riferimento ordinamentale a disciplina della duplicità dei giudizi penali nei rapporti inter statuali,legittimato dalla giurisprudenza costituzionale degli anni 70-80 che ,affermandone al legittimità, ha negato n al ne bis in idem la connotazione di principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto (08.04.1976 n. 69;18.06.1967 n. 48;01.02.1973 n. 1;21.09.1983 n. 382. Fra la Cassazione –restrittiva – VI, 03.03.1993 CED 195630).
Al di là delle previsioni sul ne bis in idem esecutivo, integrato dall’art. 138 c.p. per cui la pena scontata all’ estero deve essere detratta da quella inflitta nel nuovo giudizio in idem, fino all’entrata del codice di rito del 1988 non vi erano previsioni relative ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere. L’Italia non ratificò mai la Conv. europ. sulla validità internazionale dei giudicati penali del 1970,semplicemente firmata,fino alla L. 16.05.1977 n. 305 ove avvenne la semplice ratifica, ma senza tuttavia il deposito dello strumento di ratifica,necessario per apparirne l’efficaci nell’ordinamento interno. Corte Cost. 19.09.1983 n. 282 su rimessione dell’Assise di Appello di Milano,03.12.1979 non accolse la questione di costituzionalità sulla natura obbligatoria dell’atto di ratifica fino a che la Cass. 03.06.2004 in CED 228779 ha stabilito inasì+ttesamente l’efficacia della Convenzione con riguardo alle prescrizione sul ne bis in idem (art.53 Conv. di Bruxewlles 25.05.1987, ratificata con L.16.10.1989 n. 350).Limitata mente a Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda,Paesi Bassi e Portogallo si è applicata la Conv. sul ne bis in idem del 1987 di Bruxelles 25.05.1987 (vd. Cass. pen. VI del 15.02. 1994 in CED 198830). Espresse previsioni compaiono sulla Convenzione PIF del1995 all’art.7 e quella sulla corruzione del 1997 all’art.10.
Il ne bis in idem inizia a diffondersi come principio genetale, non vincolato a procedimenti nelle particolari materie delle convenzioni citate con la ratifica della Convenzione applicativa dell’Accordo di Shengen come si è detto e come si ribadirà infra, il cui art.54 prevede espressamente una clausola quale quella ri-espressa della DQ in commento, sotto il proifilo sostanziale. L’accordo di Shengen ha subito le riserve italiane previste dall’art.55 per.1 lett.a-b-c) vale a dire che non sia applicherà in Italia sei fatti sono avvenuti in tutto o in parte nel territorio italiano; questa eccezione non si placherà se i fati sono avvenuti in parte sul territorio della parte contraente, e costituiscono reato contro la sicurezza e gli interessi ugualmente essenziali della parte contraente oppure sono stati commessi da un PU della parte contraente in violazione dei doveri di ufficio (arr. 7 L. 30.09.1993 n.388).
La Cassazione italiana, (03.12.2002 CED 223182) ha tuttavia in seguito ritenuto che l’art. 54 Shengen ha determinato l’istituzione di un’area giudiziaria europea con inapplicabilità dell’art.11 c.p.; di spessore sarà poi la nota decisione interpretativa in via pregiudiziale con effetto ex tunc ed erga omnes della CGCE nelle cause riunite 11.02.2003. (vd. L. Salazar,il principio del ne bis in idem…cit),con estensione del bis in idem anche all’ambito di procedure di estinzione dell’azione penale,indipendentemente dall’intervento del giudice o di pronuncia giudiziale.
Nuovamente la Corte di Giustizia, sollecitata dal Tribunale di Bologna e con ordinanza 22.09.2003 ha chiarito che il giudicato e il bis in idem non sono riferibili ai casi di rinuncia a promuovere l’azione penale senza alcun giudizio nel merito del fatto e sul solo presupposto che si stia già procedendo in un altro stato (sent.10.ò03.2005 ,C-409/03).
Questo per quanto concerne l’inquadramento del ne bis in idem quale effetto dell’autorità in negativo del giudicato penale estero,sotto il profilo del suo vincolo sostanziale.
Diverso è l’istituto del ne bis in idem estradizionale. La L.22.04.2005 n. 69 lo inserisce tra i casi di rifiuto della consegna, senza distinguere a differenza della DQ tra rifiuto obbligatorio (per il giudicato estero in idem) e il rifiuto facoltativo (in relazione alla pendenza di procedimento penale per lo stesso fatto). In questa prospettiva apparentemente –secondo gli enunciati della DQ – il ne bis in idem si atteggerebbe unicamente agli effetti estradizionali e comunque come limite alla concessione del mandato di arresto europeo. Anche sotto il profilo del bis in idem processuale, la pendenza di un procedimento penale in idem costituirebbe – assenti le condizioni di cui si discuterà – per un diniego obbligato di consegna,ovvero in certi casi per scelta discrezionale dello stato.
Sotto il profilo logico si è osservato (sempre da Galantini) che il bis in idem estradizionale non è sovrapponibile a quello processuale; dalla mancata consegna o estradizione non può derivare alcun vincolo per lo stato richiedente, libero di celebrare un processo ij idem a carico della stessa persona in contumacia ovvero provvedervi ottenendo la presenza attraverso l’estradizione da altro paese oppure per ragioni di ingresso volontario del soggetto.
Anche sotto il profilo di specialità,che non è oggetto del presente commento,vanno rammentati i parziali limiti alla procedibilità per i fatti diversi da quelli oggetto dell’estradizione e ora della consegna.
Si raccomanda la lettura di Corte Costituzionale n.58/1997 sull’obbligatorietà del rifiuto di consegna in caso di litispendenza.
Vi sono poi le questioni relative al ne bis in idem convenzionale, che consiste nella facoltà i opporsi alla cooperazioni con un indebolimento di fatto dell’autorità del giudicato del procedimento penale straniero. In tale prospettiva si rammenti la Convezione relativa al riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato del 1990,ratificata con L.09.08.1993 n. 338;quella di assistenza giudiziaria del Consiglio d’Europa del 1959 con riferimento alle molte riserve di molti stati aderenti. La Svizzera ha rafforzato la posizione nell’accordo bilaterale con l’Italia del 1998 relativo al completamento della Convenzione europea di assistenza giudiziaria (accordo del 10.09.1998, ratif. Con L. 05.10.2001 n. 367 i vigore dal 01.06.2003). Anche su tale aspetto dell’accordo italo-svizzero : Appello Palermo, 22.07.2003 ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 11 c.p. con limitazione della potestà punitiva dello stato. Il punto relativo all’art.11 del c.p é quello che avevamo segnalato introducendo il commento, vale a dire quello delle limitazioni del diritto sostanziale penale italiano in conseguenza dell’adozione,con correttivi 0omeno,del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni ancorato al correlativo corollario del ne bis in idem. Sul profilo del riconoscimento della sentenza penale straniera la procedura di riconoscimento non è necessaria per determinare l’improcedibilità e la declaratoria di ne bis in idem,che costituisce l’effetto del giudicato penale straniero e deri9va da disposizioni pattizie in punto dine bis in idem, prevalenti sulle norme interne, in relazione agli affetti delle sentenze penali straniere; come, del resto godono (Galantini) di applicazione privilegiata rispetto ai disposti codicistici le regole convenzionali in materia di altri rapporti giurisdizionali con autorità straniere (696 comma II c.p.p.).
Sotto il profilo processuale il riconoscimento ha un campo funzionale specifico e non può – se non eccezionalmente –integrarsi con il ne bis in idem. Ai fini dell’art. 12 del c.p. si vedrà la decisione straniera è solo premessa storica per statuire in ordine a determinante situazioni giuridiche (O.Dominionoi,Dal riconoscimento della sentenza straniera all’efficacia inter statuale del giudicato penale, in Argomenti di procedura penale internazionale, CUEM,1982 , p.77).
L’art.731 c.p.p. invece spiegherebbe un effetto di improcedibilità in idem imponendo ilriconscimentoi9 ai fini di esecuzione di sentenze straniere quando la relativa previsione é contenuta in accordi internazionali (Galantini,Una nuova dimensione per il ne bis in idem internazionale, in Cass.Pen.2004 p. 3479;diff. Cass.I ,05.02.2004 CED227852 per la compatibilità tra riconoscimento e rinnovamento del giudizio). Il riconoscimento della sentenza straniera in tal caso comporta il divieto di procedere per lo stesso fatto, anche se diversamente considerato per titolo, grado, circostanze (art.739 c.p.p.): si pensi alle convenzioni sulle persone condannate(Strasburgo 21.03.1983 ratificata con L. 25.07.1988 n. 334; in materia di esecuzione di provvedimenti penali esteri, L.03.07.1989n. 257; la Conv., sulla sorveglianza delle persone condannate o liberate sotto condizione, Cons. d’Europa Strasburgo del 30.11.1964, ratificata con L. 15.11.1973 n. 772. Di tratta tuttavia dicasi particolari e regime convenzionale, in cui ad esempio (735 c.p.p.) deriva il diverto di ulteriore processo qualora vi siano richiesta di esecuzione. Ma il riconoscimento non è presupposto di operatività del ne bis in idem. Si veda ancora la DQ 24.02.2005 n. 2005/214GAI sul reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie. Anche la presa in considerazione di precedenti condanne in procedimento per fatti diversi come omologhi del riconoscimento costituisce un argomento non oggetto del commento ma non impinguente l’istituto sostanziale internazionale del ne bis in idem agli affetti del diritto penale interno. Certo dal divieto di riconoscimento in caso di pendenza di procedimento penale per lo steso fatto (733 comma I lettera g) c.p.p.) non si può arguire che il riconoscimento fa prevalere il principio di territorialità rispetto al divieto di doppio processo. Per ora é de jure condendo l’art. 50 della Cost.europea basata sull’affermazione dell’ambito internazionale del principio.
Il grado di penetrazione delle convenzioni, attraverso la nuova formulazione dell’art.117 comma I Cost. (ordinamento comunitario e obblighi comunitari internazionali in combinato disposto con gli artt. 10 e 11 costit.) hanno statuito la prevalenza della fonte patrizia cui la legge interna deve adeguarsi. Si é sostenuto che sia derivato un obbligo giudiziale di interpretazione delle norme interne confliggenti con le norme internazionali comunitarie o patrizie, garantendo l’osservanza degli obblighi internazionali indipendentemente dall’abrogazione espressa o tacita delle norme nazionali incompatibili che sarebbero, così, non applicate (in tema B.Conforti, Diritto internazionale,Napoli,2002,p.321).
Non va taciuto che la Cassazione (ad esempio 22.09.2004 CED 230595) è tuttora di orientamento contrario, talvolta con riferiemtno9 all’11 c.p. Il mandato di arresto si colloca nella prospettiva più ampia della cd. competenza per rap5rsenbtazione, nel suo significato di competenza assegnata o delegata ad un’autorità diversa da quella originariamente individuata che precede la sua sostituzione. Tale orientamento comparo ad esempio a livello convenzionale negli istituti del trasferimento del procedimento, della rinuncia alla giurisdizione o della giurisdizione concordata,come ad esempio nella Convenzione contro la corruzione PIF 1997 o OCSE sempre del 1997 o quella del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo (Varsavia,03.05.2005in fieri).
Va ancora osservato in sede preliminare che,se si è sostenuto che i dubbi sulla questione se le forme di giurisdizione concordata possono contrastare con i principi costituzionali relativi alla precostituzione del giudice (25 comma I cost,) e sull’obbligatorietà dell’azione penale (112 cost) sembrerebbero essere superabili in virtù dell’adesione dell’ordinamento alle regole pattizie costituenti ormai un vincolo costituzionale per il legislatore, tuttavia se il principio internazionale del ne bis in idem fosse internazionalizzato e recepito come tale nell’ordinamento giuridico, si profilerebbe la rinuncia alla giurisdizione o il trasferimento del procedimento e quindi della stessa competenza penale in virtù dei propri criteri ascrittivi interni ed estesi oltre il territorio e quindi del procedimento e della decidibilità obbligatoria sul fatto penalmente rilevante secondo i dettami regolati dai principi di legalità, do tassatività, di irretroattività, formalizzato nel provvedimento di archiviazione motivato dal difetto di giurisdizione che andrebbe rilevato in ogni stato e grado del procedimento (art.20 e 22 c.p.p.) analogamente a quanto accade per la competenza, o nella sentenza che , preso atto della litispendenza, si avvale della stessa formula. Come si vedrà il testo in commento è foriero dei profili relativi alla più generale percorribilità sotto il profilo del rispetto,inteso come principio comune, alle tradizioni giuridiche europee e occidentali,della tipicità della legalità, del nullum crimen sine poena.
La dottrina più attenta (…Mandato di arresto europeo e l’ostacolo filtro del principio di tipicità nazionale, delle fattispecie di reato,in Quaderni CSM 2005,p. 2279, cit) ha ben definito il mandato di arresto europeo, connotato simbolicamente ed impropriamente del termine europeo, evidentemente nella prospettiva della Commissione di strutturare in un prossimo futuro una procura europea, ad oggi inattuata e ripresa dopo i vari studi sulla doppia versione del CJ, sui Programmen, sul GB, sul PM europeo e data l’opposizione alla modifica pregiudiziale dell’ art. 280 Trattato CE (non vanno taciuti gli ampi lavori dell’OLAF) come ordine emesso dall’AG inquirente o giudicante di uno stato dell’UE rivolto ad un altro stato della stessa UE da eseguirsi con la consegna del ricercato in un termine massimo di 90 gg. (art.17 DQ).
Si ricordi anche D. Iori, Ordine di custodia comunitario, problemi e prospettive di sviluppo,in D.& G.2002, n.28). Tale attenta dottrina,come si vedrà,ponendo si nel solco dei i rilievi di costituzionalità espressi nel Parere Vassalli – Caianiello di cui infra, enfatizzava in ogni caso il principio della doppia incriminazione al di fuori dei 32 indicazioni di lista, si riespande per i reati non contempleati in termini di facoltatività e non andrebbe più inteso nel senso tradizionale della tipicità,prevedendosi all’art.2 la semplice rilevanza come reato – per lo stato di esecuzione – indipendentemente dagli elementi costitutivi e dalla qualifica dello stesso. Il mero disvalore penale darebbe il discrimen, a prescindere dall’eventualità che lo stesso fatto costituisce eguale tipo di reato quanto ad elementi costitutivi.
Aggiungeremmo noi una figura di aberratio delicti interordinamentale, nel senso che la commissione di un fatto diverso da quello realizzato in altro paese –o comunque penalizzato differentemente da un altro paese –costituisce elemento di rilevanza anche per il paese del discrimine agli effetti di alcune interferenze da esaminare sulla reciprocità dei rapporti fra sfere di potestà punitive degli ordinamenti.,
Utilizzando la figura del sostituto di imposta si potrebbe con una battuta definire lo stato di esecuzione come un sostituto di applicazione del principio del ne bis in idem con riferimento a un delitto previsto in altro paese. Una mera attenuazione è l’ipotesi di cui alla lettera g) dell’art.4 della DQ in commento:l’ipotesi che i reati siano commessi in una zona interterritoriale, vale a dire non ricompresa nel territorio di uno stato membro, né nel territorio dello stato richiesto, ove non vi sia la giurisdizione dello stato richiesto, indipendentemente dall’esistenza della giurisdizione dello stato richiedente. Una sorta di circolo più,ristretto nell’ambito del circolo più ampio rappresentativo delle sfere territoriali di estensione della giurisdizione dei due paese costituirebbe un motivo di non opposizione. Il discorso si complica con riferimento al giudicato o a un procedimento penale proveniente da un paese terzo. In altre parole l’art. 2 comma IV della DQ, si vedrà, subordina la consegna a che i fatti siano sussulti nell’ordinamento dello stato di esecuzione sotto un titolo di reato che può anche non coincidere con quello nel quale i medesimi fatti sono sussulti, ma che possono divergere anche negli elementi costitutivi, come previsti nei due stati,rilevando unicamente la comune sussunzione del fatto in un area penalmente rilevante (p. 2289 op. cit). Sarà rilevante il disvalore penale al di là di variabili non incidenti,come al previsione di specifiche aggravanti o attenuanti proprie degli ordinamenti,per un fatto che sia non tanto considerato illecito egualmente in Europa, quanti che sia munito della carica di disvalore sotto il profilo del mero contrasto con orme munite di sanzione restrittiva della libertà personale. Per i beni giuridici differenti dal valore della vita e integrità personale i profili possono incrementarsi, come per i reati più tecnico-giuridici (riciclaggio, truffa,corruzione,estorsione) che,fondanti la consegna obbligatoria, differiscono quanto ad elementi costitutivi, a pena, a modalità descrittive e qualificative. Il principio di territorialità dell’azione penale tuttavia, abbiamo visto con riferimento esemplificativo alla lettera f), potrebbe interferire con la discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale nello stato membro di richiesta o nello stato membro di esecuzione;e ciò può verificarsi anche le l’attività delittuosa abbia carattere transnazionale nelle ipotesi in cui sia lo stato emittente ad avere facoltà di agire penalmente (/è il caso di cui si tratterà della Cour d’Appel di Pau). Lo stato di esecuzione potrà opporre all’emittente il proprio vaglio di non punibilità del fatto. Sottoquesto profilo è stato evidenziato il contenuto costituzionale della garanzia del principio di tipicità della norma penale,stante la rilevanza del titolo dell’illecito. La tipicità coincide con la funzione di informazione e indicazione dei fatti cui ci si deve astenere dal compiere per non incorrere nella sanzione penale. La riserva di legge come dianzi si approfondirà ex art. 25 Costituzione e sostanziale nell’art. 2 c.p. del1930 impone che sia la legge a fornire il modello dell’azione fraudolenta,furtiva, estorsiva e corruttiva. Il principio di tipicità si connette con il divieto di analogia e la irretroattività. In forza dell’art. 112 cost. diverrebbe impraticabile, in mancanza di una determinata e determinabile configurazione normativa dei fatti, la medesima obbligatorietà dell’azione penale.
Si ribadirà come la conformità al tipo nazionale del reato sia valore di garanzia per l’imputato che deve a priori riconoscere la delimitazione del processo in modo cha sappia da cosa deve difendersi (Ronco,Il principio di tipicità, cut.).
Sé osservato come il cittadino italiano incriminato o reo di una fattispecie transnazionale soggetto alla richiesta di consegna dell’emittente sul territorio del quale commette una parte dell’illecito transfrontaliero debba potere invocare la garanzia del principio di tipicità dell’azione punibile e della relativa sanzione e ciò possa fare quando il reato per cui si procede sia egualmente configurato nei suoi elementi costitutivi della tipicità, anche nello stato di esecuzione e dovrebbe subordinarsi al vaglio di uguale tipicità la stessa sanzione prevista nello stato emittente il mandato di arresto. Su queste basi si tornerà per quanto riguarda l’importante decisione della Corte cost. tedesca che ha ritenuto attratto il cittadino nell’affidamento all’applicazione del proprio ordinamento n0onché sotto altri profili.
Trattasi di considerazioni che concernono il cittadino e soprattutto il cittadino. La facoltà concessa allo stato di esecuzione dalla DQ,difatti per quanto riguarda il cittadino e equiparato di condizionare l’esecuzione del mandato al fatto che l’espiazione d3lla pena,nel caso di condanna,possa avvenire nel proprio territorio nazionale, a seguito della pena inflittagli nel diverso stato emittente il disatt5eso mandato di arresto. Non vi è a livello statuizionale un ‘espressa facoltatizzazione all’espulsione del cittadino. In base all’art.16 della Cost. il cittadino può circolare e soggiornare liberamente nel territorio nazionale (ed ora in quello europeo) Salve le limitazioni della legge in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Il cittadino libero di uscire dal territorio della repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge (è la clausola nella quale andrebbe ad inserirsi la DQ in commento). Si veda Quadri,Voce Estradizione, cit.,per quanto riguarda l’evoluzione storica dei rapporti fra espulsione ed estradizione nel panorama italiano.
L’estradizione incontra l’ulteriore limite,difatti, del divieto di estradare il cittadino italiano (artt.26 I comma cost. art. 13 u.c. Cost.;commento al titolo I della legge penale,art. 1 e seg. a cura di M. Ronco e S. Ardizzone,Codice penale ipertestuale UTET,2003).
Se l’art. 6 focalizza sul territorio dello stato la punibilità estesa al cittadino e non cittadino qualora l’azione o l’omissione è avvenuta in tutto o in parte ovvero ivi si è verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione, con la ricomprensione dei meccanismi di estensione a carattere partecipativo e plurisoggettivo sia per quanto riguarda il contributo causale verso la condotta dei concorrenti,sia verso l’evento o gli effetti dell’evento naturalistico (evento giuridico: si richiama I. Caraccioli, Manuale di Diritto penale,Padova, CEDAM, 1998 [2] .
Mentre l’art. 7 non distingue tra cittadino e straniero per attrarre la giurisdizione italiana in territorio estero, qualora, appunto il fatto sia all’ estero commesso, per i titoli concernenti i delitti conto la personalità dello stato, la contraffazione del sigillo di stato o l’uso,le falsità in monete etc, i delitti dei pubblici ufficiali al servizio dello stato con abuso o violazione funzionale e gli altri reati per cui le leggi e convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge italiana.
Non bene formulato è l’art. 8 sul delitto politico, il quale si riferisce a un delitto non ricompreso tra quelli di cui al n. 1 dell’art. 7 (vale a dire non tra quelli contro la personalità dello stato,che escluderebbe la loro natura politica) indipendentemente da ove –in tutto o in parte – sia commesso, su semplice richiesta del Ministro della giustizia.,
Il problema del riconoscimento della sentenza straniera con i8 criteri introdotti con la DQ interferisce con l0applicabilità dell’art. 9 del c.p.(delitto comune del cittadino all’estero:ilo cittadino che commette all’estero un delitto – indipendentemente dalla rilevanza penale nel locus commisi delicti del fatto e del titolo e degli elementi costitutivi,diremmo noi –per cui la legge italiana stabilisce una pena non inferiore nel minimo a te anni per la reclusione, salvo l’ergastolo, è attratto dalla giurisdizione italiana nel momento in cui si trovi nel territorio dello stato. La stessa regola vale qualora la pena restrittiva sia di minor durata, alla condizione di procedibilità della richiedt5a del Ministri della Giustizia o istanza o querela della persona offesa, fatta salva l’estradizione, m a per ragioni convenzionali, per il cittadino che commetta il fatto di delitto a danno delle comunità europee di uno stato estero o di uno straniero,senza espressa precisazione che si trovi nel territorio dello stato,sempre a richiesta del Ministro della Giustizia oppure nella peregrina ipotesi in cui l’estradizione non sia stata accettata dal governo del locus commisi delicti.
La condizione –inclusa nella DQ e ricalcata dalla legge italiana di attuazione – che si inserisce sulla alternativa concessa agli stati di dar corso al mandato di arresto verso l’estero comunitario ovvero di rifiutarlo per consentire il procedimento penale – eventualmente in absentia – a condizione che la pena eventualmente inflitta secondo il diritto straniero sia eseguita in Italia, non è compatibile con l’art. 9 appena citato che prevede la giurisdizione dell’Itala sul cittadino che commetta all’estero il delitto indipendentemente dalla doppia punibilità all’estero o in Italia,ma a condizione che –appunto –vi sia illecito con i crismi descritti per i diritto italiano. L’incompatibilità fra le due disposizioni sorgerebbe sotto il profilo del vulnus costituzionale dell’esercizio obbligatorio della legge penale attraverso l’azione nonché per una situazione di disparità di trattamento con riferimento al medesimo fatto sempre commesso all’estero il cui diverso trattamento e la cui legge di disciplina penale varierebbe unicamente con riferimento –per lo più discrezionale- di altri paesi di esercitare l’azione,di rendere improcedibile il procedimento penale in Italia e, nel caso di condanna all’estero,di costituire con forza di giudicato una situazione per un verso di obbligo di esecuzione della condanna all’estero, indipendentemente dal luogo di esecuzione della medesima e per l’atto di esenzione dalla giurisdizione italiana.
La clausola contenta nel I comma dell’art. 9 (“sempre che si trovi nel territorio dello stato”) coincide con il presupposto di applicazione del mandato di arresto europeo in termini di richiesta di consegna.
Sotto un altro profilo, la diversa articolazione della facoltatività conceduto dall’art.4 della DQ all’interno ei vari paesi; risarà un paese che non trasforma (o viceversa) in obbligatoria tale facoltatività ed esercita la possibilità conceduto dal paragrafo 6 dell’art. 4 in maniera differente ovvero sfruttando una discrezionalità in termini non tanto di deflazione dell’azione,quanto di rinuncia all’azione nel caso in cui non vi sia obbligo di legge o costituzionale del PM,che peraltro potrebbe essere abilitato, ad esempio in Francia, indipendentemente dalla richiesta del provvedimento motivato giurisdizionale,alla richiesta dell’arresto verso l’Italia.
L’incompatibilità e la frizione fra l’art. 9 e le …………………………. territorio comunitario e territorio extracomunitario, limitando a parlare di estero in presenza di un delitto comune, indipendentemente dalla rilevanza, dal titolo, dalla sanzione del fatto commesso che presumibilmente potrà costituire reato anche all’estero e che, nell’ipotesi i cui non si regolamentato sotto il profilo estradizionale con una clausola di ne bis in idem dovrebbe portare ad un applicazione secca dell’art.9. Ora,, essendo venuto meno il regime estradizionale tra i paesi comunitari, chiara è la non compatibilità fra la responsabilità per il diritto italiano del cittadino per il delitto comune (non politico, non assimilabile ad esso) in territorio estero, con certi limiti di reclusione e la disposizione inclusa nell’art. 18 della L. 69/05 che alla lettera p) si limita a divietare la consegna –e quindi far sfumare il principio di ne bis in idem, sia processuale che sostanziale (di cui quello estradizionale non è più questione, come detto,né di quello convenzionale) unicamente nei casi in cui si tratti di reati che dalla legge italiana sono considerati commessi in tutto in parte nel suo territorio o in luogo assimilato ovvero reati che sono commessi fuori dal territorio dello stato membro di emissione se la legge penale non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio. Certamente il caso dell’art. 9 contempla una situazione in cui il reato non è commesso in tutto o in parte nel suo territorio, non potendosi interpretare dalla legge italiana sono considerati reati commessi nel territorio l’espressione fatta dall’art. 9 che attribuisce la giurisdizione, presente il cittadino nel territorio dello stato per i delitti comuni commessi all’estero.
Né è il caso,quello dell’art. 9, di un reato che sia commesso al di fuori dello stato membro di emissione,in quanto la commissione, in catodi coincidenza fra il locus commisi delicti e lo stato che richiede il mandato di arresto, l’art. 9 presuppone appunto che il delitto sia commesso all’estero e che la legge italiana consenta – anzi imponga – l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio. L’ipotesi prevista dalla lettera p) II parte in cui il reato sia commesso né nel territorio dello stato richiedente né nel territorio dello stato richiesto e difetti la giurisdizione italiana, non è assolutamente coincidente,neppure in parte sovrapponibile o tangente con l’art. 9 del c.p., non abrogato, sotto questo profilo, in combinato disposto come la altre disposizioni della L.69/05 dovrebbe disapplicarsi o non applicarsi. A meno di non ritenere che trattisi di principio fondamentale dell’ordinamento e su esso possa sorgere una questioni di costituzionalità della lettera p) art.18 L. 69. Il problema si pone anche con l’art.10 c.p. che prevede il delitto comune commesso dallo straniero in territorio estero ai danni dello stato o di un cittadino, per cui è prevista dalla legge italiana la pena dell’ergastolo o la reclusione nel minimo non inferiore a un anno, che stabilisce la giurisdizione italiana a condizione che si trovi nel territorio dello stato e (e in questo senso, vi è una diversificazione rispetto all’art.9), vi sia una richiesta del Ministero di Giustizia o un’istanza o querela della persona offesa-.
Ora, il problema potrebbe risolversi nel senso che, data la DQ e la legge di attuazione, il Ministro della Giustizia non potrà inoltrare la richiesta; ma potrebbe esserci l’istanza o la querela della persona offesa, posta in alternativa alla richiesta del Ministro. Non è inclusa, tra i motivi di rifiuto obbligatorio, né dalla DQ né dalle legge di attuazione ex art. 18, la commissione da parte dello straniero che effettui il delitto comune all’estero nel territorio di uno stato membro o in un altro territorio, a danno dello stato o di un cittadino (nella specie italiano), sempre secondo l’art.10 c.p. indipendentemente dalla doppia incriminazione (o tripla, nel caso di mancata coincidenza tra il paese richiedente e il paese del locus commisi delicti). La legge italiana all’art. 10 si estende anche per i reati ai danni delle comunità europee, di uno stato estero o di uno straniero, ma a solo a condizione della richiesta del Ministero della giustizia, e se si trovi nel territorio italiano, si tratti di un delitto con pena di ergastolo o reclusione minima di tre ani e l’estradizione non sia stata conceduta ovvero non sia stata accettata dal governo dello stato in cui è stato commesso il delitto o da quello dello stato cui egli appartiene. Anche qui, essendo stata espunta dall’ordinamento comunitario o dall’ordinamento dei paesi europei l’estradizione a seguito della DQ in commento, il regime estradizionale non potrà più costituire un limite di risoluzione pattizia della questione e anche qui si dovrà procedere, salvo le questioni dianzi prospettate, ad una non applicazione dell’art. 10 c.p. per quanto citato.
La situazione previamente regolata in via convenzionale sotto il profilo estradizione, in difetto -eventuale- di previsioni sul ne bis in idem, dovrebbe essere regolata dal mandato di arresto europeo o, nel testo della DQ ove non precisato e nei limiti di compatibilità del trattato, dalle leggi di attuazione. Un profilo potrà esser quello della condizione di reciprocità, che non viene tuttavia introdotta nel testo della DQ. Potrebbe profilarsi un’attrazione nella giurisdizione del Paese che considera rilevante il fatto ai danni delle comunità europee o di sé stesso o del proprio cittadino, stato che rivendicherà l’ applicazione della propria legge. Non interverrebbe la richiesta del Ministro della Giustizia Italiana, nell’ipotesi in cui lo straniero che ha commesso il delitto comune all’estero si troivi nel territorio dello stato e non potrebbe, in ogni caso, intervenire nell’ipotesi in cui non si trovi nel territorio dello stato, la qual cosa però potrebbe rilevare unicamente qualora si sia dato corso a più mandati di arresto con spostamento da un paese all’altro, il che però pare escluso dalla DQ.
L’art. 11 c.p. si poneva come norma complementare rispetto a quelle appena accennate, stabilendo la rinnovazione del giudizio e l’indifferenza del trattamento sanzionatorio, sia dell’Italiano (cittadino italiano) sia dello straniero che avesse commesso all’estero il delitto connotato dai requisiti descritti.
L’art. 12 c.p. si occupa del riconoscimento delle sentenze penali straniere unicamente agli effetti della recidiva, di altri effetti penali, della condanna o per l’abitualità o la professionalità del reato o la tendenza a delinquere o di una pena accessoria o, per le persone condannate o prosciolte che si trovino nel territorio dello stato, per misure di sicurezza personali, ovvero agli affetti delle restituzioni e del risarcimento del danno, a condizione –tuttavia –che esista un trattato di estradizione. Se questo non esist,e la sentenza può essere ugualmente ammessa a riconoscimento dello stato su richiesta del Ministro di Giustizia, salvo gli effetti del n. 4 per cui la richiesta non è necessaria.
Essendo venuto meno fra i paesi membri il regime tradizionale ove non ammesso in futuro o conservato per integrare le finalità espresse della DQ in commento, in assenza di richieste del Ministro della Giustizia, secondo l’art. 12 – salvo il n. 4 – la sentenza non potrebbe avere riconoscimento nello stato italiano agli affetti previsti dai nn. 1,2,3 dell’art. 12 c.p.
Un’interpretazione avanzabile potrebbe essere l’integrazione dell’art. 12, previa abrogazione tacite dell’espressione trattato di estradizione con equiparazione di tale espressione alla legge sul mandato di arresto europeo, qualora venga qualificata nell’alveo degli istituti estradizionali, secondo una lettura debole che prospetteremo in seguito e che pare prevalente, anche se non appare la più accettabile.
La questione di costituzionalità che si è profilata ha segno non opposto, ma diversificato, rispetto alla parallela ma non coincidente questione di costituzionalità che ha visto la Corte costituzionale tedesca pronunciare l’incostituzionalità della propria norma – salvo le modifiche interne indirettamente suggerite dalla medesima – nello stabilire un collegamento diretto fra la previsione e l’aspettativa di tutela del cittadino tedesco nel contesto delle disposizioni caratteristiche dell’ordinamento giuridico posto a sua tutela della Repubblica federale tedesca. I riferimenti costituzionali sono differenti rispetto a quelli qui cennati, ma anche per situazioni analoghe potrebbe profilarsi, sia pure in una prospettiva non universalistica come quella tedesca,analoga situazione.
E’ anche da dire che la legge di attuazione tedesca cui si rinvia (www.laziojus.it, da cui possono attingersi le diverse normative interne di attuazione in traduzione italiana) è differenziata rispetto a quella italiana. Sicuramente le norme del c.p. possono intendersi abrogate implicitamente o essere ritenute disapplicabili, qualora si attingesse direttamente dalla portata immediatamente precettiva della DQ dal giudice nazionale. Il riferimento alla legge ordinaria utilizzata nel contesto del canale della cd. legge costituzionale La Pergola, la vede pari ordinata rispetto alla legge che fissa i limiti di estensione territoriale dello stato,salva diversa opinione (al riguardo si rimanda alla sterminata dottrina in materia).
Nella prospettiva delineata in sede dellapresente introduzione un sostenitore della potestà punitiva in materia penale come S. Riondato (Dal mandato di arresto europeo Libro Verde… in Riv. trim.Dir.pen Ec., 2004,fasc.3-4,p.1128-1135) rileva in materia l’affidamento sul diritto penale sostanziale altrui che diverrebbe diritto penale sostanziale comune. Con una formula sintetica, per l’autore il criterio risolutivo individuato da diritto penale dell’emittente connoterebbe non tanto la sostituzione della doppia incriminazione quanto la sostituzione della doppia incriminazione con l’incriminazione comune europea, “rappresentata “ dall’incriminazione dello stato emittente, a riempimento dell’eventuale vuoto di incriminazione presente nell’ordinamento dello stato richiesto. Più avanti si prospetterà criterio caratterizzato, per la legge di attuazione italiana, da un elenco definitorio non conforme – sotto il profilo strutturale – all’ambito della qualificazione del penalmente rilevante all’interno dell’ordinamento.
L’osservazione di Riondato può essere rovesciata. Nel senso che il vuoto del diritto del paese emittente può riempire, alla luce della DQ e della legge nazionale in commento, il pieno del diritto di riconoscimento del paese di arrivo. I criteri-filtro, tipici dell’ordinamento italiano così come caratterizzato dalla legge di attuazione sull’euromandato, si ancorerebbero ad una sorta di diritto penale comune europeo, rappresentato dal diritto penale dell’emittente che assume, in tema di territorialità e di cittadinanza, ad esempio, l’iniziativa di giungere ad una decisione giudiziaria definitiva, costitutiva di uno sbarramento alla giurisdizione altrui, purché il fatto sia commesso nello spazio comune. Il diritto sostanziale nazionale, purché comune, veicola la pretesa punitiva europea e, per converso, la pretesa punitiva europea, si avvale del mezzo del diritto sostanziale del paese che assume l’iniziativa.
Non manterrebbero alcun valore in tale prospettiva, le norme incriminatrici dello stato richiesto per Riondato (p.3, cit.) il quale osserva che non è nemmeno irrilevante che nella,legislazione dell’Unione e delle comunità esistano per certi reati a definizioni armonizzate quali che siano e quali che ne siano i fini, salve le divergenze tra alcune di tali definizioni. Nel provvedimento del 2002 manca l’espressa definizione armonizzata del reato. Il diritto dell’emittente fungerebbe in modo contingente da diritto europeo armonizzato. Il diritto penale nazionale sarebbe chiamato a realizzare l’armonizzazione penale europea secondo un originale modello di contemperamento delle diversità; non si esclude che sia da approvare. Riondato esclude che si possa surrettiziamente assegnare rilevanza al diritto penale dello stato richiesto allo scopo di riempire i nomina juris così resuscitando – n maniera difforme dalla nostra opinione – la doppia incriminazione. Secondo Riondato, la normativa europea rinvierebbe per la definizione, facendola propria, alla legge penale dell’emittente. La legge penale, in tale prospettiva europeistica, sarebbe il termine di confronto. Tuttavia, il medesimo autore riconosce che dall’art. 2 par. 2 della DQ in commento si deriverebbe il principio delle facoltà delle legislazioni nazionali di definire. Un difetto, al di fuori di pacifici riscontri di corrispondenze testuali tra i nomi della lista e il diritto penale nazionale implicato, vi sarebbe: l’incertezza. In altra sede abbiamo sottolineato l’opportunità di un contributo, attraverso il sindacato diffuso e la circolazione dei principi che attraverso la Corte di Giustizia provengono dai giudici per cui, in base al principio jura novit curia, ovunque essi si trovino a deliberare, comunichino ai colleghi degli altri paesi sia pur non approvando, la teorica di principio del diritto penale debole o della multiformità o della lettura a più dimensioni del diritto penale, nel rispetto della diversità. Così da portare a che ciascuno degli stati accetti l’applicazione del diritto penale vigente negli stati membri, anche per quanto tocca le interferenze con il proprio diritto interno e anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse. Il riferimento è a CGCE 11.02.2003
Manca nella legge di attuazione un elenco definitorio delle fattispecie per le quali l’Italia chiede la consegna tramite un mandato di arresto europeo, nonché gli specifici poteri di indagine per saggiare da parte del giudice nazionale il medesimo diritto penale, non europeo, ma del paese in cui il delitto è stato commesso ovvero del paese che fa richiesta di applicazione sia del procedimento sia della sanzione, in alternativa fra di loro.
Aderendo al Trattato la Repubblica italiana ha accettato che i contenuti della DQ, qualora non sia annullata, ove non disattesi dalla legge di attuazione, siano per esso vincolanti. Vincolando la DQ in commento il legislatore italiano, fra gli altri, e ciascun legislatore agli altri, sempre sotto il profilo del vincolo reciproco, a disattendere le proprie statuizioni in materia di diritto penale sostanziale, anche nella forma dell’estensione della propria giurisdizione, sembrerebbe che attraverso la DQ il Consiglio europeo abbia inciso direttamente sul diritto penale sostanziale, così chiudendo il cerchio di una competenza penale dell’Unione –per utilizzare l’espressione di Riondato -che a suo avviso sarebbe illimitata (ma non condividiamo tale opinione) “sia essa intesa come competenza penale positiva o come competenza penale negativa. La maschera procedurale non può celare che i diritti fondamentali sono implicati innanzitutto implicati nella formulazione del diritto penale sostanziale: un’iniziativa limitata al processo si coprirebbe di ridicolo…”.
Il gruppo di lavoro X invita ad inserire nel testo del Trattato –come avvenuto –il principio del riconoscimento giuridico delle decisioni giudiziarie adottando peraltro norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati di sanzioni,qualora gli illeciti colpiscano beni ascrivibili all’Unione. Le leggi quadro interverrebbero in tale materia sulle definizioni delle incriminazioni e delle sanzioni nell’ambito di reati gravi a dimensione transnazionale specificamente indicati , nòvero ampliando in funzione dell’evoluzione della criminalità, su delibera all’unanimità del Consiglio,previo parere conforme del parlamento europeo ovvero nei settori della criminalità di pregiudizio di un interesse comune (art.17 parte II) . ma non interessa il Trattato europeo, che non é diritto vigente. Nella prospettiva e nella presupposizione della DQ in commento il criterio risolutore individuato avrebbe dovuto essere il diritto penale dell’emittente e il principio europeo del mutuo riconoscimento delle norme incriminatici renderebbe –non da solo- il corollario del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, veicolando come diritto sostanziale la pretesa punitiva europea. Le norme incriminatrici dello stato richiesto, come dimostrato, non manterrebbero alcun valore. Il diritto penale nazionale, da ciascuna pese che assumesse l’iniziative, nel rispetto dei limiti negativi fissati dalla DQ in commento, sarebbe chiamato a realizzare l’armonizzazione penale europea, vieppiù in modo pretorio, secondo un originale modello di contemperamento delle diversità (Bernardi, Strategie per l’armonizzazione, cit.;Riondato ,Dal mandato di arresto europeo…,cit.).
SA differenza di Riondato, come si vedrà, dall’analisi combinata della DQ e della legge attuativa italiana, nonché dall’esame – sia pur sommario –dei principi costituzionali comuni, emerge come sia obbligo assegnare rilevanza al diritto penale anche dello stato richiesto, allo scopo di riempire i nomina juris, così risuscitando la nozione delle finalità della verifica della rilevanza penale.
Anche la legge penale dell’emesso sarebbe, in questa prospettiva, termine di confronto (Riondato, Profili di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale dell’economia (influenza,poteri del giudice penale…, cit).
Cassetta 2.
…………. commento sia sulla decisione quadro europea che sulla legge 22 aprile 2005 n. 69 pubblicata sulla GU 29.04.2005 n. 98 ed entrata in vigore il 14.05.2005, ci si è necessariamente data la sede ad enucleare in sintesi i profili normativi con riferimento alle disposizioni del trattato UE sullo sfondo delle convenzioni internazionali vigenti in materia, la cosiddetta base giuridica dell’adozione dello strumento della, decisione quadro da parte del consiglio europeo.
Per ulteriori approfondimenti si richiamano le voci commentate sulla estradizione internazionale e processuale nonché i profili caratteristici del diritto penale sostanziale italiano e non nel contesto della UE.
I cenni di sintesi sulla cd. base giuridica alias il fondamento normativo riposante nelle disposizioni del trattato europeo attributive di poteri agli organi comunitari con riferimento a materie specifiche ed a scopi specifici [3] è stato tratteggiato nei limiti istituzionali del presente lavoro con peculiare riferimento al profilo assegnatoci relativo all’interferenza degli istituti in commento con il diritto penale sostanziale, i rapporti tra le situazioni soggettive tutelate per il singolo e per le persone giuridiche all’interno del ns. ordinamento con la potestà punitiva dello stato con riferimento ai meccanismi di intersezione tra l’ordinamento giuridico nazionale e il sistema giuridico comunitario.
E’ ora necessario prendere le mosse dal problema centrale in commento,relativo alla domanda se con la DQ del Consiglio 13.06.2002 n. 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra stati membri, pubblicata sulla GUCE 28.07.2002 n., 1,190 ed entrata in vigore ai sensi del suo articolo 35 il 20° giorno successivo alla sua pubblicazione,si sia dato corso con effetto diretto o indiretto a delle modifiche del diritto penale sostanziale italiano.
Medesima domanda nelle presenti note viene tenuta presente con riferimento anche al profilo dei rapporti tra la DQ e la legge di attuazione interna nell’ordinamento italiano. Vale la pena ripercorrere brevemente il testo degli artt. 31 e 34 del Trattato sull’ Unione Europea come modificato.
L’art. 31 del trattato, collocato storicamente nel cd. III pilastro del trattato di Maastricht, prevede l’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, la cooperazione fra le autorità giudiziarie ed i ministeri degli stati membri nei procedimenti e nell’esecuzione delle decisioni; b) facilitazione nell’estradizione fra gli stati membri; c) compatibilità della normativa applicabile negli stati membri nella misura necessaria; d) prevenire i conflitti di giurisdizione; e) adozione progressiva di prefissazione di norme minime sugli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni per quanto riguarda criminalità organizzata, terrorismo, traffico illecito di stupefacenti.
L’articolo centrale 34 del trattato con riferimento ai citati settori del titolo attribuisce al consiglio europeo – vale a dire al momento di collegamento tra le autorità governative, quindi nel contesto dell’attività intergovernativa non appartenente al novero delle attività comunitarie – nella forma e secondo le procedure del titolo,la cooperazione per gli obiettivi dell’Unione,con delibere unanimi su iniziativa di uno Stato membro o della Commissione europea.
Quattro gli strumenti: a)posizioni comuni sull’orientamento su questioni specifiche; b) decisioni quadro per ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli stati. Le decisioni quadro sono vincolanti per gli stati sul risultato da ottenere, salva la competenza nazionale sulla forma e i mezzi; Le DQ non hanno efficacia diretta negli ordinamenti; c) decisioni con scopi coerenti agli obiettivi del titolo in oggetto del trattato, con esclusione del ravvicinamento delle disposizioni legislative regolamentari.le decisioni sono vincolanti e non hanno efficacia diretta,parimenti alle decisioni quadro. Il consiglio a maggioranza stabilisce le misure per attuare le decisioni a livello dell’Unione; d) convenzioni di raccomandazione agli stati secondo le norme costituzionali ai fini che gli stati adotino procedure nei termini stabiliti dal consiglio. Le convenzioni adottate da al meno la mnetà delgi stati entrano in vigore negli stati e lemoisure sono adottate dal consiglio a maggioranza dei due terzi.
Già in sede di accelerata adozione della DQ europea in commento si sono sviluppate ti tre ordini di contrapposizione di opinioni,ruotanti intorno a 3 nuclei problematici.
I paesi europei hanno via via provveduto all’attuazione all’interno dei propri rispettivi ordinamenti del contenuto della DQ avvalendosi di diverse forme e mezzi, tenendo conto dei rispettivi ordinamenti giuridici.
Un primo nucleo problematico è stato oggetto di ampie discussioni nei singoli contesti nazionali. E stato da piparti rilevato che il contenuto della DQ comporterebbe alcuni aspetti di frizione con le norme trattatizie citate, in quanto il Consilio Europeo avrebbe adottato uno strumento di normazione derivata stabilito dal Trattato non previsto dal medesimo Trattato con riferimento alla istituzione di istituti con meccanismi comunitari direttamente incidenti sulla materia penale, al di fuori della armonizzazione fra le normative nazionali. La dottrina maggioritaria di stampo internazionalistico o penal-sostanziale o penal-processulaistico,ha tuttavia evidenziato come sussista nella “materia” attribuita alle competenze comunitarie attraverso i meccanismi intergovernativi e quindi appartenenti al cd. III pilastro, si tratti di questioni che attraverso le cd. disposizioni passerella possono trasferirsi al cd. I pilastro introdotto dal Trattato di Maastrucht nella distinzione tra gli altri due, il quale, fissando le attribuzioni esclusive o suppletive e sussidiarie delle istituzioni comunitari, consentirebbe alle medesime di utilizzare gli strumenti normativi comunitari anche nella materia della cooperazione giudiziaria in materia penale.
Non dalla C Costituzionale né dal supremo giudice di legittimità [4] di recente ma dalla Corte costituzionale, rectius Chambre d’arbitration belga,è stata sollevata la questione di interpretazione pregiudizialem davantila CGE su questo ed altri aspetti di compatibilità tra la DQ e il Trattato per un lato e la norma belga di attuazione e lamedeisma DQ dall’altro [5]…
L’Avvocato generale presso la CGE ha tuttavia, andando dell’avviso prevalente nella dottrina europea, sostenuto che non solo le istituzioni comunitarie,ma anche il Consiglio Europeo si trovano di fronte alla possibilità alternativa di ricorrere a strumenti normativi derivati tipici anche del I Pilastro come le direttive, così come le DQ anche nella materia.
Anche la Corte di Giustizia sembrerebbe nelle note sentenze Spinelli, Berlusconi e più di recente Pupino, avere ritenuto che il ricorso alle normative in tema di cooperazione giudiziaria attraverso le DD.QQ. possa caratterizzate temi originariamente affidati all’attività intergovernativa.
Un secondo nucleo problematico ha caratterizzato la discussione nel contesto comunitario immediatamente dopo l’adozione della DQ. La dottrina italiana più attenta (Manacorda [6]) e l’autorevole Parere Vassalli-Caianiello, richiesto nel complesso iter legislativo italiano ha evidenziato la possibilità di ricorrere a letture alternative del contenuto della DQ. in vista della – in allora – futura attuazione interna italiana.
La prevalente giurisprudenza e la dottrina maggioritaria internazionalistica ritiene che indipendentemente dalla forma di convenzione o di DQ, l’effetto interno esercitato dagli strumenti9 normativi comunitari o di area comunitaria adottati dipenda dalla struttura e dalla tipologia della normazione di attuazione nazionale. Si è osservato [7] che nel caso italiano ove si è fatto ricorso alla procedura di attuazione con legge ordinaria e non con procedimento speciale, non vi sia la possibilità da parte dell’AG di attingere direttamente alle disposizioni a fini interpretativi delle medesime e per converso dei rapporti tra le stesse e le disposizioni interne pre-vigenti, in quanto importato normativo della DQ sarebbe estraneo all’Ordinamento giuridico, il quale verrebbe modificato ed integrato esclusivamente dalle norme interne di attuazione.
Ciò appare in linea con l’originaria interpretazione letterale della citata disposizione del Trattato (art.34) ma di recente questa lettura è stata integrata dalla ‘interpretazione della CGCE in causa Pupino. La Corte di Giusitizia ha sostanzialmente equiparato le DDQQ alle Direttive auto-esecutive e, per quanto concerne il profilo, anche ai Regolamenti,sotto il profilo della vincolatività anche per l’AG nazionale del contenuto normativo della DQ.
Ciò è avvenuto attraverso criteri ermeneutici fissati come norme che regolano l’attività interpretativa del Giudice nazionale da parte della CGCE. Si è stabilito che il Giudice nazionale nell’ipotesi in cui la norma nazionale preesistente o integratrice a livello di attuazione interna e quindi di ingresso del contenuto della disposizione comunitaria nell’O.G. ravvisi un contrasto tra la norma interna e le disposizioni di matrice comunitaria, debba provvedere alla loro integrazione in via ermeneutica,optando per l’interpretazione – nei limiti consentiti dall’O.G. di pertinenza – al fine di riportare il significato, il senso della disposizione interna alla sua compatibilità con gli scopi e i contenuti della norma comunitaria [8]. Si attendono i pronunciati della CGCE sul punto prima accennato in ordine in altri termini, se sia stato correttamente adottato in materia lo strumento della DQ da parte del CE, con ciò non invadendosi poteri attribuiti agli organi comunitari caratterizzati da minor deficit di democraticità,in quanto in Materia Il parlamento europeo non esprime forme di consultazione.
Va accennato quanto separatamente trattato circa lo stato attuale della giurisprudenza italiana.
La giurisprudenza è intervenuta sia nelle fasi di merito che nelle fasi di legittimità,estesa anche al merito per effetto della legge italiana di attuazione della DQ, alla Corte di Cassazione in tema di convalida dell’arresto che ha dei meccanismi di attuazione automatica,con i sistemi SIS e Shengen,sia in fase di decisione in ordine all’accoglimento della richiesta promanata dall’AG di un Paese membro di esecuzione del proprio mandato o ordine di arresto o carcerazione o della propria decisione definitiva in ordine alla responsabilità penale di chi abbia commesso un fatto di reato cui la giurisdizione del Paese richiedente estende sé stessa in base ai criteri interni sulla attrazione della giurisdizione con riferimento al locus commisi delicti ed alla nozione ed ai principi di territorialità accolti.
Inizialmente la G di merito e di legittimità in alcune sentenza del settembre 2005 e del gennaio 2006 si è pronunciata sulla nozione richiesta expressis verbis dalla legge nazionale di attuazione italiana dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dlela delibazione del mandato di arresto. Altre decisioni si sono pronunciate sulla corretta distinzione tra il titolo di detenzione che è interno all’ordinamento italiano, vale a dire è riconducibile o alla pronuncia di convalida emessa dal Presiedente della CA o alla decisione se dar corso al MAE e il mandato di arresto vero e proprio, il quale é costituito dalla richiesta proveniente dall’Autorità designata con leggi di attuazione dei singoli Paesi –per lo più Autorità giudiziaria – il quale a sua volta si distingue dal titolo europeo,vale a dire dal titolo nazionale del paese che esercita o ha esercitato l’azione, costituito dall’ordine o mandato di arresto nazionale o dalla decisione definitiva di condanna.
Si diceva del fatto che la autorevole dottrina ha distinto possibili letture del testo della DQ.
Una premessa va fatta.
L’art. 34 TUE chiarisce il carattere vincolante per gli stati del contenuto delle DDQQ riservando ai medesimi, in base ai propri ordinamenti interni,la scelta delle forme e dei mezzi. Sotto questo profilo, nel parere richiesto dalla commissione giustizia, Caianiello e Vassalli si erano espressi in maniera critica sotto vari profili [9] ma per quanto ci interessa a questo punto della trattazione con riferimento alla possibile lettura – all’alternativa, rectius – tra una lettura forte della DQ, nel senso che essa avrebbe inciso direttamente sul diritto penale sostanziale,ampliando l’area della potestà punitiva dello stato emittente rispetto all’area della giurisdizione dello stato richiesto di esecuzione del mandato di arresto europeo ovvero una lettura debole riservando all’area della cooperazione giudiziaria ed alla parziale incisione dell’istituto convenzionale dell’estradizione la reale portata del contenuto della disposizione.
Va, é appena il caso di dirlo per ora, rimarcato che secondo gli autorevoli Autori del parere, anche con riferimento ad una lettura debole non ci risarebbe potuti esimere,da parte del legislatore italiano, dal non osservare i contenuti o un aparte dei contenuti della DQ, nel rispetto di inderogabili principi costituzionali[10].
Una seconda alternativa da Manacorda[11] è stata profilata circa una lettura forte del contenuto della DQ in base alla quale la medesima si sarebbe basata come espressamente dichiarato sulla scelta di introdurre nella UE un istituto del necessaria riconoscibilità della decisione finalizzata all’avvio del procedimento penale o all’esecuzione di una sentenza definitiva, attributiva di una responsabilità penale in assenza dell’armonizzazione fra gli istituti di diritto penale sostanziale in ordine ai criteri di iscrizione della responsabilità,alla individuazione degli elementi costitutivi necessari o accessori,essenziali od accidentali del reato, alle vicende del reato sotto il profilo spaziale e temporale (tempus e locus commisi delicti),alla previsione dei meccanismi di estinzione del lreato e della pena,alla selezione del tipo e della quantità o della alternatività fra sanzioni e per altro verso invece una lettura debole, volta a sviluppare ed enfatizzare alcune indicazioni attributive di libertà e discrezionalità per i singoli ordinamenti rispetto a indicazioni aperte e non inderogabili contenute nella DQ.
Manacorda opta per una lettura debole volta a riservare in difetto di armonizzazione delgi istituti penalistici ed in presenza di interferenze tra il contenuto della DQ e le peculiarità dei diritti nazionali, per una autonomia nella scelta delle forme di istituto e del trattamento dei singoli paesi. Le aperture sarebbero consentite dalle clausole, soprattutto contenute nel preambolo della DQ, di rifiuto obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione del mandato di arresto europeo.
Una quarta alternativa si è profilata a livello interpretativo. Si diceva che il nostro supremo giudice di legittimità pur avendo competenza di merito e potendo decidere se evocato in sede di gravame, rispetto alle decisioni della corte di appello[12] collegiale, si è limitato ad enunciazioni di diritto senza rivedere mel merito le decisioni dei giudici di prime cure.
Le questioni affrontate riguardano lo jus libertatis e i profili della custodia cautelare in quanto non constano precedenti su temi relativi all’esecuzione di sentenze definitive di comnfanna.
In primo orientamento citato del settembre 2005 si era caratterizzato per una interpretazione sistematica e sostanzialmente ortopedica delle disposizioni della legge di attuazione che prevedevano i gravi indizi di colpevolezza, ritenendo in ossequio alle indicazione della CGCE che le norme dovessero essere interpretate in modo da manifestarsi nella propria compatibilità con il diritto di provenienza comunitaria.
Di recente una decisione della suprema corte,ha tuttavia,disattendendo le richieste del procuratore generale, ritenuto di dover ricorrere ad una interpretazione che non avrebbe consentito di modificare il testo della norma nazionale in quanto la medesima corte di cassazione non lo0 ha ritenuto compatibile con la DQ co,munitaria.In tale sede la Corte suprema ha ritenuto tuttavia di non procedere ad una sospensione del processo,come giudice di legittimità, in attesa che la CGCE decidessee in via interpretativa a lei affidata [13] anche in materia in quanto il contrasto appariva chiaro. Contemporaneamente la corte di cassazione non ha ritenuto di sollevare la pur richiesta questione di costituzionalità,ritenendo che già nella materia convenzionale connessa all’estradizione nel cui solco si inserirebbe la DQ sul mandato di arresto europeo e la correlativa legge di esecuzione,di trasposizione interna,con i limiti veduti, non si caratterizzi per una copertura di tipo costituzionale,essendo ben possibile che l’ordinamento nazionale, in ossequio all’art.11 della costituzione, proceda alla estradizione senza l’applicazione delle norme procedurali interne (ad esempio l’ art.705 c.p.p.: di recente un giudice di merito [14] ha sollevato la questione di costituzionalità ritenendo che dall’applicazione consentita dalla CGCE in causa Pupino ed altre possa trarsi l’applicazione diretta delle disposizioni chiare, univoche e self executing contenute nella DQ da considerarsi prioritarie e prevalenti rispetto a quelle non compatibili e contrastanti interne e che tuttavia dalla applicazione di tali disposizioni deriverebbero dei vulnera rispetto ad alcuni principi costituzionali relativi alla sufficienza delle prove o degli indizi.
Sempre a livello di introduzione è opportuno giungere al quinto nucleo problematico prima tratteggiato.
Anche qui è stata posta – direi rectius si è evidenziata – in dottrina e sotto un’angolazione diversa, appena accennata in giurisprudenza una divaricazione circa la realeportata del contenuto della DQ.
Per un verso dottrina attenta (Deamicis, Selvaggi [15]) ha fornito una lettura in parte debole e in parte forte – ma su ciò ritorneremo [16] – sia della DQ che della L attuativa, rictus delle leggi attuative (e su ciò torneremo in un capitolo successivo[17]).
Una parte della dottrina ha difatti ritenuto che ilMAE e la necessaria esegutibilità nei paesi membri si collochi nella prospettiva estradizionale,conosciuta sia nell’aprasi internazionale che nelal normativa convenzionale di cui hanno enucleato lo sviluppo, peraltro ove il principio di doppia incriminabilità tanto in astratto che in concreto [18], non avrebbe una copertura costituzionale.
Ad avviso di tale dottrina (Mambriani, “Il mandato di……”) si respinge il dubbio che il giudice di una nazione pssa emettere un MAE per un reato non previsto come tale nel suo ordinamento ma dolo nell’ordinamento in cui il mandato medesimo sarebbe destinato ad avere esecuzione.
Il rilievo critico proveniva da Caianiello -Vassalli (Parere) e da Vassalli (“Mandato di arresto”, ove si faceva l’esempio di uno stato che decida di perseguire reati di favoreggiamento all’ingresso e al soggiorno irregolari da qualunque cittadino comunitario e dovunque sia commesso).
E’ vero, i principi di combinazione fra giurisdizione e nozione di territorio nazionale ed extrastaualesono differenti. Tale dottrina di lettura debole escluderebbe che vi sarebbe alcuna lesione della potestà punitiva dello stato italiano a cui verrebbe sottratto il potere di qualificare o no un fatto come reato e quindi di determinare o di impedire l’intervento della magistratura penale con riferimento a determinati comportamenti (Caianiello- Vassalli).
Secondo la dottrina citata (Selvaggi,Mandriani) una tale interpretazione sarebbe smentita dall’art. 2 comma I della DQ che dispone che il MAE può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello stato membro emittente con una pena privativa della libertà….
Anche il timore che un’eventuale espansione da parte di uno stato membro della propria potestà punitiva a fatti commessi anche da stranieri oltre i propri confini determini nei fatti una lesione della sovranità degli altri stati, sarebbe escluso quando lo stato si avvalga del disposto dell’art. 4 della DQ (Motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo),secondo cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il MAE …. ..se il mandato di arresto riguarda reati che dalla legge dello stato membro di esecuzione sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio o in luogo assimilato al suo territorio,oppure se sono stati commessi al di fuori del territorio dello stato membro e,mittente se la legge dello stato membro di esecuzione non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio.
Verrebbe quindi escluso dalla medesima DQ un eventuale ipotetico riconoscimento di competenza universale di uno stato che volesse darsi il medesimo in assenza di reciprocità rispetto allo stato membro di esecuzione.
Per Mambriani il MAE non è il grimaldello attraverso il quale si forma surrettiziamente un diritto penale sostanziale europeo ma soltanto un meccanismo procedurale di agevolazione dell’esecuzione all’estero di mandato di arresto emessi dall’autorità giudiziaria di ciascuno stato membro. Una sostituzione di vigenti procedure di estradizione con una nuova procedura diconsegna i cui caratteri sono:l’esclusione del potere dell’autorità politica riconcedere o negare l’estradizione;la configurazione di una procedura di consegna che si svolge direttamente tra AAG G degli stati membri;l’attenuazione dei principi di doppia punibilità (artt. 2,3 4 DQ ) e di specialità (art.27 DQ).
L’esecuzione riguarderebbe solo i reati che secondo l’ordinamento dello stato emittente sono punibili e rimessi al potere investigativo e cognitivo del suo Ordine giudiziario e qualora sia adottata la clausola di cui all’art. 4 n. 7 DQ sono stati commessi nel suo territorio o, ma solo a condizione di piena reciprocità rispetto allo stato di esecuzione,sono stati commessi fuori dal suo territorio.
Sempre da tale interpretazione cd.debole, potrebbe superarsi l’obiezione in base alla quale la lista dei 32 reati di cui all’art. 2 comma 2 DQ è carente dei requisiti di tassatività e di necessaria determinatezza nella descrizione delle fattispecie penalmente rilevanti. Secondo la dottrina debole non si tratterebbe né del un nucleo di diritto penale europeo né di un’elencazione di fattispecie incriminatici. L’ articolo DQ vuole escludere per una serie di categorie di reati il cui significato è noto e riconosciuto indagini dello stato membro di esecuzione circa la doppia incriminazione del fatto per cui è stato e,messo il MAE. Lo stato emittente deve precisare natura e qualificazione giuridica del fatto inteso come reato per la sua legislazione tenendo conto dell’art. 2 (art. 8 DQ che parla di contenuto e forma del MAE). L’indagine della doppia incriminazione da parte dello stato membro di esecuzione e quindi esclusa a condizione che il fatto qualificato come reato secondo lo stato emittente sia ricompreso in una delle categorie indicate nell’art. 2 comma 2.
Le categorie dei 32 reati non sono descrittive di condotte criminose,ma di nuclei di disvalore a ciascuno dei quali possono essere riferite in numerevoli fattispecie, ciascuna descritta dalle leggi penali nazionali.
I principi di tassatività e determinatezza, principi costituzionali,non sarebbero quindi applicabili a tali categorie,non caratterizzate dall’introdurre fattispecie incriminatici né sanzionatici.
Il principio di tassatività comunque, previsto ad esempio in Italia dall’art. 25 comma II Cost., vige anche nei paesi europei, in base all’art. 7 CE del tutto simile alla norma costituzionale.
Il principio di doppia punibilità,previsto dall’art. 13 comma II c.p. non ha ricevuto alcuna copertura costituzionale e tutela la sovranità dello stato e, solo eccezionalmente, i diritti individuali.
Sulla legge penale straniera prevale il rapporto dello stato richiesto con il proprio ordinamento e con la persona che si trova sul proprio territorio,così che esso si può rifiutare di dare esecuzione al mandato. I diritti dell’individuo ricevono una tutela riflessa,maggiore di quella che gli spetterebbe. se non si desse esecuzione al mandato di arresto,il medesimo potrebbe sfuggire alla punizione per un fatto previsto come reato dalla legge del luogo in cui è stato commesso,solo che trovi rifugio in un paese in cui quel fatto non previsto come reato. La mancata esecuzione comporterebbe una disapplicazione del principio di legalità in forza della sovranità dello stato di rifugio.
Si è quindi osservata la relatività del principio di legalità, che a livello sovranazionale sarebbe indotta dalla diversità tra ordinamenti.
Unica eccezione sarebbe il rifiuto di estradizione per reato politico o verso paesi di applicazione, ad esempio, della pena di morte o di gravi discriminazioni o comunque, in generale, la clausola di non discriminazione, prevista dall’art. 698 c.p.c. e riportata nel preambolo della DQ ai Considerando 12 e 13. Il problema,ad avviso della dottrina cosiddetta di accoglimento della lettura debole di non incisione sul diritto penale sostanziale da parte della DQ si avvita intorno alla considerazione che l principio di doppi a punibilità perderebbe di senso tra ordinamenti che non abbiano significative differenze e anche il principio di legalità avrebbe careattere relativo alle tutele, dei diritti di carattere fondamentale,connotanti i paesi europei. Anche la limitazione del principio di specialità (27 DQ) nonché l’attenuazione della nozione di delitto politico considerando n.9 e art. 7 DQ si caratterizzerebbero diversamente nello spazio comune di libertà,giustizia e sicurezza, sul presupposto dell’elevato livello di fiducia e del mutuo riconoscimento fra gli stati membri.
Ciò non sarebbe alto che lo sviluppo di concezioni che per un verso costituiscono il substrato di una procedura e di un diritto penale comune europeo, sebbene ancora in piccola parte armonizzato e rendono meno attuali le preoccupazioni in tema di restrizione del principio di doppia incriminazione (in tal senso Salazar e Barazzetta). La convenzione di Dublino del 1996 ha eliminato la verifica della doppia incriminazione per l’associazione delinquere e per la conspirancy; la convenzione bilaterale Italia/Spagna del 2001n ha superato la doppia incriminazione per i reati di terrorismo,criminalità organizzata, traffico di stupefacenti,traffico di armi, tratta di essere umani, abuso ai danni di minori,nei casi di pena edittale che superi i quattro anni di reclusione.
Aggiungasi che dalla lettura combinata degli artt. 2 comma 2 e 8 DQ potrebbe circoscriversi addirittura tale ridimensionamento,in quanto l’A G dello stato di esecuzione ha il potere dovere di verificare se il reato come qualificato dall’autorità dello stato membro emittente rientri o meno in una delle categorie dell’art. 2 comma 2. in caso positivo,non procede al ulteriori indagini sulla qualificazione del fatto come reato secondo la propria legislazione, in quanto asseritamente il fatto costituisce reato secondo la legislazione straniera; nel caso in cui ritenga che la qualificazione straniera non sia riconducibile all’elenco dei 32 reati deve controllare se sussista la doppia incriminazione e, in caso si carenza, negare la consegna per l’art. 2 comma 4 DQ e art. 4 n. 1 DQ.
Il giudice italiano potrebbe ottenere dal giudice inglese la persona colpita da mandato di arresto per traffico di opere d’arte in base alla legge italiana 1089/39 come modificata, mentre il giudice olandese negherà l’esecuzione per un fatto qualificato dal richiedente come omicidio se rileva l’eutanasia (Barazzetta).
E’ appena il caso tuttavia di sottolineare, sinteticamente – data la sede di commento attuale – che l’espressione contenuta nell’art. 2 comma 2 DQ suona così “danno luogo (obbligatorietà) indipendentemente dalla doppia incriminazione per il,reato i reati seguenti …. quali defintii dalla legge dello stato membro emittente”.
Il giudice italiano, ad esempio dovrebbe verificare, secondo l’affermato in giurisprudenza più recente[19] jura novit curia sulla legislazione penale straniera, se la qualificazione, indipendentemente dall’esistenza del titolo straniero per l’arresto o per l’esecuzione della condanna,effettivamente preveda una fattispecie di reato che sia riconducibile all’elencazione contenuta nel comma II dei 32 reati.
Ora si sarebbe in presenza, seguendo l’apparente senso della norma europea, di una duplice verifica: la qualificazione affermata nel mandato e la effettività della correttezza di tale qualificazione. Per altro è appena il caso di cenare al alla legge italiana di riverbero interno della DQ la quale opera – unica fra i paesi europei – una parallela definizione delle indicazioni date dall’art. 2comma II della DQ, definizione peraltro non corrispondente in linea generale con la enucleazione degli elementi costitutivi, sia essenziali che accidentali, previsti in astratto e verificabili in concreto [20], corrispondenti alle singole fattispecie incriminatici lette in combinazione fra di loro nei rapporti, anche sotto il profilo del concorso apparente di norme e di specialità fra di loro, e come integrate dagli istituti di parte generale.
Da un’interpretazione razionale potrebbe derivare una conseguenza. Se il legislatore ha distinto fra una propria definizione delle categorie dei 32 e le singole fattispecie incriminatrici, in tal modo se la definizione ha un senso lo ha ai fini dell’ accoglimento quindi della delibazione della fondatezza della richiesta in base alla DQ e quindi in base al proprio diritto interno così come la DQ è stata attuata, nel senso che le definizioni costituirebbero un doppio filtro: un filtro nel caso di mandato di arresto nella fase propositiva,quinari attiva,sia nella fase passiva,nel senso che tali definizioni dovrebbero corrispondere alla qualificazione che fa ’ordinamento richiesto o l’ordinamento richiedente, vale a dire l’altro paese europeo.
Nel caso di mancata corrispondenza tra il fatto come ricostruito ad esempio dall’AG emittente il mandato e il fatto così come qualificato e dalla ulteriore corrispondenza, nel caso di risposta positiva alla prima corrispondenza, del fatto correttamente ricondotto alla qualificazione straniera con la definizione interna, la conseguenza sarebbe la obbligatorietà da parte dell’AG nazionale di una doppia verifica.
In dottrina [21] si è comunque sottolineato come da tali aspetti possa derivare un ulteriore interrogativo.
La dottrina cd. “debole” (Selvaggi a più riprese intervenuto acutamente su tale profilo) ha sottolineato come risarebbe una corrispondenza, sotto il profilo dell’attribuzione in tutti i paesi aderenti della natura di illecito penale ai fatti contenuti nell’elenco, così che si tratterebbe di una semplice esenzione dell’autorità nazionale di esecuzione e, riteniamo, anche di richiesta, in quanto i criteri dovrebbero essere i medesimi (si può chiedere quanto si può dare e sugli stessi presupposti giuridici); si tratta poi di valutare [22] la corrispondenza tra tali aspetti. Secondo tale dottrina sarebbe meramente precluso al Giudicante la verifca dell’effettività della doppia incriminazione,la quale sarebbe esistente – ad alcuni tratti la dottrina parla di esistente in linea di tendenziale armonizzazione – così che si darebbe corso ad una sorta di presunzione juris et de jure. E tale ragionamento sembra essere basato su un assunto – che allo stato non ci pare dimostrato – vale adire sull’assunto che si comunque, in materia di estradizione amplificata e non risarebbe in ogni caso un vulnus sotto il profilo della estensione della puni9bilità secondo lo stato di esecuzione, secondo i propri parametri, né di una perdita delle garanzie in tema di criteri di iscrizione della responsabilità per un verso e infine non vi sarebbe una elisione , una diminuzione della potestà punitiva e quindi della sfera territoriale od extraterritoriale di vigenza ed efficacia della legge penale del paese di esecuzione.
Sempre la dottrina ad orientamento debole ritiene che in ogni caso la DQ autorizzerebbe come di non esecuzione obbligatoria ma di esecuzione facoltativa – vale a dire se la legge del singolo paese m,ebro prevede di attribuire la facoltà o l’obbligo alla propria AG di escludere l’esecuzione del mandato di arresto e comunque di prevedere l’indagine sulla doppia punibilità ex art. 2 comma II DQ per i reati non inseriti nella lista, sia pur con il vincolo che la valutazione deve prescindere dagli elementi costitutivi i dalla qualifica del reato, in tal caso non sarebbe elisa la verifica della punibilità secondo la legge dello stato membro di e esecuzione del reato per cui è stato emesso il mandato di arresto.
Questo sarebbe l’elemento di salvezza dell’ordinamento penale dello stato di esecuzione il quale, se al di fuori della lista, ritiene di avere giurisdizione in base ai propri criteri interni di estensione territoriale o ai principi di universalità assoluta o temperata, di avere competenza, ovvero di ritenere che non sussista una corrispondenza in termini di qualificazione, il problema non si porrebbe. Secondo la lettura debole il cittadino europeo perderebbe solo la possibilità di non essere perseguito in relazione ad un fatto previsto dalla legge come reato dalla legge del luogo in cui è stato compiuto, rientrante nelle categorie ex art. 2 comma II DQ. Perderebbe un vantaggio che non è un diritto ma un mero riflesso della sovranità di ciascuno stato, mantenendo il diritto a non essere punito per un fatto non previsto dalla legge come reato nel momento e nel luogo in cui è stato commesso.
In altre parole, l’art. 25 comma II Costit. e l’art 7 CEDU opererebbero anche nel caso di fatti commessi in tutto o in parte in un paese membro diverso da quello di esecuzione qualificati o meno come reato dal paese di esecuzione. Infatti due potrebbero essere le ipotesi: ci potrebbe essere l’ipotesi in cui l’esame delle doppia punibilità dia esito negativo,in tal caso non verrebbe eliso l’art. 25 della Costituzione italiana,perché il fatto non sarebbe previsto come reato dalla legge nazionale, oppure se l’esame della verifica della punibilità avesse un esito positivo, la non esecuzione del mandato di arresto si giustificherebbe nel caso di permanenza della estensione della giurisdizione del paese di esecuzione.
Secondo la dottrina “debole”, se viene rimosso l’ostacolo territoriale a che il principio di legalità rientri nei confini di tutela individuale che gli sono propri,viene ampliato l’ambito territoriale di applicazione,non più ristretto nei confini dei singoli stati ma concepito come esteso al territorio allargato di tutti e 15 i paesi aderenti o 25. Viene rimosso l’ostacolo all’applicazione del principio di legalità costituito dalla tutela della sovranità statale che appartiene alla discrezionalità dello stato italiano medesimo in applicazione dell’art. 11 Costituzione (“l’Italia………………..”).
Leggasi tale interpretazione: continuerebbe a vigere il principio di territorialità cioè di applicazione della legge straniera, cambierebbe l’ambito di efficacia territoriale della decisione dello stato di consumazione del reato, la quale non avrebbe più lo schermo della territorialità sotto il profilo del rifugio. Quindi all’interno di un cerchio più ampio costituito dallo spazio di rilevanza o di riconoscibilità di una decisione giudiziaria vi sarebbe un cerchio più piccolo costituito dalla sfera territoriale come qualificata dall’ordinamento dello stato emittente di estensione della giurisdizione per fatti, secondo la propria legge,commessi nel proprio territorio ovvero negli accessori; ivi inclusa la possibilità che fatti vengano commessi in tutto o in parte all’estero (è il caso ad esempio delle disposizioni italiane che estendono la rilevanza penale per l’Italia e quindi la giurisdizione italiana a fatti commessi all’estero da cittadini o da stranieri per certi reati di rilevanza internazionale o ai danni di cittadini o di personalità dello stato italiano ovvero da parte di stranieri a danno dello stato italiano. Ma di ciò oltre.
La dottrina debole sotto il profilo della libertà personale, contemplata dagli artt.10 e 26 della costituzione osserva che le medesime prevedono già l’estradizione; che le norme ordinarie vigenti in materia di estradizione non hanno tutela costituzionale; l’estradizione come da lettera dell’art. 27 Cost. è regolata dalle convenzioni internazionali,sì che rilevano a livello costituzionale gli artt.10 e 11.
Sarà proprio la legge italiana, la legge di attuazione della DQ, a contemplare il mandato di arresto come uno dei casi in cui consentita la restrizione della libertà personale nonché i modi , i limiti ed i provvedimenti giurisdizionali atti a concretizzarla (Mambriani). Il fatto che il mandato provenga da un’AG straniera avviene già comunemente in materia estradizionale.
Vi sono poi la garanzia della motivazione, strettamente collegata ai gravi indizi di reità – analogamente all’art. 273 c.p.p. – e l’art.
8 comma I lettere e) e g), sebbene non chiedano l’esposizione degli elementi di prova su cui si fonda il mandato, impongono di indicare ….. e di descrivere le circostanze della commissione del reato, compreso il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato e, per quanto possibile, le altre conseguenze del reato.
Si tratta di una descrizione del fatto-reato e non di una vera e propria motivazione. Ciò è analogo a quanto previsto dall’art. 700 lett. A ) c.p.p. per l’estradizione non tradizionale,comunque è stato espanso in sede di attuazione,sia a livello attivo,ma anche ,
entro certi limiti, a livello passivo.
La motivazione non è richiesta nemmeno nella Convenzione di estradizione dle 1957. Si guardi l’art.12. Non era qui più richiesta la garanzia dei sufficienti indizi di colpevolezza in quanto tale requisito era surrogato dalla mèra esistenza del provvedimento restrittivo della libertà personale o dalla sentenza di condanna.
In tale prospettiva debole, l’ordinamento italiano costituzionale non dovrebbe essere adeguato e la normativa in tal modo sarebbe interpretata secondo buona fede.
Anche se non compito delle presenti note affrontare gli aspetti procedurali da piparti si è osservata l’applicabilità degli artt. 111 comma 7, 127 quanto meno sotto il profilo della medesima portata: udienza camerale. Si sono esclusi espressamente la parte della norma in commento nazionale degli artt. 273 comma 1 e 1bis, 274 comma 1 lettera )a e c),l’art. 280 c.p.p.; le previsioni contenute nella norma comporterebbero l’introduzione di un istituto parallelo all’art. 293. sarebbe chiaramente esclusa l’applicazione del riesame ex art. 409 peraltro essendo previsto un mezzo di impugnazione,così come richiesto dalla DQ; andrebbero integrate con la nuova disciplina tutte le disposizioni concernenti l’estradizione ed il riconoscimento delle sentenze dagli att. 656, 666 e segg. fino a 669, 698; vi sarebbe appunto l’istituto parallelo all’art.700 lettera a),701; sarebbe escluso l’art. 705 (secondo alcuni [23]ciò porterebbe profili di incostituzionalità);vi sarebbero previsioni parallele agli artt.716, 716, 706, 711, 732, 719 (è stato suggerito), 733. Comunque di ciò oltre.
Vi è comunque un profilo attraverso il quale la citata lettura debole n. 5 contrapposta a quella forte sinteticamente commentata potrebbe armonizzarsi con la lettura debole (Manacorda) nel senso di attribuire rilevanza –e qui vale la doppia alternativa che si é posta ai punti 1 e 2 – alla portata distinta tra obbligatorietà e facoltatività del contenuto della DQ.
Il contenuto sarebbe univoco; si caratterizzerebbe tuttavia non per indicazioni di carattere prescrittivi, ma per divieti posti ai singoli paesi. Di ciò oltre.
Si potrebbe enfatizzare la stessa elasticità della DQ che può sfruttarsi in chiave di tutela dei diritti individuali recependo, ad esempio, la causa di non esecuzione facoltativa di cui all’ art. 4 n. 1 DQ sul controllo di doppia incriminazione per le fattispecie che non rientrano nella lista dei 32 reati e interpretare il meccanismo della lista positiva di cui all’art. 2 comma II consentendo al Giudice di valutare se il reato per cui è richiesto l’arresto roent5ri nelle categorie,sia in astratto che in concreto, previste e, in caso negativo, applicare la doppia punibilità. Di ciò al successivo commento del testo della legge di attuazione.
Ciò espresso sinteticamente (nelle note si puntualizzeranno meglio gli aspetti problematici) non ci si può esimere dall’osservare che la opzione che caratterizza la DQ e pro parte executioinis la legge attuativa, volta a coordinare i punti e i principi del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle armonizzazioni risente di una sostanziale difficoltà. Il mandato di arresto presuppone il principio del riconoscimento extraterritoriale delle decisioni giudiziarie per fatti qualificati internamente come appartenenti alla giurisdizione territorialità del paese emittente. I criteri di estensione territoriale sono differenti. Sono differenti le qualificazioni, gli elementi costitutivi e le modalità tecniche di forma e mezzi e anche i meccanismi selettivi della rilevanza penale.
In molti paesi fatti vengono sanzionati penalmente, in altri con sanzioni amministrative o civili. La pura qualificazione di reato come discrimine non appare costitutiva di una armonizzazione[24].
Se il mandato di arresto presuppone il principio del mutuo riconoscimento di cui vuole essere una prima attuazione, il mutuo riconoscimento a sua volta comporta il principio del ne bis in idem processuale e del ne bis in idem sostanziale.
Il giudicato per un fatto impedisce il procedimento e il giudicato e il procedimento in altro paese per il ,medesimo fatto indipendentemente dalla sua qualificazione interna.
Potrebbe esservi in un paese,tuttavia, un giudicato amministrativo e ciò comporterebbe un problema di raffronto, analogo a quelli emergi con la nostra legge 689. contemporaneamente vi pot5rebbe essere un problema di bis in idem sotto il profilo della qualificazione o della pluriqualificazione di un medesimo fatto con diverse risposta sanzionatorie nell’ordinamento giuridico. Qui andrebbe aperta un’ampia discussione, cui ci limiteremo ad accennare in nota [25] sull’individuazione di materia penale,sulle sue difformità per quanto riguarda i diversi orientamenti della corte di Strasburgo e quelli più limitativi della corte di giustizia che ha adottato, sia pure in negativo una nozione minimale di materia penale.
La DQ e le norme di attuazione nazionali si connoterebbero per stabilire il discrimine su un άν di rilevanza penale, nel senso dimora attribuzione di marchio di disvalore a certe arre di comportamenti per un verso e ad una scelta minima di quantum sanzionatorio indipendentemente dal rapporto tra tale quantum sanzionatorio, il disvalore del reato e la coesistenza di diverse risposta sanzionatorie ad esempio sotto il profilo delle sanzioni amministrative o delle sanzioni civili o di sanzioni di genere diverso (si pensi al tema delle sanzioni comunitarie e delle qualificazioni e dei profili che sono stati trattati in materia sia dalla CEDU che dalla CGE[26].
Alla lettura debole del testo,tuttavia,corrisponde una lettura forte che poi induce interpreti come Manacorda a sottolineare la sostanziale bontà detesto,peraltro violentemente criticato da dottrina (Bruti Liberati in Guida al Diritto n.18 del 07.05.2005 p. 11 e seguenti; favorevole Randazzo, ibidem, p. 13 e seg.)
Un appunto: Mambriani era p.1 e seg.
Quando parlo della Cassazione penale prima in nota segnamo:Cass sez.fer. pen.13-14.09.2005 n. 33642 in Guida al Diritto,n. 38 del 01.10.2005,nota di Selvaggi p.74 e seg.;nota di Frigo p.76 e seg.; cass. sez VI pen 23-26.09.2005 n. 34355 in Guida al Diritto n. 41 del 2210.2005 ,note di Selvaggi p. 41 e seg.;Frigo p.86 e seg.; Cass.sez.VI pen, 26-30.01.2006 n. 3640 in Guida al Diritto n. 98 (??) del 29.04.2006,nota Selvaggi p. 101 e seg;nota ….??).
Dove parlo dell’art.709 mettiamo in nota App.Ve, sez IV pen, 16.09.2005
Prima dove ho citato le sentenze della Cassazione, App. Roma 17 .08.2005.
Dove cito la cassazione mettiamo App. Sa 25.08.2005; App.Ve 26.09.2006; Cass. sez.VI penale del 23.09.2005 ; App. Ve del 28.10.2005; Cass. pen 08.05.2006: il legislatore nazionale, con la legge nazionale attuativa del mandato di arresto ha ritenuto di assumere la disciplina italiana della custodia cautelare come esclusivo parametro di riferimento …. L’art. 18 lett. e) della L.69/2005 rifiuta la consegna se la legislazione dello stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva … per tale espressa previsione ostativa non appare legittima un’interpretazione sistematica e razionalizzatrice sul modello di quella recentemente e doverosamente operata da questa Corte VI n. 34355 del 26.09.2005 con riferimento alla condizione ostativa prevista dall’art. 18 (esigenza di motivazione del mandato di arresto europeo). Il principio di interpretazione conforme al diritto comunitario posta a fondamento del risultato ermeneutica di quella pronuncia trova il limite invalicabile affermato dalla corte europea di giustizia di Strasburgo, che pure quell’obbligo ha elaborato ed imposto ai giudici nazionali : “l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una decisione quadro nell’interpretazione di norme pertinenti del suo diritto nazionale cessa quando quest’ultimo non può ricevere un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito da tale decisione quadro. In altri termini, il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale” Corte di Giustizia in grandi sezioni in causa C-105/03 P. c/Italia 16.06.2005.
Ciò impedisce non solo di adottare un’interpretazione diversa da quella fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla chiarissima intenzione del legislatore nazionale (art. 12 prel.), ma anche di formulare alla Corte di giustizia di Lussemburgo una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità o sull’interpretazione delle decisioni quadro e…. sulla validità e sull’interpretazione delle misure di applicazione delle stesse (art. 34 TUE).
Anche la Corte di giustizia, alla pari del giudice nazionale trova l’indicato limite di compatibilità nell’adozione di un’interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto comunitario. Né appare percorribile la verifica di costituzionalità della norma da parte della corte costituzionale, in primo luogo perché essa riproduce una norma costituzionale (art.13 u.c. Cost.) e inoltre perché il non breve tempo necessario alla verifica costituzionale sarebbe paradossalmente pagato…… Questa corte di legittimità deve affermare che esiste una condizione ostativa voluta dalla legge nazionale che vieta di dar corso al mandato di arresto europeo. Rientra nell’esclusiva competenza del legislatore stabilire se quella condizione ostativa, vincolante ed insuperabile per la giurisdizione non debba essere rimeditata valutando se nel processo di progressiva formazione dell’UE nel rispetto dell’equilibrato bilanciamento dei principi stabili dagli artt.10,11 ,13,26 e 27 della Costituzione italiana non possano ritenersi equipollenti alla previsione legislativa italiana di limiti massimi di carcerazione preventiva e i meccanismi di controllo periodico ….che in altri ordinamenti europei assicurano concretamente la ragionevole durata della detenzione preventiva anche alfine lievitare sul piano giuridico l’insorgenza di difficoltà….
Come vedremo nel capitolo successivo è opportuno concentrarsi sui rapporti tra istituti del reciproco riconoscimento delle decisioni sul ne bis in idem processuale e sostanziale nonché sui profili relativi all’estensione territoriale ed extraterritoriale della legge del paese emittente.
Sembra di fatto essere stato sottovalutato il profilo concernente questa complessa situazione di rapporti fra principi. Il riconoscimento delle decisioni è un istituto diversamente regolato nei paese europei. Nel nostro paese l’istituto non è regolamentato, se non ai limitati effetti di cui all’art. 12 del c.p.,che meriterà una separata trattazione.
E’ pacifico che nel momento in cui si ritiene che sia valida l’affermazione del principio in base al quale le decisioni vadano reciprocamente riconosciute, ciò comporta un affidamento non tanto dsui principi di garanzia in ordine ai diritti individuali o della persona che sono parte integrante del Trattato TUE attraverso l’acquisizione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo,quanto all’affidamento che ciascun paese verso gli altri deve in tale prospettiva fare in ordine all’accettabilità nel contesto comunitario e da parte di ogni paese membro dei criteri di collegamento fra il fatto di reato e le norme di riconducibilità del medesimo fatto di reato alla giurisdizione nazionale.
Ciò data la diversità di detti criteri di collegamento,comporta una interferenza con il diritto penale sostanziale sotto il profilo dei rapporti fra l’ordinamento interno ed i collegamenti al locus commisi delicti con riferimento al territorio, ai soggetti e agli spazi di cui ad esempio nel nostro codice penale non tanto per l’art. 4 quanto per gli artt. 6 e segg.fino all’art. 11 che sono difatti oggetto…FINE NASTRO.
Cassetta 2b.
In questa prospettiva le osservazioni citate (Mambriani, Selvaggi) appaiono porre ulteriori riflessioni. Tali riflessioni possono essere meglio presentate dopo alcune considerazioni, che seguiranno,in tema di estradizione e in relazione al diritto penale sostanziale.
Esse tuttavia si impongono a prima vista proprio alla luce ,che dianzi si è cercato di spostare lievemente con riferimento al cosiddetto “doppio filtro” o doppio controllo di corrispondenza, anche con riferimento alla lista dei cd. 32 reati, appunto con riferimento all’esclusione dell’adozione del criterio di doppia o reciproca punibilità del fatto.
Ammesso che la clausola di sdoppia incriminazione appartenga per tradizione e sostanza all’istituto della estradizione essa nella maniera e nel momento in cui si aderisce al principio del mutuo riconoscimento delle decisioni,il quale presuppone e contemporaneamente comporta l’adozione del principio sostanziale del ne bis in idem,che a sua volta giustifica,basandosi sul presupposto della sufficienza e dell’alternatività di un accertamento del paese emittente rispetto a quello eventuale, avente giurisdizione,di richiesta, sposta il criterio della doppia verifica di punibilità,al di fuori dell’area dell’estradizione.
Storicamente l’estradizione costituisce una maniera politica o amministrativa o legale di collaborazione, prestando il proprio territorio alle esigenze della potestà punitiva del paese richiedente, senza nulla togliere all’estensione de3lla giurisdizione del paese richiesto.
L’obbligo,nella specie,tuttavia, di aderire ai criteri di collegamento tra fatto e territorio fisico o giuridicamente posto dal paese richiedente, sposta in maniera rivoluzionaria la trattazione da una situazione in cui il criterio di doppia incriminazione costituiva unicamente un profilo di ambito territoriale di esecuzione di una decisione data ove le potestà punitive e le differenze tra i criteri di estensione territoriale della responsabilità ponevano i limiti l’uno all’altra ad una situazione nella quale il paese che é raggiunto per primo o la promozione di un procedimento penale in base ai propri criteri di collegamento ovvero una decisione definitiva,sempre in base ai propri criteri di collegamento, pone in condizione lo stato di richiesta di rinunciare alla propria giurisdizione.
Come è stato acutamente osservato (Manacorda), è un’ impostazione processualistica che già, sia pur con importanti considerazioni, aveva connotato prima il Corpus Juris e poi il Libro Verde, connotato in ogni caso da fattispecie sostanziali poste a presidio di interessi delle collettività europee, ha spostato dalla angolazione sostanziale ad un’angolazione processuale,secondo un’impostazione post romanistica e comunque anglosassone le ragioni di fondo che muovono la DQ in commento.
Ci sia consentito, a questo riguardo rinviare ai nostri lavori.
A suo tempo è stato sottolineato in dottrina che le linee che hanno spinto alcuni orientamenti che hanno condizionato prima il GB e poi l’appostazione della presente DQ nonché alcuni passi dell’approvanda Costituzione europea, sono state condizionate dall’idea che il dato processuale, l’attribuzione in via diretta o in via delegata di azioni poste a presidio di beni di rilevanza diretta in quanto di titolarità diretta ovvero di rilevanza indiretta in capo all’UE, potesse comportare la cooperazione giudiziaria, potesse avere – con riferimento ad esempio ad un PM europeo a partire da Eurojust come dice l’apposita norma del progetto approvato di costituzione europea -una titolarità di azione penale da coordinarsi con il diritto nazionale dei singoli paesi aderenti.
A suo tempo la dottrina riteniamo attenta aveva osservato che non tanto per ragioni di conservazione della distinzione tra diritto penale sostanziale e diritto penale processuale, quanto per la cd. riserva di unità della giurisdizione, non potesse ammettere una scorporazione a livello di istituzioni europee fra il titolare di un’azione e il giudice che avrebbe dovuto decidere sulla medesima azione.
Nonostante le conversioni fra delle idee iniziali di accomunare una parte generale ridotta ad una parte speciale e a competenze attributive di titolarità di azione penale tipiche del CJ, poi in parte depotenziata nel cosiddetto GB sull’ istituzione del PM europeo, la quale prescindeva, rimettendosi con ciò sia al giudice nazionale che alle parti generali dei diritti nazionali per la elezione del diritto sostanziale applicabile,ha comportato una scelta quale quella emersa nella decisione quadro in commento di contrapporre la titolarità dell’azione e del diritto sostanziale nazionale alla equivalente titolarità dell’azione e del diritto penale sostanziale di ciascuno degli altri paesi membri., chiaramente sotto il profilo della affidamento di ciascun paese verso l’altro sull’applicazione del diritto penale sostanziale proprio con peculiare riferimento al locus commisi delicti.
Le rassicurazioni (Selvaggi, Mambriani, Deamicis…) date circa la conservazione delle garanzie costituzionali e dei principi di diritto,ivi inclusa la riserva di legge ed il principio di tassatività della legge e delle sanzioni, verificate a livello comune fra i paesi non appaiono sufficienti proprio alla luce della giurisprudenza.
Per quanto concerne la lista dei 32 reati il profilo si pone non dal punto di vista dell’ordinamento italiano,ma dal punto di vista di qualsiasi ordina,mento nazionale.
Vi sono alcuni paese che hanno recepito senza modifiche o senza diverse articolazioni la lista e i dettami contenuti nella DQ. Essendo ad esempio fra le potestà facoltative che la DQ affida ai vari paesi inclusa la facoltà di prevedere in un legittimo caso di rifiuto dell’esecuzione di un mandato di arresto o di decisione esecutiva di una sentenza passata in giudicato in un paese emittente,anche nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso al di fuori del territorio dello stato richiedente e al di fuori del territorio dello stato richiesto la possibilità di prevedere il rifiuto viene condizionata nella DQ alla assenza di giurisdizione del paese richiesto.
Se spostato sotto il profilo obbligatorio, ciò vuol dire che il paese richiesto potrebbe dare esecuzione ad esempio a seguito di un mandato di cattura tedesco nei confronti di un cittadino italiano che avesse in ipotesi offeso la bandiera tedesca attuale o datata nei decenni, essendo il paese terzo rispetto ad esempio al luogo italiano di consumazione del reato, non avendo giurisdizione sul medesimo fatto,il paese potrebbe essere obbligato o ritenersi facoltizzato a dare esecuzione al mandato di arresto.
Ciò porrebbe chiaramente dei profili importanti e comunque delle riflessioni circa il concetto di cittadinanza europea cui il paese di eventuale esecuzione del fatto,nell’ipotesi coincidente,ad esempio, ma anche se ciò potrebbe non darsi,con il paese di cittadinanza, non avrebbe alcun tipo di coinvolgimento processuale. Il medesimo paese dovrebbe poi rispettare il giudicato e,se il fatto –cosa che non è nell’esempio dato,ma che ben potrebbe darsi –fosse passato in giudicato dovrebbe riconoscere l’eseguibilità della sentenza, in ipotesi anche all’in6terno del proprio paese.
Questo è un ipotesi,ad esempio non prevista ma che comunque dimostra come i profili di estensione sostanziale del fatto di reato possano affrontarsi.
L’insulto alla bandiere nazionalsocialista consumato in Italia potrebbe sicuramente essere non plaudito, ma alla luce della costituzione repubblicana considerato assolutamente irrilevante e ciò nonostante sottratto ad ogni forma di sindacato, in quanto nell’ ipotesi di richiesta, ad esempio, da parte della Bulgaria di esecuzione del mandato di arresto emesso dalla medesima su richiesta dell’Autorità germanica non consentirebbe alcuna forma di opposizione.
Anche l’esempio fatto circa l’eutanasia, salve le dichiarazioni contrarie effettuate, potrebbe incrociarsi con moltissimi altri profili, ad esempio per …….…. di reciproco o multilaterale diverso trattamento amministrativo, civile o penali delle medesime situazioni. A prescinder e, anzi,direi in contrasto con le indicazioni strutturalio sia della Corte Europea di Strasburgo che della Corte di Giustizia.
Conviene fare un esempio tratto da due casi diversi. La sentenza del Tribunale di Amsterdam,sezione assistenza giudiziaria internazionale del 10.03.2006 peraltro pubblicata anche su Guida al Diritto n. 3 di maggio-giugno 2006 da pag. 87, con commento di N.Gatto, si basa su una richiesta di esecuzione di una sentenza 15.02.2001 della C. App.Milano,con un titolo esecutivo del 25.06 della Procura generale di Milano per una pena di 5 anni, 2 mesi e 8 gg. Nella richiesta su un cittadino tunisino senza fissa dimora in Olanda non vi è indicazione dell’appartenenza dei fatti di cui a condanna alla lista dei cd. 32, cosìcché il tribunale olandese deve valutare la reciproca incriminazione per violazione, agli affetti olandesi dell’art 2 comma I lettere b) e c) della sostituita Legge olandese sugli stupefacenti. L’art. 12 della legge olandese escluderebbe la consegna agli effetti di una sentenza contumaciale senza che l’imputato sia stato informato, in presenza peraltro di una sentenza contumaciale italiana.
Attraverso l’esame degli atti allegati al fascicolo il Tribunale ritiene che vi sia stato l’effettivo avviso la rappresentante ai sensi della legge italiana,vale a dire al suo difensore (di tali profili infra); in ogni caso da una situazione semplice nella quale il giudice olandese ha ravvisato il requisito della doppia incriminabilità,con ciò superando la inclusione nel catalogo dei 32 reati della fattispecie ma superando e spostando dall’elenco obbligatorio all’elenco facoltativo prevedente la clausola di doppia incriminabilità con riferimento alla mancata allegazione dell’appartenenza a tale lista [27],ci si trasferisce alla ben più complessa questione affrontata dalla Corte di App. di Pau, Chambre de l’instruction, con la sentenza del 1° gennaio 2004.
A fronte di un mandato di arresto emesso dall’Udiencia National de Madrid,organo competente in grado di conferma di cui infra, per il diritto di partecipazione ad organizzazione terroristica e punito agli artt. 515 II,516 I del c.p. spagnolo del 1995, con la pena superiore a tre anni, la Corte verificava che l’art. 695/23 del c.p.p. francese prevede il diritto di partecipazione ad un’organizzazione criminale terroristica.
A fronte dei rilievi difensivi dell’eventuale violazione dell’art.8 comma I DQ e del 5 par. 2 della Convenzione dei Diritti dell’uomo e delle Libertà, nonché per la emissione del mandato per perseguire opinioni politiche nonché l’esecuzione di parte della condotta sul territorio francese la Corte francese considerava anche che nella richiesta di emissione dell’esecuzione del mandato si parlava di atti in favore di un’organizzazione terroristica commessi sia in Spagna (San Sebastian) che in Bayonne (Francia). Visto che il novellato art. 695/24 del c.p. francese prevede che l’esecuzione di un mandato di arresto europeo può essere rifiutata se i fatti sono commessi in tutto o in parte in territorio francese e da un cittadino francese, la Corte ha ritenuto di respingere la richiesta.
La decisione fu confermata dalla Corte di cassazione di Parigi con sentenza dell’08.07.2004,contro il ricorso del Procuratore generale presso a Corte di appello di Pau.
La legge di attuazione francese 204/2004 novellò il 695 del c.p.p. interpolando 40 nuove disposizioni dal 695/11 al 695/51. Il mandato di arresto era basato su un ordine di cattura spagnolo 11.03.2004 in un procedimento penale per la partecipazione ad organizzazione terroristica,reato punito dagli artt.515 -2 516 -1 del c.p. spagnolo con 12 anni di reclusione, compreso peraltro nella lista delle condotte per la quale la DQ ha escluso il controllo della doppia incriminazione[28].
In conseguenza, non tanto per l’eccezione sul delitto politico,sia pur prevista dagli artt.3 e 4 della DQ e delle disposizioni di attuazione del c.p.p. francese /22/23/24 né per il processo discriminatorie ex considerando il n. 10 DQ,per quanto concerne i motivi di discriminazione non previsti nella DQ , valeva il rifiuto del punto 24 terzo comma del c.p.p. come proiezione del principio generale di territorialità di cui all’art.113 secondo comma prima parte del c.p. francese (la legge penale francese è applicabile agli illeciti commessi sul territorio repubblicano,nonché se l’azione criminosa è commessa in tutto o in parte sul territorio francese)-.
Si tratta di una facoltà prevista dall’art. 4 n. 7 lett. a) DQ e in molte convenzioni internazionali sulla cooperazione giudiziaria fra stati. Per l’estradizione l’art. 7 par. 1 della Convenzione europea del 1957:”la parte richiesta potrà rifiutare di estradare la persona reclamata per un reato che secondo la propria legislazione è stato commesso in tutto o in parte sul proprio territorio o in luogo assimilato a questo”.
Per quanto riguarda la disciplina del ne bis in idem internazionale, l’art.55 per 1 lettera a) della Convenzione di applicazione dell’accordo di Shengen 14.06.1985 prevede che una parte contraente può in sede di ratifica accettare o approvare la presente convenzione dichiarando di non essere vincolata all’art. 54 quando i fatti oggetto di una sentenza straniera siano avvenuti sul suo territorio in tutto o in parte.
La corte di appello rifiutò, in vista della clausola di rifiuto facoltativo ex punto 24 III comma del c.p.p. modificato,con conferma da parte della Cour de Cassation per il combinato disposto del 694.24 III comma e 113 II comma seconda parte del c.p.,che subordina l’affermazione della giurisdizione territoriale alla verifica che la condotta contestata nel mandato integrasse una fattispecie penalmente rilevante secodo la legge francese.
L’art.113 II comma c.p. prevede che l’illecito è commesso sul territorio francese sei l fatto costitutivo ha avuto luogo nel suo territorio. Era necessario per il giudice di legittimità verificare che anche per il diritto francese il fatto fosse illecito,pena la violazione del principio aut dedere aut judicare.
Nel caso di specie,l’applicazione della regola della territorialità e quindi di rifiuto non integrava secondala legge penale francese l’elemento costitutivo di un reato in quanto manifestazione di mèra adesione ad un’organizzazione terroristica spagnola.
La riserva di territorialità prevista dal 695/24 III comma c.p.p. consente alla Francia di non eseguire il mandato emesso da altro stato senza preliminarmente accertare se i fatti per i quali esso è stato emesso abbiano rilevanza secondo il diritto penale interno,né tentomeno se per gli stessi fatti è stata esercitata azione penale o è pendente un procedimento penale.
Secondala Corte francese la clausola di rifiuto basata sul principio di territorialità può essere applicata anche in carenza di doppia incriminazione dei fatti per i quali è stato emesso il ,mandato di arresto europeo.
L’interpretazione letterale è confermata dall’interpretazione sistematica delle norme del c.p.p. penale sull’esecuzione del mandato di arresto. L’esecuzione di un mandato di arresto europeo può essere respinta se per i fatti …… quando il rifiuto dell’esecuzione di un mandato di arresto presuppone l’applicazione della legge penale francese,ciò deve essere espressamente previsto nel codice di procedura penale.
In questo caso la Francia ha respinto,pur in presenza dell’ inclusione del reato nell’elenco dei 32 reati senza verificare il requisito della doppia incriminabilità, seppure accertato negativamente in via incidentale, ma in quanto il criterio posto come prioritario è quello di territorialità in quanto la giurisdizione francese,pur in astratto competente sotto il profilo territoriale, non avrebbe potuto esercitare l’azione penale.
Ipotesi interessante quella riattata prima del mandato di arresto europeo dalla V sezione penale della corte di appello di Milano nel procedimento di estradizione verso A.M.,algerino,detenuto,per i reati di associazione per delinquere con finalità di terrorismo,falsificazione di documenti amministrativi,aventi tutti in via principale o secondaria finalità di terrorismo a seguito di mandato di cattura dell’ufficio istruzione del tribunale di Parigi, contesto nel quale emergeva una rete su scala internazionale, coordinata da Londra ed operante in Olanda,Italia e Svizzera, nonché per la Francia disponente di più strutture sia in Parigi che nella Francia sud orientale,con centro a Marsiglia; vari traffici con l’Algeria costituenti una struttura per la falsificazione di documenti amministrativi e il rifornimenti di armi e munizioni, aderendo all’ideologia del taf kir val ira, ma legata a membri del GIA, in concorso o collegamento con militanti italiani e svizzeri con specializzazione nel traffico di armi e nella falsificazioni di documenti.
Ai sensi dell’art.700 c.p.p. pervenivano alla Corte di Milano tutti i documenti previsti ……….quali ipotesi criminose previsti e puniti in entrambi gli ordinamenti e in Francia con la reclusioni fino a 10 anni, applicandosi alla fattispecie sia la Convenzione europea di estradizione 13.12.1957,esecutiva con legge 30.01.1936 n.300, sia la Convenzione europea sul terrorismo del 27.01.1977,esecutiva in Italia con la legge 26.11.1985 n.719 non ostando in tale sede la eventuale natura politica dei reati,peraltro non prescritti.
A fronte della eccezione che il reato di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale sanzionato in Italia con il 270 bis c.p. e considerato per elaborazione giurisdizionale posto a tutela del bene giuridico dell’ordinamento costituzionale dello stato italiano, avrebbe avuto irrilevanza penale per quanto riguarda le pari attività verso un ordinamento straniero
Analogamente si sosteneva a norma francese dell’art.421 del c.p. che riferendosi all’ordine pubblico andrebbe considerata esclusivamente rispetto all’aspetto nazionale interno. Essendo le attività, semmai, mirate verso lo stato algerino in reati avrebbero natura politica e non terroristica. La procura di MIlano si limitava a contestare l’associazione per delinquere ex art. 416 del,c.p.
Pur condividendosi dalla difesa, rectius :Corte di Appello, l’interpretazione dell’art. 272 bis c.p., senza che rilevasse il riferimento all’art. 421 c.p. date le differenze fra il concetto di ordine pubblico e di ordinamento costituzionale, ad avviso della corte l’AG francese procedeva per fatti accaduti in Francia indipendentemente dagli obiettivi e per tali fatti erano state formulate ipotesi di reato di cui andava trattato.
La prima (art.421.2.1) prevede come reato di terrorismo anche l’associazione volta alla preparazione di uno degli atti specifici previsto dalle norme precedenti e,per quel che qui interessa,anche il falso in documenti;mentre l’art. 450.1 prevede l’associazione per delinquere semplice con una pena massima di 10 anni.
La Corte riteneva che anche gli atti incriminati da entrambe le legislazioni – italiana e francese- sia pure a titolo diverso, fossero rivolti ad uno stato terzo,ciò non avrebbe impedito la procedibilità.
Il falso,inserendosi tra i reati di terrorismo determina solo un aumento di pena ed essendo principio pacifico l’indifferenza,ai fini dell’estradizione,della diversità del regime sanzionatorio di un reato o della disciplina delle relative aggravanti (Cass. 09.04.1984) conta non la qualificazione giuridica del reato ma la rilevanza penale del fatto in entrambi gli stati; né si richiede che il fatto debba costituire lo stesso reato così come nella relazione al codice penale;né che si a egualmente sanzionato.
Il delitto di associazione per delinquere allo scopo ricommettere dei reati contro gli stati Uniti è considerato già nel 1972 (cass. 15.12.1972 in Giust.pen,73, II,408) rientrante nel delitto di associazione per delinquere ex 416 c.p.e che l’associazione per commercio di stupefacenti – già punita in Francia ben prima della previsione italiana- nel 973 venne ritenuta dalla corte di cassazione (sent. 30.11.1973) corrispondente al reato ex art.416 c.p. in quanto nel diritto francese soltanto qualificata dal fine specifico.
Date le finalità politiche che caratterizzano i reati, ai sensi dell’art. 11 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo essi non vengono considerati politici ai fini dell’estradizione, ma è richiamato l’art. 15 della convenzione europea di estradizione 13.12.1957 per il quale sarebbe comunque necessario il consenso italiano con le garanzie della fattispecie di cui all’art. 711 per la ventilata espulsione in Algeria.
L’imputato è anche come tale in Italia per il 416 1,2 e 4; 81; 482, 463 -2; 64 b) c.p. e 9, 10 e 12 L. 497/74 per reati commessi dall’ottobre 1997 sino all’arresto,analoghi a quelli perseguiti dall’Autorità francese,pur distinguendosi per il luogo di commissione e per il tempo.
La Corte accoglieva le istanze francesi.
Sempre con riferimento alle citazioni di cui prima della Cass. penale e della giurisprudenza metterei in nota: per tutti e per la situazione giurisprudenziale italiana per una completa panoramica della giurisprudenza G. Deamicis (p. 760 e seg,”Attuazione del andato di arresto nell’ordinamento italiano” in Giur.merito, fasc. 3-2006;”Al via in Italia il mandato di arresto UE”,in Diritto e Giustizia, fasc. 19 del 14.05.2005 p.58 e seg.; ibidem D & G n. 10/2005; n. 44/2004; n. 40/2004 ; n.39/2004; n. 24/2004; n.18/2004 e n.9/2004; D.& G n. 46/2003; n.30/2003; 19/2003;15/2003) il quale sottolinea che il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie sarebbe costituzionalizzato con il principio accolto nel Trattato europeo sottoscritto a Roma il 29.10.2004 e ratificato dall’Italia con legge approvata il 06.04.2005 DDL 3269/S. Per considerazioni anche sull’accordo Italia/Perù 24.11.1994 ratificato con legge 135/2004 nella quale é prevista, fra i rifiuti dell’estradizione, la mancata garanzia dei diritti minimi di difesa, sull’argomento Cass. VI sez., 18.02.2002 n.6884/04). Ancora: Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a new York il 19.12.1966 e ratificato con L. 881/1977; art.73 legge federale tedesca 21.07.2004;art. 2 L. belga 22.12.2003.Da approfondire il testo della L. 11/2005 italiana. Ancora: Kaas, “Convenzione di applicazione dell’accordo di Shengen, ratificata in Italia con L.388/1993”.
NOTA:
quando in precedenza nel testo si parla di presunzione in corrispondenza, accanto a Selvaggi in senso favorevole metterei A.Negrelli “Problemi applicativi del mandato di arresto europeo nell’ordinamento italiano”, cit.; contra Gualtieri, “Mandato di arresto europeo davvero superato …”, cit.; conforme Rosi “L’elenco dei reati nella Decisione” cit; conforme Cassese “mandato di arresto europeo e costituzione” in Il Mulino on line – Quaderni Costituzionali 16.11.2003; Cassese “Il recepimento da parte italiana” cit; Albanese – De Amicis “Via Libera …” Guida al Dir. 2002 cit.
Quando parlo di clausola-passerella di spostamento tra il primo e il terzo pilastro (cfr P. Balbo “I temi giurisdizionali nazionali di fronte all’interpretazione del mandato di arresto europeo”,in Altalex, la quale, a prescindere dalla questione della tutela germanica del cittadino e della nozione di reato politico,rammenta come la CGE adita per dirimere questioni pregiudiziali (sent 16.06.2005 punto n. 4) e cause C-176/03; C-105/03 del 16.06.2005 (ambiente): “l’adozione nell’ambito del terzo pilastri che attiene alla cooperazione politica e giudiziaria in materia penale – Titolo VI – trattato UE consente la progressiva adozione di misure per le norme minime relative agli elementi costitutivi del reato e della sanzione. A tal fine uno degli strumento previsti è da DQ, la quale al pari delle direttive del I pilastro comunitario è vincolante quanto al risultato da ottenere e lascia all’Autorità nazionale la scelta delle forme e dei mezzi. Causa c-105/03 del 16.06.2005
Causa C-176/03: “
In causa Pupino (C-105/03) l’art. 1 II e III comma del Trattato sull’UE dispone che tale trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione che impone tutte le misure generali e particolari in grado di garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell’UE e se non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale sarebbe vano. Il principio di interpretazione conforme si impone riguardo alle DDQQ adottate nell’ambito del Titolo VI del Trattato dell’Unione. Applicando il diritto nazionale il Giudice di rinvio è chiamato ad interpretare quest ultimo ed è tenuto a farlo, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della DQ al fine di conseguire il risultato perseguito da questa e di conformarsi ai sensi dell’art. 34 n. 2 lett b) UE (cfr. P Balbo “Il mandato di arresto europeo baricentro tra mutuo riconoscimento penale virtualee reale”,su Altalex; P.Balbo “Il mandato di arresto europeo secondo la legge di attuazione italiana” Giappichelli Torino,2005 p. 99 e seg.; cfr N. Bortone “Mandato di arresto europeo e tipicità nazionale del reato” 2003; M. Pedrazzi “Mandato di arresto europeo e garanzie della persona” 2004; Aito-Bellucci-Cimadono-D’Angelo-Dalia-D’Araio-Dellamonica-Cialdo- Marchiaro-Nicastro-Sammarco-Troisi “Mandato di arresto europeo e principio di consegna” 2005; A. Fabbricatore “Prime osservazioni sul mandato di arresto europeo”;D. Manzione “il mandato di arresto europeo e la procedura di consegna tra gli stati dell’unione europea”,Convegno Lucca 24-25-05.2004; cfr. Stefa in Il diritto di tutti”,Giuffré.
In generale sui rapporti tra Corte di cassazione e Corte di Giustizia CE vd. A. Natalini “Gli irrisolti contrasti tra penalità interna e diritto comunitario. L’abusiva raccolta di scommesse e gli arroccamenti delle SSUU” in Cass. pen. 2004, 10, 3121C. Commento a Cass. pen 2004. In generale sul mandato F. D’ Elia, Primo via libera al mandato di arresto europeo, in Osservatorio Parlamentare, Italia Oggi 27.05.2004.
Sempre nel famoso elenco di sentenze citate di merito e di Cassazione mettiamo anche App. VE 26.09.06.
Si sono fino adesso espresse alcune linee tendenziali che hanno caratterizzato le contrapposizioni nel contesto dei primi commenti all’esito della DQ nonché all’esito delle attuazioni interne dei medesimi contenuti.
Dedicheremo un separato capitoletto all’inquadramento con riferimenti ai commenti della Commissione europea dell’istituto nelle diversificazioni che caratterizzano i vari paesi.
In questa sede e fatto il quadro che precede è opportuno concentrarsi su alcuni aspetti di differenziazione della legge interna rispetto ai contenuti della DQ.
Sul tema dell’adattamento del mandato di arresto europeo nella legge attuativa della DQ sono stati esaminati tanto i profili di convergenza fra le medesime quanto le varianti delle legge attuativa rispetto alle prescrizioni della DQ.
In questo contesto potranno dedicarsi alcune osservazioni con riferimento ai casi di rifiuto dell’ esecuzione, ai temi già anticipati e tratteggiati in linea generale sotto il profilo della incisione strutturale che si hanno sui temi che ci occupano e al riguardo varrà la pena di studiare con maggiore attenzione il principio del ne bis in idem e quello del reciproco riconoscimento delle sentenze.
Va osservata la curiosità che il principio o concetto o nozione generale di ne bis in idem è e rappresenta tanto il presupposto dell’adozione del mandato di arresto europeo, inteso come corollario e conseguenza del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, tanto il contro-limite alla medesima estensione nel contesto del territorio europeo del m,medesimo concetto di ne bis in idem.
Il ne bis in idem costituisce difatti il limite dell’esecuzione del mandato di arresto europeo sia per l’art. 3 della DQ sia per l’art. 8 in tema di consegna obbligatoria del testo della L. 69/2005. Per l’art. 3 della DQ motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo) è fatto divieto sia all’Ag dello stato membro che a fortiori allo stato membro in sede di normazione interna di eseguire il mandato di arresto europeo – e ciò in base al n. 2 – se la persona è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno stato membro. Anche la previsione di cui all’art 3 n. 1 – vale a dire del divieto di esecuzione del mandato di arresto europeo e quindi9 laprevis9oonedeòllanecessaria e legittima opposizione al riconoscimento della decisione giudiziaria straniera – è contemplato nell’ipotesi in cui il rapporto giuridico che lega la potestà punitiva dello stato richiesto rispetto ai diritti del soggetto che ha commesso i fatti di reato è coperto da amnistia,vale a dire se il rapporto giuridico è stato definito in modo irrevocabile con legge dello stato ricevente.
Per entrambi i numeri 1 e 2 è tuttavia necessario c che vi sia la giurisdizione dell’autorità all’interno della quale il rapporto si è definito in via incontrovertibile.
L’espressione è “se quest’ultimo era competente a perseguire il reato secondo la propria legge penale”. Il n. 2 si caratterizza per una differenziazione. Lo stato di esecuzione può eccepire la avvenuta definizione del rapporto giuridico attraverso una cosa giudicata contenuta in una sentenza definitiva per gli stessi fatti pronunciata da qualsiasi stato membro, a condizione che il rapporto giuridico sia stato definito non soltanto traverso la decisione passata in giudicato, ma traverso l’esecuzione della pena vale a dire –secondo l’espressione della DQ – se la sanzione,in caso di condanna sia stata applicata o sia in fase di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello stato di condanna. E’il caso della amnistia, della prescrizione o dell’ intervento di una causa di non punibilità.
Lo stato di esecuzione rappresenterebbe lo stato di condanna opponendo l’intervenuta definizione del rapporto giuridico a qualsiasi stato richiedente.,
In questo caso (vale a dire il n. 2) non è espressamente – e riteniamo è esclusa la possibilità di ritenere che si trattai di un requisito implicito – prevista la giurisdizione dello stato di esecuzione. Riteniamo che lo stato di esecuzione a sua volta non possa richiedere il riconoscimento di una decisione pronunciata per gli stessi fatti nell’ipotesi in cui preesista la avvenuta definizione altrove del rapporto giuridico.
Il profilo più ampio che si manifesta a questo punto del commento non appare il principio del ne bis in idem quanto il principio dell’avvenuta definizione, secondo la strumentazione giuridica del paese di prima definizione del rapporto giuridico, del rapporto potestà punitiva – soggetto e conseguentemente il profilo della più veloce circolazione dell’avvenuta definizione del rapporto, presenti certe condizioni.,
Vi è tuttavia come vedremo una prescrizione debole contenuta nel testo della DQ sempre in materia di tutela del principio della previa definizione del rapporto, vale a dire del bis in idem sostanziale, previa la tutela del bis in idem processuale.
La tutela più debole è rappresentata nell’art. 4. Stiamo affrontando un profilo completamente differente da quello della doppia incriminazione. Ricordiamo che l’art. 2 della DQ al comma II stabilisce che devono dar luogo a consegna in base la mandato di arresto indipendentemente dalla doppia incriminazione i reati contenuti nella lista dei cd. 32. All’art. 4 della medesima disposizione si facoltizza tanto il paese di futura attuazione della DQ quanto il giudice – ed è chiaro che il paese potrà a sua volta avvalersi di tale facoltizzazione a sua volta facoltizzando, vale a dire attribuendo una serie di discrezionalità al magistrato ovvero stabilendo obbligatoriamente con alcune -in caso negativo – frizioni con il principio visto in negativo e per reciproco della obbligatorietà dell’azione penale . a non dare esecuzione al mandato di arresto nell’ipotesi in cui il paese di attuazione abbia ritenuto di adottare la clausola della doppia punibilità Vi è da notare che l’art, 2 punto 4 della DQ dice che la consegna può essere subordinata (e chiaramente la disposizione è indirettamente operativa nell’ordinamento di riferimento nazionale e direttamente operativa verso il paese di competenza) essere subordinata a che i fatti costituiscano un reato ai sensi della legge dello stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso. E’ fatto in altri termini divieto allo stato ed alla sua autorità nazionale (nell’ipotesi in cui essa possegga margini di discrezionalità vincolata rapportabili per il nostro ordinamento all’ art. 132 bis del c.p. nonché ai principi contenuti nell’O.G. in materia) di andare oltre ad un giudizio di pura esistenza di una rilevanza penale che sta di fatto all’interno di ogni ordinamento senza potere contrapporre e raffrontare gli elementi costitutivi interni o la qualificazione giuridica interna dell’illecito penale con la sua qualificazione come illecito penale contenuta o nella lista dei 32 reati di cui all’ art. 2.2. DQ o in via residuale a tutti i reati che in vìa negativa vengono previsti oltre i 32 di cui alla lista.
Si noti che l’art. 3 (Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo) non contiene un’espressione quale quella dell’art. 4 comma I “in uno dei casi di cui all’art. 2 paragrafo 4” e sembrerebbe in tal modo dettata anche per i reati contenuti nel catalogo. Il principio del ne bis in idem o della prima definizione del rapporto sarebbe pertanto facoltizzante la opponibilità alla esecuzione prevista in linea generale dall’art.2.2 della DQ.
Un riconoscimento più debole ed attenuato del ne bis in idem è contenuto, si diceva, nell’art. 4. Può rifiutare di eseguire il mandato europeo (art.4 comma II) se contro la persona oggetto del mandato è incorso un’azione nello stato membro di esecuzione per il medesimo fatto ovvero se nello stato membro si è deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del mandato di arresto europeo o di porvi fine o se la persona è stata oggetto in altro stato membro di una sentenza definitiva per gli stressi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni. E’ immediatamente da notare un contrasto fra l’art. 3 comma II e l’art. 4 comma III ultima parte. Il bis in idem processuale in altre parole,dall’art. 4 comma II non è imposto ma è semplicemente facoltizzato, nel senso che il paese di attuazione ed in ipotesi di richiesta di adesione al mandato di arresto potrebbe non avvalersi, sia a livello normativo sia a livello operazionale,di questa clausola di opposizione e quindi qualora anche fosse da lui in corso un’azione per lo stesso fatto potrebbe prevedere di privilegiare il procedimento penale o l’esecuzione della decisione giudiziale, del paese richiedente, rinunciando o – e questo è il problema che si apre – procedendo autonomamente con il rischio di conflitto di giudicati.
E’ opportuno tuttavia ritornare all’apparente o reale difformità tra il comma 3 dell’ art. 4 e il comma 2 dell’art. 3.
Se il rapporto giuridico nello stato richiesto è stato definito attraverso la decisione obbligatoria o discrezionale di non esercizio dell’azione penale la quale può, a seconda dei paesi essere di competenza del PM ad esempio attraverso l’esercizio di una discrezionalità nell’esercizio dell’azione per tenuità del fatto ovvero attraverso dei meccanismi deflativi che non richiedono intervento del giudice (su ciò ampiamente si è a più riprese ed ampiamente pronunciata la Corte di Giustiziae vi torneremo) ovvero dice la disposizione di porvi fine.
Resta il problema se vi sia una discrezionalità ed una facoltà di non opporsi al mandato di arresto qualora la persona sia già stata oggetto (ultima parte del comma III dell’art.4) in altro stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti. La formula pare ricalcare quella di cui al comma 2 dell’art. 3 dove si parla di persona che è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno stato membro. In tale comma 2 compare l’espressione “sempre che la sanzione sia stata applicata” mentre tale,espressione mancherebbe nel comma III dell’art. 4.
L’interpretazione immediata potrebbe consistere nel ritenere che il comma III nell’apparente contrasto con il comma II si riferisca ai casi di mancata esecuzione della decisione giudiziaria nello stato membro di definizione in via definitiva ed incontrovertibile del rapporto giuridico.
Un’altra lettura potrebbe invece essere quella di ritenere che l’art. 3 si riferisca ai casi relativi alla lista dei 32 reati, mentre limitatamente ai reati non previsti nella lista opererebbe tale tutela più debole del bis in idem, avvenuto in uno stato terzo.
Il comma IV dell’art. 4 si può inquadrare e nel medesimo discorso della tutela depotenziata del principio del bis in idem. Se l’azione penale o la pena è caduta in prescrizione secondo la legislazione dello stato membro di esecuzione il medesimo può –ma non è tenuto necessariamente – a opporre la avvenuta definizione secondo la propria normativa del rapporto attraverso l’istituto della prescrizione su cui separatamene si farà commento.
La condizione pur tuttavia è quella che vi sia la competenza in base al proprio diritto penale dello stato che si avvale della prescrizione, vale a dire che l’art. 4 presuppone un concorso di giurisdizione sui medesimi fatti, al fine di eccepire la prescrizione secondo lo stato di esecuzione.
Attraverso l’adesione a tale facoltà prevista dall’art. 4 lo stato di esecuzione o attraverso la legge di attuazione che facoltizza la propria autorità giudiziaria o attraverso l’esercizio discrezionale di tale facoltà nel caso in cui il diritto interno la lasci libera, comporterebbe la rinuncia ad un’azione peraltro eventualmente in presenza del principio di obbligatorietà dell’azione penale in presenza della giurisdizione prevista dal proprio diritto penale che si interseca e va a costituire un momento comune rispetto a quella dello stato richiedente. Il medesimo fatto appare presupposto della norma nella sfera di estensione territoriale in base ai rispettivi diritti interni di entrambi i paesi che qualificherebbero il medesimo fatto di disvalore penale.
Tale presupposizione è peraltro contenuta anche nel commi II e III dell’art.4
Il comma V dell’art. 4 fa riferimento al paese terzo. La tutela, del ne bis in idem conseguito attraverso la definizione del rapporto giuridico in un paese terzo è vieppiù depotenziata essendo una pura facoltà di elezione del paese richiesto. L’unica condizione è l’avvenuta applicazione o la esecuzione o la giuridica improponibilità dell’esecuzione in base alle leggi del paese di condanna della medesima decisione.
Sempre nel solco delle facoltà previste esclusivamente al di fuori dei reati di cui alla lista dei 32 è contenuta nel comma VII lettera a) e b).Qui compare ed è interessante tale aspetto, la nozione di territorio distinta da quella di giurisdizione degli stati,con ciò ricalcandosi un’espressione tipica del regime convenzionale.
Può essere rifiutata l’esecuzione nei casi previsti dall’art.2 comma IV cioè per i reati non contemplati dal paragrafo 2 comma II se il mandato di arresto derivi da reati che per lo stato membro di esecuzione sono considerati commessi in tutto o in parte sul suo territorio o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero al di fuori del territorio dello stato membro emittente se la legge dello stato di esecuzione non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio.
Il territorio costituirebbe un concetto differente da quello di estensione della giurisdizione, che come è noto, a seconda dei vari paesi è consentita in base alla legislazione interna a certe condizioni, sia per quanto riguarda il territorio dello stato richiesto che –come criterio di riferimento – riferendosi al territorio (lettera b) dello stato richiedente.
Il collegamento della nozione positiva o negativa di territorio si caratterizza tuttavia e si incrocia con quello di giurisdizione ,nel senso che la opposizione al mandato di arresto – facoltativa –sarebbe legittima per i reati commessi al di fuori del territorio dello stato richiedente anche se dello stato richiedente vi è la giurisdizione attraverso un principio di universalità temperata, unicamente nel caso che lo stato membro di esecuzione non abbia giurisdizione in base alle proprie normative interne per quei fatti commessi al di fuori del proprio territorio. Vale a dire se lo stato di esecuzione ha giurisdizione per reati nel proprio territorio ma al di fuori del territorio dello stato emittente,sorgerebbe il problema se abbia divieto di concedere il mandato di arresto oppure se sia obbligato in tal senso. In altre parole é data sempre nella prospettiva della cd. tutela debole del bis in idem, o del ne bis in idem, facoltà allo stato di esecuzione di rifiutare se i fatti per cui vi è la concorrente richiesta – titolata o meno in base alla normativa interna di arresto o di esecuzione di decisione di condanna – sono commessi in tutto o in parte –indipendentemente, quindi, dai criteri di collegamento in ordine al locus commisi delicti, focalizzati sulla condotta, sull’evento o sulle nozioni di contributo causale, materiale o morale a cura dei concorrenti (un concorrente potrebbe determinare l’attrazione ex comma VII nel propri territorio o in zone assimilate della giurisdizione-ovvero che non siano stati commessi (si ritiene in tutto o in parte) nel territorio dello stato emittente, nell’ipotesi esclusiva in cui lo stato, pur competente in astratto o incompetente in concreto, non consente (e questa è una nozione molto ampia e problematica) l’azione penale per gli stessi fatti commessi al di fuori del proprio territorio. Se la giurisdizione è riferita a fatti commessi nel proprio territorio ma non nel territorio dell’emittente, vi è legittima opposizione.
Il profilo già ricordato di interrogativo concerne se la legge dello stato di esecuzione consente l’azione penale per fatti commessi fuori del territorio dell’emittente e commessi al di fuori del proprio territorio.
In tal caso, se la norma fosse interpretata in maniera puramente logica secondo le classiche strumentazioni (ci permettiamo di rinviare al nostro…) delle due l’una: o lo stato richiesto può esercitare l’azione penale pur dando luogo al mandato di arresto ovvero è tenuto a dare luogo al mandato di arresto e sulla base della tutela sempre facoltativa, tuttavia, del bis in idem processuale, non può proseguire o esercitare l’azione penale.
Con l’art.7 invece della L. 69/2005 si decorso ad una radicale inversione della struttura della normativa rispetto a quella caratterizzante la DQ. La DQ stabilisce il principio della non applicazione della clausola di reciproca incriminazione per poi riservare a fatti asseritamente meno armonizzati o meno gravi la facoltà di applicazione della suddetta regola, divietando tuttavia – in base all’art. 3 – di ricorrere alla doppia incriminazione ex art 2 par. IV nei casi di giurisdizione dello stato di esecuzione qualora vi sia stata amnistia in esso ovvero indipendentemente dalla giurisdizione dello stato di esecuzione qualora risulti ovunque una res iudicata all’interno di uno stato membro, salvo ancora il caso della persona incapace di intendere e di volere, quindi irresponsabile penalmente, a causa dell’eta di cui al comma III dell’art. 3
Il tutto per poi prevedere all’art. 4 i casi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto e i casi dove è consentita parallelamente – ed eventualmente – la doppia incriminazione.
Si diceva che per l’art. 7 della L. 69/05 il principio è invertito: si stabilisce il principio inderogabile rivolto al giudice e all’AG nazionale di esecuzione solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale con l’eccezione della materia delle tasse, imposte, dogane e cambio, di cui a separato commento.
La legge italiana deroga con l’art. 8 (consegna obbligatoria tratta dal principio fissato all’art. 7 comma I) per quanto riguarda i fatti elencati dalla lettera a) alla lettera mm) in numero di 32, cosi come definiti sinteticamente in maniera differenziale rispetto alle corrispondenti fattispecie interne ovvero alle fattispecie frutto di armonizzazione, indipendentemente dalla doppia incriminazione e con la previa regola dell’obbligo, per l’ AG (comma 2 del medesimo articolo di legge 69/05) dell’accertamento di quale sia la definizione dei reati secondo la legge dello stato appartenente allo stato membro di emissione, corredato della doppia verifica se la medesima definizione interna, indipendentemente dalla qualificazione contenuta nel mandato di arresto europeo, corrisponda alle fattispecie così come definite dalla medesima legge italiana al comma I dell’art.8 in numero di 32.
Vi è un’analogia e una differenziazione strutturale fra la DQ e la legge italiana.
Il parallelismo di carattere strutturale risiede e riposa nella lista dei 32 reati, per i quali, anche secondo la legge italiana, non è applicabile –salvo le citate verifiche di qualificazione –la regola della doppia incriminazione.
La differenziazione, invece, risiede nella perdita e nello sfumarsi nella legislazione italiana della tutela forte rispetto alla tutela debole prima osservata del bis in idem.
Forse implicitamente e presupponendo il principio di obbligatorietà della legge penale costituzionalizazato, il legislatore italiano non ha distinto fra obblighi di rifiuto e facoltà di rifiuto. Di ciò si parlerà oltre con riferrimento al contenuto precettivo della DQ. Non vi è discrezionalità tecnica per l’AG se rifiutare o accettare la consegna in un numero di casi superiore e ulteriore rispetto a quelli obbligatori o facoltativi i base alla DQ.
Per la DQ, obbligatori sono: l’amnistia, previa giurisdizione; la res judicata in uno stato membro, previa applicazione della sanzione; la minore età o irresponsabilità. Fra i motivi facoltativi, con l’eccezione di tasse, imposte, dogane e cambio, vi è la irrilevanza sotto il profilo penale dello stato –sempre – di esecuzione; l’esercizio di un’azione in uno stato membro; la decisione di non esercizio dell’azione penale o di porvi fine ovvero di una definizione nello stato membro indipendentemente dall’esecuzione della sanzione; la prescrizione, previa giurisdizione dello stato di esecuzione; la res judicata in un paese terzo rispetto agli stati membri, previa esecuzione dell’ esecuzione; il carattere di cittadino o residente o dimorante a condizione di esecuzione della misura di sicurezza o della pena all’interno dello stato richiesto; la giurisdizione del paese richiesto per fatti commessi anche parzialmente nel proprio territorio o fuori del territorio di entrambi gli stati (richiedente e richiesto), se non vi è giurisdizione dello stato richiesto.
Vi è quindi la accennata e anticipata notazione sull’articolo 18 della L. 69/05 .
Riteniamo che il legislatore italiano abbia rispettato il contenuto – sia pur con mezzi e forme dalla medesima DQ non previste – appunto della stessa DQ.
Porre l’obbligo all’AG di avvalersi di cause di non esecuzione del mandato di arresto europeo significa avvalersi delle facoltà concedute per i casi di non esecuzione non obbligatoria dalla DQ.
La disposizione (art. 18 comma I: la Corte rifiuta la consegna nei seguenti casi”) è una disposizione che trasforma la facoltà dello stato in base alla DQ in obbligo per la propria AG, con ciò attuando senza frizioni la DQ.
Fra i motivi indicati nell’art.18 (o cause legittime e necessarie di opposizione della propria giurisdizione) vi sono quelle accennate e enucleate a livello obbligatorio dalla DQ nonché quelle facoltizzate dalla medesima.
Le altre non espressamente contenute nel testo della DQ sono ricavabili dai preamboli della medesima, già analizzati.
Ma concentriamoci su quelli appena e testé visti con riferimento alla DQ.
La lettera m) dell’art. 18: “se la persona è stata giudicata con sentenza irrevocabile per gli stessi fatti da uno degli stati membri dell’unione europea con esecuzione della pena oppure essa non possa più essere eseguita. Tale lettera corrisponde e rientra all’art.3 comma II della DQ, nonché -come osservato – alla lettera 3 art.4 DQ.
La lettera n): se i fatti potevano essere giudicati in Italia e si sia verificata la prescrizione del reato o della pena. Si tratta di vedere a quale disposizione corrisponda della DQ.
Tecnicamente, in base al comma I dell’art. 3 DQ che si riferisce all’amnistia previa competenza, vi è parziale coincidenza unicamente in quanto secondo il diritto italiano concerne la categoria generale dell’estinzione della pena anche se non attraverso amnistia ma attraverso prescrizione.
Vi è corrispondenza con il comma III dell’art. 4 nell’ipotesi di non esercizio dell’azione penale, stante la prescrizione o di porvi fine sempre stante la prescrizione; vi piena corrispondenza al comma IV della DQ per quanto …..FINE NASTRO.
Cassetta 3. lato A.
…. ricomprensione della prescrizione previa competenza.
La lettera o): se è in corso un procedimento penale italiano esclusa l’ipotesi in cui il mandato concerne l’esecuzione di una sentenza definitiva emessa in uno stato membro dell’UE.
E’ chiaro che la lettera o) presuppone il rispetto del giudicato del paese membro terzo -diverso- e pertanto l’opposizione al mandato di arresto dipende dal principio del bis in idem sancito dall’art. 3 comma II DQ nonché dal comma II dell’art. 4 DQ.
Vi è una difficoltà di coordinamento fra la legittimità di un procedimento penale e l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno stato membro dell’UE. Il procedimento penale in base al diritto interno e in base alla DQ che però non interviene espressamente sul punto non potrebbe essere proseguito.
Vi è poi il tema convenzionale, che merita un’apposita trattazione.
La lettera p) ricalca perfettamente la facoltà prevista dal paragrafo 7 dell’art 4 della DQ sia per quanto riguarda la non territorialità dell’emittente, sia per quanto riguarda la territorialità dello stato di esecuzione (territorio e luogo assimilato), sia per quanto riguarda l’extraterritorialità dello stato emittente se l’azione penale non è consentita per gli stessi reati commessi al di fuori del proprio territorio.
La lettera q) dell’art. 18 della L. 69/05 presuppone l’opposizione se è stata pronunciata in Italia la sentenza di non luogo a procedere, salvo i presupposti ex art. 434 c.p.p. e per la revoca o revisione della sentenza. Ciò rientra a pieno titolo nell’art.4 comma III della DQ (“hanno deciso di non esercitare l’azione penale o di porvi fine “).
La lettera u) prevede l’opposizione se la persona beneficia per la legge italiana di una immunità che limita l’esercizio o il proseguimento dell’azione penale. Il predicato è al presente: beneficia di una immunità. Ciò sembra corrispondere al portato dell’art. 20 della DQ che al comma I stabilisce privilegi ed immunità: se il ricercato beneficia di un privilegio o di un immunità di giurisdizione o di esecuzione nello stato membro di esecuzione -prevede la disposizione- il termine previsto dall’art. 17 per le modalità della decisione di esecuzione del mandato di arresto, qui non in commento, inizia a decorrere sostanzialmente dal giorno della revoca della immunità o del privilegio.
Anche la lettera i) della L. 69/05 oppone il limite della minorità rispetto ai 14 anni al momento della commissione del reato, ovvero l’età fra i 14 ed i 18 anni limitatamente ai casi di una punibilità superiore ai nove anni (che non escluderebbe l’opposizione) ovvero di una sanzione incompatibile con i processi educativi o quando non vi sia diversificazione per i minori dello stato di emissione ovvero sempre che nello stato di emissione non vi sia l’accertamento dell’effettiva capacità di intendere e di volere dell’infra diciottenne. Tale previsione è ritagliata nel contesto dell’art. 3 comma III della DQ ove genericamente si oppone come limite al riconoscimento del mandato di arresto europeo la irresponsabilità penale a causa dell’età, senza precisazioni di carattere negativo vincolanti per il legislatore dell’attuazione. Il comma VI dell’art.4 della DQ va letto in combinato disposto nella parte in cui fa salva la dimora, la cittadinanza o la residenza come condizione per l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza conformemente al diritto interno del paese di esecuzione con la parallela disposizione prevista dell’art. 5 (garanzia che lo stato emittente deve fornire in casi particolari) della DQ. Questa disposizione oltre a prevedere al paragrafo 1 (o n. 1) le garanzie per i procedimenti in contumacia, per i quali il mandato di arresto potrebbe essere condizionato alla garanzia dell’emittente circa la possibilità di richiesta di un nuovo processo davanti allo stato emittente, con la presenza in giudizio; il paragrafo 2 completa tale disposizione con la obbligatorietà condizionante della revisione presso l’emittente con una revisione della pena dopo più di venti anni ovvero misure di clemenza collegate. In particolare ci riferiamo al paragrafo 3 dell’art. 5 DQ che prevede la subordinazione del mandato per il paese di esecuzione (nel caso di cittadinanza o residenza nello stato membro di esecuzione) al rinvio della persona dopo il procedimento penale per lo sconto della pena o della misura di sicurezza eventualmente pronunciate nei suoi confronti.
Su tali norme della DQ si ritaglia la lettera r) dell’art.18 della L. 69/05 per l’opposizione esclusivamente nel caso di decisione definitiva e di richiesta di esecuzione di misura di sicurezza qualora la persona sia cittadino italiano condizionatamente all’esecuzione della misura o della pena in Italia,conformemente al diritto interno.
Sul problema della cittadinanza ritorneremo in seguito in una separata considerazione specifica, con qualche breve cenno alle recenti sentenze delle corti costìtuzionali tedesca, polacca e lituana e, per quanto riguarda la remissione alla Corte di Giustizia, belga.
Sempre nel solco del paragrafo 4 dell’art. 23 che regola il termine dei consegna nella DQ per quanto riguarda il temporaneo i differimento per gravi motivi umanitari, ad esempio se vi sono valide ragioni di ritenere che la consegna, pur approvata, metterebbe manifestamente in pericolo la vita o la salute del ricercato, si inserisce una corrispondente pro parte disposizione della L. Italiana.
La lettera s) dell’art. 18 correlativo fa salva la donna incinta o madre di prole inferiore ai tre anni con lei convivente, salvo che trattandosi di mandato di arresto europeo emesso neo corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell’AG emittente risultino di eccezionale gravità. Pur configurata come causa obbligatoria di rifiuto della consegna la circostanza incide sul rifiuto della consegna ma agganciata a situazioni di carattere contingente e temporale.
La lettera t) che richiede da parte dell’ art. 18 italiano la motivazione verrà trattata nei rapidi cenni ala giurisprudenza già accennata emersa nel panorama italiano ed europeo.
Della lettera l) sull’amnistia già si è detto, in quanto la medesima, ove ci sia giurisdizione dello stato italiano sul fatto, lettera l) art.18 L.69/05 addirittura si configura tra i motivi di non esecuzione obbligatoria ex art. 3 DQ.
Conviene ritornare ad accennare ai preamboli della DQ alfine di verificare se negli spazi da esse concessi al legislatore di attuazione la legge italiana abbia innovato.
Norma centrale che per taluni acquisisce expressis verbis valenza precettiva è costituito dall’art. 12 o meglio dal preambolo n. 12 della DQ che nella parte centrale stabilisce che nessun elemento della presente decisione può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato di arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato di arresto europeo sìa stato emesso al fine di perseguire penalmente o punirne una persona a causa del suo sesso, razza,religione,origine etnica nazionalità, lingua opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione ditale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. Il principio di non discriminazione, pur nella mancata previsione fra i motivi di opposizione del cd. motivi politico implicitamente assorbito nella presupposizione di condivisione dei valori fondamentali già espressi nel preambolo, verrà riconsiderata nel momento in cui si affronteranno gli argomenti terroristici e politici alla luce del codice penale e della carta costituzionale vigenti.
Il secondo capoverso del preambolo 12 prevede che gli stati applichino le proprie norme costituzionali sul giusto processo, sul diritto alla libertà di associazione, alla libertà di stampa, alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione.
Il preambolo13 divieta agli stati di esecuzione di accogliere le richieste di mandato di arresto ovvero di – espellere o estradare altrove persone in presenza di seri rischi che esser vengano sottoposte a pene di morte, potatura o altri trattamenti o pene inumane parte integrante è il preambolo 12 che nel considerato fa propri i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dall’art. 6 del Trattato sull’UE e contenuti nella Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, segnatamente il capo 6. In questa prospettiva si inserisce la lettera d) dell’art.18 della L. 69/05 che obbliga il rifiuto della consegna se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, stampa o altri mezzi di comunicazione.
La lettera f) prevede il reato politico, fatte sale le esclusioni previste dall’art. 11 della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivi adottata dall’ Assemblea generale ONU a NewYork il 15.12.1997 esecutiva con legge 14.02.2003 n.34, la quale prevede che nessuno dei reati di cui al medesimo articolo 2 è reato politico, reato connesso a reato politico o ispirato da moventi politici.
Le richieste di estradizione o di assistenza giudiziaria non potranno essere respinte per il solo motivo che vertono su un reato politico, connesso a reato politico o ispirato da moventi politici. In base all’art.1 della Conv. europea sul terrorismo, ratificata con legge n.719/85 (Convenzione europea sul terrorismo di Strasburgo 27.01.1977) si divieta la considerazione di reato politico connesso o ispirato a reati cui si applicano le disposizioni della convenzione di repressione per le illecite catture di aeromobili dell’Aja (16.12.1970); oppure quelle che sono relative alle convenzioni di repressioni di atti illegali contro la sicurezza dell’aviazione civile (Montrèal del23.09.1971); oppure i reati gravi di attentato alla vita, integrità fisica, libertà di persone godenti di protezioni internazionali inclusi gli agenti diplomatici; o reati importanti rapimento, catture di ostaggi o sequestri arbitrari; o ricorso a bombe, granate, razzi, armi automatiche, plichi o pacchi contenenti esplosivo con pericolo per le persone; tentativi di commettere tutti i reati che precedono o la compartecipazione in essi.
L’art. unico della L. Cost. n.1/1967 (Estradizione per delitti di genocidio) esclude l’applicazione dell’art. 10 e 26 u.c. Costituzione ai delitti di genocidio
Agganciate al giusto processo, fatto salvo dal preambolo 12 sono la lettera e) e la lettera g) dell’art.18 della L. 69/2005, dove si esclude la consegna qualora lo stato membro di emissione non preveda limiti massimi della carcerazione preventiva (su ciò si tornerà nel capitolo dedicato alla giurisprudenza) nonché, si diceva, la lettera g) ove risulti che la sentenza irrevocabile sia conseguenza di un processo non equo che non sia condotto secondo i diritti minimi previsti dall’6 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di Roma (04.11.1950), esecutiva con L. 04.08.1955 n. 848 e dal protocollo. 7 della detta Convenzione di Stasburgo 22.11.1984, esecutivo con L.09.04.1990 n.98,che statuisce il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale.
Sempre nel quadto disegnato dal preambolo prima citato, la lettera h) fa salvo il serio pericolo che la persona ricercata sia sottoposta a pena di morte, tortura ed altre pene e trattamenti inumani o degradanti. Pare che siano armonizzabili con il contesto generale della DQ la lettera a) che stabilisce il principio di non discriminazione, che ricalca il corrispondente enunciato del preambolo pressoché alla lettera e, soprattutto, le lettere b) e c) che fan salvo il consenso dell’avente diritto secondo la legge italiana, purché posa disporre del medesimo (è un tema che oggi si riferisce alla questione dell’eutanasia) e il fatto che per la legge il reato non costituisca reato, essendo coperto da una causa tipica o atipica di giustificazione come l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un dovere ovvero la non riferibilità del fatto per causo fortuito o forza maggiore.
Il profilo problematico dell’ultima disposizione concerne la previsione come rifiuto obbligatorio di una situazione di non punibilità o di non responsabilità penale che è riconducibile all’applicazione rigida da parte del legislatore interno del principio di doppia incriminazione anche, si ritiene in questa sede, nelle ipotesi di automatico riconoscimento del mandato di arresto per quanto riguarda la lista dei 32 reati.
In questo caso la irrilevanza per il diritto intermo sotto il profilo penalistico per quanto riguarda le lettere b) e c) non si riferirebbe tanto all’assenza di disvalore nell’area di valori tutelata quanto al di fatto di riferibilità di un fatto oggettivamente, astrattamente contrario al diritto ad un soggetto (è l’ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore); il consenso dell’avente diritto e l’adempimento del dovere appaiono situazioni che indipendentemente dallo strumento dogmatico del paese di qualificazione comportano la mancata previsione nell’ordinamento giuridico dell’illiceità del fatto e comportano l’esistenza di situazioni subiettive, giuridicamente prese in consegna dall’ordinamento interno ed attributarie di un ruolo di rilievo. Si tratta di situazioni differenti rispetto a quelle aree di disvalore che vengono disegnate già da un punto di vista strutturale come poste a presidio di aree di interessi all’interno delle quali non esistono delle situazioni giuridiche subiettivamente rilevanti.
Al profilo citato della garanzia la L. 69/05 pone l’art.19 che sostanzialmente ricalca, con delle specificazioni e delle articolazioni il dettato normativo della DQ.
Conviene riallacciarsi al tema introdotto del reciproco riconoscimento delle sentenze e al tema del ne bis in idem come limite e come fondamento della DQ e della legge attuativa.
Si è osservato (Galantini “L’adattamento del mandato di arresto…” in Cass pen 2005) che il principio del mutuo riconoscimenti ha già avuto in qualche misura attuazione nel nostro ordinamento con l’istituto del riconoscimento a fini di esecuzione di sentenze penali straniere (art.731 c.p.p., nonché come si vedrà l’art. 12 c.p.).
Con solo riferimento a talune tipologie di reato nel contesto della cultura patrizia in sede di trasferimento di procedimenti o di accordo tra AA GG per il regolamento di competenza e giurisdizionale si può fare riferimento alla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle comunità europee o funzionari degli stati membri dell’UE (PIF art. 9 punto 2); oppure sulla Convenzione Oxa per la corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle cooperazioni economiche internazionali (art.4 punto 3).
L’Autore sottolinea la convergenza sia per quanto riguarda i flussi giuridici nel contesto comunitario per quanto riguarda l’etica del giusto processo sia per quanto riguarda la predeterminazione della durata massima della pena non inferiore a 12 mesi (art. 7 comma III della legge attuativa e 2 comma I della DQ); nonché per l’esecuzione della sentenza di condanna, il riferimento alla pena non inferiore a 4 mesi (art.7 comma IV e art.2 comma I DQ); nonché per il procedimento in absentiae il pricipio di specialità convergente sulle direttive, salvo la mancata recezione dell’accordo preventivo fra gli stati per il superamento del principio fissato all’art.27 comma I della DQ.
Aperto nella DQ è il ricorso all’AG (art.6) in cui sarebbe implicito l’intento di riferirsi ad un organo connotato da indipendenza e imparzialità; pur in assenza di una copertura costituzionale il principio sarebbe armonico rispetto alla giurisdizionalizzazione del procedimento cautelare recepita nel codice di rito.
Galantino osserva che un caso di rifiuto facoltativo presente nella decisione, concernente l’esistenza di giudicato in idem in uno stato terzo (art.4 n. 5 DQ) non è stato inserito nell’art.18 della legge italiana.
L’art.18 dellal egge italiana prevede per altro che sia un giudice ad emettere il provvedimento coercitivo e non genericamente un’autorità giudiziaria. Apprezzabile l’attuazione dei principi di legalità, tassatività e determinatezza delle fattispecie penali di cui era stata posta in dubbio l’osservanza, fornendo precise definizioni e traducendo in specifiche ipotesi di reato i nuclei di disvalore genericamente rappresentati nella lista di cui all’art.2 comma I della DQ.
Un ulteriore tutela riconducibile agli spazi consentiti dal contenuto della DQ è l’ignoranza incolpevole della legge straniera prevista dall’art.8 comma 2 e la specificazione che l’ampliamento dei casi di cui all’art. 2 comma II della DQ deve essere sottoposta dal Governo a riserva parlamentare (art. 3 comma 1).
Galantino osserva che la doppia incriminazione ritornerebbe in concreto nella legge italiana.
L’autorità dello stato interno deve controllare gli elementi costitutivi del reato e dei suoi effetti. per stabilire, ad esempio, se un fatto di truffa può dare luogo o meno alla consegna del suo presunto autore, non potrà bastare una corrispondenza astratta tra fattispecie ma sarà necessario verificare l’insussistenza dell’aggravante del rilevante danno patrimoniale, così come richiedeva il DPR 12 aprile 1990 n. 75 per l’applicazione dell’amnistia per la truffa di cui all’art.640 comma II c.p.
Indicazioni sull’applicabilità delle disposizioni sul concorso di persone e sul contributo causale potrebbe trarsi in via pretoria dalla necessita che l’art. richiede tra i contenuti del mandato di arresto oltre alle circostanze, momento e luogo di commissione del reato, la precisazione del grado di partecipazione del ricercato ex art. 8lett. e) superando così la Convenzione europea che si limitava a richiedere l’esposizione di fatti, tempo e luogo e qualificazione giuridica dei fatti (art.12 lettera b) Convenzione europea di estradizione).
Sottolineata è anche la forbice fra decisione e mandato di arresto; in questo senso sarebbe impropria la definizione di mandato di arresto in quanto esso è sia a volte decisione giudiziaria per sentenze di condanna sia richiesta di applicazione di misure cautelari.
L’automatismo del riconoscimento è limitato alle sentenze che comportano la consegna della persona per esecuzione della pena ed é condizionato invece al controllo di elementi a carico del soggetto ricercato qualora il processo sia ancora pendente.
Galantini (Convegno Aree di libertà, sicurezza e giustizia, Università di Catania nel programma di azione Jean Monet del 9-11.06.2005[29]).
L’art.18 lettera m) L.60/2005 innova rispetto alle disposizioni del c.p.p. in materia di ne bis in idem estradizionale (art.705 c.p.p.,che a sua volta si basa sull’art.9 prima parte della Convenzione europea di Strasburgo del 1957,esecutiva in Italia con la L. 30.01.1961 n., 215). Per ne bis in idem tradizionale si intende il divieto per il paese richiesto di consegnare la persona al paese richiedente che ha esercitato il petitum estradizionale. Costituisce un limite alla patologia del doppio processo e alla duplicazione della sanzione penale per il medesimo fatto. Il rifiuto dell’estradizione non impedisce al richeidente di esercitare la propria giurisdizionene nei confronti della persona già giudicata nello stato richiesto e di procedere al rinnovamento del giudizio ex art. 11 c.p., ad esempio.
Nell’ordinamento italiano la base legale del ne bis in idem estradizionale sono: l’art.9 della Convenzione, l’art. 50 della Conv. di applicazione deglì accordi di Shengen (Caas), limitatamente ai paesi Shengen e l’art. 705 c.p.p.
La giurisprudenza ha ritenuto che il ne bis in idem estradizionale possa essere applicato solo quando l’estradando sia stato processato con sentenza irrevocabile nello stato richiesto (Cass.11.07.1994 in Cass pen.1996, 580).
E’impedita l’estradizione di una persona che risulta abbia già integralmente espiato in Italia la pena,a seguito dell’applicazione della misura della custodia in carcere a tale fine (Cass. V, 13.02.2004).
La recente convenzione di Shengen ha ampliato la nozione di ne bis in idem estradizionale. L’art. 54 obbliga al rifiuto di consegna quando si sua formato un giudicato penale in un altro stato parte della convenzione, anche se diverso da quello richiesto, indipendentemente dal fatto che lo stato dell condanna sia anche lo stato cosiddetto di rifugio ovvero un altro pese Shengen. La convenzione ha equiparato il giudicato internazionale a quello interno. Non è più necessario che il giudicato si sia formato nello stato richiesto.
Il provvedimento straniero è immediatamente esecutivo nel nostro ordinamento senza necessità di exequatur, (R. Barberini,I l principio del ne bis in idem internazionale, in Documenti Giustizia, 20, 1294).I n questa linea si inserisce nell’ambito del cd. III Pilastro il profilo in commento del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e la conseguente libera circolazione delle sentenze penali stabilito nei preamboli della DQ, postulando una regola di equivalenza tra i provvedimenti emessi dalle AAGG degli stati membri. Il mutuo riconoscimento é intimamente connesso al ne bis in idem, comportando il divieto di celebrare un doppio processo. Il mutuo riconoscimento rappresenta un limite generale all’esercizio della giurisdizione statale e può costituire il più potente antidoto contro la patologia del bis in idem.
La DQ ha confermato il ne bis in idem della Caas ed ha escluso che gli stati possano non riconoscere il divieto del ne bis in idem attraverso le dichiarazioni unilaterali previste dall’art. 55 Caas, vale a dire quando ricorre l’eccezione di territorialità del reato, quando il fatto costituiscono un reato contro la sicurezza o contro altri interessi essenziali dello stato, quando i fatti sono stati commessi da un p.u. della parte contraente in violazione dei suoi doveri di ufficio. Neanche l’art. 18 lettera m) della L. 69/2005 definisce il bis in idem, né gli elementi costitutivi e il concetto di idem, di identità del fatto,né prevede i provvedimenti stranieri idonei a determinare l’effetto del giudicato.
Dovrà quindi farsi ricorso all’elaborazione giurisprudenziale del ne bis in idem internazionale in ambito comunitario ai fini della determinazione del concetto di idem.
Secondo Cass. VI, 10.01.2003, ai fini della condizione ostativa dell’emissione della sentenza favorevole ci si deve fondare su un confronto analitico dei caratteri di condotta, tempo, luogo circostanze attuative, effetti, numero e identità degli eventuali compartecipi, poiché é necessario che tra le due fattispecie concrete non siano rilevabili difformità.
La Corte di Giustizia, sul ne bis in idem comunitario, con sentenza 11.02.2003 (cause riunite) e 10.03.2005 (causa C-469/03 Miraglia,Foro it, 2003,IV.426 e 2005,IV.235 e seg, con nota di G.M. Armone) si pronunciata sul punto. Di ciò in nota.
La cassazione italiana,con sentenza 02.02.2005 ha affermato che il divieto di ne bis in idem internazionale ex 54 CAAS non deriva da un provvedimento inequiparabile ad una sentenza definitiva,vale a dire non da un decreto di archiviazione dell’autorità tedesca (Foro It.2005,II,249.
Sul punto del ne bis in idem si richiama L.Salazar, Il principio del ne bis in idem, in Diritto penale e processo 7-2003 p.906 e seg, e Il principio del ne bis in idem II parte in Diritto penale e processo 8-2003,p.1040 e seg. Ancora sul nuovo pronunciato della Corte di Giustizia A. Fabbricatore Il ne bis in idem in Corte di Giustizia in Diritto penale e processo,n.9-2005, p. 1171 e seg.).
Le fonti della cooperazione giudiziaria in materia penale sono strumenti di diritto internazionale particolare, convenzioni e trattati e un limitato numero di norme consuetudinarie. La materia ha natura esclusivamente convenzionale come previsto dall’art. 696 c.p.p. italiano che fa prevalere il diritto internazionale pattizio sulla legislazione domestica. L’autonomo contenuto precettivo della disposizione che introduce il Libro XI del c.p.p. sui rapporti giurisdizionali con le autorità straniere sta nell’affermazione che la legge italiana può esser applicata quando non esiste una convenzione internazionale in vigore per l’Italia o quando essa non disponga diversamente.
In tal senso l’art. 705 in materia di estradizione. Per il diritto internazionale generale l’art. 10 comma I della Costituzione prevede un meccanismo di adattamento permanente dell’ordinamento giuridico italiano. Sulla base del diritto dei trattati si è formato tra gli stati europei un corpus normativo omogeneo con elementi invarianti.
In questa categoria è la natura ibrida delle Relazioni di cooperazione giudiziaria internazionale, ove coesistono una fase giurisdizionale e una fase politico- amministrativa. Le due Convenzioni generali in materia di estradizione ed assistenza giudiziaria costituiscono l’archetipo del diritto convenzionale europeo nel settore della cooperazione giudiziaria.
Tanto la Convenzione sull’estradizione di Parigi (13.12.1957) quanto quella sull’assistenza giudiziaria di Strasburgo (20.04.1959), come gli Accordi bilaterali che integrano e completano le due convenzioni madri, concepiscono la cooperazione internazionale in termini di relazioni tra stati sovrani; é lo stato con organi esponenziali che richiede ad un altro stato il compimento di atti o attività. Lo stato investito nel decidere compie un’attività che si riflette sulla propria sovranità. Le valutazioni sono di carattere meta giudiziario. Ciò dà luogo ad un vero e proprio doppio binario giudizioario e politico-amministrativo dell’iter procedimentale che scaturisce dalla richiesta di cooperazione (G.Iuzzolino, Il mandato di arresto,cit.).
Ad esempio, per l’art. 708 comma I c.p.p.spetta al Ministro di giustizia la decisione finale in merito, con atto discrezionale di natura amministrativa (C. di S. 11.05.56 n.344) nel quadro di un procedimento diretto a neutralizzare gli effetti in malam partem sulla libertà personale di chi si trovi in custodia cautelare ex art 704 comma III c.p.p.
Nelle rogatorie internazionali l’art.723 c.p.p. (norma programmatica,i ntroducendo al capo I del titolo III il sottosistema relativo alle rogatorie internazionali) è rubricato “Poteri del Ministro di giustizia”. La norma si occupa della fase passiva della rogatoria; ma anche la norma che regola la fase attiva (art.727 c.p.p. per le rogatorie all’estero) stabilisce che è il ministro con decreto che non dà corso alla rogatoria, qualora può darsi compromessa la sicurezza pubblica o altri interessi essenziali dello stato. La fase giurisdizionale avrebbe avuto natura accessoria o incidentale in materia di estradizione passiva,in quanto il ministro non sarebbe vincolato (Cass. SSUU 19.05.1984).
E’ questo il modello che si è trasformato per l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in diversi settori della cooperazione penale nel biennio 2002-2003.
Dal 1995 al 2000 gli stati membri hanno sottoscritto accordi estradizionali e sull’assistenza, le due convenzioni sull’ estradizione (Bruxelles 1995 e Dublino 1996) e la Convenzione di Bruxelles 29.05.2000 sulla mutua assistenza penale.
Qui non vi é ancora il principio del mutuo riconoscimento. A partire però dal 2001 sono mutate le fonti della produzione normativa nelle materie del cd. doppio pilastro. Non più accordi multilaterali ma decisioni-quadro del Consiglio. La decisione quadro,come anticipato,è il nuovo strumento atrtaverso il quale il Consiglio dell’UE applica il ,principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie ai diversi settori della cooperazione penale; promuove anche la armonizzazione di alcuni settori delle legislazioni penali degli stati membri, precetti e sanzioni ai sensi dell’art. 34 paragrafo 2 del TUE.
Con questa nuova legislazione si finalizza l’attuazione dello spazio comune di sicurezza,giustizia e libertà la cui base giuridica è contenuta nel Titolo VI del Trattao sull’UE.
Il mutuo riconoscimento di provvedimenti giudiziari trova applicazione nelle procedure in personam e in quello delle procedure in rem, riguardando tanto le decisioni definitive che quelle cautelari o provvisorie.
L’art. 6 della Conv. di Bruxelles del 29.05.2001 costituisce un punto nodale[30].
Il diritto nazionale pattizio non è mai pervenuto all’equiparazione del giudicato internazionale a quello interno. Tanto la Convenzione di Bruxelles, quanto quella di Shengen applicano il divieto del ne bis in idem in forma limitata e condizionata (Iuzzolino); per queste convenzioni il giudicato in altro stato può essere impedito dalla natura del reato e dai suoi effetti (pregiudizio della sicurezza, ed egli interessi essenziali), dalla qualifica soggettiva dell’imputato (p.u.), dal collegamento tra reato e territorio dello stato, in quanto i fatti siano avvenuti in tutto o in parte sul territorio nazionale, come detto in precedenza.
Oggi si discute di un particolare obbligo di non facere a carico dello stato.
Sotto il regime della convenzione per l’estradizione. l’arresto provvisorio a scopo estradizionale poteva avere efficacia per 40 giorni prima dell’investimento di una formale domanda di estradizione dello stato di rifugio. In base all’art. 714 c.p.p, la persona può essere sottoposta durante la procedura di estradizione, su richiesta del Ministro di Giustizia ad una misura coercitiva di durata massima di un anno e sei mesi. Si è attuata anche la DQ sull’esecuzione diretta dei titoli giudiziari penali e civili sulla base del loro reciproco riconoscimento. La regola di equivalenza, vale a dire secondo la DQ in commento, che una decisione giudiziaria avente una dimensione transanzionale adottata da un giudice competente in base al legislazione di uno stato membro può essere conosciuta in tutti gli stati membri esplicandovi effetti identici o analoghi alle decisioni domestiche, indipendentemente dal suo contenuto (regola di equivalenza), ha enucleato una vera e propria categoria giuridica suscettibile di essere applicata ai diversi settori della cooperazione giudiziaria penale (provvedimenti definitivi, provvisori, personali, reali). L’esecuzione avveniva secondo il classico diritto internazionale in via indiretta tramite exequatur o conversione del provvedimento straniero in decisione nazionale che riproducesse il provvedimento originale, che si limitata a recepirne i contenuti, ed era formalmente un titolo autonomo.
Ciò nella prospettiva della convenzione sull’esecuzione delle condanne penali straniere di Bruxelles 13.11-.1991 e la Convenzione sulla decisione di ritiro della patente di guida del 1998.
Il principio del mutuo riconoscimento, si osservato, non nasce nel campo del diritto penale ma nel diritto comunitario, a partire dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia nota come giurisprudenza di Cassis de Dijon. A partire dalla sentenza del 20.02.1979 che ha applicato la libera circolazione di merci e servizi, ex art.28, 30, 40 e segg CEE interpretati ex art.10 Conv. europ. dei Diritti dell’Uomo, discendeva il divieto di qualsiasi restrizione alla circolazione intracomunitaria che non sia giustificata da esigenze imperative attinenti l’efficacia dei controlli fiscali, la protezione della salute pubblica e la tutela dei consumatori.
I principi del diritto comunitario, cd. I Pilastro, si applicano agli ordinamenti giuridici nazionali direttamente, onde il duplice obbligo di: disapplicare le disposizioni contrarie della legislazione nazionale e impedire la formazione di atti legislativi o regolamentari nazionali incompatibili con le norme, comunitarie.
Nella cooperazione giudiziaria penale il principio del mutuo riconoscimento non é formalmente ricompreso nel cd. diritto primario dell’ Unione (insieme di norme che contengono i principi giuridici fondamentali sui quali si fondano i tre Pilastri dell’UE). La disposizione contenuta nei Considerando 1 e 11 e nell’art.31 per cui dovrà disapplicarsi il corpus normativo convenzionale sull’estradizione a decorrere dal 01.01-.2004, secondo taluni avrebbe avuto un effetto abrogativo ed un’autonoma forza esecutiva prescindente dall’ attuazione della DQ da parte degli stati membri.
Sempre secondo Iuzzolino non si avrebbe rinuncia all’esercizio della giurisdizione statale –secondo la cosiddetta dottrina debole – nel procedimento di esecuzione di un mandato. Non esiste alcuna automaticità nell’esecuzione del titolo giudiziario emesso dall’Autorità di un dato stato, cosa che risulterebbe incompatibile con i principi giuridici costituzionali (ad esempio art. 13 Cost. it).
Anche il rifiuto dell’esecuzione in presenza di collegamenti territoriali tra il reato e lo stato richiesto sarebbe motivo di garanzia .
Il principio del ne bis in idem inteso come diritto individuale da tutti gli strumenti giuridici internazionali per la protezione dei diritti dell’uomo (Prot. n. 7 Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali, art.4 e Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, art.50) è stato riconosciuto nel Trattato che istituisce la Costituzione per l’Europa (art.II – 110) che stabilisce che nessuno può essere perseguito e condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale conforme alla legge.
Il principio, tuttavia non ancora vigente formalmente a tale titolo, non è ancora entrato nel novero dei principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Il quadro convenzionale prevede tale principio in: Convenzione tra gli stati membri della CE relativa all’applicazione del principio del ne bis in idem di Bruxelles 25.05.1987; Convenzione per l’applicazione dell’Accordo di Shengen 14.06.1985, nella Cooperazione giudiziaria del Titolo VI del Trattato TUE, nella Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità europea del 26.07.1995 (art.7) e la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione dei funzionari delle Comunità Europee e degli stati membri dell’Unione Europea del 26.05.1997.
Il principio è poi preso soltanto in conderazione nella Conv. del Consiglio d’Europa sull’efficacia internazionale delle sentenze penali del 28.05.1970 (artt.53-55), nella Conv. Consiglio di Europa sul trasferimento dei procedimenti penali del 15.05.1972 (artt.35-37), nella Convenzione–tipo delle Nazioni Unite sul trasferimento dei procedimenti penali dell’Assemblea Generale ONU nella risoluzione 45/118 del 14.12.1990, nello statuto del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia del 17.05.2002 (art.10), del Tribunale penale internazionale per il Ruanda dell’08.11.1994 (art. 9), della Corte penale internazionale di Roma del 17.07.1998 (art.20).
Un cenno merita l’iniziativa della Repubblica ellenica di applicazione del principio alle sentenze definitive non soggette a un ricorso ordinario o straordinario conformemente alla legislazione nazionale: l’idem si basava sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, di interpretazione estensiva del principio nel senso che il secondo illecito penale deve emanare dagli stessi fatti o da fatti sostanzialmente identici indipendentemente dal fatto che avessero la stessa natura giuridica (causa Gradinger), al contrario di quanto sostenuto in altre pronunce.
La base giuridica era stata individuata negli artt. 29, 31 lett.d) e 34 paragrafo 2 lettera b) del TUE.
Nella proposta si prevedeva di non riconoscere l’applicazione quando i fatti sono avvenuti in tutto o in parte nel territorio di riconoscimento salvo che: a) siano avvenuti in parte sul territorio dove la sentenza è stata pronunciata; b) quando i fatti costituiscono un reato contro la sicurezza o contro interessi essenziali;c) quando di fatti fossero stati commessi da un pubblico ufficiale in violazione dei doveri dell’ufficio (Convenzione di Shengen).
Il concetto di mutuo riconoscimento compare nel Consiglio europeo di Cardiff del 15-16-.06.1998, sotto la presidenza britannica e nel punto 45 f) del piano di azione del Consiglio e della Commissione del 03.12.1998, adottato sull’attuazione del Trattato di Amsterdam sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG). Ripresa nel consiglio europeo di Tàmpere dell’ottobre 1999 (Fondamento della cooperazione giudiziaria dell’unione tanto in materia civile quanto in materia penale; punti da 33 a 37: il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento fra le legislazioni faciliterebbero la cooperazione tra le autorità come pure la tutela giudiziaria dei diritti del singolo).
Nella comunicazione della Commissione europea 26.07.2000 il Consiglio e il Parlamento europeo, sul riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale si erano proposti criteri orientativi precisati poi nel Programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali. In tal senso B.R.Cimini (Ne bis in idem,cit.).
Vanno citati ancora l’art. 54 e 57 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Shengen. In questo contesto, nella convenzione di Bruxelles 25.05.1987 si ipotizzava il principio del giudice dello stato membro che deve essere in grado di tenere conto delle decisioni penali definitive rese negli altri stati membri per i precedenti penali e la recidiva e di determinare la natura delle pene e le modalità di esecuzione applicabili, e aveva un grado di priorità 4[31].
- B) La sentenza della CGCE 11.02.2003 dera laprima interpratzxione derlprincipio delne bis in idem comunitario ex art.54 Conv. Schengen: divieti diu giudicato o dipricediemnbto qualora una persona sia stata giudicata con sentenza defivnoitiva in una patrte contraente per i medesimi fatti, a condizione che in caso di condanna la pena sia eseguita o effettivamente in corso dieseguuzione attualmente o,secondo la parte contraente di condanna non possa più esere eseguita. Si tratta di un dispostoipoi riporesoi nella DQ e nella legge atyuativa.
Il principio dlene bis in ide,non bis in idem,è internazionalmente riconosciuto ed è riconduciubiule atraverso la mediazione della norma consuetidibartia alla previsione dell’art.10 della Costituzione.Ilprincipio è implocitammente brespointoi dall’art.11c.p. che prevede di rinnovare verso la per5sobna condannata all’estero il prcesso.Il nostro legislatore del ’30 tuttavia sembra essere contraddetto dall’art.9 u.c. e 10 u.c. n.3 delc.p.,dove la condizione postativa alperseguimemnto nello stato sta nellamancata concessione dell’ìestradizione all’estero e si ritiene riposi nel fatto che, altrimenti disponendosi,soi creerebberolecondizioni per una situazione di doppio giudicato. Ilpprincipio del ne bis in idem épresnete negli strumentoi nazionali sopra citati e applicabile ai limiti oggettivi e soggettivi degli stessi (convenzione del Cons.d’Europa dell’AjA,28.05.1970,Trattato NATO di Lonfìdra del19.06.1951, ratificato ocn la L. 30.11.1995 n.135, laConvenzione di Bruxelles del 1987 in vigore fra Italia,Francia e Danimarca,superata da quelladi Shengen).LamCorte di giustizia aveva deciso muovendosi nell’art.1 del Prot.ln.2/97 allegato al TRtatato sull’UE ed al Trattato istitutivo della CE (Protocollo sull’Acquis di Schengen). La Convenzione applicativa dell’Acordo di Shengen fa parte dell’Acquis di Shengen. Sulla b base del 2 delProtocollo il Consiglio Europeo fìha adottato decisoni che dfiniscono l’Acquis di Shengen per la determinazione dlela base giuridica per ciascuna delle disposizioni che costituiscono il suddetto Acquis. Dall’Allegato A dell’art.2 alla Decisione 1999/436CE si ricava che gli att.54 e 58 CASS hanno come fondamento normativo gli artt. 34 e 31 TUE.
Per la Corteb di Giustizia,se a seguito di un procedimento del tipo di quelli che hanno dato luogo al ricorso incidentale (accordo, patteggiamento con il PM ) deriva le’stinzione definitiva dell’azione penale,l’interessato deve essere considerato giudicato con sentenza definitiva ai sensi dlel’art.54. Agli stessi sensi, una volta eseguiti gli obblighi nascenti dalla procedura transattivi la pena relativa deve essere considetataestinta,a nullarilevandoi che alcun giudice intervenga all’interno di siffatta procedura e alcuna sentenza sia emessa, in considerazione delle espressioni late,omnicomprensive, che compaiono nella disciplina della CAAS.
Qualsiasi proivevdimento emanato da unodelgi statai membri al termine di procedure anche non giurisdizionali ma giudiziali,compirtantil’estinzione definitiva dlel’azoioen penale costituiranno per le nostrev AAGG ostacolo per perseguimento di giudizio.
Parimenti accadrà in attivo.L’archiviazione italiana non integra i requisiti integrati dalla Corte di Giustizia,che richiede la decisione definitiva. Costituiràporvvedimento ostativo l’arcchiviazione disposta dal Gdi P per la particolare tenuità del fatto (art.34 del D.Lg. 28.’08.2000 n.574).Parimenti varràper la sentenza con cui viene applicata la pena su richiesta,con riserbva, tuttavia di rip flettere su argomentazioni dlelacorteb di Giustizia che sembra ritenere cjhe la decisione sul pattegiamentoimplichi la responsabilità penale dell’imputato patteggiante (Selvaggi,Il principi, cit.).
Procedimenti latu sensu transattivi sono conosciuti da quasi tutti gli aderenti anche, con dirittoi frammentato sotto il profilo sostanziale processuale all’intermno dell’Unione. Si parlacomunemente ,anzi,si parlava,di 17 sisytemi inclusi quello scozzzese e quell gallese, fatta eccezione per la grecia.
La soluzoone dell Corte di Giustizian doveva presciunbdere dalle particolarità dei diversi sistemi giuridici.
La transazione in materia penale costituisce modalità di amminist5razione della giustizia,tenuto conto della non particolare gravità dei comprtanenti con riferimento ai quali esa è consentita e dall’esigenza di un0efficae ve rapida amministrazione della giuastiza con meccanismi semplificati. Non si tratta infatti diaccordo contrattaiel civilistico,perché si situa in un procedimento penale nel quale sono destinate ad appliucarsile disposizioni dell Coinv.europea dei Diritti dell’Uomo.
La pronuncia puòprovenire da un magistrato in sede giudicante,da un giudice istruttore a conclusoone della sua attivitàinquirente, da un PM nrll’esercizio dell’azione treèpressiva dei reati.
Una persona in difetto assolta con sentenza definitiva in uno stato non potrebbe essere nuovamente giudicata in un altro stato, mentre l’imputato nei confronti dle quale un giudice istruttore abbia pronunciato un’ordinanza di non luogo a procedere non godrebbe dello stesso effetto preclusivo. La persona potrebbe vedere venir meno l’interesse ai riti semplificati; i responsabili dei reati piùgtravi si troverebbero a beneficiare del ne bis in idem a differenza dei piccoli trasgressori,in quyantoper tali reati non è prevista la degflazione[32]
Nota alla prima cassetta sulla presunta errata adozione dell strumento della DQ avanti la Corte di Giustizia:
Il mandato di arresto ha inteso sostituire il sistema classico dell’estradizione con un meccanismo orizzontale, consistente nel trasferimento di una persona da uno stato all’altro conformemente all’art.31 TUE che prevede la facilitazione dell’estradizione tra gli stati membri. Non è un provvedimento restrittivo emesso da una magistratura europea –che non esiste –ma un provvedimento espressivo di una cooperazione in un meccanismo vicino a quello estradizionale., realizzando l’obiettivo di uno spazio giudiziario europeo. L’espressione mandato di arresto europeo è enfatica per definire la consegna nell’ambito dei 15 paesi membri dell’UE, di persone ricercate quali risultato di una semplificazione dell’estradizione combinata con il mutuo riconoscimento delle decisioni straniere. Alla lista dei 32 reati da sottoporre preparata dalla presidenza belga sie contrapponeva quella più ridotta italiana, che si appoggiava a perplessità di Austria Portogallo Irlanda e più sfumatamente Grecia, Paesi Bassi e Lussemburgo. La lista italiana è passata da 6 a 16 reati per poi arrivare a 32 ma con una decorrenza per i secondi 16 dal 2007 anziché dal 2004 (in tal senso L. Elia, intervista su La Stampa 12.12.2005 e Selvaggi,Questioni reali,cit.)
Per la dottrina più attenta, (Selvaggi), il punto di arrivo parte dalla Conv. europea di estradizione del 1957 dove non rilevano né il titolo di reato, essendo stato abbandonato il sistema della lista, sostituito da quello del limite quantitativo della sanzione, né la fondatezza delle accuse (colpevolezza). I motivi di rifiuto sono: l’assenza della doppia incriminazione, la natura politica o militare o fiscale, la possibilità di comportamenti o situazioni discriminatori (clausola di non discriminazione), cittadinanza, ne bis in idem, prescrizione del reato secondo la legge dello stato richiesto.
La Convenzione del 1957 non presupponeva modelli comuni di sistemi giudiziari, non stabiliva nulla sull’AG né sul titolo estradizionale. L’art. 12 prevede una semplice sentenza di condanna, mandato di cattura o qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia,.
L’Accordo di ……. …. prevedeva la richiesta allo stato di rifugio dell’esecuzione della pena e, in attesa di documenti, il fermo di polizia.
Si arriva al Trattato di Amsterdam del 02.10.1997 entrato in vigore il 1°.05.1999, che individua uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. L’art. 29 definisce gli obiettivi nel settore della giustizia penale, criminalità organizzata, terrorismo, tratta di esseri umani, reati contro i minori, traffico di droga e di armi,corruzione e frode.
Due le strade: semplificare le procedure di cooperazione e, ove necessario, armonizzare le normative nazionali.
Tra le misure l’art. 31. 2 include la facilitazione dell’estradizione e la compatibilità delle normative applicabili nella misura necessaria per migliorare la cooperazione. Sulla cooperazione fa leva il piano di azione del 1998 dell’ ‘UE. Nel Programma globale del Consiglio (GAI) del dicembre 2000 si volle attuare le conclusioni di Tàmpere (GUCE C-12 del 15.01.2001) e l’obiettivo del principio del mutuo riconoscimento in relazione a una serie di misure giudiziarie penali quali la sentenza definitiva, le misure provvisorie di sequestro e di confisca dei beni e di arresto, prescindendo dall’armonizzazione delle normative penali sostanziali degli stati membri.
Secondo il Considerando n. 3 l’obiettivo è l’area di libertà, giustizia e sicurezza; la classica cooperazione doveva essere sostituita da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie penale in fase anteriore alla sentenza o definitive. Nel Considerando n. 7 si prevedeva che tale obiettivo potesse perseguirsi a livello dell’UE secondo il principio della sussidiarietà, definito dal combinato disposto degli artt. 2 del Trattato UE e 5 del Trattato istitutivo della CE, nonché secondo quello di proporzionalità, art. 5 Trattao CE, in ossequio del quale la DQ non va oltre ciò che è necessario fare per raggiungere lo scopo.
Il Considerando n. 10 presuponeva il principio di livello di fiducia.
Per Selvaggi l’art….par. 2 definisce unicamente l’ambito di operatività –secondo peraltro quanto proposto in sede di CJ sia a nella prima che nella seconda versione di Firenze 2000- un meccanismo di esclusiva portata processuale congegnato per superare i problemi derivanti dall’operatività – mantenuta al paragrafo 4 dell’art. 2- del requisito della doppia incriminazione, che deve invece sussistere per tutti i reati non riconducibili alle categorie. L’inserimento dei reati nelle categorie dei 32 varrebbe come presunzione semplice di assolvimento in entrambi gli ordinamenti del requisito della doppia incriminazione, mentre la collocazione fuori lista richiederà l’autorizzazione da parte dell’AG, con possibilità di prova contraria in ordine al mancato rispetto dele condizioni legittimanti l’emissione della misura. Anche per la DQ sul mutuo riconoscimento delle decisioni di blocco dei beni, sequestro e confisca, si profila ipotesi di manifesto contrasto, nel senso di rifiuto dell’esecuzione per reati non previsti nella lista, parimenti contemplata nel progetto ed erroneamente qualificato come rientrante nelle categorie dell’elenco. Tuttavia il suggerimento veniva respinto.
Si rammenti ancora la decisione del Consiglio del 06.12.2001 sulla protezione dell’Euro dalla falsificazione (GUCE L 329 del 14.12.2001); ancora la DQ 06.12.2001 (sulla recidiva, in tema). Secondo Selvaggi si giustifica anche l’abolizione della nozione dei delitto politico quale motivo obbligatorio di rifiuto di consegna della persona richiesta (ad esempio art. 3 Conv. europ. di estradizione del 13.12.1957). La portata del carattere politico è attenuata dagli strumenti convenzionali come l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione 15.10.1975, non ratificato; da quello sulla repressione del terrorismo del 27.01.1977, ratificato; dalle convenzioni NATO e ONU sull’illecita cattura di aeromobile etc, già citate; dalla Convenzione 27.11.1996 sull’estradizione tra gli stati membri, art.5.
Sul punto le decisioni e decisioni quadro sono atti normativi tipici vincolanti per gli stati membri, necessitanti attuazione negli ordinamenti, secondo norme e procedure legislative e costituzionali.
La L. 09.03.1989 n. 86 (legge La Pergola) disciplina le norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, pur contemplando già riferimenti all’UE (artt. 2 e 7) oltre che alla CE; non contempla, tuttavia, un meccanismo di attuazione standard nell’ordinamento interno delle decisioni e delle decisioni quadro adottate ai sensi dell’art.6 del trattato UE.
Le periodiche leggi comunitarie si limitano a dare attuazione, concedendo delega legislativa ai governi ,in pratica, alle sole direttive comunitarie.
Una modifica, osserva Selvaggi, ed integrazione della Legge La Pergola apparirebbe necessaria atteso il progressivo incremento del numero degli atti normativi adottati dalla UE (solo per le decisioni quadro, una nel 2000 e 4 nel 2001); ma già oggi, con legge ordinaria, si può dare attuazione agli atti normativi adottati nell’ambito del cd. III Pilastro. Ne è riprova il D.L. 25.09.2001 n. 350 e la L. di conversione del 23.11.2001 n. 409 che fra le altre cose hanno dato attuazione alla DQ 29.05.2000 in materia di protezione dell’Euro contro la falsificazione.
Difatti il mandato di arresto fu trasposto mediante legge ordinaria, con la conseguenza che le obiezioni di carattere formale non appaiono fondate. L’art. 111 comma VII Costituzione prevede la garanzia del ricorso davanti alla Corte di Cassazione per motivi di legittimità in relazione a tutti i provvedimenti de libertate da qualsiasi organi giurisdizionale provenienti.
L’attuale versione dell’art. 17 contempla una proroga del termine di consegna del termine di consegna di trenta giorni rispetto a quello di dieci in caso di consenso e di sessanta in assenza di consenso.
In parallelo, quanto accade per la procedura estradizionale passiva ex art. 704 e seg. c.p.p.; il termine appare sufficiente per l’espletamento della procedura dinanzi al ricorso per cassazione, così come avviene per il 706 c.p.p.
Ad esempio, nel Trattato bilaterale Italia-Spagna approvato i termini per il ricorso per cassazione sono abbreviati rispetto a quelli previsti dagli artt. 610 comma V,611 comma I c.p.p.
Sulla base giuridica dell’adozione dello strumento e sull’indicato profilo di contrasto tra lo strumento istitutivo del mandato europeo di arresto ed alcune disposizioni del Titolo 6 del Trattato istitutivo dell’UE (31 lett. e) e 34 par. 2 lettera b)) è stato osservato (Selvaggi) che l’azione dell’Unione non si limita alle materie nel Trattato ma può estendersi a settori non di sua esclusiva competenza secondo il principio di sussidiarietà. L’art. 31 riguarda soltanto una delle modalità della cooperazione di polizia giudiziaria penale tra gli stati membri,nonché uno degli atti tipici di natura programmatica dell’Unione ai sensi del Titolo 6 del Trattao UE ma non intende affatto cristallizzare le forme della cooperazione, come il cammino intrapreso per il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
L’art. 34 paragr. 2 lettera b) inoltre indica l’ambito materiale privilegiato dello strumento della dq e vi é il ravvicinamento delle disposizioni; ma anche in questo caso non pone alcun limite specifico al suo contenuto, come si desume a contrario dalla circostanza che, secondo la lettera c), allo strumento della decisione è precluso espressamente, invece, di avere ad oggetto il predetto ravvicinamento.
Altra nota da mettere nella 1 cassetta ove si parla del dippio filrto del giudice ed utilizza l’elencodefinitorio delle 32 fattispceiecome meccanismo di doppoioraffornto.
E’ stato osservato (M.R. Marchetti, l’esecuzione del mandato,cit.) che già nel Considerando 12 della DQ si usa l’espressione sussistono gli elementi oggettivi anche al limitato fine di ritenere che il mandato sia stato emesso al fine di persecuzione o di discriminazione.
Il tema problematico consiste nel capire se gli elementi oggettivi sono disposizioni normative dello stato richiedente ovvero di una valutazione socio-politica e non strettamente giuridico normativa. Anche l’espressione dei principi fondamentali relativi al processo penale sinteticamente nella forma del giusto processo, costituisce un nucleo problematico. Il richiamo alle disposizioni costituzionali in tema di giusto processo si potrebbe ritenere finalizzato ad assicurare alla procedura di delibazione la richiesta di garanzie ad essa relative. Le due interpretazioni prospettate non sono in alternativa; possono riguardare entrambi i profili, possono coesistere. Ci si domanda se per l’Italia l’eventuale condizione di procedibilità rilevi ai fini della competenza a perseguire di cui parla la disposizione de qua e ci si riferisce all’art. 3 (amnistia); se sia sufficiente la perseguibilità in astratto, la mera possibilità ove sussistano determinate condizioni, indipendentemente dalla loro esistenza nel caso di specie.
Il problema è reale.
Ad esempio per i reati di cui agli artt., da 8 a 10 c.p., la possibilità di procedere è subordinata a condizioni quali la presenza del soggetto nel territorio dello stato, la richiesta del Ministro della Giustizia, nonché, talora, la non concedibilità dell’estradizione, variamente combinata a seconda del reato commesso della nazionalità (cittadino straniero) dell’interessato.
Se la sussistenza della prima condizione è in re ipsa, è evidente la mancanza della seconda, la cui presenza determinerebbe un ipotesi di rifiuto facoltativo: la possibilità di non dare seguito alla richiesta di esecuzione maggiore o minore a seconda che le condizioni di procedibilità o di punibilità rilevino o meno ai fini della competenza a perseguire.
Per l’A. dovrebbe essere sufficiente la perseguibilità in astratto, considerato sia l’orientamento interpretativo più recente, in tema di doppia incriminabilità per l’estradizione, secondo il quale tali condizioni non rilevano, sia le ragioni che – fermandosi alla relazione illustrativa alla proposta di dq – hanno consigliato di dare rilevanza alle amnistie,che non vengono meno per il solo fatto che il concreto esercizio dell’azione penale resterebbe subordinato alla presenza di una o più condizioni.
Sulla minore età, l’A. ricorda che gli infraquattrordicenni, per l’art.97 c.p. sono non imputabili e sono ricompresi quindi nell’art. 3 par. 3, come coloro che hanno superato i 18 anni ne sono esclusi.
Qualche incertezza può essere per la fascia intermedia, per la quale l’art. 78 c.p. stabilisce l’imputabilità se capace di intendere e di volere, lasciando al giudice procedente la valutazione della capacità. Valutazione caso per caso, applicabile all’ipotesi de qua,posto che questa non contrasta con la decisione in ordine alle eseguibilità del mandato.
E grazie al Considerando 12 dell’art. 1 della DQ ed ai principi fondamentali dell’ordinamento, si realizzerebbero le esigenze di cui alla Sent. 128/87 della Corte Costituzionale sull’estradizione del minore. Ai sensi dell’art. 12 della DQ è possibile la provvisoria rimessione in libertà per il minore.
Non vi è nella DQ e nel nostro codice un’estensione per i casi diversi di non punibilità precisati dal nostro c.p.: l’infermo di mente è virtualmente assoggettabile all’esecuzione del mandato; è possibile fare ricorso all’art. 3 par.4, il quale prevede il diferimento temporaneo per gravi motivi di ordine umanitario. E’ comunque chiaro che si tratta di tutela attenuata rispetto a quella prevista per i minori non imputabili.
Qui effettivamente potrebbe sorgere una questione di costituzionalità sotto il profilo del trattamento diseguale e del diretto contrasto con molte disposizioni della Carta Costituzionale.
Il medesimo A. ricorda che il ne bis in idem è già considerato come causa di rifiuto obbligatorio e quindi la disposizione de qua già ricordata (art.4 par.3), pur potendo strettamente coincidere almeno in parte con il disposto dell’art. 3 lett.b), deve riguardare altri settori che però non paiono, con riguardo al nostro ordinamento, individuabili.
Se la locuzione “osta all’esercizio di ulteriore azioni” pare evocare alcuni dei cd. effetti positivi del giudicato (quelli considerati ad esempio negli artt. 651 e 653 c.p.p.) ovvero potrebbe riverberarsi su procedimenti diversi (quali ad esempio l’applicazione di una misura di prevenzione che ha, tuttavia, altri presupposti), è da considerare che queste ipotesi non hanno nulla a che vedere con il mandato di arresto. Le ulteriori azioni devono infatti necessariamente riguardare reati per i quali può essere richiesta l’esecuzione del mandato.
In tale senso sempre Marchetti.
Neppure –è stato osservato- ci si riferisce ad una decisione di proscioglimento, riguardando il caso dell’art. 3 lett. b) una sentenza di condanna. La premesssa delle libera circolazione delle decisioni giudiziarie deve riguardare tutte le decisioni incluse quelle di proscioglimento.
L’inciso “in caso di condanna” non consente di dubitare della sua riferibilità anche al proscioglimento. Piuttosto, le condizioni alle quali ci si riferisce in caso di condanna potrebbero fare ritenere che, ove insussistenti, determinino la degradazione del ne bis in idem da caso di rifiuto obbligatorio a mera facoltà.
Così, ad esempio nell’ipotesi in cui il giudice abbia pronunciato la sentenza senza tuttavia applicare la punizione ovvero quando l’esecuzione della pena sia sospesa,cioè nei casi in cui, mancando le condizioni, non opera l’art.3 lett. b).
Si dirà ancora in materia di tasse, imposte,dogane e cambio che non rilevano le differenze intermedie in regime impositivo. L’affermazione conduce al II protocollo Addizionale alla Convenzione europea di estradizione che all’art.2 contiene analoga prescrizione: si riferisce a reati della stessa natura. In dottrina si è sottolineato come il II Protocollo abbia adottato un principio di cd. doppia incriminabilità speciale, richiedendosi non solo che il fatto costituisca reato in entrambi gli ordinamenti, ma anche un reato della medesima natura, cioè un reato fiscale.
Nonostante la somiglianza, non potrebbe dirsi altrettanto sull’art. 4 par. 1 della DQ, dove manca la specificazione della natura del reato. Ci si limita a richiamare il principio della doppia incriminabilità tout cour, forse anche perché la disposizione di cui trattasi riguarda qualsiasi reato e non soltanto quelli fiscali e tributari.
Sulla litispendenza internazionale, vale il rifiuto di esecuzione se nello stato richiesto è in corso un processo per il medesimo fatto; la normativa interna di attuazione dovrà decidere del procedimento de quo in caso di esecuzione del mandato. L’eventuale consegna dovrebbe implicare la sospensione del procedimento nello stato di rifugio e la sua definitiva conclusione al momento della decisione definitiva nello stato richiedente.
Nel caso di rifiuto, il procedimento deve essere sospeso nello stato richiedente onde evitare un’inutile duplicazione dei processi a carico della stessa persona.
Sul “cittadino”, il diritto applicabile alla fase dell’esecuzione è quello dello stato nel quale l’esecuzione si realizza. L’esecuzione seguirà la normativa penitenziaria dello stato di rifugio, comprese le disposizioni suoi benefici e riduzioni di pena. L’eventuale revisione della sentenza aspetterebbe invece allo stato richiedente; la concessione della grazia, dell’amnistia o la commutazione della pena sono competenza di ognuno dei due stati interessati, come dispone l’art. 13 della Convenzione tra gli stati mennbri delle Comunità europee sull’esecuzione delle condanne penali straniere (Bruxelles 13.11.1991), che riprende il disposto degli artt.12 e 13 della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate (Strasbrugo 21.03.1983).
Resta il problema – osserva sempre Marchetti- se nell’ipotesi in questione sia necessario il consenso della persona o si possa prescinderne.
Per l’Italia l’art. 742 comma III c.p.p. farebbe concludere sulla non necessarietà del consenso, la quale potrebbe consentire (artt. 13 e 14) di scontare la pena nello stato richiedente.
La clausola relativa ai reati commessi in tutto o in parte sul territorio straniero, ovvero non commessi nel territorio straniero se la normativa dello stato richiesto non consente l’esercizio della giurisdizione per tali reati commessi fuori del proprio territorio, la disposizione regolerebbe i caso in cui l’esecuzione del mandato potrebbe determinare una sorte di rinuncia all’esercizio della giurisdizione ovvero la cooperazione al di fuori dei casi in cui la regola è concessa.
La disposizione ricalca però l’art. 7 Conv. estradizione, posto per rispondere ad esigenze connesse o alla commissione di reati su una nave o su un aeromobile di nazionalità della parte richiesta ovvero relative al principio di territorialità, al quale alcuni ordinamenti sono vincolati.
Per il reato commesso fuori del territorio dello stato richiedente, per l’Italia non sussistono problemi all’esecuzione del mandato, stante l’ampia perseguibilità dei reati commessi fuori del nostro territorio e fermo restando che qui non rilevano le abituali condizioni alle quali la stessa è subordinata, con riferimento alla perseguibilità in astratto, cioè alla sussistenza di una normativa che la preveda indipendentemente dalle condizioni per il suo concreto esercizio.
Per la DQ l’immunità degrada da causa di rifiuto obbligatorio a causa di sospensione della decisione, a differenza che per la normativa nazionale interna di attuazione.
Sulla normativa riferita a procedimenti in absentia, il nostro ordinamento prima di dichiarare la contumacia procede ad una serie di verifiche volte a controllare la conoscenza in capo ai soggetti della data dell’udienza (420 bis–quinquies e 484 comma II bis c.p.p.).
Sull’ergastolo, la possibilità prevista per tabulas (art.176 comma III del c.p.,) di ammissione alla liberazione condizionale parrebbe poter adempiere a quanto previsto dall’art. 5 della DQ.
Il termine di cui alla disposizione da ultimo richiamata è inferiore a venti anni rispetto a quella individuata dall’art. 176 c.p. (26 anni). La possibile riduzione di quest’ultimo a seguito dell’applicazione dell’art. 54 Ordin. penit (liberazione anticipata) potrebbe avere l’effetto di ricondurre il termine di cui sopra entro i confini temporali indicati nelle DQ.
I benefici sono subordinati alla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione e, con le parole dell’art.176 c.p., deve ritenersi sicuro il ravvedimento.
Per la consegna (ai fini processuali, ex art.4 paragrafo 6) per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, prevista dall’art 5 si fa riferimento al “cittadino o coloro che risiedono nello stato di esecuzione”, a differenza dell’art. 4 che a questi aggiunge anche chi semplicemente dimori nello stato.
Sebbene il richiamo alla dimora vada inteso nel senso di dimorare stabilmente, non è chiaro perché nel caso di imputati non si prende in considerazione anche il rapporto territorio/persona, sia per le immunità e i privilegi che per i minori. L’A. osserva che sarebbe forse stato preferibile che la richiesta di revoca precedesse l’emissione del mandato.
Sulla revocabilità del consenso, l’art. 205 bis disp. att c.p.p. continua ad essere applicabile. Se l’interessato non consente ad essere consegnato, ha diritto di audizione dall’Autorità dell’esecuzione, laddove il rinvio al diritto interno dello stato di esecuzione lascia supporre che l’audizione possa essere costituita da una camera di consiglio nel corso della quale il soggetto viene assistito e sentito.
Nessun problema sul possibile concorso tra il mandato di arresto e la richiesta di consegna alla Corte penale internazionale; l’aver stabilito che gli obblighi derivanti dallo Statuto della Corte restano impregiudicati, rende applicabile esclusivamente la norma dello Statuto che disciplina il caso di richieste concorrenti (art.90) e che prevede a certe condizioni la prevalenza della richiesta della Corte.
FINE NASTRO
Cassetta 4. Lato A
Prima di trattare delle ulteriori cause di non esecuzione del mandato di arresto previste dall’ordinamento italiano tramite la legge di attuazione è opportuno richiamare quanto prima osservato in ordine alla divisione fra orientamenti a lettura forte ed orientamenti a lettura debole con riferimento ad ambiti problematici ed anticipare quindi sia con riferimento ad una lettura forte che ad una lettura cd. debole alcuni dei profili emersi di presunte o eventuali, a seconda delle prospettive deboli o forti assunte, frizioni in termini di contrasto con norme costituzionali.
Per procedere a questi ulteriore esame è opportuno tuttavia, con riferimento al nucleo di nascita della DQ in commento, affrontare sia pure incidentalmente, ritornando con ciò su alcune anticipazioni fatte, il profilo dell’efficacia diretta o pseudodiretta degli effetti delle DDQQ all’interno degli ordinamenti giuridici.
Ciò sarà utile al fine di esaminare le differenziazioni e le diverse articolazioni fra la DQ e la normativa interna di attuazione. E’ stato osservato (Frigo, Uno strumento senza efficacia diretta, in Guida al Diritto n. 19 del 14.05.2005 da pg.68) che a prima lettura era ictu oculi percepibile che molte delle previsioni della DQ si spingevano oltre l’indicazione dei risultati da ottenere ed attingevano anche all’area delle forme e dei mezzi assegnate all’autonomie degli stati membri creando possibili scenari di frizioni e un vero e proprio contrasto con il sistema interno di giustizia penale, a livello di norme sia costituzionali che ordinarie, come fu rilevato durante l’iter formativo della decisione stessa nell’autunno del 2001 nel citato Parere Vassalli- Caianiello.
La iniziale previsione era che per un procedimento penale proveniente da uno stato membro dovesse procedersi all’esecuzione del mandato dal giudice italiano consegnando il soggetto senza distinguere tra cittadini stranieri maggiorenni o minorenni,ovvero mancando una motivazione sui gravi indizi di colpevolezza o esigenze cautelari, ovvero per reati che tali non sono in Italia o che sono puniti con pene per le quali la privazione della libertà prima della condanna non è consentita, ovvero il caso di esecuzione di sentenza di condanna in Italia non eseguibile per pene suscettibili di sospensione condizionale o condanne conseguenti a processi non conformi ai canoni del giusto processo (ad esempio inflitte su sole dichiarazioni accusatorie di chi si è sempre sottratto al contro esame difensivo).
In base all’art. 11 Cost. la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolamentato con legge, che si svolge in contraddittorio delle parti, in parità, davanti ad un terzo imparziale giudice con ragionevole durata, con previsione dell’informazione riservata della natura dei motivi dell’accusa, con un tempo e condizioni per preparare la difesa, con facoltà, davanti al giudice di interrogare o fare interrogare persone che rendono dichiarazioni a propriocarico, convocando ed interrogando persone a difesa nelle medesime condizioni dell’accusa ed acquisendo ogni altro mezzo di prova, assistito da un’interprete eventualmente.
Ilprocesso è caratterizzato dal contaddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni provenienti da chi si è volontariamente sottratto all’interrogatorio dell’imputato e del difensore. La legge stabilisce i casi di formazione della prova non in contraddittorio con il consenso dell’imputato per l’impòssibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. I provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e contro le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà degli organi costituzionali ordinari e speciali è ammesso il ricorso per Cassazione per violazione di legge, salve le eccezioni dei Tribunali di guerra e il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti verso cui il ricorso per cassazione vale per sli motivi inerenti la giurisdizione.
L’art. 13 … comma stabilisce che non è ammessa alcuna restrizione della libertà personale o detenzione o ispezione o perquisizione personale se non è per atto motivato dell’ AG nei casi e modi di legge.
Sempre dalla Dottrina citata si è osservato come le finalità del mandato di arresto europeo in termini di spazio, libertà, sicurezza e giustizia comunitario si sono caratterizzate per legalizzare e rendere diretti i rapporti tra le autorità giudiziarie degli stati membri escludendo gli interventi politici nel più ampio tema dell’estradizione.
Ciò impone e richiede che ci si sia affidati esclusivamente al principio di stretta legalità e di rigoroso rispetto dei sistemi costituzionali degli stati, in assenza del controllo politico o amministrativo precedente o susseguente una decisione giudiziaria in termini.
Il parlamento era nell’alternativa ardua di utilizzare pienamente gli spazi riservati dal Trattato UE nella definizione delle forme e dei mezzi, oppure di porre limiti sostanziali implicati dal modello costituzionale di tutela dei diritti giudiziari, giovandosi della riserva di salvaguardia per le norme nazionali del giusto processo.
Di qui l’idea dello strumento uniforme disciplinato dal diritto europeo.
La l. 69/05 si muoverebbe nel rispetto delle prescrizioni minime della DQ corredando il mandato di arresto di quelle caratteristiche già previste dall’art.,1 comma I ove si chiarisce che l’attuazione della DQ è data dalla legge italiana nei limiti in cui non é incompatibile con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali nonché in tema di diritti di libertà e del giustoi processo.
Palese è il riferimento ai precetti costituzionali previsti negli artt. 13,14,15,16,17,18,1,9,21,24,25,26,27,101 e 111 della Costituzione che si danno per richiamati.
L’art. 2 comma I lett. b) della legge fissa i limiti generali assegnati a chi provvede all’esecuzione del mandato: principi e regole contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto processo, compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale anche in relazione al diritto di difesa ed al principio di eguaglianza, nonché quelli relativi a responsabilità penale ed alla qualità delle sanzioni penali (lett.b)
Il comma II dello stesso art. 2 fissa e recita: per le finalità di cui al comma I possono essere richieste idonee garanzie allo stato,membro di emissione.
Residuale é il comma III, che collega il rifiuto della consegna alla grave e persistente violazione da parte dello stato richiedente dei principi di cui al comma i lettera a), quali relativi ai diritti fondamentali espressi dalla CEDU ……… dal Consiglio dell’UE.
Il comma III dell’art. 1 richiama la qualità del provvedimento intermo dello stato richiedente: se si tratta di un provvedimento cautelare, condizione è che sia sottoscritto da un giudice e sia motivato; se si tratta di sentenza applicativa di una sanzione penale detentiva, che essa sia irrevocabile.
La prima condizione esprime la riserva di giurisdizione che in materia di restrizione della libertà personale è configurata come garanzia dall’art. 13 comma II della Costituzione, accanto alla riserva di legge. E’ la legge che disciplina i casi e i modi delle restrizioni e un giudice, a fronte di una situazione di fatto corrispondente, prende il provvedimento che tenga adeguatamente conto delle ragioni in concreto di tale corrispondenza. Il riferimento è al giudice che nell’ordinamento italiano, alla luce del c.p.p. si ritiene costituzionalmente legittimato ad adottare tale specie di provvedimenti.
Sull’obbligo della motivazione: è rafforzato dall’art. 111 comma VI della Costituzione, secondo il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati
La necessità, poi, che per il diritto italiano la sentenza sia irrevocabile discende dal dovere di rispettare la presunzione di innocenza sino a condanna definitiva ex art.27 comma II Cost.
Se in alcuni paesi è eseguibile una condanna non definitiva, sul punto la DQ é neutrale. Si guardino le lettere c) e f) dell’art.8 par.1.
Non è questo il caso di approfondire gli aspetti relativi all’art. 27 comma II Cost. che rientrando a delineare i connotati del giusto processo sembrerebbe avere legittimato da parte della L. 69/05 il,fatto che, ai fini del provvedimento che dispone la consegna, nel caso di mandato per procedimento, si impone alla Corte di appello di verificare non solo l’assenza di cause ostative, ma in positivo che sussistano gravi indizi di colpevolezza, rivalutando la previsione dettata per la disciplina estradizionale dall’art. 705 c.p.p.,sia pur limitata dalla giurisprudenza,tendenzialmente restrittiva.
Nulla si afferma sulla sussistenza di esigenze cautelari che dovessero essere valutate dal Giudice, anche se vi è (Frigo) dottrina che la ritiene implicita con spunti inclusi nell’art.18 comma i lettera s) della legge, in quanto intrinseca al concetto di cautela. Fra questi i temi della possibilità che vi sia privazione della libertà anche al di sotto dei minimi di pena individuati dalla legge italiana come sbarramento, obbligando il giudice italiano a concorrere a provvedimenti che per il diritto interno non potrebbe adottare, con frizioni in relazione al principio costituzionale di eguaglianza, evocato dall’art.2 comma I lett. b) della L. 69/05.
Tali ed altre difficoltà venivano già avanzate nei citati pareri e nelle varie versioni degli orientamenti dottrinari e già in sede di proposta di decisione quadro si era rilevato: a) che violasse i principi costituzionali della libertà personale ex art.13 in accordo con gli artt. 104 e 111 della Costituzione (competenza ad emettere un ordine di custodia, riserva di legge sulle forme e possibilità di dare ordini, organizzazione delineata in costituzione del sistema giudiziario, motivazione obbligatoria per tutti i provvedimenti che dispongono misure restrittive della libertà, possibilità di ricorrere in Cassazione per una violazione di legge, permettendo una deroga dalle leggi nazionali in materia di emanazione ed esecuzione di ordini di custodia, che nel nostro sistema sono strettamente legate a previsioni costituzionali, costantemente vagliate dalla Corte costituzionale; b) violazione dei principi costituzionali sull’estradizione (artt.10 e 26 della Costituzione), toccanti norme pertinenti la protezione e promozione dei diritti fondamentali, la cui primazia deve essere confermata riguardo a tutte le norme e le leggi incluse quelle internazionali, pattizie e consuetudinarie.
Si profilavano violazioni delle limitazioni previste e più oltre discusse degli artt. 31 e 34 TUE.
La lista dei crimini avrebbe ecceduto le indicazioni dell’art.31 e) e non rispetterebbe l’art.34 comma II lett.d) , violando le competenze delle Autorità nazionali con riguardo alla scelta delle forme e degli strumenti.
Sotto il profilo dell’art. 2 ove esso avesse un effetto espansivo ed universale, si faceva il caso di chi venisse assoggettato a un provvedimento restrittivo della libertà in uno stato dell’unione i cui requisiti per la procedura di arresto sono meno rigorosi o meno garantisti di quelli del paese ove si trova, con un trattamento giuridico differenziale rispetto a quello di residenza o dimora. Si prevedeva (T.E. Frusini, Subito una procedura penale comune, in Guida al Diritto n. 19/2005 da p. 74) che la Corte Costituzionale sarebbe intervenuta e già con la sent.117/1994 la stessa affermava che la prevalenza delle norme comunitarie su quelle nazionali si arresta quando vi è contrasto con i principi fondamentali della Costituzione nell’ingresso dell’ordinamento internazionale; nella rinuncia della sovranità a fonti di produzione sopranazionali detti contrasti sono possibili quando si aprono brecce sui tessuti dei principi costituzionali.
In termini critici in via generale sulla riscrittura della lista dei 32, E.Calvanese e G. Deamicis, (Mutuo riconoscimento solo nelle intenzioni e riaffermata la doppia incriminabilità in Guida al Diritto n.19,2005 da pag. 77) rimarcavano l’incongruenza del legislatore italiano sul profilo dei fatti che, pur previsti come reato nell’ordinamento dello stato emittente, sono del tutto neutri ed inapprezzabili penalmente nell’ordinamento richiesto, ponendo punti di contrasto rispetto al principio di legalità, in quanto individuati sulla base di una generica enunciazione di tipologie senza indicare gli elementi minimi comuni delle varie fattispecie, anzi con previsioni talmente ampie da consentire qualsivoglia concretizzazione a seconda degli interessi e delle sensibilità di ogni stato membro (rilievi espressi in sede di Commissioni affari costituzionali). Tale incongruenza si caratterizzava nell’intervento del legislatore italiano che, nelle maglie del potere concesso dal 12° Considerandum (la presente decisione non osta a che gli stati applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, al rispetto del diritto di libertà di associazione, di stampa, di espressione ed altri mezzi di comunicazione e i governi dovranno avviare le procedure di diritto interno per rendere la DQ stessa compatibile con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, per ravvicinare il suo sistema giudiziario ordinamentale ai modelli europei e nel rispetto dei principi costituzionali”; si tratta di dichiarazione fatta di negoziato, per la principale dottrina irrilevante giuridicamente) l acritica rimarcava che esso avesse effettuato una scrittura unilaterale dei 32 casi previsti dallo strumento europeo, subito contrastata (si guardi il resoconto della seduta dell’11.05.2004 n. 465 pag. 58); rilievi che consistevano nel rimarcare che si venisse sostanzialmente ad introdurre un’aberrante doppio sistema penale, uno previsto dal c.p. uno previsto dal provvedimento in esame.
Un esempio citato e ricordato è che in relazione alla fattispecie di riciclaggio di cui alla lettera f) dell’art. 8 della L. 69/05 (”sostituire o trasferire denaro o altre utilità provenienti da reato ovvero compiere in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita”), pur riprendendo i tratti portanti della condotta ex 648 bis c.p. rispetto a quella contenuta nell’ art. 6 della Convenzione sul riciclaggio (ricerche, sequestri, confisca dei proventi del reato del 08.11.1990), caratterizzata dall’elemento soggettivo più che dall’offensività della condotta, la nuova fattispecie disegnata dalla L. 69/05 se ne discosta, non includendo la clausola di esclusione di responsabilità per chi abbia concorso nel reato presupposto la cui assenza aveva giustificato (in relazione al principio della doppia incriminabilità) il rifiuto dell’estradizione ad esempio in Cass.VI 28.09.1998 n.1732, si a il riferimento alla dolosità del reato presupposto.
Tali rilievi critici non sono da noi condivisi, come si vedrà in seguito, sulla semplice considerazione che risulterebbe ingessato il testo della DQ, svincolandolo dall’avvicinamento alle legislazioni penali.
Anche il rilievo critico verso la previsione dell’ art.8 della L.69/05 che impone Giudice di accertare se la definizione dei reati corrisponda a una delle fattispecie descritte dalla norma interna, sostanzialmente reintroducendo il meccanismo di exequatur che la DQ aveva voluto evitare non pare assolutamente accettabile.
Il rilievo critico per cui la condizione della doppia incriminazione è richiesta dall’art. 8 a tutela del cittadino in presenza dell’ignoranza scusabile della legge penale del locus commisi delicti, nei casi in cui il fatto non sia previsto dalla legge italiana, se risulta che lo stesso non era a conoscenza senza propria colpa della norma penale dello stato membro di emissione in base alla quale é stato emesso il mandato di arresto europeo, viene censurata per il semplice fatto – con un ragionamento non logico- che non è estesa allo straniero in condizioni analoghe. E’appena il caso di rammentare la sent. n. 364/1988 della Corte costituzionale che aveva sancito l’illegittimità costituzionale dell’art.5 del c.p. nella parte in cui non esclude l’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale (ignoranza inevitabile), posto che l’autore del fatto ha la legittima presunzione di liceità dell’azione posta in essere.
Per la Corte di Giustizia CE il principio di interpretazione conforme secondo cui il giudice nazionale è tenuto ad interpretare il diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario trova applicazione anche con riferimento alle decisioni quadro, con il solo limite del rispetto dei principi di certezza del diritto e di irretroattività della norme penali incriminatrici.
In virtù di questa regola, gli artt.2, 3, 8 n. 4 della DQ 15.03.2001, 2001/220GAI riguardante la posizione della vittima nel procedimento penale, va interpretata nel senso che il giudice penale può autorizzare bambini vittime di maltrattamenti a rendere la propria deposizione secondo modalità idonee a garantire un livello di tutela adeguata, attraverso cioè l’incidente probatorio e con le forme particolari previste dall’art. 398 comma V bis[33].
Ma torniamo al caso Pupino.
Qui si stabiliva il principio che l’interpretazione a titolo pregiudiziale delle decisioni quadro ex art. 35 del Trattato UE non differisce da quella prevista dall’art. 234 per le direttive, salvo che per esser il rinvio pregiudiziale obbligatorio tutte le volte in cui la questione interpretativa si reputi necessaria per emanare la decisione finale.
In secondo luogo, il giudice nazionale é tenuto ad orientare la propria attività esegetica alla luce della lettera e dello scopo della dq (CGCE 16.06.2005) con gli unici limiti del rispetto dei principi di certezza del diritto, di non retroattività della norma incriminatrice, del divieto di interpretazione contra legem della legge nazionale.
La direttiva, come la decisione non ha portata generale, ma vincola lo stato destinatario su cui incombe un obbligo di risultato. E’ormai pacifico che l’attuazione di una direttiva non richiede necessariamente una riproduzione testuale delle sue dispozion in una norma ad hoc; tuttavia è necessario che le misure di attuazione realizzino quanto in essa prescritto con efficacia cogente, indicandolo anche in modo specifico, chiaro e preciso, affinché i destinatari delle direttive siano in grado di far valere le posizioni in esse contenute dinanzi ai giudici nazionali[34]
Qui andrebbe affrontata la distinzione fra lacuna e disposizione contrastante.
Ma il dictum vincolante della Corte Europea non potrà non avere rilievo anche con riferimento alla disciplina sul mandato di arresto europeo. I giudici nazionali, ci si chiede, sulla base delle indicazioni fornite da questa sentenza potranno colmare in via interpretativa le numerose incongruenze esistenti tra la DQ e la legge di attuazione? Soprattutto in punto di garanzie individuali.[35]
La conclusione, in questa limitata sede, è che in ogni caso il giudice penale italiano sia tenuto ad interpretare le disposizioni del codice di rito alla luce delle numerose DDQQ emanate dall’UE nei limiti costituiti dal principio di certezza e di non retroattività della norma penale incriminatrice .
Altro problema è quello della retroattività dell’ interpretazione nonché dell’effetto retroattivo in bonam partem delle statuizioni di principio enunciate in via interpretativa dalla Corte di Giustizia, anche a disapplicazione delle norme anteriori e posteriori nazionali contrastanti.
Alla luce di tali notazioni resta aperta la questione del significato da attribuire in concreto alla vincolatività di una DQ rispetto al risultato da raggiungere.
Si è in tema del principio dell’ “effetto utile”, inteso come obbligo di interpretare ed applicare le norme comunitarie in modo funzionale al raggiungimento delle finalità per cui sono state adottate (CGCE 14.10.1999 in causa C-3/98; CGCE 17 .12.2002 in causa C-413/1999, nella quale si afferma che i provvedimenti nazionali adottati prima di dare attuazione ad un diritto riconosciuto dal Trattato CE (nella specie libertà di circolazione e di soggiorno connesse alla cittadinanza europea) devono rispettare il principio di proporzionalità ed essere appropriati e necessari per l’attuazione dello scopo perseguito (più recente CGCE 18.05.2000 in causa C-301/98; ancora 14.06.2001 in causa C-191/1999; 10.12.2002, in causa C-491/2001).
Sul confronto del comportamento degli stati membri la leale cooperazione prevista dall’art. 10 Trattato CE.
Nella fattispecie il PM, dovendo interpretare le norme processuali nazionali tenendo conto dei principi della DQ sulla protezione della vittima, investiva la GCE ritenendo che il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della normativa comunitaria, a prescindere dalla sussistenza o meno di un effetto diretto della normativa comunitaria, nutrendo anche dubbi sulla compatibilità della normativa italiana con i principi della DQ.
La Corte ha equiparato la vincolatività delle DDQQ nei confronti degli ordinamenti nazionali a quella prevista per gli atti disciplinati dal Trattato CE, con l’obbligo dell’ Autorità nazionale e dei giudici di interpretare le norme dei propri ordinamenti in maniere conforme al contenuto di tali disposizioni (punto 36 della sentenza).
Indipendentemente dal grado di integrazione considerato dal Trattato di Amsterdam nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta dei popoli dell’Europa, ai sensi dell’art. 1 comma II e perfettamente comprensibile che gli autori del Trattato sull’UE abbiano ritenuto utile prevedere nell’ambito del titolo 6 di tale Trattato il ricorso a strumenti giuridici che comportano effetti analoghi a quelli previsti dal trattato CE, alfine di contribuire efficacemente al perseguimento degli obiettivi dell’Unione.
Vi sarebbe un grosso pregiudizio per singoli se questi, nonostante la competenza della Corte in virtù del 34 Tratt.UE, anche rispetto agli atti del III Pilastro, non potessero far valere le previsioni delle DDQQ al fine di ottenere una interpretazione conforme del diritto nazionale dinanzi ai giudici degli stati membri. Compito dell’Unione fondata sulle Comunità europee ed integrata dalla politica e dalle forme di cooperazione instaurate nel trattato stesso, consiste nell’organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli stati membri ed i loro popoli. Non si può negare l’estensione del principio di leale cooperazione alla materie del III Pilastro, in quanto l’integrazione europea rispetto a tali materie è integralmente fondata sulle cooperazioni tra gli stati membri e le istituzioni comunitarie, come ha rilevato l’Avv. Generale Colocot nelle Conclusioni 11.11.2004 parlando di obbligo di fedeltà reciproca e di ovvietà rispetto all’efficacia di tale principio anche nei confronti della cooperazione UE.
L’obbligo di interpretazione conforme di una DQ deve coordinarsi con i principi generali di certezza del diritto e di non retroattività. L’interpretazione della norma comunitaria non può determinare di fatto un aggravamento della responsabilità penale di quanti agiscono in violazione delle prescrizioni in essa contenute.
Qui l’applicazione dei principi della DQ con l’interpretazione conforme del diritto nazionale non riguarda l’impianto accusatorio; non la sanzione per il reato ma lo svolgimento del processo e le modalità di assunzione della prova,. Spetta al giudice nazionale, per le regole generali dell’ordinamento comunitario, verificare se la normativa nazionale possa essere applicata in modo tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla DQ e se un’interpretazione conforme del suo diritto nazionale sia possibile.
Le norme nazionali non prevedevano modalità di attuazione degli obiettivi della DQ. Per la Corte il Giudice nazionale deve avere la possibilità di utilizzare una procedura speciale, come l’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova, prevista nell’ordinamento di uno stato membro, nonché le modalità particolari di deposizione previste; se la procedura risponde ottimalmente alla situazione delle vittime si impone, per rimediare alla perdita di elementi di prova, riducendo al minimo la ripetizione degli interrogatori ed impedendo le conseguenze pregiudizievoli.
Gli obiettivi dell’unione, sanciti dall’art.1 del Trattato UE si caratterizzano in quanto in esso vi è un riferimento generale alle forme di cooperazione instaurate in virtù del trattato medesimo senza distinzione o graduazione di sorta.
Al pari delle direttive, le DDQQ adottano l’uso dell’indicativo presente per prescrizioni e definizioni, cui la legislazione nazionale deve essere adattata ed un termine.
Vi sono casi dove la diretta applicabilità della norma non può essere messa in discussione; è il caso della DQ 13.06.2002 n. 2002/465 sulle squadre investigative comuni, il cui art.2 – ad esempio –prevede che i funzionari di uno stato membro diverso in cui si svolge l’operazione sono assimilati ai funzionari di quest’ultimo stato membro, per quanto riguarda i reati che dovessero subire o commettere.
L’interpretazione della Corte è stata fatta in modo tale che la disposizione avesse un senso compiuto e utile, anticipando di fatto l’art. 1-5 della Costit. europea il quale adatta il principio di leale cooperazione ai rapporti tra Unione europea e stati membri.
I richiami ai principi generali sui rapporti tra ordinamenti nazionali e norme dell’ Unione, nei termini esposti dalla giurisprudenza sull’art.10 Tratt.CE traccia un quadro di riferimento unitario con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità disciplinati dagli artt. 2 trattato UE e 5 Trattato CE, espressamente richiamati nel Preambolo di molte DDQQ quali norme che legittimano l’adozione dell’atto.
Sui rapporti tra le pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale italiana va ricordato quanto segue.
Il giudice GIP di Firenze aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 392 comma Ibis c.p.p. Pur ritenendo configurabile un conflitto tra le norme e i principi generali della DQ si era escluso di disapplicare la norma nazionale divenuta incompatibile in quanto la decisione quadro sarebbe stata priva di efficacia diretta, in ciò facendo capo ai principi consolidati sui rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale a partire da CGCE 09.03.1978 in causa C-106 (Simmenthal) per arrivare a C. Cost. 08.06.1984 n 170 con cui la Corte cost. aveva riconosciuto che il contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria dotata di effetto diretto si risolve a favore di quest’ultima disapplicandosi la prima senza preventivo rinvio per verificarne la legittimità, sul presupposto che non vi sarebbe interferenza tra i due ordinamenti i quali si configurano come sistemi giuridici autonomi seppure coordinati tra loro.
La Corte costituzionale ha reputato la questione non fondata ammettendo che il legislatore avrebbe facoltà di intervenire, senza tuttavia che vi fosse un vulnus con i principi costituzionali.
L’applicazione dei principi della Corte di Giustizia determina un limitazione delle considerazioni della Corte costituzionale, dal momento che i principi affermati dalla Corte di Giustizia ne impediscono la puntuale applicazione.I l giudice di rinvio dovrà attenersi alla richiesta interpretazione conforme, seguendo l’orientamento condiviso dalla giurisprudenza costituzionale in base alla quale le pronunce della Corte di Giustizia interpretanti una norma comunitaria (integrandola e specificandone il significato) producono nei confronti dell’ordinamento nazionale gli stessi effetti indiretti riconosciuti ad una disposizione immediatamente applicabile.
Questo comporterà un’interpretazione del giudicato della Corte costituzionale nel senso indicato dai principi stessi della Corte di giustizia in merito all’efficacia della DQ.
La Corte di Giustizia europea (19.06.1990 in causa C-213) precisava che sono incompatibili con l’ordinamento costituzionale non solo le norme nazionali che determinano una riduzione dell’efficacia delle disposizioni comunitarie (in quanto impediscono al giudice nazionale di adottare tutti quei provvedimenti per disapplicare le norme nazionali configgenti),ma anche quelle disposizioni interne che vietano al giudice, chiamato a dirimere la controversia disciplinata dal diritto comunitario, di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale, sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario.
Proprio in base all’art.10 del Trattato CE è stato in introdotto il principio del dovere dei giudici nazionali di garantire una tutela giurisdizionale piena ed effettiva ai diritti dei singoli (sent. Farcontame), della definitiva e piena legittimità rispetto all’ordinamento nazionale della disciplina che esclude l’incidente probatorio per le fattispecie di reato oggetto della causa principale e della non conformità della stessa con i principi stabiliti dall’ordinamento comunitario. Il giudice é chiamato ad assumere una decisione soltanto in apparenza priva di conseguenze, che restano all’interno dei fatti e delle valutazioni relative al processo di cui è titolare.
Si preparano scenari solo in parte prevedibili. La stessa tecnica normativa utilizzata per redigere le decisioni quadro sino ad ora approvate (Sardella) non solo è simle a quella delle direttive, ma soprattutto è tale da avere costituto un insieme di principi basati sul riconoscimento reciproco, molti dei quali sono di certo suscettibili di applicazione diretta o, se si preferisce, conforme, negli ordinamenti degli stati membri. Aumenteranno i ricorsi pregiudiziali da parte dei giudici penali tutte le volte che uno stato membro ha omesso di recepire una decisione quadro entri oil termine prescritto, contribuendo in tal modo a creare una situazione di incertezza giuridica circa la norma da applicare. L’applicazione del principio di leale cooperazione è essenziale per garantire l’effettività dell’intervento dell’Unione.
Al riguardo è significativo il Preambolo della DQ 25.10.2004 n. 204 (575GAI), relativa alla fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicate in materia di traffico illecito di stupefacenti, secondo il quale l’efficacia dell’azione svolta per lottare contro il traffico illecito di stupefacenti dipende in modo essenziale dal ravvicinamento delle misure nazionali adottate in attuazione della medesima decisione quadro.
Uno degli esponenti della letturz cd. debole in alcuni dei sensi alternativi prospettati ad inizio del presente commento è Selvaggi (Dall’estradizione al mandato di arresto eurpopeo. Caratteristiche e prospettive del nuovo sistema di cosegna, incontro CSM Roma del 04.06.2005), secondo il quale che il diritto penale non rientri nelle competenze delle Comunità europee non appare più vero. L’impiego degli strumenti propri del diritto penale diventa essenziale per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea. La nuova Costituzione europea all’art. 3-274 prevede l’istituzione in collegio europeo di una Procura europea a partire da Eurojust. Non esiste tuttavia un diritto penale europeo di cui il mandato di arresto europeo, secondo l’autore in commento, costituisca strumento servente.
Il presupposto è uno spazio di giustizia comune che intanto può dirsi esistente in quanto un provvedimento giudiziale di altro stato venga trattato come quello corrispondente emesso dal proprio ordinamento (Lattanzi, La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria, Doc.Gistizia,n. 62002,p.1041). Il mandato di arresto europeo è stato quindi configurato dalla cd. dottrina a lettura debole della DQ un meccanismo di semplificazione tra gli stati membri della consegna dei fuggitivi, anche se non si è ritenuto facile qualificarlo come estradizione rivisitata oppure come un qualcosa di completamente nuovo e diverso, restando quindi assegnata all’elaborazione dottrinale la questione se il mandato stesso sia un provvedimento estero a circolazione privilegiata (Selvaggi, Il mandato europeo e rispetto del sistema di arresto, .Il giusto processo, 2002 n.3, 156) all’interno dell’UE oppure un provvedimento di consegna (Iuzzolino,,Cooperazione internazionale e mandato di arresto europeo, Dir,e Giust, 2003 n.15).
Il mandato di arresto europeo appare in tale prospettiva un provvedimento distinto ed autonomo rispetto al provvedimento nazionale che ne costituisce il presupposto. Ma anche il Formulario SIS-Shengen lo é.
Il mandato di arresto europeo (o euromandato) costituisce il prodotto di un trend non contestabile nell’UE e ne costituisce a sua volta un fattore di impulso e causa ed effetto insieme.
Il rilievo sui deficit democratici, a prescindere dalla rilevanza dell’iniziativa della Commissione del Consiglio con il Parlamento collocato in posizione passiva, si è riflesso all’art. 3 della legge di attuazione che stabilisce (la cd. riserva parlamentare) che gli ampliamenti delle categorie di reato della DQ che comportano la possibilità di consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione siano soggetti alla riserva parlamentare.
La nuova Costituzione europea prevederà una nuova procedura di decisione, con intervento effettivo del Parlamento europeo, peraltro anticipata con il Trattato di Amsterdam.
Per Iuzzolino (Mandato di arresto europeo, p. 3 e seg, in Dir. pen. europeo e ordinamento italiano. Le decisioni quadro dell’UE: dal mandato di arresto alla lotta al terrorismo, a cura di G. Miarmone- B.R. Cimini – F. Gandini – G. Iuzzolino – G. Nicastro – A. Pioletti, Milano, Giuffré, 2006) rilevava che corollario del mutuo riconoscimento fosse la circolazione delle decisioni giudiziarie nello spazio comune europeo, al di là del tradizionale limite di territorialità e senza exequatur o altre procedure di riconoscimento statale. Il principio dl reciproco riconoscimento dà luogo ad una forma di extraterritorialità della giurisdizione di cui sono chiare espressioni gli artt. 9 (trasmissione del mandato di arresto europeo) e 10 (modalità di trasmissione del mandato di arresto europeo). Vd. anche L. Salazar, Il mandato di arresto europeo. Un primo passo verso, in Dir.pen e processo, 2002,1041 e seg.
Si tratterebbe di un nuovo ordine categoriale in quanto il mutuo riconoscimento è suscettibile di essere applicato all’intero campo delle procedure di cooperazione tra le AAGG, comprendendo ogni tipo di provvedimento giudiziario, in personam o in rem, definitivo o provvisorio o cautelare o finale.
Le tradizionali forme di cooperazione giudiziaria sarebbero sostituite dal regime di libera circolazione delle decisioni, anche non definitive, (si faccia il caso di congelamento di beni, dell’esecuzione delle sanzioni pecuniarie,). Sulla nozione di euro-ordinanza, l’Udiencia Nationàl de Madrìd (Tribunale centrale di istruzione, sezione III, 10.02.2004, nota di G. Iuzzolino) ha affermato che nel sistema dell’estradizione le convenzioni internazionali non hanno mai elencato i motivi di rifiuto della domanda, limitandosi ad escludere determinate specifiche categorie (ad esempio il reato politico) o status (cittadino) che potessero essere indicate come motivi di rifiuto. Sulla durata, non vi era indicazione. Le leggi nazionali, invece, contenevano la riserva di disciplinare i termini massimi della custodia cautelare applicabili all’estradando (vd art. 714 comma IV c.p.p.).
Con riferimento all’attuazione interna,ad esempio, gli artt. 3 e 4 della DQ elencano i motivi di rifiuto, secondo taluni in maniera non suscettibile di trattazione analogica (la citata Udiencia Nationàl di Madrid ne ha ritenuto il carattere tipico e tassativo).
Un esempio di apertura da parte della DQ è fatto da Iuzzolino: in caso di provvedimento di assoluzione, il principio del ne bis in idem internazionale ed il conseguente rifiuto di esecuzione del mandato non sono sottoposti ad alcuna condizione. L’autorità di esecuzione è obbligata a rifiutare la consegna della persona. Nessun effetto preclusivo alla consegna viene invece attribuito alle sentenze emesse da AAGG di stati terzi.
Diverso – e con ciò ci permettiamo di dissentire –per Iuzzolino sarebbe il caso in cui il giudicato si sia formato per una sentenza emessa da un’autorità non di uno stato membro ma di uno stato terzo. In questa ipotesi la decisione quadro non pone obbligo a carico degli stati membri e prevede soltanto che lo stato di esecuzione può e non deve rifiutare a seconda delle proprie norme vigenti.
E qui alcuni profili di costituzionalità nella lettura debole sono stati apparentemente superati.
L’istituto estradizionale, per Selvaggi, è stato recepito nel nostro sistema, nel codice penale e processuale nonché in norme ed in strumenti internazionali recepiti e avrebbe anche una copertiura costituzionale diretta (art.26) e indiretta (art.,11: “consente a limitazioni di sovranità necessarie al un ordinamento che assicuri la pace, la giustizia fra le nazioni”, sia pur nel rispetto della teoria dei limiti e contro limiti, quali quelli relativi ai principi fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale.
Nell’estradizione il giudice del paese richiesto non entra nel merito dell’accusa, in quanto l’accertamento è rimesso al giudice naturale del fatto dello stato richiedente. L’attività dello stato richiesto è servente rispetto allo stato richiedente che interiene anche al di fuori o al di là dei limiti assegnati dalla giurisdizione interna; in particolar modo per quanto riguarda la privazione della liberta personale.
Tuttavia, secondo la DQ la propria interpretazione non può portare ad effetti che determinino una regressione rispetto alla vigente sostanza dell’ estradizione.
Il Considerandum n. 12 della DQ sarebbe prescrittivo, perché deve essere letto come indicante un motivo ulteriore oltre a quelli contenuti nell’art.3 di rifiuto obbligatorio.
Le leggi nazionali, a questo proposito, non dovrebbero prevedere il reato politico come motivo ulteriore di rifiuto. In ogni caso, si applica la convenzione sul terrorismo che esclude che alcuni fatti possano essere considerati reato politico.
Fra le critiche esaminate vi é stata quella per la quale la DQ ha ad oggetto la previsione della consegna del cittadino.
Si è detto che per l’art. 26 Cost. l’estradizione è consentita solo ove espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Se è vero che il mandato di arresto europeo è una forma di estradizione palese è il contrasto con la norma costituzionale. Per taluni l’abolizione del rifiuto della consegna è da mettere in razione alla previsione della cittadinanza europea. Ma poiché la DQ costituisce un atto di un organismo che trova in un trattato internazionale la propria fonte originaria (Costituzione delle Comunità europee) il requisito dell’art. 26 sarebbe soddisfatto.
La stessa convenzione di Dublino del 1996 che modifica quella del 1957 conteneva una previsione simile; sarebbe paradossale sostenere non essere possibile ottenere con la DQ – che l’estradizione intende superare – quanto sarebbe stato possibile con una modifica della Convenzione europea. L’eliminazione del rifiuto della consegna sulla base della cittadinanza è stato un obiettivo a livello internazionale (si pensi al G8). Taluni stati (Paesi Bassi) hanno già fatto in precedenza ricorso al meccanismo poi recepito nella DQ.
Il cittadino sarà consegnato a condizione della esecuzione della pena nello stato di esecuzione, combinando la Convenzione di estradizione con quella sul trasferimento delle persone condannate di Strasburgo del 1983.
Ricorda Selvaggi che nella Relazione al Re per il Codice Penale del 1930 (sull’ art., 13 ultimo comma cui replica il disposto dell’ art.26 Cost.) si legge che l’estradizione del cittadino potrà essere domandata solo da quegli stati che, in considerazione del loro grado di civiltà e della serietà della loro organizzazione giudiziaria saranno stati ritenuti idonei a giudicare con le necessarie garanzie di giustizia il nostro cittadino.
Abbiamo detto che secondo la dottrina cd. debole con il mandato di arresto europeo non si è realizzato un sistema che consente di consegnare una persone in assenza di doppia incriminazione, ma un semplice meccanismo che rende superflua per i reati indicati in lista, la verifica. Si è fatto il caso dell’ Italia cui viene chiesta la persona quale genitore non affidatario che ha sottratto il minore ad esempio dagli Stati Uniti,richiesta basata sull’accusa di sequestro di persona. L’estradizione é sempre stata concessa, con riferimento all’at. 657 o 382 II comma c.p.
Questo accertamento, con riferimento ai 32 reati non è più necessario, ma perché la doppia incriminazione, lungi dall’essere abolita, ne sarebbe il presupposto sulla base di una valutazione a priori operata dagli Stati membri.
Posto che l’UE realizza uno spazio di libertà, giustizia e sicurezza nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti e tradizioni degli stati membri (si pensi all’art.III-257.1.Cost.europea) che possono essere in taluni casi di livello più elevato rispetto a quello fissato dalla Carta europea, ci si potrebbe chiede se tale livello più elevato possa risolversi in un contrasto con le finalità della DQ.
In tale prospettiva si è osservato che non è stata modificata la regola della competenza interna, attribuendo –come da qualcuno paventato – competenze o giurisdizioni extraterritoriali. In senso analogo a Selvaggi, L. Salazar in Diritto penale e processo, 2002.
.L’eventuale interferenza di giurisdizione di cui si fa carico la DQ prevedendo casi di rifiuto alla consegna non può essere letta come confermativa dell’introduzione di una competenza extraterritoriale.
Nella materia estradizionale, già desso (pur rari, perché la competenza territoriale costituisce un’eccezione in quei paesi che la prevedono) si danno casi di siffatta interferenza, regolata non solo a livello convenzionale ma anche nel nostro c.p.p.(art. 705 comma I vd. Corte Cost. 58/97, Priebke, che ha affermato che il “può” della disposizione convenzionale va riempito con il “deve” della disposizione codicistica).Con ciò l’art. 26 Cost. sarebbe rispettato in quanto prevista da Convenzioni internazionali l’incisione sulla libertà.
Anche la Corte Europea per i diritti dell’Uomo ha ritenuto, secondo tale dottrina, che in materia estradizionale mentre permane la responsabilità dello stato richiesto con riferimento alla violazione del diritto alla vita (art. 2, caso Soering- corridoio della morte) al divieto della tortura (art. 3) oppure alle garanzie riconosciute alla persona arrestata (art.5), non si applica l’art. 6 della Convenzione sui diritto dell’uomo perché le norme sul giusto processo implicano che sia stata elevata un’accusa criminal charged. Il che non è nel caso della procedura estradizionale.
E’ lo stato richiedente l’ estradizione, cui appartiene il giudice del fatto che sarà eventualmente responsabile per la violazione dell’art. 6 della Convenzione.
La Corte costituzionale sull’ estradizione (art.698 II comma c.p.p.: è necessaria la garanzia che lo stato richiedente non applichi la pena di morte) si è espressa con la sent. n. 223/96 (Caso Venezia, art.705.1) per la non concedibiltà in caso pendenza di un procedimento per lo stesso fatto.
Se l’estradizione ha un rilievo costituzionale, tuttavia consente un bilanciamento con altre norme di rango costituzionale. I rilievi sono come anticipato emersi con riferimento all’art. 26 Costit. (estradizione del cittadino), la quale consente l’estradizione solo in caso di espressa previsione da una Convenzione internazionale. Peraltro all’epoca (1947-48) la convenzione era l’unico strumento internazionale cogente attraverso la legge di ratifica.
E’ vero che altri strumenti cogenti nel quadro UE oggi vi sono. Ed è anche vero il cd. deficit democratico. Ma tuttavia, si è osservato (Selvaggi) che questo è il sistema dell’UE e la DQ si fonda a sua volta sul Trattato UE (art. 11 Costit., che lo legittima, ora 117).
L’art. 117 dovrebbe pertanto avere sfumato il problema che consiste in ciò : se l’art.117 pone i limiti alla potestà legislativa dello stato e delle regioni nel rispetto della costituzione in ragione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, le critiche avanzate a suo tempo (Quadri, Enc. giuridica, v. estradizione internazionale) apparirebbero sfumate anche sotto il profilo del fatto che le convenzioni internazionali non prevedono in genere l’espressa estradabilità del cittadino, coprendo la relativa ipotesi con il meccanismo di rifiuto a motivo della nazionalità ex art.6 ETS 24 (vd.anche Trattato Italia/USA).
Il profilo difatti era se l’art. 26 fosse soddisfatto solo con una previsione espressa di estradabilità, oppure anche con la semplice previsione della sua facoltatività (in questo senso Cass. e una recente decisione Ministero Giustizia del 12.10.1999) ovvero, ancora, se la previsione di estradabilità del cittadino possa essere ricavata dal sistema disegnato da una particolare convenzione. In questo senso apparirebbe interpretabile la DQ in commento.[36]
Cassetta 5 lato A
Sia che si consideri i diritti di libertà, sia che si consideri la delibazione del fumus o della fondatezza sul diritto penale sostanziale invocato, è fondamentale il ruolo interpretativo delle cause ostative alla consegna.
Queste, expressis verbis escludono l’adozione di una misura coercitiva. A ben vedere le ipotesi non consistono solo nelle evenienze indicate dall’art. 18 l. 69/05 ma anche nei casi di violazione di principi attinenti al giusto processo, alla libertà personale, diritto di difesa, principio di eguaglianza.
Il giudizio deve ancorarsi ad un’adeguata valutazione sul fumus nell’ipotesi di causa, garantendo il controllo su un qualificato piano probatorio, posto che solo la verifica dell’esistenza di compatibilità dello stesso con la presunzione di non colpevolezza consente un giudizio .
L’art. 18 consente il rifiuto della consegna in ipotesi dimostrative dello sforo operato dal legislatore ordinario: dal reato politico, ai limiti delle carcerazioni, al non raggiungimento dei 14 anni, all’amnistia o prescrizione del reato o della pena, alla cittadinanza, ai pericula libertatis, alla gravità, alle le donne, e ad altre fattispecie di chiusura.
Ancora, si è rimarcato lo svuotamento della valutazione su i gravi indizi e sull’esigenza cautelare ex art. 274 comma I lett. a) e c) del c.p.p., nonché lo svuotamento dell’alternativo schema di motivazione, ad esempio previsto dall’art. 292 c.p.p.
Emblematico sarebbe l’art. 33 della L. 69/05 che, disciplinando la computabilità della custodia cautelare all’estero, esclude dalla stessa i termini di fase; mutuandosi la formula dall’art. 722 si crea un’ingiustificata differenziazione di trattamento discendente dal fatto che il soggetto cui viene limitata la libertà personale subisce parte della custodia cautelare all’estero. Ciò in contrasto con la sent. Corte cost. 21.07.2004 n. 253 che ha dichiarato illegittimo costituzionalmente l’art., 722 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all’estero, in presenza di una domanda di estradizione presentata, sia computata agli effetti della durata dei termini di fase dell’art. 303,comma I, II e III c.p.p.
Se non si ritiene che l’indicata declaratoria di illegittimità produca un effetto riflesso anche con riferimento all’art. 33 della legge in commento, risultano incontestabili le indicazioni in ordine al principio di eguaglianza[37].
Nella sostanza, l’art. 32 DQ stabilirebbe l’ultrattività degli strumenti giuridici in materia di estradizione, cui saranno applicate le richieste ricevute dopo l’entrata in vigore della DQ del 07.08.2002 ma non oltre il 31.12.2003. Quelle pervenute dal 01.01.2003 saranno soggette alla procedura del DQ mandato di arresto europeo.
La regola è di attribuire rilevanza alla data di ricezione della richiesta senza alcun riguardo alla commissione del reato. Gli stati membri potevano derogare all’applicazione della regola generale con una dichiarazione, dando rilievo alla data di commissione del reato, quando i reati erano stati commessi prima di una data non posteriore al 07.08.2002 con l’effetto di una sostanziale espansione di un’ultrattività degli strumenti estradizionali.
Anche le richieste dopo il 31.12.2003, se per reati commessi prima di una certa data saranno soggette alla procedura di estradizione previa tale dichiarazione.
L’Italia,come Francia e Austria ha optato per la regola integrativa; per il resto si rinvia alla puntuale trattazione.
La prima regola integrativa, ex 40 comma II L. 69/05 trasfonde la dichiarazione fatta dall’Italia ex 32 DQ. Le estradizioni per reati commessi prima del 07.08ò.2002 si applicano anche se il mandato di arresto europeo é stato emesso e ricevuto dopo l’entrata in vigore della L. 69/05
La seconda regola integrativa restringe ulteriormente l’applicazione della legge e attribuisce rilievo alla qualificazione giuridica del reato oggetto del mandato e al tempus commisi delicti . Nel caso in cui il mandato riguardi un reato per cui è prevista la consegna obbligatoria ai sensi dell’art. 18 della legge, se commesso prima del 14.05.05 si applica l’estradizione; se è commesso dal 14.05.2005 in poi si applica la legge 69/05
L’AG dovrà fare tre accertamenti: se la data di emissione e la data di ricezione siano entrambe posteriori al 14.05.05; se la domanda ha risposta negativa, si seguirà l’estradizione; in caso positivo non potrà darsi esecuzione al mandato se non si accerta che il reato sia stato commesso prima del 07.08.2002; se è stato commesso prima del 07..08.2002 la richiesta seguirà la procedura estradizionale; se è stato commesso dopo il 07-.08.2002 e se rientri nelle categorie dell’art. 8 della legge si seguirà l’estradizione; se non rientra nell’art. 8 si potrà trattare con la legge sul mandato di arresto europeo. Se rientra in una di tali categorie si dovrà accertare se il reato sia stato commesso prima o dopo il 14.05.2005. se commesso prima,dovrà esser trattato secondo la procedura estradizionale; se commesso dopo, la richiesta dovrà essere trattata secondo la l. 69/05.
Si è detto che l’impostazione data dall’art.7 della legge di adeguamento alla DQ 13.06.2002 n.548 del Consiglio da un lato accetta il meccanismo sanzionatorio e di livelli di pena a partire dai quali il mandato di arresto può essere eseguito e dall’altro non sgancia la cooperazione dalla doppia punibilità del fatto, stabilendo che solo in presenza di un fatto punibile anche ai sensi dell’ ordinamento italiano e soddisfatte altre condizioni, la consegna con i limiti e nei termini stabiliti potrà essere eseguita.
Per la richiesta a fini processuali viene accolta la misura della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale superiore a 12 mesi; per l’attuazione della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale la pena deve essere superiore a 4 mesi ai fini esecutivi. Non si tiene conto, per il calcolo della pena ,delle circostanze aggravanti, riducendo in tal modo il campo applicativo del mandato.
Sono soglie dello stesso diritto estradizionale, previste dalla Conv. del 1957.
Le differenze: la Conv. di estradizione richiede che i fatti siano puniti, a partire dai limiti sanzionatori, in ambedue gli ordinamenti; il mandato considera solo il livello sanzionatorio dello stato di emissione, a nulla rilevando le conseguenze penali collegate al fatto nell’ordinamento dello stato di esecuzione. Ciò è connesso alla tendenziale abolizione del principio della doppia incriminazione stabilito nel vertice di Tàmpere.
Tuttavia, se la legge di adeguamento accetta tali indicazioni e la loro quantificazione, essa mantiene il principio della doppia punibilità del fatto. Così l’ambito di operatività del mandato resta fissato dalla sanzione stabilita dall’ordinamento dello stato richiesto, ma il fatto deve comunque essere punito dall’ordinamento italiano, a prescindere dalla sanzione minacciata. In tal senso M. Del Tufo, La doppia punibilità, in Il mandato di arresto Europeo,a cura di Pansino-Scalfati,cit.
In via generale, secondo la struttura della attuazione italiana, il principio è quello della doppia punibilità, tranne due eccezioni.
La prima,costituta dall’art.7 comma II sulle tasse,imposte,dogane e cambio di cui infra.
La seconda,temperata è nell’ art.7 in relazione alla lista positiva dei9 32 reati, per i quali la DQ stabilisce la consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione, sempre che essi siano puniti nello stato emittente con una pena o misura di sicurezza privativa di libertà superiore a tre anni.
La tesi nel contesto di una lettura debole sia della DQ che della norma di attuazione;è quella di ritenere che si tratta di un’eccezione che in fondo non é tale, in quanto in sostanza, per i reati della lista, si richiede una verifica della corrispondenza del reato per il quale il mandato è richiesto alle descrizioni legislative della legge italiana, affidandosi all’art. 8. La doppia punibilità o doppia incriminazione o previsione bilaterale del fatto è uno dei presupposti tradizionali dell’estradizione, da alcuni considerato principio di diritto internazionale generale, inserito in quasi tutte le convenzioni concluse dall’Italia e prevista dall’art. 13 c.p.
Il principio era stato interpretato in stretto collegamento con quello di reciprocità, funzionale a garantire il rispetto di quest’ultimo.Oggi alla doppia punibilità si assegna un significato autonomo in quanto espressione del principio di legalità che impedisce allo stato richiesto di collaborare per reprimere un fatto che per il proprio ordinamento non è reato.
Qui il fuoco è sulla tutela del principio fondamentale di diritto penale della legalità dell’incriminazione e della determinatezza della fattispecie. In ambito estradizionale la verifica della doppia incriminazione si pone negli stessi termini; sia che il trattato abbia adottato il metodo enumerativo, cioè indicando puntualmente fatti passibili di estradizione,sia che abbia preferito il metodo eliminativo,in base al quale viene fissato un limite di pena minacciato o comunque concretamente inflitta al di sotto del quale, il trattato non prevede l’obbligo di estradare
Alla verifica del raggiungimento della soglia si accompagna il controllo della punibilità del fatto anche alla luce dell’ordinamento del paese richiesto.
E pacifico che un diverso nomen juris o una non perfetta coincidenza delle fattispecie astratta non abbiano rilevanza. Si discute se sia sufficiente che il fatto sia considerato come reato in entrambi gli ordinamenti (cd.punibilità in astratto) o se debba essere concretamente punibile (cd.punibilità in concreto). In materia estradizionale la gerarchia delle fonti dà prevalenza alla disposizione pattizia; il testo convenzionale stabilirà di volta in volta se e in quale misura è attribuita rilevanza a cause di estinzione del reato o della pena, quasi sempre amnistia o prescrizione. Nel silenzio,opererà il diritto interno che, in mancanza di normativa espressa,dà spazio a soluzioni diverse.
In particolar modo, sulle cause di giustificazione, le scusanti e le cause di non punibilità in senso stretto in considerazione di assenza di disposizioni non soltanto nel diritto interno ma nella stessa prassi estradizionale, sorgono dei problemi.
Per la teoria o metodo della punibilità in astratto, la cooperazione è giustificata dal disvalore penale astrattamente emesso dagli ordinamenti; mentre per la punibilità in concreto,lo stato richiesto consegna la persona se ha ricostruito l’esistenza dell’effettiva punibilità del fatto secondo le proprie categorie.
Nell’area europea, dalla punibilità del fatto in entrambi gli stati a partire da un’eguale soglia minima di pena (Conv.del 1957) si è passati alla punibilità in entrambi gli stati partendo da differenti soglie di pena (Dublino 1996) fino alla punibilità del fatto a partire da una certa soglia di pena nel solo stato di emissione del mandato (DQ in commento).
Con Dublino si fece eccezione alla doppia incriminazione per fatti quali quelli di criminalità organizzata di cui già si è parlato.
Il precedente, a livello bilaterale é ilvcitato accordo tra Italia e Spagna del novembre 2000 per reati terroristici, criminalità organizzata, stupefacenti, armi, tratta, abusi contro minori, puniti con pena detentiva massima non inferiore a 4 anni, riconoscendosi il superamento della doppia incriminazione, della specialità, della prescrizione nello stato richiesto e di un eventuale giudizio in assenza celebrato in Italia, escludendo- vale a dire – tali aspetti.
La DQ attribuisce rilevanza allo stato che ha spiccato il mandato in relazione al quantum di pena (tre anni) ma anche per l’individuazione dei reati con riferimento alla lista positiva. Tale lettura (di cui si sta discutendo) ritiene che il principio della doppia punibilità é ribadito dalla legge attuativa italiana anche rispetto ai reati della lista positiva.
La decisione definitiva è stata presa a monte. Il giudice italiano potrà procedere alla consegna dopo una serie di verifiche: l’appartenenza del reato ad una delle 32 costellazioni non è sufficiente, ma è determinante la riconducibilità del fatto alle fattispecie che l’Italia ha provveduto a formulare sulla base di indicazioni europee, dettagliandole in modo da permettere al giudice di constatare in primo luogo se il fatto sia o meno sussumibile nella fattispecie descritta dalla legge italiana di adeguamento, fatto che deve essere in ogni caso descritto nel mandato dall’AG del paese di emissione.
Tipizzare i fatti rientranti nella lista positiva prevista dalla DQ costituisce una scelta distonica rispetto alla DQ, mantenendosi nel sistema italiano la doppia incriminazione non solo come regola generale ma anche nei casi in cui la consegna avrebbe dovuto essere effettuata indipendentemente dalla sua sussistenza. Tuttavia, i concetti della lista dei 32 sono al massimo indici situazionali ma non definiscono in alcun modo precisi ambiti fattuali rilevanti per il diritto penale.
L’assistere ad una modellizzazione a livello di convenzione e DDQQ non lascia presumere che sussistano standard di armonizzazione così elevanti da legittimare la cooperazione nata verso rimandi per campi di materia, di definizioni omnibus in cui ciascuno stato può criminalizzare i comportamenti più diversi.
Sulla eventuale colpevolezza o incolpevolezza dell’ignoranza, si è osservato che mettere a base del funzionamento una presunzione di conoscenza dell’ordinamento degli altri paese significa sul piano soggettivo regredire al principio dell’in re illicita versari e, su quello oggettivo, prima ancora di parlare di riserva di legge, tradire il principio di qualità della legge, che si realizza come dice la Corte Europea del 25.05.1983 (Cochinakis c/Grecia) quando colui che è sottoposto alla giustizia è in grado di conoscere, a cominciare dalla pertinente disposizione e se del caso, avvalendosi della sua interpretazione da parte dei giudici, quale azione od omissione possa comportare la sua responsabilità penale. A prescindere dalla mancata soluzione a monte da parte della DQ del problema della tipizzazione comune dei fatti e le conseguenze in termini di diversità di trattamento sanzionatorio, aggravato dal principio del ne bis in idem processuale, della litispendenza e dal principio del ne bis in idem sostanziale[38]
In precedenza si è già distinto tra i casi sempre per quanto concerne il diritto penale sostanziale di rifiuto che trovano diretto riferimento per lo meno formale nelle disposizioni delle DQ da quelli non previsti come tali dalla medesima, ma autonomamente introdotti dal legislatore in connessione con la disciplina delle doppia incriminazione
Presentati come obbligatori, sottraendo ogni discrezionalità al giudice dal legislatore italiano, questi casi, come si è anticipato in sede di commento sono riferiti anche ai casi asseritamente sottratti alla valutazione della doppia punibilità dalla DQ.
Il reato politico sarà trattato a parte.
Al primo sottoinsieme derivante dal contesto europeo appartengono le lettere a,b,h,l,m,p dell’art.18.
La lettera a) è quella attinente al reato politico.
Le lettere d) e v), come detto, riguardano la natura dei fatti: libertà di associazione, libertà di stampa e altri mezzi di comunicazione (lett. d) e disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (lett. v).
Alla lettera b) è ripreso il Considerando n. 12 mentre alla lettera u) si è fatto riferimento a una clausola classica che ha eco nell’art.1 comma III della DQ (limiti fondamentali e fondamentali principi giuridici a base dell’Unione).
La lettera h) riproduce il Considerando 13.
Le lettere l) e n) concernono le cause di estinzione dell’azione pubblica: la lettera l) l’amnistia in presenza di giurisdizione dell’Italia; la lettera n) la prescrizione del reato e della pena con giurisdizione italiana. L’amnistia non era prevista come divieto di estradizione dalla Conv.europ del ‘57 ma è stata introdotta dall’art.4 del II Protocollo addizionale del 1978, ribadito sia da Schengen che da Dublino 27.09.1996, i n caso – sempre –di competenza dello stato.
La lettera p) concerne aspetti connessi alla disciplina della legge penale dello stato (già art. 7 Conv.del 57).
Si è in presenza del principio di una necessaria doppia punibilità in concreto, anche il riferimento ai fatti commessi in tutto o in parte sul territorio nazionale era un rifiuto facoltativo alla consegna, tradotto in necessario per evitare la consegna in mancanza di doppia incriminazione per i reati di cui il legislatore penale non è riconosciuto nello stato di esecuzione.
Questi sono alcuni degli esempi su cui non è il caso di ritornare.
Il secondo sottoinsieme concerne le ipotesi non previste come tali dalla DQ.
In effetti ne vengono rammostrate due: la lettera b) dell’art. 18 e la lettera c)
Prevedono il rifiuto d consegna in presenza di una causa di giustificazione: consenso dell’avente diritto (b) ed esercizio di un diritto/adempimento di un dovere e caso fortuito e forza maggiore (c).
Queste previsioni si inseriscono nel più ampio orizzonte della doppia punibilità. Si è anticipato il dilemma se riferirsi alla punibilità del fatto in astratto, in presenza dell’incriminazione dei due ordinamenti o in concreto (applicabilità della sanzione al fatto nei due ordinamenti).
Parte della dottrina ritiene che la punibilità dovrebbe essere verificata in concreto, laddove la legislazione dello stato richiesto prevede, diversamente dal richiedente, un elemento (per esempio particolari rapporti tra delinquente e vittima, cause di giustificazione e scusanti) grazie al quale l’autore non avrebbe potuto essere passibile di sanzioni se avesse agito nel suo territorio; il principio della doppia incriminazione in concreto non é integrato.
Altra autorevole dottrina ritiene di propendere per la punibilità in astratto. Non consta una specifica giurisprudenza italiana sul punto.
Non essendo sorti problemi a fini estradizionali di leggere la doppia incriminazione che comportasse la qualificazione del fatto come reato attraverso la verifica della sussistenza nel nostro diritto penale ad alla luce del medesimo degli elementi costitutivi della fattispecie, nel diritto positivo italiano non vi era finora alcuna disposizione che lasciasse presumere l’accoglimento dell’una o dell’altra tesi, mancando un’espressa disciplina degli aspetti della doppia incriminazione.
Le norme interne valgono laddove non soccorrono principi di diritto internazionale genericamente riconosciuti e disposizioni specifiche dello strumento di cooperazione come, nella specie, la DQ.
Non obbliga, la DQ, all’emamazione di norme di adeguamento rigidamente conformi al suo modello; si sarebbe potuti accedere, nella legge di adeguamento, alla tesi maggiormente rispondente al testo europeo, limitandosi alla constatazione formale dell’esistenza delle cause do non punibilità.
A lume di logica il legislatore partirebbe dal presupposto di una regola generale (doppia punibilità in astratto) e ammette per essa delle deroghe stabilendo che la cosegna venga rifiutata qualora il diritto sia stato leso con il consenso di chi può disporne o per la legge italiana se il fatto costituisce l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere o se determinato da caso fortuito o forza maggiore.(òlett. C).
Se si accedesse a questa interpretazione fondata su un criterio persuasivo ed ermeneutico – ma su ciò si rimanda- si potrebbe ritenere che stabilendosi che in questi casi e in altri l’autorità deve procedere alla verifica, la conseguenza sarebbe che per le norme di adeguamento non ci si ritrarrebbe a problemi di incostituzionalità per violazione dell’art. 3, non essendovi razione di diverso trattamento fra situazioni simili (ad esempio altre cause di giustificazione: legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo delle armi o per le scusanti o per altri casi di estinzione della punibilità).
La tesi intermedia potrebbe risiedere in una zona intermedia laddove si ritenesse che il giudice è facoltizzato ad estendere le cause di opposizione al riconoscimento del mandato di arresto.
Una terza tesi ipotizzare che la tesi di punibilità in concreto nella sua accezione più ampia è accolta e che il richiamato all’esercizio del diritto, consenso, dovere , fortuito e maggiore è effettuato perché così si è espressa menzione di ipotesi presenti nel sistema italiano ed assenti in altri ordinamenti, imponendo al giudice di verificare il merito in presenza di un ‘eccezione sollevata in tal senso. E’ comunque aperto il ricorso alla questione di costituzionalità.
Un’altra annotazione ci permettiamo di effettuare.
Se si considera il fatto di reato come un fatto naturalistico isolato attraverso delle modalità descrittive dagli elementi astratti di fattispecie, il quale sia riconducibile ad un insieme di modelli qualificatori dagli elementi descrittivi della fattispecie agli elementi positivi, quindi, nonché agli elementi negativi della fattispecie; vale a dire: se si assume i modelli bipartiti o tripartiti o quadripartiti della teorica dogmatica del reato, sia italiana che tedesca per tacere di quella spagnola o greca, la qualifica di fatto contra jus rilevante dal punto di vista del diritto penale si attinge sia attraverso le norme di parte speciale che attraverso l’intera strumentazione di parte generale, che concerne sia il profilo tradizionale del precetto che quello della sanzione, entrambi appartenenti al contenuto sostanziale di disvalore dell’illecito penale.
Per questa ragione opteremmo per una nozione di doppia punibilità in concreto, in quanto le cause di esclusione della responsabilità penale (cause di giustificazione, cause di non punibilità, di estinzione del reato e della pena) incidono proprio sulla qualificazione di reato del fatto, bilateralmente e previamente necessariamente da assumersi sotto il profilo della sua corrispondenza in astratto.
Avremmo seri dubbi della possibilità di adottare o l’una o l’altra delle ipotesi astratta e concreta e propenderemmo per la adesione congiunta ad entrambe le ipotesi. Superata la domanda della bilaterailtà in astratto va, di converso, proprio per le obiezioni appena fatte, affrontata la questione della bilateralità in concreto.
Il primo esame è volto alla corrispondenza della contestazione staniera ala qualificazione giuridica interna rispetto allo stato richiedente (jura novit curia) anche, per il diritto italiano, con riferimento al diritto straniero; si dovrebbe trasferire poi tale giudizio effettuato sia in sstratto che in concreto su eventuali cause di giustificazione interne, allo stato richiedente [39], anche alla punibilità in concreto nello stato richiesto.
Se i criteri di reperibilità nell’ordinamento a quo sono quelli del diritto penale sostanziale e se ad esso appartengono le cause – ad esempio – di giustificazione (uso legittimo delle armi…) od altre forme di non punibilità (irrilevanza del contributo causale, ad esempio, in sede di concorso; non punibilità di chi ha commesso un reato sul quale –ad esempio-si inserisce la ricettazione o l’art. 648 bis o ter e quindi le clausole di suppletività o di esclusione e tutte le altre strumentazioni di parte generale) [40], è l’ordinamento interno che va preso a riferimento per verificare la qualificazione di reato in concreto del fatto. Naturalmente, trattasi di ordinamento interno, che nel nostro caso è l’ordinamento italiano; in altri casi potrebbe essere quello olandese, spagnolo e via dicendo.
Si aprirebbe in tal senso una linea interpretativa volta a disapplicare –non attraverso un’estensione analogica in senso stretto ed in bonam partem delle disposizioni esentative qui rassegnata, ma attraverso l’applicazione dei principi fondamentali dell’ordinamento relativi alla colpevolezza– a de esempio – andandosi a colmare una lacuna tipica della legge 69/05 così intesa, disapplicando la norma nella parte in cui non prevede in maniera analoga a quella che potrebbe essere una sentenza additiva o manipolativa di rigetto della norma tipica della Corte Costituzionale, non attraverso la rimessione alla Corte stessa, ma attraverso – salva sempre una questione sollevata di pregiudizialità rivolta alla Corte di giustizia – l’applicazione del diritto del III Pilastro comunitarizzato nella parte in cui si ritenga che la DQ consentendo e non divietando al legislatore interno di estendere i casi di non opposizione o meglio di non riconoscimento del mandato ai principi fondamentali dell’ordinamento, consenta tale operazione di interpretazione sistematica al giudice, applicando direttamente principi non esclusi dalla medesima DQ.
In ogni caso, vi é un’altra considerazione.
Se il giudice può entrare nel merito e deve entrare nel merito data la norma in commento per ricostruire i fatti e verificare, ad esempio, il caso fortuito o il consenso dell’avente diritto all’estero – che in quel caso in concreto porterebbero per il nostro ordinamento ad escludere il reato per mancanza di un elemento costitutivo, o ad esempio per l’elemento soggettivo a certe condizioni – sarebbe profilabile una competenza della nostra AG a ricostruire i fatti anche con indagini istruttorie.
Da taluni si è ipotizzata la ripetizione del giudizio, rispettando regole minime, come ad esempio quella del contraddittorio.
Ancora M.Angelini (Legalità e parametri di selezione in casi di consegna obbligatoria, in Il mandato di arresto europeo, a cura di Pansini e Scalfati,cit.) ha sottolineato che il sistema della lista dei reati in relazione agli strumenti del III Pilastro è già presente nella Convenzione istitutiva di Europol (ufficio europeo di polizia, Atto del Consiglio del 06.07.1995 in GUCE 27.11.1995 , poi modificata all’art. 2 nell’allegato con Atto del Consiglio 30.11.2000 in GUCE 13.12.00. L’Italia ha modificato la modifica che incide sull’ampliamento dei reati di competenza di Europol, inserendo anche il riciclaggio, dapprima ricompreso solo nel caso in cui fosse commesso con la criminalità organizzata o il narco-traffico con L. 29.07.2004 n. 221) e quella più recente di Eurojust.
Qui era sufficiente il solo nomen juris, la definizione del reato indispensabile durante la fase investigativa; ma qui, nella DQ si è in presenza di fattispecie di reato e di situazioni incidenti sulla libertà personale. Nella DQ, ad esempio, nulla si diceva sulle circostanze aggravanti –se da computarsi nella pena minima- e nulla sul tentativo che, in difetto di contraria disposizione e data la normativa caratterizzante i vari paesi fra cui laSpagna, si ritiene che debba essere titolo autonomo e fattispecie a sé stante
Nel contesto di una lettura tenue, come quella qui rassegnata., il riferimento ad uno dei 32 reati varrebbe come presunzione semplice di assolvimento, in entrambi gli ordinamenti, del requisito della doppia incriminazione (in tal senso anche A.Barazzetti, Principi di specialità e di doppia incriminazione: loro rivisitazioine nel mandato di arresto europeo, cit. e Salazar; in certi aspetti Selvaggi e Villoni,cit.).
Tuttavia l’art.8 comma III della legge di attuazione prevede che se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza –senza propria colpa –della norma penale dello stato membro di emissione in base al quale é stato emesso il mandato.
Letta testualmente, la norma sembrerebbe quindi prevedere la consegna del cittadino italiano se esso era a conoscenza o non lo era per propria colpa, della norma straniera.
Anche se tramite una verifica in concreto e una inversione dell’onere probatorio a carico dell’accusa, qui viene a porsi l’astratta possibilità che il fatto possa non configurare reato in Italia e, ciò nonostante, l’AG italiana sia obbligata all’esecuzione del mandato previa valutazione della conoscibilità o della conoscenza della norma violata. Si tratta di un’interpretazione salvante la norma, la quale verosimilmente potrebbe tuttavia essere diversamente interpretata.
Resta comunque l’espressione testuale”se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana” e letteralmente, secondo i canoni ermeneutici tipici dell’ordinamento italiano, in questo caso, al di fuori dell’inconoscibilità della norma, al cittadino italiano dovrebbe essere assicurata la consegna aliunde avendo egli commesso un fatto penalmente illecito nel paese membro.
Altro profilo é quello relativo a un fatto commesso in un paese terzo oggetto di una richiesta da parte di un paese membro ritenutosi competente od essendo competente in base alla propria estensione universalistica.
Tornando alla clausola di salvaguardia dell’art. 8 comma III l’AG, interpretando, non potrà prescindere dal riferimento e dai principi della Corte costituzionale 23-24.03.1988 n. 364 sull’art. 5: il soggetto non deve avere piena conoscenza della norma penale del paese emittente, bensì è necessario che lo stesso ritenga senza colpa che la condotta da lui tenuta non abbia rilevanza penale. La clausola comma III dell’art. 8 limita l’operatività della salvaguardia del cittadino italiano, il quale potrà eccepire l’ignoranza del puro e semplice rilievo penale della condotta se questa non configuri reato in Italia.
Se la condotta configura reato in Italia, dovrebbe prima farsi applicazione dei criteri ermeneutici e costituzionali sull’art. 5 e soltanto in casso negativo affrontare il profilo dell’estensione dei principi all’estero.
Non siamo pertanto in accordo su quanto sostenuto da Angelini sul fatto che la valutazione della conoscibilità della norma possa avvenire soltanto nel caso in cui il fatto non sia previsto come reato dalla legge italiana, Il legislatore italiano, si è sostenuto, ha statuito la doppia incriminazione, la quale non si applica per i fatti dell’art.8 I comma, fattispecie che si ispirano a norme penali italiane poste tutela di oggetti giuridici richiamati dall’art. 2 del DQ; le condotte descritte dall’art. 8 comma I costituiscono reato secondo la norma interna, salvo l’ipotesi ristretta di fattispecie descritta dall’art.8 comma I che rappresentano una mera riproduzione di quelle di cui all’art.2 della DQ europea.
Ma vi è di più
Si tratta di una considerazione, una volta fatta autoedìvidente, ma che non è ancora stata – a quanto conosce chi scrive – oggetto di esplicita osservazione
Se l’art. 2 II comma si riferisce alle future attuazioni di diritti in paesi membri, con l’espressione “danno luogo a consegna in base al mandato di arresto europeo e indipendentemente dalla doppia incriminazione i reati di cui alla lista immediatamente successiva”, le leggi di attuazione che riprendono sia pur con diverse modulazioni tale espressione si rivolgono esclusivamente al lato passivo della consegna. Il portato dell’art. 2 DQ é invece riferito sia al lato passivo che, evidentemente, a quello attivo; vale a dire è riferito a tutti i paesi che si trovano a dover richiedere e a tutti i paesi che sanno di poter richiedere quanto può essere conceduto. Se l’art. 2 della DQ viene letto come obbligo dei legislatori nazionali, l’art.8 (consegna obbligatoria) della legge italiana viene letto dall’AG italiana. In realtà anche la legge di attuazione del singolo paese dovrebbe essere voicolante per lo stato, o meglio, per l’AG- dello stato richiedente, il quale dovrebbe chiedere quanto può essere conceduto. Nel caso in cui gli ordinamenti consentano una discrezionalità in base alla legge di attuazione, la richiesta potrebbe essere effettuata in presenza di una discrezionalità dello stato richiesto. Tuttavia, nei casi in cui jura non nationalis novit curia, nei casi in cui vi sia un divieto di consegna, anche l’autorità richiedente dovrebbe astenersi dalla richiesta.
In questo senso, ad esempio, l’art.8 della legge italiana dovrebbe essere previamente conosciuto dall’ autorità straniera richiedente. In ogni caso l’espressione é chiara: “si fa luogo alla consegna (da parte dell’autorità italiana) indipendentemente dalla doppia incrimnazione per i fatti seguenti, sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza…”.
A parte il testo della lettera della legge che riproduce la clausola “indipendentemente dalla doppia incriminazione”, che pone problemi interpretativi che non è questa la sede per risolvere, pur con le notazioni già riportate, vi è l’aspetto dell’elenco definitorio rassegnato nella legge di attuazione italiana.
In quali rapporti si pongono le definizioni contenute nella legge e le fattispecie di parte speciale integrate con la parte generale tipiche dell’ordinamento italiano, corrispondenti ma non coincidenti con tali elenchi definitori, legislativamente emanati per rispetto ai già discussi canoni di costituzionalità in ordine ai principi di tassatività e legalità?
Se, come detto, tale elenco definitorio é riferito all’aspetto passivo della consegna, l’AG nazionale sarà facilitata nella concessione del mandato di arresto dalla verifica se il fatto qualificato nell’altro ordinamento giuridico rientra nelle definizioni ispirate ma non ritagliate, non coincidenti con le fattispecie e con il relativo trattamento di parte generale o in termini di punibilità tipici dell’ordinamento italiano.
L’insieme delle definizioni sintetiche delle fattispecie di reato costituicse un criterio-filtro di verifica da parte dell’Autorità giudiziale a fronte delle richieste degli altri paesi membri. Potrà tuttavia, sotto il profilo della richiesta attiva dello stato italiano, verificarsi una situazione di un fatto di reato, qualificabile secondo l’ordinamento italiano, secondo criteri ascrittivi non coincidenti con le tipologie descrittive di cui all’elenco contenuto nell’art.8 della legge di attuazione. In questo caso l’AG italiana, per un fatto rientrante nella propria giurisdizione,potrà effettuare la richiesta sempre che il fatto venga qualificato non in base alla definizione, ma in base alla fattispecie interna.
Non sembra prevista nella DQ una condizione espressa di reciprocità, vale a dire che non potrebbe essere opposto dal paese diverso dall’Italia richiesto, che il reato contestato dalla AG italiana come rientrante nella propria giurisdizione non sia includibile nell’elenco delle definizioni tipiche dell’ordinamento italiano. In questo caso, l’elenco definitorio avrebbe carattere di criterio di filtro, di valutazione della doppia punibilità per quanto riguarda le richieste provenienti ab externo, ma non avrebbe valenza reciproca, nel senso di non poter essere un criterio su cui poggiare la richiesta attiva di arresto europeo.
Analoga problematica si pone per quanto riguarda le cause di opposizione alla richiesta proveniente dall’esterno.
Le opposizioni pertanto non dovrebbero essere impstate sulla qualificazione nelle parte in cui è diversa rispetto all’elenco definitorio.
Da ciò consegue che l’AG debba entrare nella valutazione del fatto; il potere dovere del giudice di valutare se esso, così come configurato nel provvedimento emesso dall’autorità del paese richiedente, sia riconducibile alla lista di reati per i quali non viga il principio della doppia punibilità. Nel mandato devono essere specificati natura, qualificazione giuridica, circostanze, luogo e grado di partecipazione, nonché la pena inflitta e le pene massime e minime dello stato richiedente. Il controllo sarà tanto piu rigoroso quanto più i reati siano genericamente individuati. Si pensi alla corruzione di privati, nel nostro ordinamento non costituente reato; al concetto di racket, diverso da quello di estorsione; al difficile inquadramento della frode da raccordare con le diverse ipotesi di truffa; al riciclaggio di proventi del reato, nel nostro ordinamento riferibile all’art.648bis, ma comprensivo, secondo gli strumenti internazionali e le direttive europee anche del favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) e personale (art.378 c.p.), nonché di ricettazione (art.648) e reimpiego (art.648ter).
Il controllo non si fermerà alla astratta riconducibilità del fatto ad uno dei reati indicati dall’art. 2 comma I DQ e art. 8 comma II L. 69/05, ma sarà mirato ad un esatto inquadramento in una fattispecie di dirito interno. Anche per i reati inclusi nella lista l’AG dell’ esecuzione deve (in tal senso P. Gualtieri, Mandato di arresto europeo, cit.) rifiutare la consegna se il reato é coperto da amnistia –sempre che vi sia giurisdizione italiana –oppure se vi prescrizione o già sentenza di condanna o non imputabilità secondo l’ordinamneto interno di esecuzione.
Per individuare esattamente il reato concretamente applicabile al caso in esame è da verificarsi se per quel fatto siano intervenuti fattori estintivi e sia competente la giurisdizione italiana. Non ci si dovrà fermare ad eccertare quale sia la definzione dei reati, secondo lo stato di emisisone e se la stessa corrisponda alle fattispecie descritte dall’art.8 dellalegge italiana di attuazione, ma si dovrà inquadrare il fatto in una o più fattispecie interne (analisi del giudice assumente una doppia valenza: a) ricondurre la definizione del reato contestato nell’ambito dell’elencazione delle fattispecie dell’art. 8 comma I della legge di attuazione, come definite, che riproduce con specificazioni la lista dei 32 reati di cui all’art. 2 DQ; b) cercare di inquadrare i fatti in uno specifico reato del nostro ordinamento penale.
Secondo questa lettura la prima prospettiva dovrebbe verificare i reati di cui alla lista per accertare che non sia adusa la doppia incriminazione; la seconda opererebbe per tutti i reati, tesa a verificare se vi siano condizioni ostative.
Un’altra interpretazione potrebbe essere quella di ritenere che per i reatri inclusi nella lista, dove anche la legge italiana parla di “indipendentemente dalla doppia incriminazione” ci debba limitare da parte – sotto il profilo passivo – dell’A. italiana, ad esempio, a verificare la corrispondenza del fatto qualificato come dianzi descritto alla definizione; mentre al di fuori dei reati di lista, dove vige il principio di doppia incriminazione, il criterio sarebbe quello più ampio della qualificazione per fattispecie –e quindi non per definizione –se il fatto costituisca reato secondo la legge italiana.
Non va difatti dimenticato che l’art. 7 prevede al punto 1 la doppia punbilità in via generale; l’art.8 costituisce un’eccezione e, pertanto, non si potrebbe ricorrere, per esso, ad una interpretazione a carattere estensivo, nel caso di dubbi sistematici e di coordinamento, e comunque l’interpretazione deve essere razionalizzante, anche tenuto conto della distinzione fra la pura definizione, contenuta nell’art.8 e invece le differenziate fattispecie interne.
L’espressione “indipendentemente dalla doppia incriminazione” andrebbe così valorizzata, proprio con riferimento al testo che dalla lettera a) alla lettera mm) inserito nel medesimo articolo esclude la doppia incriminazione, se non sotto il profilo delle definizioni che vengono introdotte proprio dando rilievo alle parole “indipendentemente dalla doppia incriminazione”. Da ciò conseguirebbe che al di sfuori della lista di cui allart.8 varrebbe a pieno titolo il criterio della doppia incriminazione e che il riferimento non sarebbe più alle definizioni ma alle fattispecie interne di reato. Riprenderebbe in altri termini pieno rilievo l’art. 7 I comma “l’Italia darà esecuzione al mandato di arresto europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale”.
La regola generale sarebbe questa e lo stabilire se costituisca reato in base alla legge nazionale dovrebbe valere, a fortiori e con maggiore estensione, per i reati fuori lista, vale a dire per tutti i reati salvi i limiti di pena.
Quanto detto in precedenza pare confermato anche dal commaII dell’art.8 “l’autorità accerta quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo la legge dello stato membro di emissione e se la stessa corrisponda alle fattispecie di cui al comma I”.
L’espressione “definizione dei reati” non è l’espressione “qualificazione”; sembra cioè che il legislatore nazionale italiano abbia implicitamente – e forse erroneamente – ritenuto che anche gli altri paesi dessero corso ad un elenco definitorio dei reati, cosa che invece non pare essere accaduta.
In questo caso la norma porrebbe difficoltà applicative, nel senso che l’unico riferimento sarebbe la qualificazione fatta dal giudice straniero (o dal PM straniero o eventualmente dall’autorità amministrativa straniera, nei casi eccezionali in cui dovesse esservi) e il riferimento non potrebbe più essere quello della qualificazione interna per fattispecie di parte speciale integrata dalla parte generale in relazione agli ordinamenti stranieri dei paesiu membri diversi richiedenti.
Resta da verificare se il comma IV dell’art.2 della DQ, ove stabisce in via generale, per i reati non contemplati nel comma II, che la consegna è subordinata alla doppia incrimazione (“costituiscano reato per la legge dello stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi e dalla qualifica dello stesso”), compaia nella legge italiana. Così non é.
In via generale vi è solo l’art.7 n.1 che dice “nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale”. In questo caso l’AG non dovrebbe verificare la previsione del reato anche dalla legge nazionale con riferimento alle definizioni, ma con riferimento alla fattispecie interna, sia di parte speciale, sia alla fattispecie di parte genetrale relativa.
Se il fatto straniero è unito dal disvalore penale e quindi è sanzionato penalmente da una specifica disposizione di legge, salvo il limiti di pena fissati, dovrebbe farsi luogo alla applicazione –combinando il criterio astratto e quello concreto –del mandato di arresto.
Per lo più ciò accadra nei casi in cui non vi é giurisdizione dello stato italiano.
Lato B
Osserviamo ora i rapporti dell’ articolo 25 della costituzione con riferimento all’eliminazione della doppia incriminazione.
La dottrina debole esclude che il mandato di arresto europeo riguardi o possa riguardare fatti non preveduti dalla legge italiana come reato. In realtà si prescinderebbe, secondo tale dottrina, semplicemet dalla verifica, in quanro la doppia incriminazione sarebbe presupposta.
I reati genericamente indicati nell’elenco, ad esempio terrorismo o frode, sarebbero reati comuni a tutti gli stati membri, compresi nelle legislazioni penali statali o in strumenti internazionali e quindi già armonizzate o da armonizzare (questo è un aspetto di ambiguità). Vd. anche il Trattato Italia/Spagna 18.09.2002.
Non è comunque sufficiente il nomen juris a fare scattare l’obbligo di consegna. L’autorità di esecuzione deve procedere a un – secondo tale dottrina – seppur ridotto controllo
Ciò significherebbero le informazioni contenute nel modulo del mandato di arresto europeo. Controllo volto verificare l’esatta riconduzione del fatto per il quale si chiede la consegna a uno dei reati indicati nella lista e con riferimento alla pena edittale (3 anni o più) nonché eventuali errori.
Il sistema della lista, correlato a quello perdurante della doppia incriminazione, costituirebbe un meccanismo combinatorio sufficiente ad escldere una consegna per un fatto non preveduto come reato dalla legge dello stato di esecuzione.
E appena il caso di osservare che questa osservazione non vale per la lista. Il sistema, secondo tale prospettiva, sarebbe da ritenersi chiuso e garantito. Basterà prevedere il rifiuto all’estradizione nel caso in cui, nonostante il nomen juris, il fatto non sia riconducibile a un reato elencato nella lista.
Come si vedrà, per quanto riguarda l’irrilevanza o la rilevanza della consapevolezza del disvalore della propria azione da parte del destinatario del mandato, preaa a riferimento dalla legge attuativa, è stato sottolineato da altra dottrina –su cui si tornerà- che già nel nostro ordinamento l’accertamento consegue a quello del Giudice sul fatto ma non impedisce l’emissione o l’esecuzione di un provvedimento restrittivo. Su questo é chiaramente opportuno in seguito un approfondimento.
Non è tuttavia fuori luogo osservare, tra l’altro, che ad esempio la criminalità informatica sarebbe armonizzata con la Convenzione del Consiglio d’Europa 23.11.2001 sulla cd.cibercriminalità (cyber crimes) o che la criminalità organizzata sarebbe armonizzata dall’Azione comune UE del 21.12.198 n. 98 (773GAI) e dalla Convenzione ONU sulla criminalità organizzata transnazionale di Palermo del 15.12.2001; per il terorismo la Convenzione europea 27.01.1977, oltre agli Atti internazionali (Convenzione su repressione del finanziamento del terrorismo di New York 09.11.1999; represione degli attentati terroristici mediante esplosivi, New York. 15.12.1977, ratificata con L. 14.02.2003 n. 354; sulla tratta degli esseri umani, l’Azione comune UE 24.02.1997 n. 97 (154GAI), anche la L.11.08.2003 n. 228; sulla corruzione, le Convenzioni UE-OCSE del 29.09.2000 n. 300 e del Consiglio d’Europa 27.01.1999; la frode (compresi gli interessi finanziari delle Comunità) con la L. 300/2000; sulla crminalità ambientale la Convenzione del Consiglio d’Europa 04.11.1998 sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale.
Secondo una interpretazione forte G. Antonelli,(L’attuazione del mandato di arresto europeo tra vincolo comunitario ed ottemperanze.Problemi di compatibilità costituzionale, in Jus sit, sito di informazione giuridica, Napoli, 23.06.2004) si era rilevata nel solco fissato dal Parere Caiainiello-Vassalli citato in Cass. pen.2002, la previsione da parte nostro stato ricevente dell’esecuzione obbligatoria, senza la prevista verifica della cd., doppia incriminazione per le 32 fattispecie di reato citate (vd.anche Caianiello-Vassalli, Commiss.affari costituzionali) la quale contrasterebbe con il principio di legalità costituzionalmente posto, in quanto la condotta perseguita nello stato emitente, pur rientrando nella più generica casistica comunitariamente delineata, potrebbe non contenere tutti gli elementi tipizzanti dell’omologa fattispecie interna e quindi non costituirebbe reato per il nstro ordinamento.
Anche il principio di determinatezza della fattispecie legale sarebbe attinto, stante il diverso grado di tipizzazione della condotta penalmente rilevante proprio degli stati menrbri dell’Unione, alcuni caratterizzati da un’ampiezza interpretativa sconosciuta al nostro sistema.
La scelta della DQ é stata poco precisa ma vincolante nell’individuare non già fattispecie di reato comuni ai vari stati – e con ciò pare che la lettura debole vada in questo senso – quanto piuttosto aree comuni di disvalore della condotta cui ricondurre un automatismo operativo processuale nell’esecuzione del mandato di arresto.
A parte si osservava il vulnus della mancata revisione della obbligatorietà di motivazione dei provvedimenti impositivi della cautela o della ricorribilità in cassazione o nella mancata figurazione di un’AG competente a emettere il provevdiemnto coercitivo queale organo di rilevanza costituzionale autonomo e indipendente, come strutturato nell’ordinamento italiano.
Nel parere Caianiello-Vassalli veniva sottolineato il profilo del vulnus della inviolabilità della libertà personale di cui all’art. 13 e della indefettibilità -ribadiamo – della ricorribilità in cassazione dei provevdiemtni de libertate ex art.11Cost.
L’art.25 Cost. (riserva di legge e determinatezza della fattispecie in materia penale) merita sottolineatura, in quanto nell’art. ….. par. 2 del DQ si prevederebbe l’obbligatorietà, alle condizioni previste, alla consegna, senza la previa verifica del requisito della doppia incriminazione, prescindendo dalla ricerca dell’omologa figura di reato nel proprio ordinamento interno. In quella prospettiva la consegna sarebbe potuta avvenire per un fatto che pur rientrando nella tipologia di cui all’art.2 DQ non contenga in sé tutti gli elementi costitutivi che caratterizzano l’equipollente interno e quindi non costituisce reato per l’ordinamento italiano, in violazione del principio dell’art. 25 Cost. che esclude che il cittadino possa essere sottoposto a pena per fatti che non siano espressamente previsti dalla legge come reato.
Si pensi alla natura dei reati in lista: partecipazione ad organizzazione criminale, corruzione, frode, criminalità informatica, criminalità ambientale, razzismo e xenofobia e per converso l’elevato grado di tipizzazione che connota la corrispondente legislazione interna italiana in materia penale.
Si pensi al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo del reato e alle diverse gradazioni e tipologie del dolo, recentemente rimarcate quanto ai caratteri di specificità di quello intenzionale rispetto a quello meramente diretto dalla Suprema Corte e alla rilevanza che tali sfumature assumono nella più recente azione penale (ad esempio,nuova configurazione del reato di abuso di ufficio in modulazione delle normativa in materia di reati tributari, nuova ipotesi di falso in bilancio e in comunicazioni sociali; si pensi alle difficoltà di ricondurre nell’alveo della lista le ipotesi di truffa in presenza delle sfumature e dei contrasti giurisprudenziali che connotano l’area di definibilità del concetto di artifizio e raggiro; si pensi agli interventi della Consulta sulla specificazione ed i difficili rapporti tra le ipotesi di cui all’art. 640 bis c.p. e all’art. 316 ter; e ancora all’ipotesi di corruzione del privato, sconosciuta al nostro ordina,mento.
Per Cassese (in Diritto penale e processo) la copertura costituzionale in materia di art. 25 nel caso in cui possa attraverso l’esecuzione dell’euromandato privarsi della libertà o trasferirsi all’estero il cittadino che abbia commesso un crimine nel territorio di uno stato membro dell’Unione, (anche se qual fatto non costituisce reato nel nostro ordinamento) nel senso che appunto la copertura costituzionale esigerebbe solo che il fatto sia previsto come reato dalla legge anche solo dello stato richiedente in modo determinato.
L’interpretazione più restrittiva appare infatti disegnarsi, nel senso che la Carta costituzionale italiana si riferisce all’ordinamento italiano e prevede il divieto di sottoposizione a pena se non per fatti che il nostro legislatore ritenga connotati da un livello di disvalore sociale tale da renderli meritevoli della sanzione penale predeterminata in modo puntuale ed analitico.
Per altro non spetterebbe all’AG italiana il controllo di specificità della norma penale interna sulla quale lo stato membro fonda la propria richiesta,ma solo la riconducibilita del reato alla base del mandato nell’area delle32 fattispecie.
La riserva di legge si attenuerebbe nella prospettiva alla restrizione ad elementi di nucleo europeo minimo di carattere antisociale e alternativo all’interno del contesto europeo.
Una legge di attuazione che si fosse limitata a richiamare la lista sarebbe incorsa, pur nel rispetto del modello comunitario,i n un’incompatibilità con la nostra Costituzione, come ha correttamente rilevato P.Gualtieri (Convegno sul mandato di arresto, Urbino,maggio 2003); ciò che accomuna in ambito comunitario i paesi membri quanto alle 32 fattispecie di cui all’art. 42 DQ è la reciproca previsione di comuni elementi fondanti nei propri ordinamenti, il disvalore che ne giustifica l’incriminazione, ma non la specifica analiticità descrittiva e identità degli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi in cui tali comportamenti sono normativamente trasfusi nei rispettivi ordinamenti penali.
Come insegnato anche dalla migliore e più recente dottrina, il principio di legalità nel diritto vigente, contemplato dall’art. 25 II comma Cost. e all’art. 1 c.p. secondo il quale la norma penale è legittima quando il suo oggetto sia stabilito da una legge precisa e determinata, dato il carattere rigido della Costituzione italiana non vincola tanto il giudice quanto il legislatore, il quale non può né spogliarsi del potere di produzione normativa in materia penale né ad altri delegarlo.
Il principio, oltre che per il precetto e la pena è affermato per le misure di sicurezza che non possono applicarsi se non nei casi previsti dalla legge (art. 25 III Cost, che richiama il contenuto dell’art. 199 c.p.).
Le regole di condotta e le sanzioni in caso di loro violazione debbono essere specificate dalla fonte legislativa, con carattere di generalità ed astrattezza anteriormente alla realizzazione del fatto. Solo per inciso, nel mondo anglosassone tale criterio è utilizzato per la censura di norme di legge che tuttavia abbiano caratteri amministrativi di particolarità.
Precetto e sanzione debbono essere conoscibili dai destinatari grazie ad una pubblicità adeguata (art.73 III Cost.; M.Ronco, Il principio di legalità, in La legge penale, fonti, tempo, spazio e persone, a direzione di M. Ronco e con la collaborazione di E.M. Ambrosetti e E. Mezzetti, Bologna, Zanichelli,2006,vol. I,pag. 1 e seg.). Il principio di legalità assume le dimensioni presentandosi come riserva di legge, monopolio del Parlamento sulla normazione, come irretroattività della norma penale più sfavorevole all’autore, come precisione e pregnanza del precetto e della sanzione (determinatezza), sotto il duplice profilo della precisa individuazione di tutti gli elementi costitutivi e della corrispondenza tra il fatto tipico e un’esperienza di vita concretamente verificatasi.
E ancora, in quarto luogo, come tassatività sotto il duplice profilo del divieto per il giudice di estendere analogicamente il precetto e la sanzioni previsti dalla legge e del’obbligo per il legislatore di evitare clausole che facoltizzino l’analogia (ancora in tema, M. Gallo, La legge penale. Appunti diritto penale, Torino, 1965, in edizione rivista e accresciuta, Torino,1999; M. Siniscalco, Giustizia penale e costituzione, Torino 1966. La bibliografia in tema è sterminata).
Il principio di legalità è finalizzato a garantire i diritti fondamentali riconosciuti dall’art. 2 della Cost. nel rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 I comma cost. e della inviolabilità della libertà personale, limitabile nei solo casi e modi previsti dalla legge, i virtù di un atto motivato dell’AG (art. 13 I e II comma cost.).
Il principio di legalità si distende (ancora M. Ronco) dal diritto sostanziale al processo penale, ove l’osservanza della regola fissata per legge costituisce il cardine del processo, dalla precostituzione per legge del giudice naturale (art.25 II comma Cost.) all’attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato dalla legge (art.111 I comma Cost.), al vincolo, per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art.101 II comma Cost) alla pari ricorribilità per cassazione delle sentenze e dei provvedimenti sulla libertà personale per violazione dei legge (111 VII comma Cost.), alla sottoposizione del PM alla legge cui è vincolante nel far valere la pretesa punitiva senza alcuna discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale (112).
Anche l’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, nell’ambito del Consiglio d’Europa del 04.11.1950, entrata in vigore il 26-10-1955 (L. 04.08.1955 n. 848), prevede che nessuno possa essere condannato per un’azione o un omissione che al momento in cui è stata commessa non costituiva infrazione secondo il diritto nazionale o internazionale, né che ad alcuno possa essere inflitta una pena più grave di quella vigente al momento della commissione del fatto. E’ da ricordarsi la competenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo con sede a Strasburgo (art. 10 e seg. Convenzione) e l’art. 15 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York 16.12.1966,dell’Asemblea delle Nazioni Unite, in vigore dal 15.121978 con L.25.10.1977 n. 881. Anche gli artt. 22, 23 e 24 dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale (conferenza Nazioni Unite del 17.07.1998, ratificata con L. 12.07-1999 n. 232) nonché il Trattato che adotta la Costituzione per l’Europa del 29.10.2004 che prevede all’art. II-109 il principio di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene, utilizzando il termine diritto al posto del termine legge per abbracciare i sistemi di diritto comune. Anche E. Mezzetti (L’internalizzazione della legge penale, p. 101 e seg. e in particolare p. 152 e seg. in La legge penale, diretta da M. Ronco, cit.) con riferimento alla DQ ed alla normativa di attuazione del mandato di arresto europeo sottolinea il profilo del rispetto del principio di legalità in relazione e a corollario della determinatezza, con riferimento, ad esempio, all’art. 8 della L. 69/05 che alla lettera a) prevede la misura anche per il delitto di associazione. Il delitto nella definizione viene latamente descritto come mera partecipazione finalizzata alla commissione di più delitti, quando la normazione italiana è molto più ricca di sfumature e di definizioni strette, distinguendosi tra le ipotesi diverse; mentre nel caso specifico ci si rifà al modello aperto alla francese.
La successiva disposizione della lettera b) dell’art. 8 specifica la fattispecie precedente; più cura è nelle altre formulazioni delle figure di reato, il resto dello stesso articolo 8 in tema di frode. Sulla mancata previsione bilaterale del fatto sotto il profilo di un eventuale contrasto con il principio di colpevolezza, non si richiede più la conoscibilità del fatto-reato che non viene così considerato essenziale al fine dell’impiego di uno strumento delicato che incide sulla libertà personale
Una lettura cd. forte dell’istituto, nel senso di riconnettere al suo utilizzo chiare ripercussioni di diritto penale sostanziale comune, con ripensamenti dello spazio giudiziario europeo, oltre a porre problemi di ordine e allineamento della legislazione penale europea, nel catalogo delle incriminazioni interessate, pena un’applicazione diseguale di una legge penale che supera i limiti nazionali (vd. Bartone, Mandato di arresto europeo e tipicità nazionale del reato, Milano 2003, p.51 e seg.) può condurre a seri problemi di congruità con consolidati principi costituzionali, nel senso paventato da Caianiello-Vassalli.
Qualche cenno attuale merita il Parere sulla Proposta di Decisione quadro sul mandato di arresto europeo di Vincenzo Caianiello e Giuliano Vassalli, antecedente all’attuazione con la L.609/05.
Ci si limiti ad esaminare in estrema sintesi le considerazioni che non appaiono essere state superate dal testo della legge.
Gli artt.13 e 111cost. sembrerebbero essere rispettati dal recitato italiano con la previsione della ricorribilità in cassazione e con i criteri di delibazione richiamati e sia pure restrittivamente interpretati dalla giurisprudenza (ma la questione è al vaglio della Corte costituzionale) anche tenuto conto di quanto si osservarà seguito circa la profondità del controllo sul diritto penale sostanziale riservato anche per la lista dei cd 32 reati.
Già si è detto delle osservazioni che appaiono condivisibili in tema di art. 10 , 26 Cost. per quanto riguarda la disciplina dell’estradizione.,
Già anche si è detto degli artt. 31 e 34 del Tatto sull’UE sulla quale si attende la pronuncia delle CGCE in seguito alla remissione della Corte Costituzionale belga.
Il fato che il legislatore italiano abbia organizzato una serie di definizioni con ciò prevedendo delle fattispecie nazionali interne in base alle quale egli effettua o può effettuare il cd.c riterio di doppia verifica su cui si tornerà, appare superare il dubbio –sollevato dagli Autori –quando affermarono che compete al diritto penale sostanziale dello stato membro divisare i contenuti dei singoli fatti-reato e di regolare l’ambito spaziale di applicazione della legge penale nazionale, eventualmente anche derogando al criterio delle territorialità.
Il codice penale italiano, ad esempio con l’art.7 stabilisce i casi in cui i rati commessi all’estero sono puniti secondo la legge italiana pur se imputabili ad uno straniero.
Scopo del presente commento è di esaminare i casi di incisione sulla portata della norma nazionale anche con riferimento alla giurisdizione che,ribadiamo,non va confusa con la territorialità.
E’noto che Caianiello-.Vassalli hanno optato per una lettura forte del testo della DQ. Secondo tuttavia la lettura tenue ipotizzata dagli autori si escluderebbe che la DQ abbia inciso sulla potestà punitiva e sul potere legislativo penale del singolo stato L’esecuzione riguarderebbe nell’ambito dell’elenco comunitario, i reati che secondo l’ordinamento dello stato a quo sono punibili e rimessi al potere investigativo e cognitivo del proprio ordine giudiziario.
I giudice italiano potrebbe assentire la mandato di arresto per i reati che secondo il codice penale e le altre leggi italiane sono direttamente punibili da parte dello stesso giudice italiano, con esclusione degli altri reati che sono punibili secondo la legge penale francese solo da parte del giudice francese. Ciò riguarderebbe la giurisdizione dell’ordinamento italiano. Nel caso in cui la giurisdizione appartenga all’ordinamento francese, sorgerebbe il problema di limitare l’adesione al mandato di arresto alla clausola di doppia incriminazione. Tuttavia, secondo Caianiello-Vassalli anche l’interpretazione debole non muterebbe i presupposti e la latitudine dell’ azione penale esercitabile in ciascuno stato membro dal proprio giudice.
Il mandato di arresto straniero sarebbe assimilato a quello conosciuto dall’ordinamento nazionale. Sarebbero assorbite le procedure di cooperazione procedurale e le norme interne sull’estradizione, nonostante esse siano diretta attuazione di norme costituzionali e di scrutinio costante di costituzionalità.
Tuttavia appare più evidente una lettura forte della DQ in commento che presupporrebbe un diritto penale comune nel senso di territorio nel quale determinate figure di reato, da chiunque commesse in ambito comunitario, siano indifferentemente perseguite da tutti i giudici dell’UE. Il rilievo di diritto sostanziale concerne il superamento dei limiti nazionali all’applicazione della legge penale.
Il puntuale collegamento instaurato tra il modello del mandato di arresto europeo ed una serie di reati che non possono neppure dirsi tali in senso giuridico, propenderebbe in tal senso.
Tuttavia è indispensabile, perché una figura di reato sia tale, che il fatto punibile sia descritto rispettando il canone di tassatività e necessaria determinatezza della fattispecie. L’attuale enumerazione si limita ad indicare generici fatti – chiaramente ci si riferisce alla DQ – o comportamenti che hanno un disvalore ed è solo tale disvalore che corrisponde nei singoli ordinamenti europei ad altrettante figure di reato; mancherebbe nella DQ l’indicazione di puntuali fatti di reato comuni a tutta l’Unione.
A nostro avviso su questa linea il problema rilevante sorgerebbe in termini di richiesta di mandato di arresto attivo. Ad esempio dall’ Italia verso stati nei quali non vi sia un richiamo, rispetto ai rispettivi principi di tassatività e comunque al principio di legalità, al proprio ordinamento interno sotto il profilo della doppia verifica di corrispondenza fra il fatto italiano –ritenuto penalmente rilevante –e il fatto interno. Anche il formarsi di un giudicato secondo i dettami della DQ e delle diverse attuazioni interne della disciplina, indirettamente comporterebbe la necessità di –attraverso l’accoglimento del principio del bis in idem, non condizionato alla verifica della doppia incriminazione del fatto – darsi esecuzione da parte dell’ordinamento.
In altri termini, la differente attuazione e le differenti graduazioni del rispetto dei principi di legalità veicolate attraverso i meccanismi del riconoscimento reciproco delle decisioni ovunque vengano emesse ovunque vengano eseguite comporterebbero degli effetti. Ad esempio, con riferimento a reati in astratto attratti dalla giurisdizione italiana (o di altri paesi: il discorso può esser fatto reciprocamente) a porre problemi di modifica di fatto dell’estensione della giurisdizione italiana, in ipotesi.
Paradossalmente è proprio la eccessiva discrezionalità lasciata agli stati in termini di attuazioni che porrà i problemi più spinosi.
Aggiungasi da parte nostra che il carattere di mero disvalore penale comporta i problemi complessi (già affrontati da Maugeri, Uberti, cit) in ordine alla assenza a livello europeo di un criterio costituzionalizzato di distinzione fra area del penalmente rilevante e area del non penalmente rilevante. Differenti sono le strategie interpretative della corte di Strasburgo rispetto alla Corte di Lusemburgo.
Manca l’indicazione nella DQ di puntuali fatti di reato comuni a tutta l’Unione. Il reato di criminalità informatica corrisponde in ciascun paese a molteplici figure criminose. Sarebbe breve il passo verso l’apertura alla punibilità indiscriminata da parte di tutti i giudici dell’Unione in tutto il territorio europeo dei nuovi reati comunitari. Anche se la DQ producesse solo effetti di tipo processuale, la potestà punitiva penale resterebbe appannaggio di ciascun stato membro sicché le scelte sul tipo di reato perseguibile dal suo giudice, sul luogo di consumazione, sulla nazionalità dell’imputato e sul bene giuridico leso sarebbero sempre nazionali.
Ma non può certo escludersi (Caianiello-Vassalli) che il legislatore decida di ampliare gli spazi effettivi di applicazione della propria legge penale e ritenga ad esempio che il reato di favoreggiamento all’ingresso o al soggiorno di irregolari (n. 13 dell’elenco) da qualunque cittadino comunitario e ovunque venga commesso vada sempre sanzionato penalmente poiché è eventualmente lesivo di beni che attengono, oltre che al comunitario, anche all’intersse nazionale.
Sotto il profilo dell’art. 13 l’AG legittimata a comprimere la libertà personale prima della sentenza di condanna è la magistratura costituita come ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art.104 comma I Cost. ).I provvedimenti devono essere motivati e verso di loro è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge (111 comma II Cost). La Costituzione vieta l’estradizione dello straniero per reati politici (art. 10 comma IV,26 comma II Cost). L’art.10 riconosce al comma III il diritto di asilo nel territorio della Repubblica allo straniero che non abbia libertà democratiche nel suo paese. Sul piano del diritto sostanziale, il principio di legalità si riflette nel principio di necessaria determinatezza della fattispecie penale e nel principio della obbligatorietà della riserva di legge; il primo, volto a garantire da abusi giudiziari e rafforzare le prevenzione della pena speciale e generale, il secondo a tutelare i diritti delle minoranze parlamentari.
Altro problema è stato apparentemente sfumato.
L’elenco di reati configurati in modo generico nel DQ non ha disatteso, data l’assunzione di paternità parlamentare, il principio di riserva di legge che proietti i suoi effetti nell’ambito del diritto sostanziale custodito dall’articolo 25 perché l’art. 13 Cost.. riserva alla legge l’indicazione dei casi e modi di restrizione della libertà ersonale.
Il deficit di tassatività della norma penale pregiudicherebbe il principio processuale di obbligatorietà della azione penale,poiché verrebbe vulnerata l’integrità del criterio di verifica dell’osservanza di tale obbligo e pregiudicherebbe il diritto costituzionale alla difesa (art.24).
L’equiparazione di un provvedimento di altro stato all’atto motivato ricorribile in cassazione svuoterebbe di contenuto le garanzie degli artt.13.104 e 111.
Tolto il procedimento di estradizione e tolta ogni verifica preliminare, l’automatismo nell’esecuzione del mandato restringerebbe la libertà personale con un atto dell’autorità giudiziaria che non è ordine autonomo indipendente. Con un atto che non è detto sia motivato secondo i crismi del diritto vivente rispetto al precetto costituzionale e con rimedi di impugnazione che non sono ancora stati oggetto di scelte di effettiva omogeneizzazione. Anche il ricorso alla corte di Strasburgo presuppone l’esaurimento dei rimedi interni.
Un altro punto è il seguente(Caianiello-Vassali).
Le norme internazionali pattizie, ancorché generali sono escluse dall’ambito applicativo dell’art.10 comma I Costituzione, sicché il principio di adeguamento automatico del diritto italiano al diritto internazionale riconosciuto deve intendersi riferito solo alle norme consuetudinarie (Corte cost. 26.02.1993 n. 75).Tutte le norme consuetudinarie del diritto internazionale che si sono formate dopo la Costituzione italiana possono prevalere grazie all’adattamento speciale ex art.10 anche su norme della stessa Costituzione aventi pari rango, ma con il limite previsto dall’art. 10 (non potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha cardini nella sovranità popolare e nella costituzione rigida (Corte cost. 18.06.1978 n. 48).
L’edificio comunitario si regge dal punto di vista costituzionale sull’art. 11 (l’Italia consente in parità con gli altri stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento di pace e giustizia fra le nazioni e promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tali scopi).
Su questa norma si è fondata la prevalenza del diritto comunitario sull’ordinamento interno; dapprima con la legge statale contrastante con le norme dell’Unione che deve essere dichiarata illegittima per violazione dell’art. 11epoi con la tecnica della disapplicazione o non aplicazione senza abrogazione, mediante un controllo diffuso del giudice costituzionale. La Corte costituzionale ha fissato la soglia massima di penetrazione dell’ordinamento comunitario prevalendo le norme comunitarie su quelle nazionali fino a quando esse non siano in contrasto con i principi fondamentali della costituzione e con i diritti inalienabili della persona umana (Corte cost.01.03.1994 n.117).
Né la rinuncia alla sovranità statuale in favore di fonti di produzione sopranazionale sono possibili quando si apra una breccia nel tessuto di principi e garanzie costituzionali.
Per la costituzione italiana è garantita la libertà di spostamento. Di recente la Corte costituzionale è intervenuta (15.07.2004 n. 222 in Guida al Dir., 2004 n.30p.75) sullo straniero extracomunitario.Si è osservato come il mandato di arresto sia un atto complesso distinto e giuridicamente autonomo che si aggiunge al titolo costitutivo – prettamente decisionale- della limitazione della libertà, personale e della persona
Il provvedimento europeo di cattura vale, come richiesta di arresto e di consegna da parte di uno stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale, dell’esecuzione di una pena o misura di sicurezza personale. La finalità, anche tenuto conto della diffidenza ormai comunitaria verso provvedimenti in absentia, della necessità o dell’opportunità della fisica disponibilità dell’estradando che in difetto renderebbe il procedimento privo dell’oggetto tipico e la relativa decisione inutiliter data sia per un verso sotto il profilo giuridico che per l’altro sotto il profilo dell’esecuzione dei caratteri finalistici della pena (Cass.VI.,11.12.1996; 11.12.2001; 14.07.1999).
L’art.9 della L.69/05 specifica che ex officio è il giudice a quo che emette una misura coercitiva autonoma e successivamente fissa l’udienza per la decisione sulla consegna. La corte applica la misura se ritenuta necessaria, così facendo dipendere l‘effetto coercitivo non dalla decisione straniera ma da quella italiana, alla quale spetta la valutazione sulle condizioni.
Poiché anche alla procedura de qua (in tal senso A.Diddi, Premesse e contenuti della riserva di giurisdizione con riferimento alla disciplina attuativa; p.4 e seg.; Il mandato di arresto europeo cura di G.Pansini e A. Scalfati, Jovene, Napoli,2005) potrebbe essere riconosciuta la natura –come avvenuto per l’estradizione – di provvedimento amministrativo assistito da garanzia giurisdizionale e non di procedimento giurisdizionale avente ad oggetto la collaborazione giudiziaria penale tra gli stati (Cass.VI 27.04.1994) alla quale non si applicano le procedure ex art 5-.309 c.p.p., la legge 69/05 ha rinviato al procedimento per estradizione (art. 719 c.p.p. richiamato dall’art. 9 comma VI) per la autonoma ricorribilità per cassazione non contemplata dalla DQ.
Dubbia la possibilità di una successiva modifica dell’originaria decisione libertate, stante la mancata previsione di disposizioni analoghe a quelle degli artt. 714 e 718 c.p.p.
Tale dottrina ha sottolineato il cedimento della copertura assicurata dall’art. 13 Cost, come avvenuto per il tramite dell’art. 111 per la riduzione delle garanzie personali (vd. S. Riondato, Competenza penale della comunità europea, Padova,1996); non appare sussistere una lesione diretta dell’art. 13 Cost.. nel contesto di una costituzione rigida; esse hanno una caratterizzazione di tipo sostanziale, dando corpo ad una nozione di libertà personale quale situazione soggettiva caratterizzata da un contenuto in linea di principio non suscettibile di subire interferenze e quindi è diritto soggettivo perfetto, sia nei confronti dei privati che nei confronti dei pubblici poteri (P Caretti, Diritti fondamentali, Libertà e diritto sociali,Torino ,2002 richiamato).
La DQ non può contrastare direttamente con i principi dell’art. 3 Cost., in quanto è il nostro ordinamento che con legge ordinaria dispone in base agli artt.13 e 14 della stessa DQ che sia l’AG dello stato a quo a pronunziarsi attraverso il duplice meccanismo dell’approvazione della legge di attuazione e della previsione dei poteri che residuano in capo all’AG dello stato di esecuzione.
In tal senso Selvaggi-Villoni (Questioni reali e non sul mandato di europeo arresto,i n Cass pen. 2002, p. 446 ) hanno ritenuto che sia rispettato il canone costituzionale invocato.
Il profilo sottolineato dall’Autore é quindi non dell’esistenza dell’AG quanto quella dell’estensione dei controlli demandati all’organo giurisdizione, che non degradino a mèro antecedente causale della restrizione. E’ necessario, per il rispetto della garanzia costituzionale ex art.111 comma VII che l’indagine non sia vuota nei fini e che sia estesa ad una valutazione sul caso concreto.
La tecnica legislativa nazionale di recepimento, tassativizzante i casi in cui è possibile procedere alla restrizione della libertà personale, appare avere risolto il problema della riserva di legge (gli artt. 2,3,4, della DQ: rappresentano i limiti nei quali é possibile applicare la speciale disciplina di collaborazione giudiziaria, contribuendo a qualificare i casi ed i modi nei quali, ai sensi dell’art, 13 Cost., è possibile la restrizione della libertà.
La Corte d’appello eserciterà il potere coercitivo, avendo di mira il pericolo di fuga e tenendo conto dei criteri di scelta di cui all’art. 275 c.p.p.,ma dovrà procedere ad una valutazione in relazione anche al fumus della concedibilità della consegna.
L’art. 23 comma III c.p.p. riprodotto nell’art. 9,stabilisce l’inapplicabilità della misura in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o di una causa di estinzione del reato o della pena. Il che,a sua volta, osserviamo, presuppone che il giudice a quo proceda ad una ricostruzione del fatto, all’ indagine se la contestazione, la qualificazione giuridica rientri nella lista di cui alla DQ e se vi è un’ulteriore corrispondenza fra tale inserimento –o riconducibilità alla lista – e la definizione tipizzata con legge statuale ordinaria di attuazione che costituisce fonte autonoma della previsione, della riconoscibilità e della accoglibilità della richiesta.
I sistemi di controlli della L. 69 possono essere ricondotta a due categorie fondamentali: a) la loro finalizzazione a tutelare la libertà personale del ricercato;b) la funzione repressiva ed il diritto di sovranità dello stato (si pensi al ne bis in idem internazionale, rispetto al quale non è dato individuare una specifica previsione nella Carta fondamentale,che tuttavia nella Conv., europea di estradizione è disciplinato come ipotesi il cui accerta,mento, se non tradotto in uno specifico divieto imposto dal legislatore alle autorità giudiziarie, é demandato a valutazioni di opportunità dell’azione politica.
Si è già detto che tuttavia l’art. 25 riguarda prevalentemente il vincolo imposto al legislatore nella produzione delle fattispecie incriminatrice. Nell’esecuzione del mandato non viene considerato il potere punitivo dello stato ma la tutela dei diritti individuali. Sempre Dindi: se non è necessario postulare nessi indissolubili tra casi che devono essere stabiliti preventivamente dalla legge (attività repressiva dello stato), poiché le ipotesi di limitazione della libertà personale sono compatibili con il perseguimento di finalità tipicamente amministrative, le ipotesi dove può avvenire la consegna non si spingono di per sé in contrasto o con la tassatività e legalità ex 25 comma II Cost.
Il problema della tassatività della previsione è assicurato mediante il rinvio alla fattispecie criminosa contemplata dall’ordinamento dello stato richiedente, che in ogni caso l’AG dello stato di esecuzione è chiamata a valutare,come si desume dall’art. 2 comma II DQ: danno luogo a consegna in base al mandato di arresto i reati seguenti quali definiti dalla legge dello stato emittente…
Per consentire alla Corte a quo di verificare l’esistenza di tale presupposto, l’art. 6 comma IV lett. b) L. 69 ha previsto gli allegati al testo delle disposizioni:l’autorità nazionale verificherà se il titolo di reato contestato è riconducibile in una delle 32 figure generali di illecito.
E’ stata enfatizzata altresì la disciplina che pretende di regolamentare situazioni diverse in modo comune F.R. Dinacci, Mandato di arresto europeo e libertà personale. Principi diseguaglianza, in Il mandato…,a cura di Pansini,cit, p.21 e seg.
A parte la difformità inserita nell’art. 40 della L. 69/2005 sul regime transitorio nel primo comma, sono state osservate le ripercussioni sulla determinazione e legalità delle fattispecie, sotto il profilo della correlazione tra legalità sostanziale e obbligatorietà dell’azione penale. La tipicità della fattispecie assolve alla funzione della doverosità di provvedere alla repressione dei comportamenti antigiuridici; l’obbligatorietà enunciata nell’art. 112 Cost.obbliga il PM ad un’azione penale. L’aggettivazione collega il principio di stretta legalità delle fattispecie incriminatrici con quello di obbligatorietà dell’azione penale; l’art. 112 si salda don l’art. 25 comma II. Proprio l’obbligatorietà dell’azione costituisce il riflesso processuale del principio di legalità.
Sul piano processuale i principi di legalità e di obbligatorietà dell’azione penale concorrono a riconoscere il principio di eguaglianza. Quest’ultimo sarà violato quando un sistema normativo disancora la punizione da una legge entrata in vigore antecedentemente alla realizzazione della condotta. Ciò avviene quando è consentita la consegna allo stato richiedendo per fatti che nell’ordinamento dello stato richiesto non sono previsti come reato (Corte Cost. 26.07.1979 n. 84: ogni qualvolta una condotta non sia punibile nello stato richiesto, anche attraverso –osserveremmo noi –il meccanismo del ne bis in idem europeo – a cause di questo si profila una disuguaglianza di trattamento che non pare trovare sostegno in una giustificata diversità di situazioni, anche alla luce della profilata costituzione della cittadinanza europea e dell’estensione della portata dei principi di ciascun paese in materia).
A fronte di una sostanziale – è stato sollevato dall’Autore citato – equiparazione tra il mandato europeo ed il provvedimento nazionale, l’assenza del principio di doppia incriminazione conduce alla possibilità di adottare un titolo cautelare anche con riferimento ad un fatto non previsto come reato dalla legge dello stato richiesto, con un vulnus della limitazione della libertà personale che non é fatto se non in presenza di un provvedimento motivato dell’AG nei casi e modi previsti dalla legge. Il cittadino non sarebbe garantito in modo eguale di fronte alla legge.
Ci si riferisce non solo ai presupposti applicativi della misura cautelare, ma anche ai meccanismi di controllo : i gravi indizi, il pericula libertatis costituiscono i requisiti minimi di una disciplina compatibile con i parametri costituzionali. Addirittura la disciplina del riesame dei provvedimenti cautelari sembrerebbe trovare diretta tutela nell’art. 5 par. IV CEDU, nel puntoni cui prevede che ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso al tribunale affinché decida entro un breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
Avrebbe dovuto prevedersi nella DQ la previsione di tale riesame eventualmente nel paese richiedente, con un termine decorrente dalla decisione del paese a quo.
In generale,sullo sfondo si è osservato che il sindacata di eguaglianza – che in origine concerneva il confronto tra norma universale e norma derogatoria –nel tempo si è esteso a comprendere il rapporto tra norme equiordinate nel sistema (Cerri, L’eguaglianza nelle giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976).
Quando il raffronto verte tra norma generale e norma derogatoria, la logica del sistema impon –se il diverso trattamento non è giustificato –di censurare la norma derogatoria, con l’effetto di riassimilare quanto da essa era disciplinato in modo difforme dalla disciplina generale. Non è configurabile un raffronto tra la norma generale alla stregua della norma derogatoria. Il concetto di norma generale é relativo; la stessa norma derogatoria può costituire un genus rispetto ad altre fattispecie in essa ricomprese ed essere formulata in termini sottodimensionati rispetto alla ratio derogante. Anche la norma derogatoria deve essere estesa a fattispecie ulteriore (ex plurimis, Corte cost. 05.07.1991 n.316;27.12.1991 n.486).
Come già anticipato in questa prospettiva rimarrebbe vigente – a prescindere dall’adeguamento interno dei vari paesi – la disciplina della DQ, soprattutto per quanto concerne i propri effetti diretti eventualmente chiaribili dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia,con conseguenti disparità di trattamento che trovano giustificazione su considerazioni di natura geografica (cioè la conseguenza della universalizzazione della mèra disciplina processuale avente carattere sostanziale senza previa base primaria comune).
Abbiamo già osservato che dal combinato disposto degli artt.1 e 2 L. 69/05 deriva che l’obbligo di attuazione nell’ordinamento interno delle disposizioni della DQ sussisteva e sussiste nei limiti in cui le stesse non siano incompatibili con i principi costituzionali, anche dato lo specifico riferimenti ai diritti sulla libertà personale e sul giusto processo citati.
A supporto l’art. 2 comma II contempla di richiedere idonee garanzie allo stato membro di emissione in fase di esecuzione del mandato,per quanto riguarda il rispetto degli indicati principi-diritti.
Vi é quindi un vincologiuridico che costituisce un limite al potere legislativo di attuazione. In ogni caso, si è anticipata la clausola di salvaguardia ex art.8 comma III L. 69/05: non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se lo stesso non è a conoscenza, senza propria colpa, delle norme penali dello stato membro di emissione poste a fondamento del mandato di arresto europeo. Ciò per stemperare l’assurdità del caso di un soggetto che abbia realizzato in territorio estero una condotta lecita nel suo paese, con una situazione che va oltre quella che ha caratterizzato il nostro ordinamento con la nota illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. ove non esclude l’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale. L’autore del fatto qui, invece, non versa in stato di ignoranza, ma in una situazione di presunzione di legittimità della sua azione posto che la stessa non è considerata reato nel proprio paese. Ciò impone al giudice a quo di seguire la regola di giudizio che parta dalla presunzione del lecito agire del soggetto agente.
E’ introdotto un onere della prova qualificato, dovendosi capovolgere la presunzione in capo al soggetto agente di avere agito legittimamente (G.I lluminati, Presunzione di innocenza dell’imputato, Bologna 1979, p.96).
Si sottolinea che anche l’avvenuta sterilizzazione del giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi viola la presunzione di non colpevolezza stabilita dall’art. 27 comma II Costituzione, con irrazionalità della materia, data la disparità di trattamento verso soggetti sottoposti a misura cautelare nell’ambito di un procedimento italiano, in quanto la misura cautelare può essere emessa anche al di fuori dei limiti edittali previsti dall’art. 280 c.p.p. senza alcuna motivazione sulla gravità degli indizi, posto che si osservano in base al comma V dell’art. 9, le disposizioni in quanto applicabili del Titolo I del Libro IV del c.p.p. escludendo gli artt.273 comma I e I bis,274 comma I lett. a) e c) e 280.
Già la Corte costituzionale, sui temi degli att. 13 e 111 e 24 Cost., in termini di obbligo di motivazione di cui sostanzialmente si sta trattando, si è espressa nella sentenza 31.03.1994 n. 117: neanche una revisione costituzionale in senso restrittivo sarebbe ammissibile, dato che si verte in principi supremi non sovvertibili o modificabili neppure da leggi di revisione costituzionale oda altre leggi costituzionali,come limiti assoluti al potere di ……………
FINE NASTRO.
Cassetta 5bis
…….appaiono trovare un doppio suffragio nel testo dell’art. 8 comma I L. 69/05 che prevede una verifica della definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna sotto il profilo della corrispondenza alle fattispecie ivi descritte. Non si è fatto un richiamo all’elencazione della DQ ,ma si é riempito di contenuto ogni singolo reato con la descrizione della condotta illecita, con una operazione volta ad ovviare ai problemi di costituzionalità sollevati con riguardo ai principi di riserva di legge e tassatività (tra gli altri N. Bartone, mandato di arresto europeo e tipicità nazionale del reato, Milano, 2003) per superare la genericità descrittiva ed attrarre quei reati negli ambiti delle fattispecie di diritto interno senza arrivare ad una riproposizione completa della descrizione dei reati interni, la quale avrebbe comportato verosimilmente la violazione della lettere e dello spirito della DQ.
Il pedissequo richiamo integrale al contenuto dei reati previsti dal nostro ordinamento a tutela degli oggetti giuridici indicati nella DQ non avrebbe comportato l’introduzione secca, sia per il catalogo dei reati che per i reati esclusi dal catalogo del principio di doppia incriminazione escluso dalla DQ ma avrebbe imposto a tutti gli stati dell’Unione di introdurre nel loro ordinamento interno fattispecie identiche a quelle italiane ai fini dell’esecuzione, con una sorta di richiamo reciproco di ciascun paese alle legislazioni interne come requisito di raffronto, pena l’impossibilità di utilizzare lo strumento.
La DQ ha indicato l’oggetto della norma penale lasciando ai singoli paesi la libertà di specificare le condotte lesive di quell’ oggetto, sotto il profilo della ricettività.
L’andamento definitorio della legge attuativa ricalca quasi integralmente le fattispecie del nostro ordinamento.
Le lettere a),f),l),u), bb),cc),dd),ee),ii), ll) non apportano reali modifiche alla descrizione della DQ.
Angelini riporta a soli fini indicativi l’art. 416 c.p. lett.a),453,454 3 458 c.p. lett.l),la L. 895/67,la L. 110/75, la l. 185/90 ,la L. 527/92, la L. 420/00 per la lettera l),gli artt.174 e segg.del D. Lgs. 42/04 per la u); gli artt. 476,477,479, 482,489 c.p. per la bb); art. 491 c.p. e art. 12 L. 197/91 per la cc);l’art.9 L. 376/00 per la dd); la L. 1860/62,il DPR n. 185/64 per la ee);l’art.5 dello Statuto della Corte penale internazionale per la ii); gli rtt.1138 e 1139,1147 c.nav. per la ll).
Le lettere o),p),q),aa), hh) introducono singoli requisiti specifici che limitano la rilevanza penale del fatto (finalità di profitto della condotta inserita nell’ipotesi di favoreggiamento nell’ingresso e soggiorno illegali e di contraffazione (o) e pirateria i n materia di prodotti (aa); il fine di lucro nel traffico illecito di organi e tessuti umani (q); la definizione di lesione grave (p); il pericolo per l’incolumità pubblica nell’incendio volontario (hh).
Le fattispecie qui corrispondenti dell’ordinamento italiano sarebbero: l’ art. 12 D LGS n. 286/98 e successive modifiche per la lettera o); gli artt. 575,578,579,582 e 583 della L.194/78 per la lettera p):la L 478/67, gli artt. 600, 601 e 602 c.p. per la lettera q); gli artt.473,474,514 e 517 c.p. per la lett. aa); gli artt.423 c.p. per la lett. hh).
Si è altresì osservato che nelle restanti ipotesi –il maggior numero –il legislatore di attuazione ha operato vere e proprie descrizioni di condotte illecite. Si pensi al riciclaggio di proventi di reato, indicato nell’art. 2 comma II linea 9 della DQ e all’art.8 commma I lett.i) della legge di attuazione.
La DQ fa un riferimento generico al riciclaggio di proventi di reato; la legge italiana di attuazione prevede la condotta esclusivamente in quella descritta nella fattispecie di cui all’art. 648bis c.p. rubricata riciclaggio. Tuttavia, i fatti ricondotti a livello di UE nell’ambito del riciclaggio di proventi di reato non si esauriscono nella fattispecie descritta all’art. 648bis c.p. italiano; la direttiva 91/303 CEE, come modificata e integrata da quella 2001/97 CEE relativa alla prevenzione e all’ uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite all’art. 1 lett. c) definisce il riciclaggio come serie di azioni commesse intenzionalmente in maniera più ampia rispetto a quelle descritte dall’art. 648bis c.p. italiano. Ad esempio rientra qui il favoreggiamento reale e personale, la ricettazione e il re-impiego in attività economiche e finanziarie, azioni disciplinate nel nosto ordinamento da distinte fattispecie.
Ci permettiamo di richiamare altri nostri lavori in bibliografia, ove si è osservato che rilievo importante sotto il profilo della,qualificazione dell’ordinamento interno contrastante con l’esigenza di armonizzazione nonché comportante insormontabili difficoltà di armonizzazione, sono costituite dalla tecnica legislativa interna. Sotto il profilo della novellazione codicistica, l’inserimento di una nuova fattispecie di reato nel contesto del codice o di leggi speciali presuppone nell’ipotesi in cui si attribuisce una diversa maggiore o minore o speciale rilevanza a aspetti di condotta in astratto non ancora penalmente rilevanti o penalmente rilevanti già a diverso titolo, con l’effetto di applicazione del principio di specialità inserito sull’istituto di concorso apparente di norme e si caratterizza per la presupposizione della lettura combinata fra norma anteriore e norma successiva.
Le aree di condotta illecita disegnate dalle fattispecie preesistenti vengono escluse –qualora non vi sia un’attrazione alla luce del principio di specialità, ex art. 15 del c.p. – nel senso che le norme successive vengono ritagliate in negativo, sotto il profilo esegetico, rispetto a quelle precedenti. E’ il caso del 648bis .cp.che si inserisce storicamente sul 648 ter connotandosi nelle tre scansioni storiche legislative della fattispecie del 648 bis-ter come norma differente, successivamente come norma speciale, ancora successivamente come norma speciale con diverse modalità. Prima dell’inserimento del 648 ter le condotte venivano ricomprese nell’art. 648bis,salve le clausole di esclusione di responsabilità per la commissione del reato presupposto. Il 648 ter è quindi leggibile separatamente o in parte in termini di specialità rispetto ai pregressi 648 e 648 bis.
Ciò comporta problemi di interferenza con i rinvii fatti a livello comunitario e nella DQ. Si è osservata un’anomala ipotesi di un paese membro che chieda la consegna per riciclaggio come qualificato da sé internamente ovvero in base alle direttive suddette per un fatto che non rientra nell’art. 8 comma I lettera i) della legge di attuazione Il soggetto potrebbe non essere consegnato,per l’art. 8 comma II perché la definizione del reato non corrisponde alla fattispecie di cui al comma I, salvo ritenere sussistente l’obbligo di consegna ai sensi dell’art. 7 comma I della legge di attuazione, configurandosi in ogni caso un’ ipotesi riconducibile in altre fattispecie penali, previa applicazione del principio di doppia incriminazione secca per i reati fuori lista contemplati dall’ordinamento italiano. Sarà applicabile integralmente in definitiva la doppia incriminazione.
Per queste ipotesi costituenti il maggior numero, caratteizzate da una definizione ritagliata e non coincidente, sono stati rassegnati, ad esempio, l’ art. 270 bis, 280 e 280 bis e 289 bis c.p. per la lettera b); gli artt. 601 c.p., l’art.3 L.75/58; la L. 228/03 per la lettera c); gli art.600 bis, ter quater,quinquies, sexies c.p. per la lettera d); gli artt.73 DPR 309/90 per la lettera e); gli artt.318 e 321c.p.per la lettera g); gli artt.316,640,640 bis c.p. per la lettera h); gli artt.648bis c.p. per la lettera i);gli artt.635bis e 640 ter per la lettera m). Per la lettera n) l’indicazione viene omessa in quanto dovrebbero essere citate diverse norme, dal D. Lgs. n. 2/97 sui rifiuti alla legislazione a tutela delle acque, le leggi sulle immissioni nell’atmosfera, le norme sulla protezione delle specie animali e vegetali protette. Per la lettera r) si ricorda l’art. 3 della L. 718/85, gli artt.603, 630 e 289 bis del c.p.; per la lettera s) l’art.3 L.650/75, la L.40/98, il D. Lgs 286/98; per la lettera t) le fattispecie aggravate ai sensi degli artt. 624, 6262 diventano fattispecie autonome; per la lettera v) si ricorda il 640 c.p.;per la lettera z) il 629 c.p.; per la lettera ff) l’art. 648 c.p., precisando che la condotta di ricettazione è limitata al solo caso delle auto rubate; per la lettera mm) gli artt.635, 253 e 420 c.p.
In definitiva per l’applicazione parziale o tenue per la lista dei 32 reati, con riferimento all’ordine delle definizioni o per l’applicazione del principiio di doppia incriminazione, il sindacato del giudice dovrà andare ad estendersi con riferimento ad un fatto riconosciuto e qualificato dall’ordinamento straniero, previa corrispondenza con l’ordine definitorio della legge di attuazione, ai fini di sussumere i risultati di questa tripla operazione nella corrispondente fattispecie del codice penale o delle leggi penali speciali, previa attribuzione di rilevanza penale.
Nei casi di depenalizzazione o di sanzioni amministrative il problema si complica ulteriomente.
A prescindere dai caratteri strutturali sui quali potrebbero pronunciarsi ancora sia la Corte dei Diritti dell’Uomo che la Corte di Giustizia con un vincolo intrepretativo sulla lettura-interpretazione della DQ, sotto profili di eventuale pescaggio e applicazione diretta della medesima in contrasto con un richiamo secco alle norme interne dei singoli ordinamenti – sia per quanto concerne le definizioni per il criterio debole, della lista dei 32, sia per quanto riguarda il richiamo per istituto al di fuori della lista dei 32 di cui si sta discutendo – altri profili potrebbero sorgere circa l’applicazione dell’istituto, ove esistente, del raporto di specialità fra sanzione amministrativa e sanzione penale (oltre a quello della depenalizzazione) e del concorso tra sanzioni penali ed amministrative. Nel caso della lista, un eventuale depenalizzazione o una rilevanza per l’ordinamento interno puramente amministrativa potrebbe essere superata dalla pre-esistenza delle definizioni; per quanto riguarda la nozione di doppia incriminazione, si potrebbe profilare l’impossibilità del superamento della difficoltà, anche se tuttavia va osservato come anche per il catalogo di lista se alcune definizioni avessero proprio per oggetto reati depenalizzati o per i quali nella combinazione fra il criterio della punibilità in astratto o in concreto non dovesse ad essi attribuirsi più successivamente (per i principio della legge successiva più favorevole) una rilevanza penale; anche il profilo definitorio potrebbe subire dei riverberi per effetto di interventi legislativi successivi alla legge di attuazione, in quanto il principio della retroattività della disposizione più favorevole appare esse costituzionalizzato.
Il riferimento alle eventuali e differenti modalità di attuazione interna degli altri paesi membri pone il problema più approfondito -che ci si riserva in un’altra sede – della verifica della sussistenza di eventuali meccanismi di richiamo degli ordinamenti interni o del riferimento a cataloghi definitori contenuti nelle rispettive leggi di attuazione.
Il, testo delle leggi di attuazione tradotto in Italiano é reperibile sul sito della Corte di Appello di Roma[41] .
Il riferimento al minimo edittale rispettivamente dei 4 e 12 mesi è stato attuato in piena corrispondenza con la DQ da tutti i paesi membri, ad eccezione dei Paesi Bassi e dell’Austria, i quali richiedono che non solo la pena sia in concreto non inferiore al minimo edittale dei 4 mesi ma che sia inflitta per un reato con una pena edittale non inferiore ai 12 mesi.
Quasi tutti i paese non hanno stabilito alcuna forma di controllo, oppure l’hanno limitata alla verifica formale, prima facie della classificazione legale dell’autorità emittente (così nel Regno Unito, nel sistema spagnolo, in Germania).
I profili di frizione possono riguardare l’espressione tecnica (ad esempio per l’omicidio alle accezioni del murder, del deliberate omicide, e del men’s laughter, che comportano obiettive discrasie). In Belgio si prevede che dalle fattispecie di omicidio volontario e lesioni personali gravi esulino i reati di eutanasia e di aborto, in contrasto apparente con l’impianto della DQ: in altri paesi non si é incluso nella lista dell’art. 2 par. 2 alcune fattispecie: ad esempio Francia,Grecia ed Estonia non hanno menzionato il racket, la Slovenia sei limitata a fare il solo riferimento all’ipotesi concorsuale, oppure connotata con l’uso delle armi; in Slovenia non ci si è riferiti alla truffa, pur essendo alcune categorie di reato da ricomprendere nell’ambito di applicazione di altri (tipo la ……………….. and corruption nel caso della Finlandia). In quasi tutte le legislazioni, eccetto Estonia e Irlanda, si è escluso formalmente il controllo della doppia incriminazione anche per il tentativo e il concorso. Tuttavia, per i reati di cui all’art. 2 par. 4, non contemplati nella lista, la condizione preliminare resta la doppia incriminazione, in quanto tali paesi non prevedono clausole di estinzione alla sua abolizione, pur ventilata dall’art. 2 par. 4 che parla di facoltà. Quasi tutti i paesi hanno ampliato il numero di motivi di non esecuzione obbligatoria, che varia da tre a dieci, a seconda dello stato membro. In certi casi é avvenuta la trasformazione – come nel caso italiano –di motivi facoltativi in motivi obbligatori; in altro l’ampliamento è avvenuto attingendo l’area delle speciali garanzie (decisione in absentia, ergastolo, cittadinanza o residenza). Addirittura in Spagna l’Udienza nazionale di Madrid ha definito casi tipici e tassativi,bsenza poter ricorrere ad interpretazione analogica, sia i casi di opposizione obbligatoria che facoltativa.
Il motivi di non esecuzione obbligatoria di cui all’art. 3 par. 1 DQ sono stati confermati anche se il Regno Unito e i Paesi Bassi non hanno inserito l’amnistia, non conosciuta in quei paesi. La Danimarca ha menzionato il pardon (clemenza); addirittura in Irlanda tale previsione è riferita anche allo stato emittente, mentre la DQ fa riferimento al solo stato membro di esecuzione.
Il principio di ne bis in idem è recepito da tutti gli stati membri, ad eccezione dell’Irlanda, che però nulla prevede per il caso di sentenza definitiva; la Commissione europea nella Relazione di controllo, ha osservato che la persona potrebbe essere consegnata di fatto per eseguire una sentenza al di fuori delle ipotesi previste dalla DQ. Nel Regno Unito è stata inserita la non prevista condizione che il reato sia tale anche nel Regno Unito, in ossequio al principio del ne bis in idem; in generale, la Commisione europea ha richiamato le decisioni della Corte di giustizia sul ne bis in idem (CE 11.02.2003).
L’ordinamento maltese fra le ipotesi di rifiuto obbligatorio non contemplate ha previsto che la persona si trovi nel suo territorio, purché già estradata da uno stato terzo; i Paesi Bassi hanno ritenuto di dover vagliare l’insufficienza degli elementi di colpevolezza nel caso di cristallina evidenza che la persona non possa avere commesso il fatto. Sulle ragioni discriminatorie, vi sono clausole in Portogallo, Regno Unito e Danimarca, pur non prendendo in esame la natura politica del reato vera propria.
L’Extradiction act del 2003 con innovazione prevede che la Home secretary possa riformare la decisione di adesione del giudice britannico ovvero fornire istruzioni qualora vi sia l’interesse dello stato in azioni a cui era stato autorizzato od obbligato da una norma di legge oppure per il quale il fatto non è perseguibile internamente, essendo stato azionato per autorizzazione della Home secretary. Paesi Basi e Regno Unito hanno richiamato come motivi aggiunti di rifiuto alcuni trattati e convenzioni internazionali con rilevanza non espressa nella DQ.
I Paesi Basi non applicheranno le norme al personale militare straniero; il Regno Unito non consentirà il mandato nei casi di applicazione della Convenzione ONU sulla cattura degli ostaggi.
In certi stati si è prevista una discrezionalità per il giudice.
Molti paesi, nell’ipotesi in cui la DQ prevedeva la facoltatività, non hanno neppure inserito alcuna disposizione nella normativa di recepimento.
Tredici stati membri hanno considerato obbligatoria la prescrizione dell’azione o della pena,mentre in altri dieci (Danimarca, Estonia, Spagna, Cipro, Lussemburgo, Germania, Olanda, Portogallo, Finlandia e Polonia) esse è solo facoltativa.
Il ne bis in idem è considerato motivo obbligatorio di rifiuto solo in otto stati, mentre nove lo considerano facoltativo.
Per il Regno Unito ciò avviene se il reato è al di fuori del territorio del richiedente e non si è verificato nemmeno in pare nel RU, se lo stesso è punibile con almeno 12 mesi di reclusione in quel territorio e costituisce anche un reato punibile secondo la legislazione domestica (criterio di corrispondenza teorica), con almeno 12 mesi di reclusione, non prevede il mandato.
Per la clausola del cittadino e del residente, bel 18 la contemplano con differenziazioni fra la Germania (condizione obbligatoria di ammissibilità), il Lussemburgo (limitata ai cittadini e residenti bene integrati) e la Francia (ai soli cittadini).
Senza pretendere esaustività conviene approfondire ulteriormente quanto si è detto, verificando che la legge italiana di attuazione sotto il profilo della forma e del contenuto che deve avere il mandato di arresto si è discostata dagli altri paesi ma, a nostro avviso, senza violare il testo della DQ.
Alcuni profili di mancata evasione delle indicazioni della DQ sul mandato di arresto sono stati osservati da Iuzzolino (La decisione sull’esecuzione del mandato di arresto europeo, in Il mandato di arresto europeo, a cura di Bargis-Selvaggi,cit.):
Le peculiarità che sono state osservate concernerebbero ad esempio dal punto di vista pratico il modulo di mandato di arresto. Esso non sarebbe assolutamente sufficiente sotto il profilo passivo per le richieste verso l’Italia. L’Italia prevede difatti tutta una serie di adempimenti e di criteri soprattutto con riferimento alle cause di opposizione, che ha inserito, pur inserendole dalle indicazioni –diremmo noi – contenute nel preambolo o nei considerata della DQ.
Per Iuzzolino invece vi sarebbe un diretto contrasto fra la norma di attuazione e le indicazioni contenute nella DQ.
Per valutare la sussistenza, ad esempio di cause di giustificazione – e con ciò richiamiamo quanto rassegnato in precedenza – il controllo del giudice italiano dovrà essere penetrante ed andare a verificare il fatto per l’inserimento (vuoi nella lista, vuoi nelle definizioni, vuoi nelle singole fattispecie di reato).
Il ragionamento tuttavia può essere rovesciato e verificato con una diversa significazione. Per quanto attiene i temi processuali, il presente commento non consente e divieta di affrontarli, se non incidentalmente, nella misura in cui toccano diritti sostanziali riconosciuti e riportati attraverso il costituzionale e penalistico principio di legalità nella sua estensione sotto il profilo dell’azione (e con ciò ci permettiamo dir inviare a nostri lavori rassegnati in bibliografia). Vale la pena in nota sommariamente indicare alcuni importanti contributi processuali [42].
Iuzzolino (La decisione sull’esecuzione,cit.) nel quadro più ampio delle cd. euro-ordinanze inserisce in mandato di arresto. Ulteriori applicazioni del modello europeo o euro-ordinanza, si vedono con la DQ 2003/577GAI sui provevdimenti di blocco dei beni e di sequestro probatorio (GUCE 2003,L.196), nella DQ2005/214GAI sul principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniaria, GUUE 22.03.2005 n. l76). Più recentemente sono state adottate due proposte di decisione quadro sul mandato europeo di ricerca della prova e sull’ordine di esecuzione europeo e trasferimento delle persone condannate tra gli stati membri dell’UE: il cd.,ordine europeo di esecuzione della pena, che meriterà una trattazione comparata in altra sede con la normativa in commento.
La definizione di euro-ordinanza è utile per descrivere la natura giuridica del mandato, che è provvedimento nuovo, giudiziario, munito di una propria tipicità, emesso dalle competenti autorità degli stati membri, ma i cui elementi costitutivi sono stabiliti direttamente dalla DQ (art. 8 par. 1) e non dalle leggi statali che ne danno attuazione.
Il mandato consiste essenzialmente nella trasmissione allo stato membro di esecuzione del certificato-formulario allegato alla DQ. La Cassazione italiana (Feriale, 13.09.2005 in Foro it., 2005,II, col. 497 con nota di Iuzzolino in Guida al Diritto 2005, cit. e note di Frigo e Selvaggi,cit.) ha limitato la verifica sulla base dei dati e informazioni contenuti nel mandato di arresto europeo, collegato al procedimento principale di cognizione o di esecuzione pendente nello stato di emissione esclusivamente sotto l’aspetto funzionale, dovendo garantire la realizzazione di una finalità – a seconda dei casi processuale od esecutiva – immanente all’esercizio della giurisdizione statale in caso concreto.
L’euro-ordinanza è una decisione giudiziaria formalmente autonoma dagli altri atti dei procedimenti del processo. Tale autonomia o astrattezza ha consentito di escludere dal nuovo sistema di consegna la vecchia documentazione estradizionale. Il modello formale di mandato europeo allegato alla DQ riflette questa nuova convezione.
Alle informazioni previste nell’art. 8 cui possono aggiungersi caso per caso altre indicazioni su specifici aspetti della legislazione di emissione (ad esempio le finalità esecutive; se la condanna è stata pronunciata in contumacia; se la pena comminata è superiore a venti anni). La richiesta di informazioni supplementari ex art.65 DQ rappresenta un’eccezione rimessa ad una valutazione caso per caso dell’AG di esecuzione. La sistematica richiesta di integrazione documentale imposta, eventualmente, dalla legge interna di esecuzione è stata ritenuta contraria alla natura giuridica citata (Commissione europea, annesso al Rapporto sull’art. 34 della DQ del Consiglio 13.06.2002) e quindi sarebbe per Iuzzolino esclusa la trasmissione dei provvedimenti giudiziari –anche se in effetti nella DQ non prevista, ma non è nemmeno esclusa – relativi al procedimento penale in base al quale il mandato di arresto è stato emesso.
Per il legislatore italiano l’allegazione della decisione è necessaria per controllare la motivazione del provvedimento cautelare e gli indizi di colpevolezza. La relazione sui fatti (cd, summary) riguarderebbe per la DQ solo il mandato per esecuzione di provvedimenti processuali e cautelari, data l’espressione “fatti addebitati”,incompatibile con una sentenza o una condanna.
Invece la mancata trasmissione della relazione sul fatto prevista dall’ Italia costituisce per il nostro ordinamento motivo di diniego.
Per l’Italia vi sarebbe una asimmetria tra la fase passiva e la fase attiva, perché nell’esecuzione l’Italia esige più informazioni di quante non ne rilasci agendo a sua volta come stato di emissione. Tuttavia, le leggi statali di attuazione avrebbero certificato il modello standard, a differenza dell’Italia.
I motivi di rifiuto italiani sono un banco di prova per verificare tali aspetti. Poggiando sui corollari del mutuo riconoscimento (vale a dire la predeterminazione del termine massimo per l’adozione della decisione, la enumerazione dei motivi di rifiuto,contenuta della DQ) si è operata una riduzione della consegna internazionale da ambito tecnico-giudiziario.
L’uniformità di tale procedura tuttavia si scontrerebbe, per Iuzzolino, con i motivi di rifiuto italiani: vi sarebbe una discriminazione (a causa della norma italiana) in ragione dell’ampiezza del controllo operato. Le informazioni contenute nel mandato standard possono essere insufficienti per valutare – ad esempio ai sensi dell’art. 18 da parte della Corte di appello- la causa di giustificazione, i termini massimi della custodia cautelare, se la sentenza esecutiva possa considerarsi anche definitiva ed irrevocabile, le situazioni (per le misure cautelari) relative alla donna incinta o di prole inferiore ai tre anni, nonché le conseguenze di particolare gravità.
La Corte d’Appello italiana non può deliberare in definitiva sul solo mandato ma deve acquisire le specifiche informazioni.
Con la lettera b) e c) dell’art. 18 della legge di attuazione italiana si è reintrodotta nella fase di esecuzione il controllo sulla susisetnza della cd. doppia incriminazione in concreto, come già anticipato da noi, in conseguenza -ad esempio- del fatto che secondo la legge penale certe fattispecie concrete possono integrare o meno una figura di reato (vale a dire la punibilità del fatto).
Ci permettiamo di dissentire da Iuzzolino quando osserva che per il mandato di arresto per finalità cautelari o processuali l’accertamento relativo alla sussistenza di una causa di giustificazione dovrebbe essere precluso all’AG italiana. Sia per la idoneità del titolo cautelare ai fini della valutazione, sia perché essa consisterebbe in una vera e propria anticipazione del giudizio di merito in ordine alla colpevolezza, che spetta soltanto all’AG di emissione.
Anche il controllo è stato criticato per quanto riguarda la sussistenza di scriminanti, che presuppone un’iniziativa processuale della parte interessata che dovrebbe sollevare una specifica eccezione indicando gli elementi oggettivi su cui possibile inferire la causa di giustificazione. Anche su tale osservazione ci permettiamo di dissentire, stante il principio dell’obbligo del giudice di trarre dagli elementi comunque acquisiti le conseguenze sulla sussistenza o meno del reato, non essendovi in materia -se non sotto l’aspetto della deduzione di puri fatti -il principio di corrispondenza fra la decisione e la domanda, che invece caratterizza l’ordinamento civilistico.
Il fatto che la verifica di una causa di giustificazione non trovi corrispndenza nella DQ che pure non la esclude, non appare incompatibile con il principio di reciproco riconoscimento dei provvedimenti giudiziari.
Le manifestazioni di libertà (associazione, stampa, comunicazione) scontano le stese difficoltà, soprattutto considerando (n. 12 par. 2 ultima parte) che non osta che gli stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al rispetto della libertà di associazione, ella libertà di stampa, di espressione e degli altri mezzi di comunicazione.
Di fatto potrà verificarsi un sostanziale self- restrein dell’Italia, che farebbe dipendere –secondo Iuzzolino- i controlli da specifiche eccezioni di parte, decidendo allo stato degli atti, sulla base della sentenza di condanna per la cui esecuzione viene richiesta la consegna della persona.
A nostro avviso, invece, previe istanze di acquisizione di tali documenti, già oggi la giurisprudenza è stata restrittiva ritenendo irrilevanti le produzioni o acquisizioni se allo stato degli atti si ravvisa di potere decidere.
Sul termine massimo della carcerazione preventiva ci si richiama alla giurisprudenza rassegnata nel presente commento.
Sul reato politico (si tornerà in seguito) si deve dare atto all’Autore di avere approvato la compatibilità di tale disciplina italiana (art. 18 lett. f) con gli artt.10 ultimo comma e 26 Cost.
In definitiva l’onere probatorio non pare collocabile nella materia neppure sotto il profilo dell’allegazione degli elementi e circostanze idonee a fondare il timore che l’estradizione possa configurare la violazione di un diritto fondamentale[43].
Non si condivide Iuzzolino quando esclude dall’AG la competenza di accertamento incidentale di violazione di diritti umani. Con riferimento alla lettera h) (serio pericolo di pena di morte) andrà interpretata secondo –come anticipato – la giurisprudenza sviluppatasi.
Anche i temi dell’infradiciottenne, a nostro avviso, rientrano a pieno titolo nel rispetto della conformità della,legge di attuazione con gli spazi non negati dalla DQ.
In sostanza, si ha l’impressione che molti autori ritengano che ove la DQ non ha espressamente previsto determinate forme di articolabilità per il legislatore interno, le abbia escluse.
Mentre appare che proprio dalle premesse, dal contesto del diritto europeo, dalla natura della DQ, che fissa contenuti che hanno carattere negativo nel senso di vietare diverse articolazioni agli stati membri, derivi proprio la conclusione opposta.[44]
Cassetta 7
Dopo avere affrontato i temi centrali della eventuale problematica estensione dell’area della punibilità in conseguenza dell’attuazione del mandato di arresto europeo, affrontiamo ora gli argomenti più specifici dei cd. reati speciali.
Non vi sarà tempo per riferirsi ai cd. reati militari. Sia sufficiente il rinvio all’ampia bibliografia in materia ed i cenni –seppur limitatissimi – di carattere comparatistico sulle diverse modalità (si pensi soprattutto al Regno Unito e ad altri paesi di attuazione della DQ).
Il tema è quello dei cd. reati o illeciti fiscali, previsti sia dalla DQ che –come si vedrà- dalla legge attuativa. A prescindere dai limiti di espansione del sindacato del giudice del paese a quo, il profilo generale in cui si inserisce lo specifico argomento in commento è stato (ad esempio Picciotto, Contenuto del provvedimento straniero, in Il mandato di arresto, a cura di Pansini-Scalfati,cit.) relativo al fatto che se la Corte decide sulla richiesta di consegna in virtù degli atti strettamente inerenti il mandato, possibile è che si prospetti il dubbio sull’esistenza di cause che precludono la consegna o la subordinino a certe condizioni, senza darne certezza.
Vi è il potere ex art. 16 delle informazioni ed accertamenti negativi, e l’ambito di applicazione del potere integrativo davanti al giudice italiano è argomento già discusso,con gli eventuali profili di interferenza e ingerenza dell’ autorità giurisdizionale statale in tema di accertamenti sulle cause ostative (ad esempio scriminanti non rilevate dall’AG estera), realizzando in concreto una sorta di secondo giudizio sul fatto.
Trattazione specifica e a parte meriterà qualche cenno sul delitto politico, non previsto e –si ritiene da alcuni –non negato né in positivo, né in negativo dalla DQ.
Si osservato (Daltufo, cit) che le clausole di salvaguardia immesse dalla legge di adeguamento all’art. 18 alla lettera d) e v) nel contesto non avrebbero una dimensione operativa di rilievo (il rifiuto della consegna motivato, cit.). La lettera del Considerando 13 fa riferimento al pericolo della pena di morte, alla tortura e altre pene e trattamenti inumani; l’espressione però è contenuta nel testo al condizionale e per alcuni –è stato rilevato – non costituirebbe uno specifico divieto, anche alla luce della risalente giurisprudenza della Corte europea e dei Programmi dei Diritti dell’uomo.
Si è rilevato il carattere simbolico di tali riferimenti, anche al problema della salvaguardia soprattutto per gli autori degli atti di terrorismo con riferimento all’espressioni “sulla tortura” e “alla finalità della pena”.
Quindi la DQ non menziona il carattere politico del reato come motivo di non esecuzione obbligatoria o facoltativa del provvedimento. Nel citato diritto estradizionale, la tradizione considera motivo di rifiuto il serio sospetto di un fatto persecutorio riconducibile al principio di discriminazione, sesso, razza religione, origine della nazionalità, opinioni politiche del ricercato. Nel testo europeo l’abolizione del limite alla qualificazione del reato sarebbe bilanciata (osserva Daltufo) dalla serie di affermazioni sparse che si potranno chiamare clausole limitative, volte ad assicurare il diniego di consegna verso paesi che non diano garanzie necessarie su obiettività ed equità del processo o della pena o verso paesi con pene o trattamenti vietati dalla Conv. europea ovvero violazione di diritti fondamentali della persona. Al punto 12 del Preambolo vengono ripresi i termini della clausola di non discriminazione, prevista nella Convenzione sull’estradizione del 1957 (“nessun elemento della presente decisione… etc…,”, già citata).
Al punto 13 del DQ si parlasi serio rischio di pena di mote, tortura o altri trattamenti o pene inumane e degradanti; la prima frase del punto 12 del Preambolo dell’art. 3 comma I richiama i diritti umani e il giusto processo.
In effetti la clausola di discriminazione resterebbe il baluardo contro il trattamento discriminatorio per ragioni politiche,dislocata nel preambolo, mentre diversa scelta sarebbe stata inserirla tra i casi di rifiuto obbligatorio di esecuzione del mandato. Il divieto di estradizione per atti politici, si è già ricordato, si caratterizza spesso per essere stato introdotto nei trattati con clausole di depoliticivizzazione, alcune delle quali citate (con riferimento, ad esempio, al terrorismo) di definizione non politica di fatti da sottrarre al divieto.
Tra le regole pattizie le cd. clausole di discriminazione coprono l’area di situazioni in cui vi siano elementi per ritenere che l’autore di un reato comune o depoliticizzato corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti discriminatori nello stato richiedente. La clausola di non discriminazione, anche se tutela l’autore di un reato non politico, avrebbe stretti legami concettuali con il divieto di estradizione per motivi politici. Già si son ricordati nella prassi convenzionale europea le clausole di depoliticizzazione inserite in Convenzioni (quelle del 1957e del 1975 sul terrorismo del 1977; con la convenzione di Dublino del 1996 si è prevista una serie di riserve in quanto la regola di estradizione per reati politici potrà, per lo stato che lo dichiari, valere soltanto per i reati di terrorismo indicati dagli artt. 1 e 2 della Conv. europea del 1977 e i reati di cospirazione e di associazione per delinquere della stessa convenzione (al fine di commettere atti di terrorismo). La natura di una reato terroristico non potrà più essere invocata nell’Unione per rifiutare l’estradizione. In tutte queste convenzioni vi è la clausola di non discriminazione.
In questa ottica la DQ in commento costituisce un rovesciamento di prospettive. Le opposizioni verso legislazioni speciali per reati terroristici dovrebbero essere fondate su rischi di discriminazioni e di violazioni di diritti umani (si pensi, ad esempio Regno Unito,con il Terrorism act, emanato sul modello del Patriot act americano, che ha comunicato al Consiglio di Europa di essersi avvalso del diritto di deroga agli obblighi previsti dalla Conv. europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo previsti dall’art. 15 della Convenzione.
Vi sono quindi profili critici: se la scelta di una cooperazione, al di là del reato politico è giustificata, si è osservato, l’abolizione del limite avrebbe dovuto essere controbilanciata da alternative efficaci, fino ad arrivare –in casi estremi- al principio dell’aut dedere aut judicare.
L’Italia ha deciso di mantenere il divieto di estradizione politica, tranne che per i reati di genocidio e terrorismo, individuati nell’art. 1 della Conv. di Strasburgo del 1977 e per quelli dell’art. 11 Conv. ONU del 1997 e ha inserito la clausola di non discriminazione in apertura dei casi di rifiuto della consegna previsti dall’art. 18, come garanzia ulteriore.
Il divieto di consegna per reati politici è stato lasciato per tutti i reati,tranne per quelli per i quali le legislazioni successive all’11.09.2001 testimoniano.
Le difficoltà di adeguamento dell’ordinamento italiano ai testi pattizi dipendono dal divieto costituzionale di estradizione per reati politici formulato in termini assoluti. (i riferimenti sono agli artt.10 e 26 Cost.).
La giurisprudenza,per più di 40anni ha qualificato il reato secondo l’art. 8 comma III del c.p.; il tenore della disposizione codicistica si è enunciato spesso come conflittuale con il dettato costituzionale e nei confronti degli strumenti internazionali immessi nell’ordinamento con legge ordinaria, che permettono l’estradizione o la consegna prevedendo clausole di depoliticizzazione o l’irrilevanza della natura politica del fatto.
Attualmente la prassi giurisprudenziale si orientata nel qualificare il reato politico integrando i criteri di cui all’art. 8 del c.p. con l’art.10 Cost. e con le disposizioni a tutela dei valori primari della persona (con riferimento anche alla disciplina dei trattai e delle convenzioni sottoscritti e ratificati), desumendo l’estradabilità dello straniero ed i suoi limiti dalle norme che regolano il diritto di asilo.
Per la Cassazione (si ricordino Sezione I del 27.02.1989 e VI del 20.01.1993) la Costituzione non dà una nozione rigida di reato politico, subordinandola alle norme internazionali genericamente riconosciute in cui vengono addirittura fatte rientrare le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate. Addirittura, nell’ordinamento italiano, non si è fatto ricorso a leggi costituzionali, ma a leggi ordinarie, con clausole di depoliticizzazione; soltanto in materia di genocidio si è fatto ricorso a legge costituzionale., Anche la convenzione sul terrorismo fu resa esecutiva con legge ordinaria e legificazione della riserva.
Si è così approdati ad una nozione costituzionale di reato politico; si è così raggiunta l’opinione –anche se non unanime – che l’adeguamento con legge ordinaria può essere compatibile una volta individuata la ratio del divieto costituzionale di estradizione per reati politici nella protezione dell’estradando da un trattamento discriminatorio da persecuzioni politiche.
Non rientrando vi sono –come detto –le clausole (fatte proprie dal diritto italiano con la L. 69/05) di non discriminazione, del giusto processo, del rispetto delle garanzie delle persone private, della libertà personale e delle pene inumane.
Ma torniamo al punto relativo ai cd. illeciti fiscali.
Deltufo (La doppia punibilità, cit.) rammenta – p.112 e seg –che rispetto alla regola generale della doppia punibilità vi sono delle eccezioni.
La prima eccezione,costituita dall’art. 7 comma II, riguarda la materia tasse, imposte, dogane e cambio: non osta alla consegna il fatto che lo stato italiano non imponga lo stesso tipo di tasse o imposte o lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse, imposte, dogane e cambio. L’unica condizione sarebbe l’assimilabilità per analogia delle tasse imposte previste dallo stato di emissione alle tasse e imposte la cui violazione è sanzionata dalla legge italiana con una pena detentiva a partire da tre anni, escluse le eventuali aggravanti. Lo stato di esecuzione ha margine per stabilire se nell’ambito della sua legislazione esiste un reato corrispondente a quello per il quale è richiesta la consegna, con il limite del grado di pena. Il tema è sicuramente ampio e merita qualche rilievo storico.
Già la Conv. europea di estradizione del 1957 con l’art. 4 limitava l’estradizione per infrazioni – ad esempio militari – realizzanti fattispecie di diritto comune solo se lo stato estero trattava tali infrazioni alla stessa stregua dei reati commessi dai civili. Storicamente i reati militari sfuggivano -data la specialità – alle norme sull’estradizione sia del c.p. che del c.p.p. E’appena il caso di accennare al problema della diserzione marittima per la quale è venuta in considerazione la tematica degli artt. 10 e 26 Cost.
Per un’infrazione fiscale, jus receptum, è il principio della non estradabilità dato il disinteresse reciproco alla repressione e il carattere spiccatamente nazionale delle infrazioni. Occorre avere riguardo alla natura -più che speciale, eccezionale -delle norme penali dirette a sanzionare obblighi che trovano la loro causa nel potere di supremazia dello stato. La collaborazione in materia fiscale, in altri termini, riposerebbe su una ratio speciale ed è sempre apparso indubbio che, in caso di silenzio, la materia fiscale debba considerarsi estranea al riferimento convenzionale.
La naturale sede della materia sarebbero i Trattati sulla cooperazione in materia fiscale e non i trattati comuni di estradizione. Per la Conv. europea di estradizione del ’57 l’art. 5 stabilisce che in materia di tasse, imposte, dogane e cambio l’estradizione sarà accordata secondo le condizioni reviste dalla presente convenzione solamente se espressamente deciso dalle parti contraenti perv specifiche infrazioni a categorie. Il riferimento era sempre a che si tratti di reato punibile con almeo un anno di reclusione, di condanna ad almeno 4 mesi (art. 2 ).
A seconda delle epoche rientravano o no i reati finanziari previsti dalla legislazione italiana: ad esempio, prima del 1982 quasi nessun reato vi rientrava.
Dopo la Conv. di estradizione del 1957 si giunse al II Portocollo addizionale alla medesima convenzione, con cui si stabilì di accordare l’estradizione indipendentemente dalla conclusione di accordi specifici, essendo sufficiente il rispetto della doppia incriminazione e del tasso di pena. Lo stato richiesto non può rifiutarsi di estradare adducendo la diversità dei tipi di imposta o la diversità della disciplina. Con la Convenzione di applicazione dell’Accordi di Shengen del 1990, all’art. 63 le parti si sono obbligate per estradare per reati doganali, reati relativi all’iva e relativi ai regolamenti sulle accise, eliminando in parte la distinzione tra reati fiscali e reati comuni. L’art. 6 della Conv.del 1996 sull’estradizione in ambito UE ha esteso la disciplina del II Protocollo a tutti gli stati membri che non avessero ratificato quel documento,salvo la possibilità di riservarsi, per lo stato membro, per reati non commessi con accise, iva e dazi doganali, che possono quindi essere esclusi dal campo di applicazione della convenzione.
Ciò si spiega chiaramente con la più ampia tematica della tutela degli interessi finanziari delle Comunità e dell’Unione europea, alla cui sterminata bibliografia si rimanda.
Nella DQ in commento l’art. 4 sui motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo dà la facoltà di rifiutare l’esecuzione se in uno dei casi di cui all’art. 2 par. 4 il fatto che è alla base del mandato stesso non costituisce reato ai sensi della legge dello stato membro di esecuzione ed esclude il possibile rifiuto in materia di tasse, imposte, dogane e cambio in base al fatto che la legislazione dello stato membro di esecuzione non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di normativa in materia di tasse, imposte, dogane e di cambio della legislazione dello stato emittente.
La legge italiana adeguerebbe l’ordinamento con un quantum di pena previsto dal diritto interno (tre anni, aggravanti escluse) a partire dal quale viene accordata la cooperazione, con una restrizione dell’ambito di operatività del mandato che non è prevista dalla DQ. Si è opinato che il legislatore avesse pensato per simmetria di stabilire uno stesso livello di pena per le due ipotesi di deroga alla doppia incriminazione. In secondo luogo, adeguandosi la legge interna, la materia è stata regolata ex lege, visto che non è lasciato alcuno spazio a valutazioni discrezionali del giudice sull’eventuale rifiuto di consegna[45].
Il problema dei reati fiscali è un problema intorno al quale si avvita una delle peculiari difficoltà della materia in commento, già rilevata in via generale da Manacorda.
La questione, si vedrà, attiene i cd. limiti della giurisdizione, eventualmente introdotti sotto il profilo sostanziale dal mandato di arresto, sia pure con le leggi di attuazione.
Un pregevole lavoro (N.Bartone, Mandato di arresto europeo e tipicità nazionale del reato. Analisi strutturale comparata dei reati di frode, truffa nelle sovvenzioni, criminalità informatica, furto, racket, estorsione, riciclaggio, corruzione, associazione per delinquere in Italia, Francia, Germania e Spagna, con prefazione di G. Vassalli, Milano, Giuffré, 2004) rileva a pag. 285 che il tema è costituito dalla dimensione europea della penalità che può produrre una dilatazione di incriminazioni, una crescita dell’illecito penalmente rilevante, una negativa diminuzione della garanzie.
Accennando ai principi – per cui si rinvia separato lavoro – penalistici fondanti e a una determinazione dei principi di proporzione e sussidiarietà (Jesheck, Dogmatica penale e politica criminale nuova in prospettiva comparata,in Indice penale,1985; Militello, Dogmatica penale e politica criminale in prospettiva europea, in Riv.It.Dir. e Proc.pen., 2001; Donini, La riforma della legislazione penale complementare. Studi di diritto comparato, Padova 2002) si giunge al conseguente paradosso che in difetto di forme di coordinamento a livello nazionale e comuni, il legislatore nazionale quanto più ha cercato di dettagliare la fattispecie quanto più l’ha resa –paradossalmente –inoperabile. Le condotte illecite si modificano continuamente; lo steso mandato di arresto europeo, in tale linea, rischia la paralisi per un insuperabile processo di conformità tra fattispecie solo e non sempre apparentemente simili nella rubrica di reato (p. 288,cit.). Il suggerimento di Bartone è che i fatti delittuosi, eventuale oggetto dell’elenco del mandato di arresto, siano in numero chiuso, con una descrizione della fattispecie e della sanzione (o almeno del tipo di sanzione ). Più gli elementi costitutivi sono espressi in termini ristretti ed essenziali e più potrà rendersi operabile il ricorso al mandato di arresto.
La corruzione dovrebbe avere i requisiti della datio (o promissio di un ‘utilità) da parte del privato e la corrispondente datio (o promissio) di un provvedimento specifico atto da parte di un funzionario o di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio.
Sempre fuori dal tema prettamente fiscale – ma il discorso è importante proprio per il tema fiscale – la truffa o frode dovrebbe consistere in condotte commissive di artifizio o raggiro alle quali corrisponde un’utilità. L’estorsione o la rapina dovrebbe avere la violenza o minaccia ad una persona e la corrispondente utilità. Il riciclaggio una accettazione e trasformazione di una qualsiasi utilità proveniente da delitto. L’associazione per delinquere un’organizzazione stabile di almeno tre persone diretta ricavare utilità mediante una pluralità di attività delittuose avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo.
L’elemento psicologico e l’imputazione soggettiva delle fattispecie-base non potrebbe che essere il dolo,senza differenziare dolo generico e specifico o dolo diretto e dolo indiretto o eventuale.
Nella normativa di fatto dei vari paesi si affianca talvolta (si pensi alla Germania in molti casi) la negligenza all’intenzione. Si deve ricorrere ad una persecuzione trasversale di fattispecie essenziali (corruzione, frode estorsione, riciclaggio, associazione per delinquere mafiosa o terroristica) senza abdicare alla conformità al tipo. Anche le sanzioni devono orientarsi secondo un tipo e una misura sostanzialmente omogenei ed entro margini di compatibilità, quali potrebbero essere un minimo e un massimo di detenzione. Anche la modalità di esecuzione delle sanzioni detentive e il loro controllo giurisdizionale dovrebbe essere integrata.
Già nel 2004 l’autore suggeriva di procedere attraverso una via nazionale alla costruzione di un micro-sistema penale europeo, con garanzie per il favor libertatis nella edificazione.
Solo un’ottica penale comparata (e in struttura essenziale) sottoposta al vaglio contestuale dei parlamenti europei avrebbe consentito di acquisire valore ed efficacia vincolante nei singoli stati, contemporaneamente e nel rispetto del principio di legalità e sovranità al di fuori della fonte comunitaria.
Per l’Autore ………………….. ritenga, al di fuori della fonte comunitaria che l’art.100 a) del Trattato europeo non costituisca un fondamento normativo sufficiente, il ricorso potrebbe essere stato all’art. 235 Trattato UE, con natura sussidiaria, che consente di intervenire quando una azione comune risulti necessaria per raggiungere gli obiettivi. L’art.29 ex K1 Trattato di Maasrticht inserisce la lotta contro la frode su scala internazionale tra le questioni di interesse comune, accanto a temi come tossicodipendenza, immigrazione clandestina, lavoro irregolare, cooperazione tra le autorità giudiziarie, doganali e di polizia.
Le strade prospettate – si ricorda – in termini di cosiddetta passerella comunitaria si avvalgono dell’articolo 37 ex K9 o dell’analoga comunitarizzazione prevista dall’art.40 ex K12 che consentirebbero il passaggio di talune materie elencate dall’ art. 29 compresa la lotta contro la frode su scala internazionale, dal campo della procedura di cooperazione intergovernativa al campo vero e proprio della procedura di diritto comunitario ex art.100 c.
Le limitazioni della libertà del cittadino debbono tuttavia essere filtrate dal parlamento nazionale, anche con leggi delegate a respiro europeo in attuazione di una decisione quadro del Consiglio dell’UE come consente l’art. 34 exK6.
L’art. 228 del Trattato UE modificato da Amsterdam, con riformulazione del precedente e fondamentale art.209a, prevede al paragrafo 4 che il Consiglio d’Europa adotti le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode, lesiva degli interessi finanziari della comunità.
Tale norma se non potrebbe legittimare –come si ritiene dai più- la produzione di un diritto penale, potrebbe legittimare le iniziative di armonizzazione dei sistemi penali nazionali. In forza dell’art. 251 ex 189b del Trattato le misure a tutela delle finanze comunitarie vanno adottate dal Consiglio europeo con la procedura di co-decisione, che garantisce la partecipazione del parlamento europeo al processo di adozione della normativa comunitaria. Il Consiglio dell’UE ha operato con la DQ 13.06.2002, previa la proposta della Commissione e il parere del Parlamento europeo in forza – appunto – degli artt.31 a) e b) e 34 par. 2 lett. b) del Trattato UE.
Conviene quindi tornare al testo, incrociandolo con quello della legge di attuazione italiana in tema di reati fiscali.
Più in generale va rammentato che all’art. 2 comma 4 della DQ la consegna può subordinarsi (è il caso di mandato di arresto non obbligatorio, al di fuori della lista dei 32) a che i fatti costituiscano reato per lo stato dell’esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso. Con ciò agganciandosi al tema dell’unico disvalore penale del fatto e non a quello della rubrica di sistematizzazione del fatto; vale a dire anche a prescindere dall’eventualità che lo stesso fatto costituisca eguale tipo di reato nei due stati, ma differisca quanto ad elementi costitutivi. In altri termini, i fatti devono essere sussimibili nell’ordinamento dello stato di esecuzione sotto un titolo di reato che può anche non coincidere con quello nel quale i medesimi fatti sono sussunti nello stato emittente (V. Bartone, p. 60 e seg). Possono divergere anche gli elementi costitutivi dei reati così come previsti nei due stati, atteso che ciò che rileva sarebbe unicamente la sussunzione del fatto nella fattispecie penalmente rilevante.
Anche per la rigorosa schiera dei reati di cui al comma II dell’art. 2 DQ, non la costruzione di fattispecie penali assorbenti delle singole fattispecie di diritto interno è questione, ma il fatto concreto, a prescindere dalla sua qualificazione formale, in termini di titolo di reato e a prescindere dalla predisposizione degli elementi costitutivi dei reati. Ove i fatti commessi non siano nel catalogo ma siano comunque sussumibili sotto qualsiasi titolo di reato nei due stati (e ciò vale, chiaramente, non solo per i reati fiscali ma per l’intera problematica dei reati riconoscibili), può essere consentita la consegna.
Il problema si incrementa man mano che ci si allontana da beni giuridici con percezione di disvalore universale (es: vita, integrità personale,diritti della persona) i quali possono essere costruiti con requisiti costitutivi diversi e diversità di sanzioni.
Il riciclaggio in Germania,previsto dal par. 261 del…… punisce i fatti di ripulitura del denaro sporco a titolo di colpa grave, in aperto contrasto con le discipline italiana e spagnola. Ma qui soccorre l’art. 4 comma III della DQ che individua la non esecuzione nei casi di esulanza del principio di territorialità dell’azione penale. Ad esempio, in casi di attività delittuosa transnazionale, nelle ipotesi in cui sia lo stato emittente sia lo stato di esecuzione hanno facoltà di azione verso colui che attualmente abbia dimora o risieda nel proprio territorio. Qui lo stato di esecuzione opporrà –se vorrà – allo stato emittente la non punibilità del fatto ritenuto invece penalmente rilevante per chi spicca il mandato ma non considerato tale dallo stato di esecuzione e dal suo ordinamento giuridico.
In questi casi si staglia la difficoltà di individuazione univoca della fattispecie delittuosa, considerato che la DQ si accontenta del dato che i fatti siano puramente e semplicemente reato, anche se a titolo diverso, nei due stati membri o tre etc.
In quest’otttica sarebbe incisa la garanzia del principio di tipicità della norma penale, atteso che un fatto, costituente un certo reato nella disciplina dell’emittente, è sussunto sotto diverso titolo nello stato di esecuzione. Diversità toccherebbero il piano della sanzione, della procedibilità dell’azione penale, della struttura costitutiva della fattispecie.
Il problema si porrebbe quando si incrociano le territorialità o le maggiori o minori estensioni della giurisdizione con riferimento diretto o indiretto alla medesima, se non ad altri criteri (quali cittadinanza, personalità dello stato e via dicendo).
Il Trattato sull’UE all’art. 312 comma 1,c-d-e, fissa che deve essere garantita la compatibilità delle normative per pervenire conflitti di giurisdizione, con la necessità di fissare norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e le sanzioni.
La riserva di legge di cui in Italia è normazione costituzionale con l’art. 25 e sostanziale con l’art. 1 del c.p., non limita la garanzia a che sia un provvedimento con forma di legge a definire il fatto costitutivo del reato. Cioè: il principio garantistico non può ridursi ad una mera dichiarazione con legge che ad esempio la frode è un reato.
La legge nazionale deve fornire il modello dell’azione fraudolenta (furtiva, estorsiva, corruttiva); quanto maggiore è la precisione della descrizione legislativa del reato tanto maggiore è la conformità della fattispecie concreta alla fattispecie tipicizzata e astratta nel procedimento di sussunzione; tanto più il giudice è vincolato al contenuto del recettore la sua discrezionalità non sfocerà altrove.
Il principio di tipicità è connesso con la garanzia del divieto di analogia e del principio di irretroattività. Il principio, a livello processuale, sfocia nell’obbligatorietà dell’azione penale, ad esempio, ex art.112 Cost.
E’ fondamentale il rinvio a M.Ronco, Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente. La conformità al tipo nazionale del reato è valore di garanzia per il consociato, che deve a priori conoscere la delimitazione del processo, in modo che sappia da cosa deve difendersi. Il fatto, di cui all’art.25 comma II, andrebbe inteso come insieme di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie criminosa, complesso di tutte le note cui è ricondotta la punibilità.
Gli elementi costitutivi del fatto tipico sono sia elementi descrittivi che elementi normativi. La categoria della tipicità e della qualificazione giuridica è il limite della tutela dei beni penalmente rilevanti e si erge a principio qualificate l’attribuzione di rilevanza penale a un certo fatto. Include concettualmente la messa in pericolo o la lesione del bene giuridico.
La tipicità si presenta come necessaria offensività del fatto per il bene giuridico. Anche la tipicità della sanzione è precipitato del principio di legalità. Il cittadino italiano reo, incriminato di una fattispecie delittuosa transnazionale e soggetto alla richiesta di consegna dello stato emittente, sul territorio del quale commette una parte dell’illecito transfrontaliero, deve poter invocare le garanzie offerte dai principi di tipicità dell’azione punibile, e della relativa sanzione. La consegna dovrebbe effettuarsi, secondo l’autore, solo quando il reato sia egualmente configurato nei suoi elementi costitutivi della tipicità anche nello stato di esecuzione e dovrebbe subordinarsi al vaglio di eguale tipicità la stessa sanzione prevista nello stato emittente il mandato di arresto europeo.
Nella DQ si prescindeva sia da un’attenta valutazione degli elementi costitutivi del reato nei due stati sia dalla qualificazione formale dello stesso reato, attribuendo la facoltà allo stato di esecuzione di trattenere il condannato all’interno del prorpio territorio e imponendogli l’espiazione della pena inflittagli nel diverso stato.[46]
Tornando al caso che ci occupa dei reati fiscali vanno aggiunte opportune precisazioni in termini di analisi.
Si è visto che con la legge di attuazione italiana non si è ripresa la locuzione “indipendentemente dal reato nel paese di esecuzione”. Su ciò si ritornerà brevemente in sede di successivo commento in linea generale sulla doppia incriminabilità.
L’art. 2 par. 2 della DQ dà luogo a consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione per i reati elencati nella lista, ampliabili (per il par.3) all’unanimità e previa consultazione del parlamento europeo (appena è il caso di ricordare la clausola di riserva parlamentare introdotta con la legge di attuazione italiana), inserendo altre categorie di reati nell’elenco di cui al par. 2
La dottrina (ad es. Picotti,cit.) si sofferma sulla espressione “altre categorie di reati” per escludere che, nel contesto della cd. lettura debole (Selvaggi e altri) dell’articolato della DQ, si tratti di un’elencazione di fattispecie di reato.
Il fondamentale par. 4 dell’art. 2 fa salva la facoltà parlamentare degli stati per i reati non contemplati dal par. 2 (qui compare la parola reati, ma interpretativamente la dottrina debole ha considerato la parola esclusivamente come categoria di disvalore) porre la condizione che i fatti costituiscano un reato ai sensi della legge dello stato di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso.
Tale esecuzione obbligatoria per i 32 reati prevista dall’art. 2 deve essere derogata (art. 3:non esecuzione obbligatoria) unicamente per la DQ per l’amnistia (con competenza giurisdizionale dello stato), per res judicata (a sanzione applicata) o per irresponsabilità della persona causa età. Per l’art. 4 invece la facoltà di rifiuto del mandato non é riferita all’elenco dei 32 ma espressamente ai casi di cui all’art. 2 par. 4. Esclusivamente per i reati non contemplati dalla lista – o meglio per le categorie di reati non contemplati dalla lista, potrà – e non dovrà – farsi opposizione all’arresto nello stato di esecuzione se il fatto non costituisce reato ai sensi della legge dello stato di esecuzione.
L’espressione reato ai sensi della legge dello stato membro di esecuzione potrebbe anche intendersi come profilo qualificatorio nel senso che in tal caso, oltre all’opposizione, potrebbe richiedersi l’irrilevanza penale del fatto in concreto nell’ordinamento di esecuzione.
Esclusivamente con riferimento alla categoria dei reati non contemplati nella lista vi sarebbe l’eccezione costituita dalla materia di tasse, imposte, dogane e cambio prevista dall’art. 4 par. 1
Tale eccezione non è contenuta nell’art. 2 par.2 e in tal senso da una lettura combinata della DQ apparirebbe che fattispecie di reato –ad esempio riconducibili alla frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee; ovvero a legislazioni a carattere tributario che collegano sé stesse agli ambiti di tutela inclusi nella lista – all’ambito informatico, a quello della moneta – che hanno effetti indiretti di carattere fiscale potrebbero essere muniti di una tutela che sotto il profilo tributario (tema della tassazione delle attività illecite) l’eccezione prevista dal par. 1 dell’art. 3 potrebbe non valere.
Torniamo all’eccezione in materia (art. 4 comma I). Tuttavia, in materia di tasse, imposte, dogana e cambio non può rifiutarsi l’esecuzione se la legislazione dello stato membro non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di normative in materia di tasse, imposte, dogana , cambio della legislazione dell’emittente.
La situazione postula normalmente che si tratti di fattispecie fiscale e quindi non di giurisdizione dello stato di esecuzione ma di competenza dello stato di emissione.
Le considerazioni vanno coordinate con il campo di applicazione del mandato di arresto ex primo e secondo comma dell’art. 2 DQ.
E’necessario che la pena o la misura di sicurezza privativa di liberta abbia una durata massima non inferiore a 12 mesi ovvero se se si tratta di condanne, una pena in concreto (su ciò si discusso in dottrina, ma ivi si tornerà) di durata non inferiore a 4 mesi.
Per i reati di lista del comma I art. 2 l’espressione è “massimo della pena o di misura di sicureza privativa della libertà pari o superiore a 3 anni”. Ciò sarebbe il limite per l’emissione e recezione del mandato.
Sotto il profilo fiscale, nel caso di eventuale rilevanza fiscale del delitto incluso nella lista dei 32, la pena sarebbe di tre anni.
Nel caso di reati fuori lista, nel combinato disposto fra comma 4 e art. 2 e comma I art. 4, il limite sarebbe il medesimo: 4 mesi per le condanne e 12 mesi per le misure privative della libertà.
Per i reati fuori lista l’ìndifferenza del legislatore della DQ va letta in combinato disposto con la posizione assunta dal legislatore italiano con l’art. 7.
Al comma I la legge 69/05 statuisce il principio di doppia incriminazione; tuttavia stabilisce al comma II che tale principio (il fatto deve essere previsto come reato anche dalla legge nazionale) non si applica nei casi in cui in materia di tasse,imposte,dogana e cambio la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o imposte ovvero non contiene lo stesso tipo di disciplina della legge dello stato di emissione
L’espressione è diversa rispetto a quella della DQ ma comunque pare conforme.
Ad eccezione di una particolarità. Mentre nella DQ sia dotta il principio di indipendenza e di indifferenza dello stato di esecuzione rispetto alla scelta di trattamento fiscale del paese richiedente, per la legge attuativa è necessario il requisito (riferito letteralmente alle sole tasse e imposte) della assimilabilità per analogia a tasse e imposte per le quali la legge italiana prevede in caso di violazione la sanzione della reclusione, della durata massima – escluse le aggravanti- pari o superiore a tre anni.
In atri termini non vige per l’Italia il principio di doppia incriminazione nel caso di differenza di disciplina in materia, ma a condizione della assimilabilità per analogia a tasse e imposte (si ritiene che l’espressione usata dal legislatore italiano sia tecnica, per includere anche la dogana e il cambio riconducibili alla doppia categoria tributaristica) penalizzate con la reclusione (e quindi non con l’arresto:si deve trattare di delitti), con riferimento alla misura edittale massima, pura da aggravanti e superiore o pari a tre anni. E noto che il campo di applicazione sarebbe ridotto.
Una considerazione concerne il concetto di analogia che non è costitutivo di una maggiore punibilità, in violazione del divieto di analogia, in quanto deve trattarsi di reato straniero. Fosse italiano si applicherebbero i limiti canoni dell’opposizione per ragioni di giurisdizione italiana. La nozione di analogia, tuttavia, presuppone l’istituto della lacuna. La lacuna dovrebbe essere intesa nel senso di mancanza della medesima ed identica qualificazione in termini di elementi costitutivi e di qualificazione di sanzione. Il limite di tre ani in caso di non identità di disciplina (se vi fosse identità non dovrebbe applicarsi limite dei tre anni ma si ritiene quello dei 12 mesi o 4 mesi) si potrebbe sostenere che tuttavia sia necessaria per la rinuncia alla doppia incriminazione l’esistenza della medesima base di imponibile o dei presupposti di ……………
FINE NASTRO
Cassetta 8
Si diceva che l’espressione contenuta nell’art.,7 comma II che non vi è la necessità che il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale è la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte ovvero, in alternativa, non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di imposte e di tasse.
Sembrerebbe richiedersi per l’eccezione che tuttavia analogo o identico sia il medesimo presupposto di imposta o la categoria imponibile, indipendentemente dalla disciplina o dalla definizione dell’imposta o della tassa doganale,di cambio..
Così dovrebbe intendersi l’espressione “ tasse e imposte che siano assimilabili per analogia”.
A questo punto è oportuno fare un’ulteriore precisazione prima di procedere nel commento specifico.
Il comma III dell’art. 7 della legge di attuazione stabilisce come condizione per la concessione, a ricalco della DQ, che il fatto dovrà essere punito dallo stato emittente con una pena o una misura di sicurezza privativa non inferiore a 12 mesi. Al calcolo della pena o della misura si procederà non tenendo conto delle circostanze aggravanti.
L’espressione è riferita alla pena o alla misura dello stato di emissione. Si noti un difetto di coordinamento. Il comma III dell’art. 7 parla di atto punito dall’emittente con pena o misura di sicurezza privativa non inferiore a 12 mesi, senza fare riferimento alla richiesta di arresto a fini di sottoposizione q procedimento penale, che sembrerebbe essere implicita leggendo il successivo art. 4 che specifica: in caso di esecuzione di una sentenza di condanna la pena o la misura di sicurezza dovrebbero avere una durata non inferiore a 4 mesi.
La garanzia più alta dei 12 mesi sembrerebbe però riferita anche alle sentenze.
Non vi è un espresso riferimento alla sentenza passata in giudicato. Ciò sembrerebbe tuttavia ricavarsi dall’art. 1 comma III: l’Italia darà esecuzione sempre che il provvedimento cautelare sia sottoscritto da un giudice e motivato e la sentenza sia irrevocabile.
Il principio è contenuto nell’art. 8, ancora (consegna obbligatoria, lista dei 32, legge italiana) per i fatti i quali, escluse le circostanze aggravanti, abbiano un massimo della pena o misura di sicurezza pari o superiore a tre anni.
Tuttavia l’espressione “circostanze aggravanti” è una nozione giuridica tipica del diritto penale italiano. Il problema sarà quello di riferire al paese emittente – od eventualmente anche a quello richiesto – la nozione di circostanza aggravante, a seconda che si adotti il principio della doppia incriminazione delittuosa o contravvenzionale (si ritiene comunemente) solo all’emittente o anche allo stato richiesto.
Il giudice dovrà distinguere in un fatto i caratteri delle circostanze aggravanti, irrilevanti ai fini del calcolo, che sono nettamente diversi da altre situazioni che, pur agendo come fattori di aggravamento del trattamento sanzionatorio, non sono tuttavia riconducibili alla nozione tipica di circostanza aggravante (si richiama Bargis, Mae, il progetto attuativo mantiene troppe zone d’ombra, in D & G, 20 aprile 2004). Anche la distinzione tra aggravante e fattispecie autonoma di reato, rilevante ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato è divenuta determinante ai fini della richiesta di consegna
Si pensi all’art. 640bis, prima qualificato come fattispecie autonoma di reato e dopo –dalle SSUU –qualificato come semplice aggravante, rispetto all’ipotesi-base della truffa semplice ex art. 640 c.p. (Cass. SS UU 26.06.2002). Anche i parametri identificativi della circostanza aggravante possono non essere compatibili con il diritto straniero, ma il giudice italiano nel suo giudizio non po’ adottare criteri-guida diversi da quelli del proprio diritto interno, in quanto è la legge attuativa autonoma a regolare la materia.
Sorgeranno verosimilmente questioni in tema di determinazione della pena minima necessaria per l’esecuzione del mandato di arresto europeo.
Anche il concetto di misura di sicurezza (sul punto e su altri A.A. Sanmarco, La decisione sulla richiesta di esecuzione, p. 381 e seg, in Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, a cura di L. Calb, Giuffré, Milano, 2005) ha natura giuridica di conseguenza di specifiche previsioni tipiche del diritto penale nazionale. Ancora una volta si proifila il problema della trasposizione di nozioni giuridiche italiane con testi giuridici stranieri che potrebbero essere incompatibili rispetto all’operazione di innesto interpretativo (ancora Sanmarco sul punto):;
Qual’è la misura di sicurezza limitativa della libertà personale?. E’ elastica la nozione di libertà personale e sfuggente l’individuazione dei casi di u limitazione della stessa. In concreto, se un determinato trattamento di uno stato richiedente determina la distruzione delle normali facoltà dell’individuo, sia o meno riconducibile a un caso di effettiva limitazione di libertà personale, si potrà profilare, ad esempio anche con riferimento alle misure di sicurezza di carattere patrimoniale (rinviamo alla tematica affrontata in materia penale, De Ubertis).
Anche la definizione di illecito è problematica. La nozione di analogia, cui fa riferimento il comma II dell’art. 7 ai fini della fattispecie di illecito fiscale e doganale, suscita problematiche costituzionali, stante l’assoluto divieto di applicazione del criterio analogico in ambito penalistico, secondo il principio di stretta legalità ex art.25 Cost., secondo l’opinione di Sanmarco che tuttavia riterremmo di poter smussare alla luce alla luce di quanto osservato in precedenza.[47]
L’opera interpretativa è sicuramente di non poco conto ma può soccorrere la tesi in base alla quale ciò che non è espressamente vietato, nella parte in cui non è modificato dalla legge italiana, nella DQ è consentito. Il problema che si profila è quindi che la giurisdizione italiana si attivi per stabilire se un fatto che non è reato secondo la legge in Italia si con figuri come reato in altro stato.
E altresì da rammentare (L.A. D’Angelo, Il principio della doppia incriminazione, in Il mandato di arresto…,a cura di L Calb,cit.) il quale osserva come l’art. 7 comma II regoli specificatamente in maniera differenziale per i reati fiscali la deroga al principi di doppia incriminazione, di cui in precedenza si è parlato, prevista dall’art. 4 n. 1 della DQ. La deroga italiana si riferisce alle tasse e imposte assimilabili, come abbiamo detto, per analogia. Secondo D’angelo si tratterebbe di un’eccezione diversa da quella prevista dal successivo art.8, prevista per i reati fiscali sul presupposto che i tipi di tasse o di imposte ovvero la disciplina in materia possono mutare da paese a paese, per cui sarebbe estremamente difficile valutare se sussista la doppia incriminazione.
Potrebbe per i reati fiscali profilarsi spesso il comma III dell’art. 8 (Se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino, se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato.
La mancata previsione nel diritto interno potrebbe essere relativa non solo alla attribuzione di rilevanza penale ma proprio al fatto che il reato sia un illecito penale ma a carattere contravvenzionale in quanto l’art. 7 comma II parla di reclusione.
E che dire di una successiva depenalizzazione o dell’esistenza di cause di estinzione o di non punibilità?
Anche sulla problematica del condono sarebbe opportuno effettuare ulteriori riflessioni che non è sede di avanzare qui.
Sere potrebbe profilarsi il caso di una sanzione al di sotto della soglia prevista dei tre anni. Anche se la soglia fosse superiore, potrebbe profilarsi nel caso di diversità di disciplina o di tipologia, prevista come al di fuori della analogia (ipotesi di applicazione della reciproca incriminazione dell’art. 7 comma II – una causa di imposizione all’esecuzione del mandato, sotto il profilo dell’ignoranza scusabile.
Anche se la riflessione non riguarda esclusivamente i rati fiscali, resta l’ulteriore questione del riferimento al limite –per il catalogo di lista dei 32 reati – ai tre ani.
Il riferimento è una pena edittale, fatto dall’art. 8 prima parte (massimo della pena o della misura di sicurezza); ma potrebbe l’espressione essere letta con il riferimento a una pena irrogata all’esito di una sentenza, come avviene nel comma III dell’art. precedente, ove il richiamo alla pena per le sentenza é effettuato in un altro comma. Nel nostro ordinamento il riferimento generico alla pena edittale è utilizzato per l’applicabilità dei provvedimenti ai fini dell’esercizio di un’azione penale provvisoria nel corso si un procedimento; ad esempio l’art. 280 c.p.p. prevede che le misure cautelari coercitive si applichino quando si procede per delitti per cui vi è la pena dell’ergastolo o reclusione superiore a nel massimo a tre anni; l’art. 380 stabilisce l’obbligatorietà dell’arresto per la flagranza di delitti non colposi con pena di ergastolo o reclusione non inferiore nel minino a 5 anni e nel massimo a 20.
Il problema è se l’art. 8 sia limitato ai soli provvedimenti cautelari oppure riguardi l’esecuzione di una pena o misura di sicurezza conseguente a un giudizio. Dovrà il giudice dello stato (si chiede A. D’angelo) avere applicato una sanzione pari o superiore a tre anni oppure è sufficiente una durata non inferiore a 4 mesi ? Se il mandato di arresto ha per oggetto una sentenza definitiva potrebbe essere eseguito, per il caso di cui all’art. 7, non essendo prevista tale possibilità nel silenzio della legge per i fatti indicati dall’art.8.
Apparirebbe contrario al principio dell’ordinamento italiano l’esecuzione di sentenze che hanno applicato una pena definita prevedendone solo il limite massimo.
L’art. 8 verrebbe quindi configurato come eccezione al principio fissato dall’art. 1 e dal comma I dell’art. 7 e non fonte di un sottosistema bisognevole di autonoma regolazione (D’angelo, cit., p.96). L’art. 8 sarebbe un eccezione al principio generale della verifica della doppia incriminazione. Così si spiegherebbe perché non vi è qui disciplina dei limiti di pena cui fare riferimento per le pene comminate con sentenza. L’eccezione opera per i fatti elencati ma non se il mandato ha ad oggetto misure cautelari o sentenza; se è stato emesso per l’esecuzione di una pena applicata in giudizio per reati della lista il limite di pena resta quello di durata non inferiore a 4 mesi. Il quarto comma dell’art. 4 è norma generale che si applicherebbe a tutti i mandati di arresto.
Il mandato di arresto europeo per essere eseguito deve avere ad oggetto un reato punito con una pena della durata massima non inferiore a 12 mesi; se emesso per dare esecuzione ad una sentenza definitiva, la condanna non può avere una durata inferiore a 4 mesi. Per le sentenze devono sussistere tutti e due i requisiti minimi di pena richiesti dall’art. 7. S e poi il fatto corrisponde a una della fattispecie del comma I dell’art. 8 il giudice può dare per presunto l’esito favorevole della presenza di una punibilità bilaterale[48].
Nel contesto della dottrina italiana che si è espressa nel senso di una lettura debole delle disposizioni sul mandato di arresto europeo, con particolare riferimento alla non costituzionalizzazione del principio di doppia punibilità o incriminazione e in senso critico rispetto all’attuazione legislativa avvenuta per l’Italia, rispetto ai dettami della DQ in commento (L. Picotti, Il mandato di arresto europeo tra principio di legalità e doppia incriminazione, in Mandato di arresto europeo… a cura di Bargis, Selvaggi, p. 33 e seg.) è stata osservata la anomala e fuorviante impostazione di fondo che va oltre i modi e i mezzi di attuazione degli obiettivi europei, contrapponendosi alla medesima, invocando i principi nazionali di riserva di legge e di tassatività delle fattispecie penali per assegnare il massimo rilievo al requisito della doppia incriminazione, nella misura in cui detti principi non appaiono applicabili alle norme di diritto penale sostanziale del paese richiedente. Correttamente Picotti osserva (e a ciò noi attribuiamo significato di conferma della autonomia del legislatore nello stabilire i criteri-filtro più volte trattai nel presente commento) all’espressione ”indipendentemente dalla corrispondenza della qualifica e dei singoli elementi costitutivi” delle fattispecie legali che vengono in rilievo nei due ordinamenti (conforme, P.Pisa, La previsione bilaterale del fatto nell’estradizione, Giuffré, Milano, 1973, p.48 e seg.). che l’opzione della legge di attuazione contrasti con i principi direttivi della DQ, cui non si applicherebbero i principi di legalità e tassatività, i medesimi essendo assicurati dalla legislazione di provenienza dell’atro paese.
Non potrebbe per Picotti lo stato richiesto interloquire sulla disciplina e rilevanza di elementi della fattispecie penale definiti dall’ordinamento dello stato richiedente. “Non solo la rilevanza, ma anche la qualificazione, la ricorrenza concreta, il calcolo dell’incidenza sulle cornici edittali di pena o delle misura di sicurezza, dei possibili elementi circostanziali sono spettanza dell’ordinamento che li prevede”.
Lungi dal rappresentare una garanzia di rispetto dei principi di tassatività e legalità sottolineati in sede costituzionale e dalla miglior dottrina (Vassali-Caianiello;M. Gallo, che ritiene il principio di doppia incriminazione un principio di rilevanza costituzionale fondante l’ordinamento giuridico) la organizzazione definitoria, seppur non corrispondente alle fattispecie interne italiane, costituirebbe ad avviso dell’Autore, addirittura “un abnorme elenco di fatti o fattispecie, senza che di esse sia menzionato o individuabile l’essenziale elemento della sanzione per ciascuna applicabile, rovesciando l’impostazione della DQ; prevedendo una corrispondenza fra la previsione del fatto come reato da parte della legge di emissione e una delle specifiche previsioni della legge nazionale italiana appositamente elencate. Si tratterebbe di monconi di precetto privi di sanzione, arbitrariamente ed artificiosamente creati ad esclusivo scopo di selezionare e restringere a priori detto accertamento,con intento elusivo della normativa europea”.
Le pur perspicue osservazioni di Picotti sul fatto che la scelta di riconoscere la rilevanza a livello mutuo e mutualistico tra i paese europei alle contestazioni e alle richieste di esecuzioni di sentenze pronunciate secondo gli ordinamenti interni sia da riconoscere come profilo risolto a monte e non da risolversi a valle, con l’applicazione dei principi costituzionali non in termini di libertà, ma in termini di diritto penale sostanziale in sede di delibazione, potrebbero avere plausibilità nell’ipotesi in cui non vi fossero interferenze derivanti dall’adesione ai giudicati esteri con il diritto penale sostanziale interno. In altre parole, al di fuori dei limitati casi correttamente ampliati dal legislatore nazionale italiano, di opposizione al mandato di arresto europeo contenuti nella DQ, l ’adesione a decisioni estere poste in via definitiva nell’ordinamento proprio nel contesto degli ordinamenti europei comporterebbe (Manacorda, Riondato) la definitiva soluzione in favore del paese che avesse, nel caso di reati transnazionali commessi anche solo in parte nel territorio o nell’extraterritorio rilevante secondo le estensioni delle legge del paese richiesto sotto il profilo del diritto penale sostanziale, così da comportare un’ arresto di giurisdizione da parte del paese richiesto.
Problema si pone di fatti proprio sotto il profilo della corrispondenza, in termini di qualificazione, di rilevanza penale nonché di trattamento sanzionatorio e del profilo della incommensurabilità dei criteri ascrittivi tipici di ciascun ordinamento. In altri termini, se in base all’art. 8 comma II l’AG italiana non potesse accertare quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo lo stato membro di emissione, e quindi non rovesciasse l’impostazione apparente della DQ, prevedendo una corrispondenza sulla previsione del fatto come reato, ci si troverebbe in presenza di giudicati per fatti di reato non previsti nell’ordinamento richiesto.
Puntualmente Picotti osserva il difetto di costruzione dell’art. 4 par. I n. 1 che, preso alla lettera (il comma I non si applica nei casi in cui in materia di tasse e imposte, dogane e cambi la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte ovvero non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse, di imposte, di dogane e di cambi della legge dello stato membro di emissione) parrebbe configurare addirittura una abnorme deroga allo stesso obbligo di dare esecuzione al mandato di arresto europeo.
Ci si riferisce all’art. 7 comma II della legga italiana in relazione all’art. 4.paragrafo 1 n. 1 DQ
In realtà non sembra che la norma possa dare adito a dubbi; costituendo l’art. 7 italiano il principio di bilateralità della previsione del fatto, l’art. 2 si applica evidentemente come deroga a tale principio, così che l’ interpretazione appare pacifica ed in linea con quella per altre ragioni proposta dall’Autore.
I dubbi sollevati da Picotti relativi al presunto discostarsi del comma II dell’art. 7 della legge di attuazione dell’art. 4 n. 1 della DQ così come in precedenza da noi commentata, non appaiono fondati alla luce proprio dell’espressione, contenuta nella DQ “non impone lo stesso tipo o non contiene lo steso tipo di normativa in materia di tasse…”., che appare essere bene ricalcata dalla espressione analoga italiana: “lo stesso tipo di tasse… “ ovvero…”lo stesso tipo di disciplina in materia..”.
Il legislatore italiano ha bene precisato il requisito dell’assimilabilità che riteniamo implicitamente, ma scontatamente, è contenuto nel testo della DQ.
Sulla scelta testuale e univoca della sola reclusione, essa in concreto non appare in contrasto con le cornici edittali della normativa penal-tributaristica e in concreto appaiono per lo più essere al di sotto della soglia eletta dei tre anni.
Ma vi é di più. A livello europeo pochi sono i paesi che distinguono, nei contesto dei reati, fra delitti e contravvenzioni. In altri contesti si ricorso ad ipotesi di tripartizione dei delitti; in altri ancora, in difetto di un criterio univoco di definizione della materia o del carattere penale fra tutti i paesi, ogni paese applica un proprio criterio di carattere formale.
Presumere come sembra fare Picotti che dal criterio formale italiano si debba trarre il criterio ermeneutico di lettura della DQ sulla nozione di reato (che come ben sappiamo nelle versioni inglesi e francesi tende a coincidere con la nozione che da noi è considerata di crimine), la conseguenza che vi sia un contrasto tra la limitazione alla reclusione (vale dire al delitto) e la DQ appare frutto di una assunzione assiomatica sottratta alla discussione e comunque di carattere formalistico.
La medesima definizione dell’art. 2 , anche solo nella versione italiane,della DQ fa riferimento a fatti puniti dalle leggi emittenti con pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima connotata. La stessa espressione contenuta nel paragrafo 2 dell’art. 2 fa riferimento alla clausola “indipendentemente dalla doppia incriminazione”, dove compare, nella traduzione italiana, l’espressione “crimine”.
In effetti apparvi essere un difetto di coordinamento sotto il profilo terminologico e concettuale tra i paragrafi 1 e 2 della medesima DQ, mentre il criterio adottato avrebbe dovuto essere quello della pena privativa della libertà indipendentemente dalla qualificazione interna tipica di ciascun ordinamento giuridico Richiamiamo le penetranti osservazioni di L. Salazar (La lunga marcia del mandato di arresto europeo, p. 18,i n Il mandato di arresto europeo, a cura di Bargis-Selvaggi) il quale sottolinea –peraltro come Picotti –che i testi inglese e francese riportano sempre l’espressione (traducibile come “incriminazione”) con l’unica aggiunta della espressione “verifica o controllo” che manca nella traduzione italiana. La ragione del riferimento all’incriminazione è che l’art. 2 della DQ fa riferimento a gravi illeciti tipici della lista dei 32 reati con riferimento alla pena di tre anni. Va tuttavia annotato che sia l’art. 3 che l’art.,4 vengono nella versione italiana tradotti come inclusivi della parola “reato”. L’art. 4 n. 1 della DQ prevede che anche se il fatto non costituisce reato nello stato di esecuzione, tuttavia, in materia di imposte e cambio può essere rifiutato il mandato di arresto europeo dal paese di esecuzione qualora vi sia diversità di disciplina, di tipologia in ordine alla normativa in materia di tasse e imposte.
Sarebbe previsto quindi dalla DQ la procedibilità ed eseguibilità del mandato anche se non costituisce reato nel paese di esecuzione, in presenza di un’implicita analogia di disciplina sulle tasse e imposte. Vi sarebbe una differenza tra l’espressione “anche se non impone lo stesso tipo di tasse e imposte” (senza estendere a dogane e cambi) e una diversa espressione per quanto riguarda la diversità di normativa in materia. Per cui è aggiunta anche la dogana e il cambio.
Visto che l’art. 7 n. 1 della legge italiana usa l’espressione “reato” in materia di doppia punibilità, il n. 2 del medesimo articolo che fa riferimento alla reclusione sembrerebbe costituire, in effetti, elemento derogatorio e di distinzione agli effetti fiscali fra la figura delle eventuali contraddizioni e quella dei delitti che devono essere tali in materia di tasse e imposte.
La normativa italiana prevede la natura di reato e in particolare di delitto per fare operare la deroga alla doppia incriminazione, prevista dal comma I dell’art. 7. Il difetto di coordinamento è tuttavia evidente sotto un diverso profilo: nel fatto, che così come è costruita la norma italiana, la deroga del comma 2 sembrerebbe essere fatta a requisito della doppia natura penale (quindi della doppia punibilità), anche se viene poi previsto al comma II la sanzionabilità come condizione in caso di assimilabilità a titolo di reclusione e quindi di delitto. Il momento di rilevanza, con riferimento alla sanzione e alla natura di reato, si risolverebbe pertanto in una neutralizzazione propria della deroga fatta dal comma 2 al comma 1.
Tale disarmonia potrebbe tuttavia spiegarsi nei seguenti termini di interferenza di giurisdizioni.
Non è in altri termini necessario che il fatto per l’Autorità straniera sia reato (e ci si riferisce a quel fatto, a quella dimensione storica in base ai propri criteri di estensione territoriale) affinché possa darsi corso al mandato di arresto per tasse, imposte,dogane e cambio per illeciti rilevanti penalmente all’estero. E’tuttavia necessario che l’equivalente trattamento di un fatto diverso – storicamente ma analogo o quanto meno sussimibile sotto le medesime categorie nel paese di esecuzione – sia un trattamento riconducibile ad un’ipotesi delittuosa con la previsione pari o superiore a tre anni.
Così interpretato il comma 2 dell’art. 7 potrebbe costituire un’effettiva rinuncia della giurisdizione nazionale nel caso in cui il medesimo fatto sia considerato rilevante anche per il paese straniero.
Profili ulteriori problematici potrebbero concernere l’ipotesi concorsuale e la responsabilità dei concorrenti.
Altro profilo concerne il rapporto eventuale di specialità fra le normazioni interne e tributarie e le disposizioni fiscali di rilevanza comunitaria, molte delle quali oggetto delle convenzioni in materia di illeciti alle finanze comunitarie, diversamente tutelate nei singoli ordinamenti.
Sullo sfondo vi sarebbe il profilo, già altrove enfatizzato, del rapporto di specialità tra le norme interne e le norme di provenienza – in sede di esecuzione di direttiva o di convenzioni (ad esempio PIF) – comunitaria.
Va rammentata l’osservazione di Picotti sul fatto che la ridotta operatività del requisito della doppia incriminazione potrebbe a suo avviso concernere solo la corrispondenza di struttura delle violazioni penali, essendo esplicitamente esclusa la rilevanza di qualsivoglia corrispondenza e dunque anche l’analogia del tipo di tasse o di imposte –oltre che di normative extrapenali –in materia (art. 54 par. 1 n. 1 secondo periodo DQ).
In termini critici Picotti osserva che per i reati fiscali e non per le dogane e il cambio il legislatore italiano ha introdotto requisiti restrittivi sul limite edittale massimo, la tipologia di pene, l’oggetto delle violazioni che le costituiscono, in aperto contrasto con le norme europee.
Problema già anticipato è costituito dalla non sovrapponibilità degli elementi definitori della legge di attuazione italiana (e ciò vale per tutte le fattispecie e non solo per quelle fiscali) fra il catalogo definitorio italiano e le corrispondenti fattispecie.
Ad esempio la lettera a) (partecipare ad un’associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti corrisponde all’Opzione comune del Consiglio dell’Unione Europea del 21.12.1998, oltre che alla Convenzione ONU di Palermo, pur non trovando riscontro, ad esempio, nei codici francese(450-1) o spagnolo (515) né nella conspiracy anglosassone.
Picotti osserva che neppure (Il campo…., p.144, cit) in tutti i reati associativi del nostro ordinamento è richiesto che tutti gli associati debbano essere più di due e che lo scopo debba essere la commissione di più delitti (art. 416 c.p., art. 73 dpr.09.10.90 n. 309, 416 bis c.p., art. 270 c.p.,270bis c.p.,306 c.p.) così che il requisito di corrispondenza alla fattispecie nazionale ex art. 8 comma2 L.69/05 sarebbe più selettivo di quello della doppia incriminazione, tanto più se non rileva né la qualifica formale del reato né la diversità dei singoli elementi costitutivi della fattispecie, invero non espressamente prevista dall’’ordinamento italiano.
Anche la lettera b) (compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose….”) non abbraccia le incriminazioni per reati terroristici (ad esempio ex 270bis c.p., in cui gli atti di violenza non sono richiesti, bastando il proponimento. Il DL 27.07.2005 n. 144, conv.in L. 31.07.2005 n. 555, Misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale ha riformulato i reati e ne ha introdotti di nuovi, con una nuova nozione di terrorismo). La definizione della L.69 non abbraccerebbe le fattispecie realmente vigenti (ad esempio gli artt. 270 bis, quater, quinquies, 280, 280bis, 289bis del c.p.)
Il nuovo 270sexies considera con finalità di terrorismo le condotte a prescindere dalla violenza…. Oltre a ciò va tenuta in considerazione la clausola di richiamo di tutte le convenzioni o norme di diritto internazionale (New TYork 1999, ratificata in Italia il 14.01.2003 con L. 7 e la DQ Cons.Unione Europea 2002/475GAI, vincolante per il giudice italiano in termini ermeneutici.
Anche per la criminalità informatica la lettera m) dell’elenco italiano ignorerebbe – osserva Picotti –le fattispecie incriminatici, ad eccezione dell’accesso abusivo al sistema informatico o telematico (715ter c.p.) e dell’attentato agli impianti di pubblica utilità (420c.p.), sovrapposto al danneggiamento di sistemi informatici e telematici (635 c.p.). Le norme sarebbero state organizzate in modo storpiato in un’unica previsione, che ne riproduce e sovrappone gli elementi configurando fatti diversi a quelli penalmente sanzionati nel c.p. (si rinvia per la trattazione a Picotti, cit). Nessun riferimento vi sarebbe poi alle norme introdotte con la L 23.12.1993 n. 547 a partire dai prelievi abusivi a sportelli bancomat oltre alla falsificazione di carte di credito e di pagamento,di cui all’art. 12 L. 05.07.1991 n. 197, non certo trasfuse nelle scarna lettera cc) dell’art. 8. Omesse le disposizioni penali sul diritto d’autore e diritti connessi nelle tecnologie digitali ed internet, non riducibili alla imitazione o duplicazione abusiva. Irrilevanti anche l’art. 491 bis (che estende i delitti contro le falsità in atti alle falsità in documenti informatici e, senza adeguata previsione, la frode informatica ex 640ter, accanto alla truffa comune. Mancano il 615quater e il 615quinquies in tema di comunicazioni e rete via internet, quali detenzione e diffusione abusiva di codici di acceso a sistemi informatici e telematici e la diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico (cd. virus) e mancano altresì i cd. reati-ostacolo della Conv. Cybercrime del Consiglio di Europa del2001. Omesse, nella definizione, i segreti ex 616 u.c. c.p. (che estende la nozione e la tutela penale della corrispondenza a quella informatica o telematica; anche gli artt.617quater, quinquies e sexies che sanzionano le intercettazioni informatiche e telematiche fino al 621 che tutela anche i documenti informatici segreti etc; pari ignoranza sulle norme di diritto internazionale vincolanti, come la già citata Cybercrime, aperta alla firma il 23.11.2001 a Budapest e sottoscritta dall’ Italia, nonché la DQ contro gli attacchi informatici 24.02.2005.
In definitiva i rilievi critici di Picotti paiono pregevoli, ma va evidenziato che l’elenco definitorio può assolvere la funzione dianzi ed in precedenza suggerita di filtro; mentre la DQ ha del tutto omesso di regolare il sistema della successione eventuale delle leggi nei paesi che – esercitando la facoltà loro concessa dalla DQ – ricorrono alla doppia incriminazione.
Potrebbe essere il caso di rammentare, seppur senza specifici riferimenti, la copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di assorbimento nel contesto di una tutela anche penale, dissuasiva e proporzionata delle potestà nazionali, ove nell’area intervengano degli strumenti di tutela sia nel contesto delle materie esclusive che nel contesto delle materie facoltative che sottrarrebbero al legislatore la facoltà di depenalizzare o comunque di elidere un trattamento omogeneo e significativo (sentenze c/Berlusconi, Miselli etc.).
Cassetta9 note.
(nota fine 8)
Non solo una legge abrogatrice dell’ordinamento interno di ciascuno dei paese membri,ma anche una legge che considerasse punibile un comportamento che non impreso in considerazione dalla legge sul mandato di arresto europeo potrebbe in astratto e in futuro concernere l’intervento della CGCE ex art. 35 del c.p.
E noto difatti che sia l’abrogazione (vale a dire la depenalizzazione di un settore già invaso dal diritto comunitario) sia l’intervento penale che in qualche modo interferisse con la libera concorrenza nella descrizione di un paese; vale a dire la penalizzazione di certi comportamenti che alla luce dell’incrocio e del principio di reciprocità potessero o aggravare o ostacolare la posizione penalistica di un soggetto potrebbero essere toccati dalla CGCE
In questa prospettiva è degna di nota la decisione della CGCE II sezione del 26.-10.2006 C-65/05 Commissione c/Repubblica Ellenica, annotata da S. Riondato nella rubrica Osservatorio della Corte di Giustizia delle Comunità europea in Dir. pen e proc.,1,2007. La Repubblica ellenica aveva introdotto con la L. 3037/2002 il divieto di installare e gestire giochi elettronici –compresi i giochi al computer – in qualsiasi luogo pubblico o privato diverso dal casino. L’Inosservanza, a da avviso della Commissione sarebbe di un principio comunitario. L’inosservanza per repubblica ellenica del divieto è norma sanzionata con pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre mesi, con pena pecuniaria e confisca degli apparecchi. Secondo la Corte, il divieto penalmente sanzionato di gestire tali giochi rende più difficile – se non impossibile –l’esercizio da parte degli operatori economici provenienti dagli altri stati membri del loro diritto di stabilirsi in Grecia per fornire i servizi in questione in quanto i casino sono oggetto di monopolio. Essendo ostacolo alle libertà ex artt. 43 e 49 tratt. CEE la Corte esclude che tali violazioni del diritto comunitario possano essere giustificate da ragioni di interesse generale o da esigenze imperative.
La Repubblica ellenica, pertanto, introducendo gli artt. 2 n. 1 e 3 della L ,in divieti, a pena di sanzioni penali o amministrative previste dagli artt.4 e 5 della stessa legge, è venuta meno agli obblighi che incombono in forza degli artt.28 e 43 e 49 CEE.
L’effetto sarà la disapplicazione nel diritto interno greco di tale disposizione incriminatrice.
(nota dove si parla di difformità fra i Moduli predisposti e la legge italiana)
Si segnala peraltro a tutto concedere che il Ministero della Giustizia –Dipartimento per gli Affari di Gistizia emise una Circolare indirizzata al Primo Presidente della Corte di Cassazione, ai Presidenti delle Corti d’appello, al PG di Cassazione, ai PPGG preso le Corti di Appelo al Procuratore nazionale antimafia nonché per conoscenza al Ministero dell’interno, datata 24.06.2005 con la quale si dispeoneve che le AAGG competenti ex art.29 L69/05 adottino un modello di mandato di arresto che corrisponda a quello allegato alla DQ del Consiglio dell’UE del 13.06.2002, senza tenere conto delle modifiche normative avvenute con la legge di attuazione.
Per le novità si segnala il sito europa.eu/scadplus/leg/it/lvbu/vb/133167.htm
Si segnala altresì il sito Giustizia.it – Ministero della Giustizia con riferimento alle importanze sentenza di cassazione 08.05.2006 e 13.09.2005 n. 451 Cass. sez. feriale. Penale.
Un’altra sentenza è degna di nota, relativa alla potestà delle Comunità europea senza alcuna attribuzione espressa di competenza ma tenuto conto della rilevanza del diritto penale per la sovranità degli stati membri della titolarità di una competenza trasferita implicitamente alla comunità in occasione dell’attribuzione di competenze sostanziali specifiche quali svolte in forza dell’art. 175 CEE.
Gli artt.135, 280 CEE che riservano esplicitamente l’applicazione del diritto penale nazionale e l’amministrazione della giustizia agli stati membri confermerebbero l’interpretazione del Consiglio e degli Stati membri intervenuti (diversi dal regno dei Paesi Bassi) e dalla Commissione in base alla quale, allo stato attuale del diritto la Comunità non dispone di alcuna competenza per obbligare gli stati membri a sanzionare penalmente comportamenti considerati dalla DQ a tutela dell’ambiente.
La Commissione altresì chiede che la DQ sia annullata parzialmente in quanto alcuni dei suoi articoli (5 n.2, 6 e 7 ) lasciano agli stati membri la libertà di sanzionare anche non penalmente o, ancora, scegliere tra sanzioni tra sanzioni penale ed altre sanzioni, il che rientrebbe nella competenza comunitaria.,
Si tratta di Corte di Giustizia, Grandoi Sezioni, sent.13.09.2005 (ricorso di annullamento ex artt. 29UE,31 lett.e) UE,34UE,47 UE della,DQ 2003/80GAI – protezione dell’ambiente; sanzioni penali. Il Trattato UE dedica il titolo specifico alla cooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 29,30,31) che conferirebbe all’Unione competenze in materia penale per quanto riguarda gli elementi costitutivi dei reati nella materia apicali.
Di contro si osserva che la Commissione avrebbe una posizione paradossale in quanto riterrebbe che gli autori dei Trattati sull’UE e CEE abbiano inteso implicitamente conferire alla Comunità europea una competenza penale e dall’altro ignorare che gli stessi autori hanno attribuito espressamente una tale competenza.
Per al Corte l’ambiente è uno degli obiettivi essenziali della Comunità (sent.07.02.1985; 20.09.1988; 02.04.1988); l’art. 2 CEE dispone che la Comunità promuove un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento della qualità di quest’ultimo e l’art. 3 n. 1 lettera l) prevede l’attuazione di una politica nel settore dell’ambiente. Si richiama altresì l’art. 174 CEE, 170 CEE che sono la cornice antro cui si attua la politica comunitaria in materia, secondo la procedura dell’art. 251 CE previa consultazione del Comitato economico e sociale e delle Regioni.
La scelta del fondamento normativo di un atto comunitario deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali lo scopo e il contenuto dell’atto. La DQ de qua persegue l’obiettivo di protezione dell’ambiente;l a DQ elenca una serie di comportamenti gravi ai suoi danni che gli stati devono sanzionare penalmente. Gli artt. 2 e 7 della DQ armonizzano parzialmente le legislazioni per quanto riguarda gli elementi costitutivi di vari reati contro l’ambiente. In via di principio la legislazione penale con le norme di procedura penale non rientrano nella competenza della comunità. In tal senso se,t. 11.11.1981, C203/80; 16.06.1998, C226/97.
Tuttavia il legislatore comunitario non ha il divieto e non può essere impedito di applicare sanzioni penali effettive,proporzionate e dissuasive da parte delle competenti Autorità nazionali quando ciò costituisca una misura indispensabile di lotta contro le violazioni. In relazione ai diritti penali degli stati membri.
Se è vero che gli artt. 1 e 7 DQ disciplinano la qualificazione come reati di taluni comportamenti gravi, essi lasciano tuttavia agli stati membri la scelta delle sanzioni penali applicabili o devono comunque essere, conformemente all’art. 5 comma 1 della stessa DQ, effettive, proporzionate e dissuasive.
Ritiene però la Corte che gli artt.1 e 7 della DQ avrebbero potuto validamente essere adottai sul fondamento dell’art. 175CEE. La circostanza che gli artt.135 CE, 280 n. 4 riservino i settori della cooperazione doganale e la lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari delle comunità all’applicazione del diritto penale nazionale e l’amministrazioe della giustizia agli stati membri, sono idonei ad inficiare tali conclusioni.
Non si può dedurre da tali disposizioni che attuando la politica ambientale, qualunque armonizzazione penale, ancorché limitata come quella derivante dalla DQ debba essere esclusa, quand’anche si rilevasse necessaria a garantire l’effettività del diritto comunitario.
La DQ avrebbe sconfinato dalle competenze che l’art.175 CE attribuisce alla comunità,violando data la sua indivisibilità,l’art. 47 UE. Pertanto è assorbita la richiesta di dichiarazione di annullamento parziale sulle facoltà lasciate agli stati membri.
Tale decisione si è annotata in quanto è espressione di una giurisprudenza del CGCE che ritiene non direttamente in titolarità della DQ e quindi del III pilastro la previsione di sanzioni penali. In Il movimento, rivista tematica della ANM,2007.
Si segnala ancora il sito Giuristi Democratici e in particolar modo gli atti del Convegno Mandato di arresto europeo ed Eurojust del 29.04.2005, Sala dello Zodiaco, Bologna, con i contributi di B.Bruno, P.Trombetti;V.Monetti.
Per una lettura debole della legge di attuazione interna si segnalaCass.Pen >Sez Feriale 14.09.2005 camera di consiglio 13.09.2004 n.33642, Pres. Rizzo,in Dir.penale e processo n.1/2006,p.77 e seg,con commento di A. Scalfati, per il quale la corte di cassazione avrebbe negato un dato normativo inequivoco, non ritenendo di considerare la presenza dei gravi indizi di colpevolezza in cao di mandato di arresto, motivata da presupposti sistematici e raffronti con regole sovranazionali sostanzialmente confliggenti con il testo nazionale. Vedremo che la decisione verrà modificata. Sempre nella prospettiva generale si segnala A. D’Amato,Mandato di arresto:l’Italia invitata a sanare le difformità con la decisione quadro, in Guida al Dir,n. 2/2006 ,p. 13 e seg.;S. D’Ambruoso, Una metamorfosi giudiziale per una resipiscenza di Eurojust; ancora più in generale M.Castellanet6a,Inapplicabile la convenzione di Palermo se il crimine non produce vantaggi materiali, ibidem, n. 3/2006; A Perduca, nel progetto che disegna la decisione quadro uniformate le garanzie processuali penali, Guida al Dir.n.2/2005,p.100 e seg; sulla questione sollevata dala Corte costituzionale belga accennata, si segnala M. Castellaneta,La corte di Giustizia si prepara alla verifica, in Guida al Dir, n.2/2006,p.16 e seg; V.Santoro, Timone dell’applicazione dei giudici italiani,in Guida al Diritto,n. 2/2006, p.20 e seg.; Cass,VI 10.11.2005 n. 42803,Pres.Di Virgilio; Cass.VI 23 09.2005 n. 34355, Pres. De Roberto; Feriale13.09.2005 n. 33642, Pres. Morgigni; Cass.VI 26.01.2006 n.3640, Pres.Di Virgilio; Cass.VI 13.12.2005 n. 45254; Cass.VI 20.12.2005 n. 46357. Si richiama ancora per l’inquadramento generale N.Galantino, Una nuova dimensione per il ne bis in idem internazionale, Cass.pen 2004,10,3474; L’evoluzione del principio del ne bis in idem europeo tra norme convenzionali e norme interne di attuazione, Roma 19-21.09.2005,Tirocinio CSM incontro di studio Il principio del ne bis in idem in ambito europeo,prevenzione e composizione dei conflitti di giurisdizione, in Quaderni del CSM,2005; importante è l’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubbliche di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’union europea (GUCE 21.06.2005 L157/2003). Ancora B. Melchionne, Il mandato di arresto europeo una fuga in avanti,Convegno di Crema,Incontro di studio sul mandato di arresto Europeo,09.06.2004, in Prima pagina,settimanale indipendente dell’informazione. Si sottolinea il forte impatto innovativo così come si plaude alla conservazione del principio della doppia incriminazione. Per il quadro più processualistico, F.R.Dinacci, Custodia all’estero tra dettato costituzionale e mandato di arresto europeo, in Dir. e proc.pen,2003, p.2392, commento a Cass.Pen., VI,17.01.2001 in tema di estradizione.
Si rinvia ancora al Centro Studi di Diritto penale sito www.dirittopenaleeuropeo.it per quanto riguarda gli aggiornamento sulle conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia sul mandato di arresto europeo del 12.09.2006. Si richiama ancora la DQ sul mandato europeo per la ricerca della prova (MERP) del 01.06.2006, proposto dalla commissione del 14.11.2003.
Ancora il pacchetto globale sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, con quattro relazioni il 28.06.2006 della Commissione europea; ancora,CGCE decisione sul principio del ne bis in idem del 09.03.2006 C-416/04,che con riferimento al concetto di idem ha individuato nel fatto materiale e non nella qualificazione giuridica l’istituto; CGCE 16.03.2006 C304/04, ha ritenuto che il diritto comunitario non imponga al Giudice internazionale di disapplicare norme processuali interne per annullare una decisione passata in giudicato se questa viola il diritto comunitario; cfr.Conclusioni Avvocato Generale Tizzano del 10.11.2005.
La CGCE 13.06.2006 (Grande Sezione) ha ritenuto illegittimo ed imputabile all’organo giurisdizionale di ultimo grado dello stato membro interpretare le norme giuridiche, valutare i fatti e le prove ala luce di normative che negano la responsabilità dello stato membro in caso di danni arrecati ai singoli per la violazione del diritto comunitario imputabile all’organo giurisdizionale; la responsabilità nazionale non può limitarsi al solo dolo o colpa grave del giudice se tale limitazione conduce ad escludere la responsabilità dello stato membro nei caso in cui si sia violato. La Cass. 35516/06 (29.09.2006) ha ritenuto l’obbligo dello stato membro (e quindi l’ostazione alla decisione di consegna) di allegare la relazione sui fatti addebitati alla persona di cui è richiesta la consegna ex art.6 IV comma lett.a) L. 69/05,in quanto la valutazione del requisito dei gravi indizi di colpevolezza,ex art.17 IV comma implica che l’AG verifichi soltanto il fondamento del compendio indiziario ritenuto dall’autorità giudiziaria e che esso sia seriamente vocativo di un fatto di reato; anche la misura cautelare è autonomamente impugnabile a norma dell’art. 719 c.p.p.;la Cass. 03.10.2006 ha ritenuto che il giudice interno debba conformarsi al verdetto della Corte dei Diritti dell’uomo sulla non equità del processo celebrato in absentia: l’autorità giudiziaria interna dovrà osservare la decisione a condizione anche – attraverso il riesame e la riapertura dei procedimenti – di toccare l’intangibilità del giudicato, stante l’incondizionata accettazione e della forza vincolante delle sentenze della Corte di Strasburgo,ex lege 280/05 di ratifica senza riserva da parte dell’Italia, del Protocollo 14 della Convenzione e la legge 12/2006 Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Ancora,per un puntuale quadro della giurisprudenza delle CGCE e dei cosiddetti arroccamenti della Corte di Cassazione, nonché sulle sentenze interpretative della Corte europea resa sul caso Gabelli e la remissione alle SSUU italiane,a commento della Cass. 26.04.2004 n. 23271 si veda: A.Natalini, Gli irrisolti contrasti tra penalità interna e diritto comunitario;l’abusiva raccolta di scommesse e gli arroccamenti delle SSUU, a sottolineare un mancato allineamento delle due giurisprudenze in termini di concezione di interesse pubblico e di obblighi di diritto pubblico e di sicurezza interna. Ancora, si ricordano la DQ 06.10.2006 sull’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, 2006/783GAI,in GUCE 24.11.2006 L328/59, la quale collegandosi alla DQ 22.07.2003 sull’esecuzione e i provvedimenti di blocco dei beni e di sequestro probatorio e alla DQ 24.02.2005 sull’armonizzazione delle legislazioni statali sulla confisca, definisce i provvedimenti ablatori definitivi su beni costituenti lo strumento del reato,prodotto equivalente del valore,emessi in un procedimento giurisdizionale penale, limitatamente ai provvedimenti emessi dalle autorità giurisdizionali. L’autorità interna è obbligata all’esecuzione sul territorio tranne che nei caso di legittimo rifiuto (vd. art 8,violazione del ne bis in idem, immunità personali o privilegi sul bene da confiscare, prescrizione del provvedimento etc.) o di rinvio dell’esecuzione previsto dall’art. 10 della DQ.
Ancora,la DQ 18.12.2006 sulla semplificazione nello scambio di informazioni e intelligence tra autorità degli stati membri dell’UE incaricati dell’applicazione della legge,2006/960GAI in GUCE 29.12.2006 L. 403.
Cass.pen VI, 12.12.2006 n. 40614, sul mandato di arresto europeo; Cass.pen.SS.UU 30.01.-05.02.2007, Pres.Lattanzi, sul mandato di arresto europeo, la quale costituisce un’importante innovazione in quanto stabilisce che legittimamente non può rifiutarsi l’esecuzione del mandato di arresto con riferimento alle legislazioni ove, pur non essendo previsto un massimo della durata della custodia de judicium, dal cui superamento derivi automaticamente la liberazione, siano previsti specifici meccanismi processuali comportanti un controllo sulla necessità della custodia funzionale al suo contrarsi o alla sua immediata cessazione,ancorate a prefissate scadenze cronologiche che rispettino l’art.18 lett.e) della L. 69/05. La ratio di garanzia insita nella norma è realizzata anche quando il limite massimo di custodia cautelare è posto dalla legge non direttamente ma mediatamente, attraverso la previsione di un controllo da instaurarsi entro un tempo inderogabile prederminato dalla legge, sempre che – ove il controllo non sia effettuato o conduca ad un risultato negativo – non si determini l’automatica liberazione dell’imputato.
***
Sul tema in generale G.Iuzzolino, Mandato di arresto europeo:siamo gli ultimi. Ecco come funziona nel testo dell’Unione,in Diritto & Giustizia,quotidiano di informazione giuridica on line 23.02.2005; ancora il più citato M.Chiavario, Punti a prima lettura sul mandato di arresto europeo,in Questione Giustizia, 12.09.2003.
Sotto un profilo generale, S. Cavini, La pubblica accusa nei diversi stati dell’UE. Breve rapporto sui principi vigenti in Italia, Francia, Germania,Gran Bretagna e Spagna,in Riv.Ital. Dir.pubbl. comunitario, 1999,p. 301 e seg.
*****
Subito dopo la nota sulla decisione della CGCE nella causa contro la Commissione per l’annullamento della decisione quadro sull’ambiente, aggiungiamo:
E’altresì da rammentare in ordine ai poteri degli organi di giustizia europei la decisione tribunale di i grado delle comunitàeuropee II sezine dle 12.12.2006 causa T-228/02, in base alla quale con riferimento al terrorismo le decisini comunitarie di congelamento dei fondi per contrastare il terrorismo in esecuzione del Regolamento CE 2580/2001 devono rispettare i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento comunitario di difesa e di diritto a effettiva tutela giurisdizionale e l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 254 TUE. Le istituzioni giudiziarie europee, ex art.46 e 35 Trattato UE non sono competenti ad annullare le posizioni comuni nell’ambito della politica estera di sicurezza comune, della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, salvo che non si realizzi uno sviamento di potere. Infatti nel testo motivo si afferma che la Posizione comune non é un atto del Consiglio adottato ai sensi del Trattato CEE soggetto, in quanto tale, al controllo di legittimità ex art. 230C, bensì un atto del Consiglio, composto da rappresentanti degli stati membri adottato in base agli’artt.15 UE che rientra nel Titolo V del Trattato UE, relativo alla pesca e 34 UE che rientra nel Titolo VI relativo alla GAI. Pubblicata in Guida al Diritto,n.1/2007,p.87 e seg., con commento di I.Ingravallo,Solo con l’obbligo di motivazione dell’atto possibile valutarne fondatezza e legittimità,p.97 e seg.
Ci permettiamo di rammentare ancora, sui rapporti diretti ad esempio anche fra gli uffici giudiziari, è stato semplificato l’iter della confisca dei beni dalla DQ 06.10.2006 n. 2006/783/GAI, sul tema del reciproco riconoscimento che dovrebbe diventare in base al Considerando della DQ il fondamento della cooperazione giudiziaria dell’Unione, tanto in materia civile quanto in materia penale e nellasoecie per quanto riguarda la confisca,istituto di diritopenalesostanziale. Si rinvia al testo. Interessante è l’art.8 che fra i motivi di non riconoscimento dlela richiesta di confisca indica il ne bis in idem al comma II lett. a) ovvero i casi relativi ai fatti che non costituiscono reatoperv lo stato di esecuzione,con la consueta ed analoga eccezione in materia di tasse,imposte,dogane e cambio: utilizza la stessa espressione “non impone lo stesso tipo di tasse o imposte,non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio della legislazione dello stato di emissione”. Compaiono anche alla lettera f) le clausole analoghe a quelle della DQ in commento “in tutto o in parte nel territorio o in luogo assimilato” ovvero al di fuori del territorio con lo stato di esecuzione che non consente l’azione penale per rati commessi al di supori anche del suo territorio. Si rinvia al commento di G. Iuzzolino,Principio del mutuo riconoscimento esteso a tutti i proventi dello stato, in Guida al Diritto, n.1 gennaio-febbraio 2007,p.74 e seg,; M. Castellaneta, Cooperazione penale in attesa di Tampere la Commissione fa il punto della situazione, in Guida al Diritto n. 4 luglio-agosto 2006 p.24 e seg; S.D’Ambruoso, Decisione quadro sul reperimento di prove. Possibile lo scambio diretto senza rogatoria, in Guida al Dirito n. 4/2006 ,p.28 e seg.,previo commento della Decisione Quadro sul mandato europeo di ricerca delle prove,in altra sede del presente commento riferita.
Sempre in tale panoramica sull’ampia materia, si ricorda il Reg. CEE 15.03.2006 n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio 15.03.2006 istitutivo del Codice comunitario sul regime di attraversamento delle frontiere dalla parere delle persone (Codice frontiere Shengen) in GUCE 14.04.2006 L105, commento di C. Favilli,Un’armonizzazione delle procedure appese all’iter delle adesioni,Guida al Diritto n. 3maggio-giugno 2006,p. 39 e seg. Ancora più in generale,U.Villani,Per un’efficace lotta contro il terrorismo misure in linea con i diritti umani, in Guida al Diritto n. 1 gennaio-febbraio2007, p.8 e seg; R.C.Panico, Costituzione europea un nuovo trattato per riprendere il cammino delle riforme,in Guida al Diritto,n. 4 luglio-agosto 2006,p. 9 e seg. Per un corretto quadro dello stato delle ratifiche sul Trattato. Più in generale sul tema della corruzione, per un monitoraggio sulle sanzioni e un raffronto sinteticamente comparatistico, M. Castellaneta, Corruzione: nel rapporto comparativo dell’Ocse più ombre che luci nelle leggi di attuazione; L: Borlini,Una convenzione ONU a trecentosessanta gradi,ma l’Italia tarda nella ratifica,in Guida al Diritto n. 4/2006, p.13 e seg. Per un tema che meritevole di ampio approfondimento in separata sede, vale a dire la forza di resistenza del giudicato prima ancora che i criteri per affermare di essere in presenza del giudicato ai finirle ne bis in idem, concerne la più ampia problematica, agli effetti delle decisioni della Corte Suprema di Strasburgo sulle decisioni di diritto interno., A tale proposito si rinvia a M. Catellaneta,Guida al Diritto n. 6 novembre-dicembre 2006,p. 12 e seg, Consiglio d’Europa un monito all’Italia per la reale attuazione delle sentenze. Sul tema i precedenti sono limitati: Cass. In. 35616/2005 prendeva in esame la possibilità interna di applicare immediatamente la decisione della Corte di Strasburgo,preclusiva dell’esecuzione di una sentenza di condanna emessa a conclusione di un processo giudicato non equo,anche in assenza nell’ordinamento nazionale di una norma ad hoc che consenta di sospendere l’esecuzione e dare ingresso a un nuovo processo;più i recente la App.Bologna,con ordinanza 22.03.2006 che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 lett.a) c.p.p. nella parte in cui esclude dai casi di revisione l’impossibilità che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza definitiva della Corte europea che abbia accertato l’assenza di equità del processo,ai sensi dell’art. 6 della Convenzione sui dì Diritti dell’Uomo,per contrasto con gli artt.3,10 e 27 Cost.
Va infine segnalata la Cass.I pen,12.07-03.10.2006 n. 32678 in Guida al Diritto n. 6/2006 p. 18n e seg che stabilisce che il giudice nazionale sia tenuto a conformarsi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo anche se comporta la rimessa in discussione – attraverso il riesame o la riapertura dei procedimenti penali –dell’intangibilità del giudicato. Il principio affermato è che si è in presenza di un obbligo di restitutio in integrum obbligazione dello stato inadempiente cui può fare seguito una pro9cedura di infrazione; ma il legislatore italiano, accettando incondizionatamente il vincolo delle sentenze della Corte di Strasburgo, ad esempio con L. 15.12.2005 n. 280 (in vigore il 06.01.2006) di ratifica senza riserve del protocolloo14 della Convenzione nonché L.09.01.2006 n. 12 disposizioni i in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Giudice sarebbe tenuto a conformarsi alla decisione della Corte con cui è stato riconosxci9uto che il processo celebrato in absentia è stato non equo. Il diritto ad un nuovo processo non può essere negato escludendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea,ratificata con legge 04.08.1955 n.848,né invocando l’autorità del pregresso giudicato in ordine alla ritualità del giudizio contumaciale in base alla normativa vigente del .p.p.
Si rammenti ancora l’art. 698 comma I (altri casi di revisione) incluso nel secondo progetto di riforma del c.p.p. della Commisione Dalìa, ora recepito nell Atto Camera 323: la revisione può essere altresì richiesta se il processo definito con sentenza di condanna,sentenza di applicazione di pena concordata tra le parti o decreto penale di condanna è stato ritenuto ingiusto dalla Corte Europea,perché lesivo dei diritti minimi dell’uomo come specificato dall’art.6 della Convenzione resa esecutiva dalla L.08.08.1955 n. 848. Si é fatto questo riferimento in quanto sorge anche per il mandato di arresto il problema della condizione come motivo di adesione alla richiesta di mandato di arresto sotto il profilo della garanzia della sottoposizione a nuovo procedimento o a giudizio di revisione cui si è fatto cenno in premessa.
In generale si ricorda A. Mangiaracina, L’esecuzione condizionata della richiesta di estradizione, cit, sui temi della condanna in absentia; M. Chiavario,Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale a livello europeo,in Riv.it. Dir. e proc.pen 2005, 3,974 ;E.Mezzetti,Qualegiustizia penale per l’Europa? Il Libro Vrede sulla tutela degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di un PM europeo, in Cass.pen 2002;N.Mazzacuva, a proposito di interpretazione creativa tra diritto penale, principi costituzionali e direttive comunitarie,in www.giurcost.org; G. Deamicis, Problemi e prospettive della cooperazione giudiziaria penale in ambito europeo, forme e modelli di collaborazione alla luce del Titolo 6 del Trattato di Amsterdam,in Giur, Merito,2002, 290; G Iuzzolino, Mandato di arresto europeo,cos’è, come funziona e quando si appicherà,in D & G n. 46/2003;Cooperazione internazionale e mandato di arresto europeo,un’esposizione organica delle norme comunitarie, in D&G 15/2003,p.2417 e seg.; G.Lattanzi, La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria,in Documenti Giustizia,2000 n. 6,p.2429; E.Paciotti, Nota sul mandato di arresto europeo, in Giustizia e Diritti dei Cittadini, Delegazione DS, Gruppo PSE al Parlamento europeo; F.Prato, introduzione a incontro di studio 10-12.11.2003 CSM Roma “Relazioni con altri accordi e convenzioni internazionali alla luce della decisione quadro sul mandato di arresto europeo. Modalità di utilizzo del SISc edelservizio Interpol; O Villoni, Forma,contenuto e modalità di trasmissione del mandato di arresto europeo,in Cooperazione giudiziaria Europea,dall’estradizione al mandato di arresto europeo-Incontro di Studio CSM Rom a10-12.11.2003. Ancora, M Dugnani, European evidence warrant, in Diritto & Diritto,portale giuridico diritto.it 07.02.2007; G.Nicola, il ne bis idem nel mandato di arresto europeo tra motivi obbligatori e facoltativi di rifiuto, in Diritto & Diritto,portale giuridico diritto.it, il quale suggerisce che per sentenza definitiva si intenda la sentenza prevista dalle leggi dello stao membro di condanna; non solo quindi in attinenza all’esecuzione della sanzione, a anche in relazione alla definitività della pronuncia. Sull’art. 4 n. 2 l’Autore osserva che se la prima parte della disposizione è riferibile a sentenze di non luogo a procerere e provvedimenti di archiviazione che se emessi da un giudice italiano possono compromettere la consegna,la seconda parte è problematica: in effetti M.R.Marchetti, L’esecuzione del mandato di arresto europeo,cit, in chiave decisamente critica, ritiene che la disposizione è sovrapponibile a quella dell’art. 3 n. 2;tuttavia si potrebbe ritenere che quest’ultima contempli esclusivamente le sentenze definitive di condanna che porterebbero a un rigetto obbligatori della richiesta.la prima sarebbe invece a disciplinare il ne bis in idem in relazione alle sentenze di assoluzione; in tal caso il rifiuto della consegna sarebbe facoltativo:ma la soluzione interpretativa non appare soddisfacente,dato che l’art. 3 n. 2 non può che riguardare tutte le decisioni definitive, sia di condanna che di assoluzione. Ne sarebbe incluso anche il patteggiamento. Peraltro secondo Marchetti o talaltra decisione definitiva èperv gli stessi fatti chebosta al’esercizio di ulterioriazioni costituisce una fattispecie estranea al nostro ordinamento processuale (si veda l’art. 74 n. 1 c.p.p. olandese). Selvaggi in, Il principio del ne bis in idem in ambito europeo,C.P.2003,p.1699 e seg.sirigferisce a quell’ipotesi in cui la pena non sia stata espiata competamente o all’ipotesi che precede come alle sentenza di asoluzione. Secondo l’A.l esolusione aben vedere potrebbero essere altre; ad esempio ripetere che la sentenza di condanna defintiva per lo stesso fatto degradi da obbligatoria a motivo facoltativo di rifiuto nel caso in cui la pena nonsia stata espiata. Non sempre che l’art. 4 n. 2 II parte reveda iptesi estranee al nostro ordinamento; rientrerebbe in tale fattispecien ilmnostro decreto penale ndi condanna,escluso della’rt. 3 n. 2 che b si riferisce unicamente alle sentenze pronunciate in giudizio. L’art., 4 n.2 potrebbe riferirsi ai riti speciali che eliminano il dibattimento come avviene nel procedimento per decreto. IL ne bis in idem disciplinati dall’art. 4 n.5 prevede un rifiuto discrezionale della consegna;la formulazione éidenrtica a quella dell’art.3 n.2 ma nessuno ha sostenuto che soltanto le sentenze definitive di condanna per gli stessi fatti emesse in stati terzi ostino facoltativamente alla consegna. Il tutto (osserva Nicola) a riprova cheb l’art.3 n.2 siriferisce a tuttev le sentenze defintive emesse in giudizio sia di assoluzione che di condanna ,mentre il4 n.2 sembrerebbe disciplinare tutte le ipotesi in cui la pronuncia definitiva sian stata emessa aldi fuori del dibattimentoi,oltre aicasi in cui la pena inflitta non sia stataeseguita. In tema S.Farinelli, Sull’aploicazione del principio dlene bis in idem ta gli ststi membri della comunità europea,RDI, 1991,p.896 in relazione all’analogo art. 1 della Convenzione di Bruxelles del 1987; G.De Donato,Dall’estradizione al mandato di arresto europeo. Problemi processuali e prospettive del nuovo strumento diconmsegna, CSM incontro n. 781 in sito www.csm.it.
Ancora, per un ampio approfondimento della giurisprudenza intervenuta in Italia,su cui si tornerà sinteticamente in calce al commento,va ricordato F. Cavallini, Mandato di arresto europeo, la Cassazione si esprime sull’automaticità dell’arresto derivante dalla segnalazione per mezzo elsistema informazioni Schengen,a commento della sen. 15.06.2006 Cass.VI sezione n.20550; dello stesso autore, Il problema degli allegati al mandato di arresto europeo nella legge di recepimento Italiana, commento a Cass VI 29.09.2006 n.32516 . Entrambi gli articoli in Diritto & Giustizia.
Sulla questione di costituzionalità,sottoposta ex art.3 Cost.per differente disciplina rispetto all’art.716 c.p.p.perv l’estradizione la Corte non ha ritenuto fondata la questione,assumendo la linea delle consolidate interpretazioni dottrinali; la segnalazione del mandato di arresto al SIS ha valore di domanda di arresto provvisorio; l’art.9 della DQ richiama l’accordo di Shengen del1990, dove all’art. 64 vi è,l’equiparazione della segnalazione tramite SIS alla domanda di arresto provvisorio a fini estradizionali,secondo l’art. 16 della Conv. europea di estradizione. La suprema Corte, proprio in conseguenza del richiamo all’art. 16 afferma che proprio il SIS sconta una valutazione di urgenza rimessa all’autorità emittente. IL requisito di urgenza è implicitonell’art. 1 1senz anecessità di specifiche indicazioni. Per l’art. 13 Cost. si precisato cheb l’arresto provvisorio ivi disciplinato è di iniziativa della PG mentre nel caso del mandato di arresto europeo si trata di esecuzione di provvedimento straniero il cui valore di esecutività è recepito attraverso lamlegge 69/05. L’art. 3 Cost., a differenza che per il regime dell’estradizione,basata sulla convenzione, non è vulnerato essendo superato il previgente sistema nell’elevato livello di fiducia fra gli stati. Sul punto ancora si rinvia a E. Selvaggi, Il mandato europeo di arresto alla prova dei fatti,Cas. Pen 2002,p.2980;V. Grevi, Il mandato di arresto europeo tra ambiguità politiche e attuazione legislativa,Il Mulino,2002, p. 125; F.Prato, relazioni con altri, accordi e convenzioni internazionali alla luce della decisione quadro sul mandato di arresto europeo.Modalità di utilizzo delSIS e del servizio Interpol,2003,www.csm.it.
Con la Cass.29.09.2006 riemerge il problema relativo alla discrepanza del testo legislativo con la DQ in sede di recepimento, per quanto riguarda la relazione richiesta dei fatti addebitati alla persona, richiesta in consegna di cui si è già detto. Nel comma III dell’art. 6 della L.69/05 ilcui esclusivo richiamo a una sentenza di condanna a pena detentiva è a ciò solo limitato,escluderebbe le sentenze di proscioglimento che infliggono misure di sicurezza che infliggono misure di sicurezza privative della libertà personale, che in base all’art. 1 comma III potrebbero poste a base di un mandato di arresto europeo. L’art.8 e l’allegato alla DQ prevedono solo l’indicazione del provvedimento, come al comma 1 punto c) dell’articolo,dati i connotati di euroordinanza che si basa sulle informazioni previste nella DQ. L’allegazione sarebbe effettivamente necessaria per la verifica sulla motivazione del provvedimento cautelare, secondo l’art. 1 combinato con l’art. 18 lett.t) oltre che come sussidio alla verifica della firma, a monte, di un giudice e della definitività della sentenza.
L’espressione “inerenza ai fatti addebitati” non consentirebbe una sua estensione alle sentenze definitive di condanna. Rispetto al 700 c.p.p. la L.69/05 richiede di indicarsi le fonti di prova,cosa che nel sistema precedente era necessario per l’estradizione in assenza di convenzione, per consentire la verifica dei gravi indizi di colpevolezza ex art.705 c.p.p.
Si sarebbe però perso di vista che nel sistema estradizionale tra i paesi EU basati sulla convenzione di estradizione non era previsto l’esame degli indizi di reità a base del titolo estradizionale (art.12 comma II lettera a); né l’applicazione dell’art.273 c.p.p.che lo prevede per l’emissione delle misure cautelari per l’espressa esclusione imposta dall’art. 714 comma II c.p.p.,essendo sufficiente l’accertamento dell’identità e l’esistenza del titolo. I concetti di pena inflitta, se vi è una sentenza definitiva ovvero negli altri casi,pena minima e massima stabilita dalla legge dello stato di emissione saranno necessarie per il controllo sufficiente previsto dal testo europeo,che si baserà sulla scienza penalistica e sulle leggi dello stato richiedente oltre che per verificare se il caso rientri o meno nell’abito di applicazione dell’art. 2, 7 e 8 della L.69/05. Le previsioni del punto c) potrebbero essere intese come riferite alle informazioni personali (sesso, data e luogo di nascita, lingua,segni particolari o descrizione fotografica,digitale,profilo DNA previsti dall’allegato) qualora l’emittente ne fosse a conoscenza e fosse nella possibilità. Se vi fosse il,segreto istruttorio, tuttavia,tutti questi documenti (ad esempio le fonti di prova),oltre a quelli richiesti ex art. 16 (ad esempio per la valutazione dell’incidenza delle aggravanti ex 7 comma III o valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ex art.17 comma IV o valutazione delle eventuali scriminanti ex art.18 comma I)m potrebbero rivelarsi problematiche.
Il legislatore italiano con l’art. 6 avrebbe introdotto una vera e propria fase preliminare della procedura di consegna rivolta a verificare le condizioni formali del mandato di arresto europeo e la presenza della documentazione ai sensi della legge italiana.
La Corte di Appello di Bari aveva rigettato la richiesta,mancando le indicazioni previste dall’Italia. La Corte di Cassazione confermava l’appello .A. Scalfati, La procedura passiva di consegna, in Diritto penale e processo n.8/2005 nota 11; De Amicis-Iuzzolino, Al via in Italia il mandato UE,in Diritto e Giustizia,19,2005; E.Calvanese-De Amicis, Mutuo riconoscimento solo nelle intenzioni,Guida al Diritto n. 19/2005,p.77; E. Bruti Liberati,Un mandato di arresto europeo che tradisce i principi comunitari, cit.; G.Iuzzolino, Mobilità del crimine organizzato e strumenti di cooperazione giudiziale in ambito europeo dall’estradizione al,mandato di arresto europeo,2005,www.csm.it; E.Selvaggi, La sovrapposizione all’estradizione non cancella le incertezze applicative, in Guida al Diritto; D. Cardile, Il mandato di arresto europeo,in www.dirittoegiustiziaonline.it; C.M.Capristo,Tempi e effetti della consegna: principio dizspeialità. Periodo di custodia scontato nello stato di esecuzione,in Incontro distudio CSM,Roma 4-6.04.2005,in Quaderni CSM, 2005.Per considerazioni de jure condendo sull Libro verde, sui conflitti di giurisdizione e il principio del ne bis in idem nei procedimenti penali, B.Piattoli, http\eu.europaeu. Lo studio nell’ambito del dipartimento di scienze giuridiche economiche dell’Università del Piemonte esamina il progetto di istituzione di un sistema per comporre i conflitti in ambito UE nella prospettiva di una cornice normativa comune per il riconoscimento di un ne bis in idem che operi in prevenzione e no successivamente,dell’effetto di autorità negativa del giudicato penale.. Il problema è quello riaccettare la rinuncia all’esercizio penale che è una delle linee portanti del presente commento,relativo all’efficacia preclusiva delle decisioni penali pronunciate in uno stato membro, anche sotto il profilo dell’Eventuale alternativo esercizio della giurisdizione sulla base dei principi tipici dei codici penale dei paesi membri. In tale prospettiva verrebbero superati i casi di rifiuto al mandato previsti dalla DQ in commento. La Commissione ha proposto uno scambio di dati e informazioni sui procedimenti in corso e un ruolo di Eurojust, i prinicpii di legalità dell’azione penale e di naturalità del giudice, la composizione dei conflitti e il controllo giurisdizionale, il ne bis in idem:concetto di idem e tipologia nelle decisioni finali.
La finalità comparatistica sarebbe quella di giungere alla possibilità di escludere che eventuali accessori e caratterizzazioni di tipicità penale possano escludere la prevalenza di una giurisdizione, previo accertamento della corrispondenza dei fatti nella loro concreta materialità, indipendentemente dalla loro corrispondenza di qualificazione giuridica in conformità con quanto affermato dalla CGCE del 09.l03.2006 in causa C-436/04. IL giudicato pererebbe per le sentenze definitive rese in un procedimento penale di tipo estradizionale, ma anche nelle decisioni conclusive dei transactiv system, previsto nelle legislazioni di taluni stati membri,come pronunce giudiziali, procedure di estinzione dlel’azione penalea prescindere dalla circostanza che necessiti o meno l’intervento di un giudice. Si pensi alla CGCE 11.02.2003 in C.187 e C385/01, riunite GUUE 05.04.2003). Diversamente la transazione penale sarebbe un istituto vano in quanto per in reati più lievi, non costituendo giudicato verrebbe evitata, mentre soltanto per i fatti più gravi opererebbe il vincolo del giudicato. Sempre in generale sul problema, merito di cenno ha A. Barletta, La decisione quadro sul mandato di arresto europeo, il dibattito,l’impatto e le prospettive dell’adeguamento, cit.;M. Delmas-Marti, Verso un diritto penale comune europeo, in Riv.it. dir e proc. pen,1997, p.543 e seg.; S.Manacorda, L’union européenne et le droit penal….,2002,p.95 e seg; N.Galantini,Una nuova dimensione per il ne bis internazionale, in Cass. pen 2004,10,3474pewr un’ampia panoramica sui rapporti tra il ne bis in idem internazionale e il principio del mutuo riconoscimento delle sentenze penali straniere, ad integrazione nell’altro lavoro di M.N. Galantini, L’evoluzione del principio del ne bis in idem europeo tra norme convenzionali e norme interne di attuazione, già citato, in Quaderni CSM 2005;S. Cavini, La pubblica accusa nei diversi stati dell’UE;breve rapporto suoi principi vigentiin Italia,Francia Germania Gran Bretagna e Spagna, in Riv.Ital.Dir. pubbl. comunit.,1999,cit;M. Chiavario, Appunti a prima lettura sul mandato di arresto europeo, in Questione giustizia,2003;F. Consulic,”Materia penale” e tutela dei beni giuridici nello spazio unitario europeo (il paradigma sanzionatorio tre definizioni formali e definizioni sostanziali),in Riv.Dit.pen.econ.,2005,p. 64 e seg. ,che costituisce un lavoro fondamentale per l’inquadramento dei temi in commento nella più ampia panoramica della nozione di illecito penale che viene in modo acritico data per presupposta dalla DQ sotto il profilo di un’ ipotetica soluzione e di un’ipotetica affidabilità del puro disvalore penale indipendentemente dalla struttura e dai caratteri della sanzione. L?Autore opta per una combinazione fra una definizione sostanziale e formale della materia penale,con particolare riferimento alla libertà, alla limitazione della libertà personale che invero parzialmente sembra sussunta nella DQ. Come primo commento E. Calvanese e G. Deamicis, Via libera dell’assemblea di Strasburgo al mandato di cattura formato Europa,degna di nota,in Guida al Diritto,16.02.2002,p.104,anche ricompressa in Quaderni del CSM,cit,p. 2323 e seg. In generale John A.E. Vervaele, L’europeizzazione del diritto penale e la dimensione penale dell’integrazione europea, in Riv. Trim.dir.pen.econ.,2005,p.128 e seg,; S.Riondato, L’influenza del diritto comunitario sul diritto penale societario (il caso Berlusconi e aa.)in Riv. Trim.dir.pen. econ., 2005,p.372 e seg.. Con riferimento ai profili di interferenza fra le convenzioni,le normative nazionali e i rapporti fra le normative nazionali in termini di qualificazione anche con riferimento al catalogo dei 32 reati si rammenti Cass. pe., SSUU 10.07.2002 più volte citata,pubblicata in Dir.Pen e processo, 3/2003,p. 295 eseg.,con commento di R.Bartoli, da pag. 302 e seg. Ci permettiamo di rinviare anche ai nostri lavori rassegnati in bibliografia sul punto.
Sncora S. Riondato, Diritto penale tra globalizzazione e multiculturalismo, recenti novità legislative in tema di opinione,religione,discriminazione razziale,mutilazione genitale femminile, e personalità dello stato, per testo di seminario Discriminazione razziale,xenofobia e odio religioso: diritti fondamentali e tutela penale,Padova 24.03.2006; Nullum crimen sine lege, tra riforma del codice penale italiano ed esigenze di una parte generale europea, in Symposium,24.05.2002,Università di Graifswald (RFT); A.Bernardi, Commento all’art. 7 in Commentario alla convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a cura di S. Bartoli, B.Conforti e G. Raimondi, Padova, CEDAM,2006; S. Riondato, Legalità penale versus prevedibilità delle nuove interpretazioni, novità dal Corpus Juris 2000,in -Riv. Trim.Dir.Pen. econ.2967; Profili procesual-penalistici del diritto comunitario in Dir.pen econ. N.34/2004, testo di relazione al convegno Il processo europeo e i processi nazionali, Treviso 07.10.2004; Dal mandato di arresto europeo al Libro Verde sulla garanzie della Costituzione europea: spunti sulle nuove vie di affermazione del diritto sostanziale europeo, Riv. Trim. Dir. pen. econom., n.34/2004. Più in generale, M. Lugato, La tutela dei diritti fondamentali rispetto al mandato di arresto europeo, in Riv. Dir Internaz. 2003,I,27, la quale sottolinea la diversità interpretativa dei giudici che ricostruiranno diversamente fra i vari paesi i motivi di rifiuti all’esecuzione del mandato,con disomogeneità applicative della DQ; P. Balbo,Il mandato di arresto europeo,baricentro tra mutuo riconoscimento penale,virtuale e reale, Relazione al convegno Integrazione europea e cooperazione giudiziaria in materia penale,Roma 17.06.2005; sempre nella linea dell’orientamento a lettura debole in termini di non avvenute modifiche sul regime di extraterritorialità da parte della DQ e dell’istituto si rammenta la precisa e dettagliata relazione di L. Salazar, La decisione quadro sul mandato di arresto europeo:genesi,contenuto e finalità del sistema normativo, in incontro di Studio CSM, Cooperazione giudiziaria europea, dall’estradizione al mandato di arresto europeo,Roma, 10-12.11.2003. Dalla lettura cd. debole l’Autore trae che se ad esempio un giudice spagnolo o danese potrà venire a conoscere di fatti di reato commessi in Italia o in un altro stato membro,continua ad appartenere esclusivamente alle disposizioni dei codici di tali paesi e, diversamente, a quelle previste dagli artt. 9 e 10 del nostro c.p. senza che su di esse la nuova decisione quadro sia venuto ad esplicare effetto veruno. Solo una volta che tale competenza legittimamente sussista e sia stata verificata in virtù di disposizioni interne ed eventualmente di altri strumenti internazionali ed europei, il provvedimento emanato conoscerà allora una procedura di esecuzione sicuramente accelerata rispetto all’estradizione,che verrà comunque sottoposto a una minore –ma comunque non assente – forma di controllo da parte dell’autorità giudiziaria dello stato membro di esecuzione. L’Autore cita G. Vasalli che a differenza di M.Gallo non ritiene il principio di doppia incriminazione principio costituzionale nel nostro ordinamento. Salazar osserva che la già avvenuta armonizzazione fra le fattispecie, la cui mancata corrispondenza ha sollevato dubbi costituzionalistici sulla determinatezza della fattispecie penale, sarebbero già armonizzate le prime tre fattispecie di cui alla lista dell’art. 12. L’Autore rileva anche la possibilità di un impiego parziale di un mandato in caso in cui una persona sia ricercata per una pluralità di reati o sia necessario procedere con più andati magari in paesi diversi. La questione si ricollega all’estradizione cd. accessoria per altri reati menzionati nel mandato ma la cui soglia di pena massima risultasse inferiore a quella contemplata dall’art.2 DQ. Allo stato la questione potrebbe risolversi positivamente ex art. 27 dello strumento,in base al principio di specialità in termini tradizionali. nei casi di rifiuto in materia di ne bis in idem in relazione al coordinamento con il corrispondente art. 5 della Convenzione di Shengen alla luce della Corte di Giustizia dell’11.02.2003.
Cassetta 10 e 11 conclusione
Giunti a questo punto del commento due sono ancora gli istituti che meritano trattazione specifica. Il primo é contenuto sia nella DQ che nella legge nazionale attuativa e concerne sia l’istituto dell’amnistia che quelli più ampliamente clemenziali, come vedremo, il secondo concerne la prescrizione del reato e della pena intesa in senso ampio ed elastico (come si vedrà).
Il secondo ordine di istituto è già stato oggetto di alcuni cenni in fase introduttiva ma merita una precisazione essendo strettamente collegato agli affetti sostanziali del ne bis in idem e del principio ideale di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
La trattazione congiunta e collocata a questo punto del commento si impone in ragione della caratteristiche del titolo delle estese informazioni in questa sede.
L’accostamento al problema delle questioni di diritto pena sostanziale, vale a dire gli effetti in termini di diritto penale sostanziale interno, conseguenti all’adozione –così come riversata nell’ordinamento italiano –della DQ in commento, in ordine alla sua attribuzione di rilevo nell’ordinamento sul presupposto dell‘esistenza di una decisione giurisdizionale collocata nel contesto dell’esercizio di un’azione penale ovvero nella esecuzione di un sentenza passata in giudicato emessa dall’AG dello stato membro, estende necessariamente la discussione al problema del riconoscimento e degli effetti dello stesso sulla decisione straniera nell’ipotesi del mandato di arresto limitata a quella emessa da uno dei paesi membri.
Nella prima fase del lavoro, in sede di introduzione al commento, si era alluso a uno dei principali effetti di diritto sostanziale quasi a carattere abrogativo derivanti dal mandato di arresto europeo (ovvero dalla sua disciplina) . Si era trattato degli artt. da 6 a 11 del c.p. dimostrando come essi fossero incisi dalla disposizione vieppiù alla luce della legge 69/05. Va aggiunto a tale specifico aspetto che qualora si intendesse ritenere plausibile le osservazioni che abbiamo effettuato (e su cui, sia pur a fini di inquadramento più generale delle tematiche, di qui a poco, tratteremo) che ulteriore questione è costituita da un’ipotetica diversità di trattamento quanto all’applicazione del codice penale ai soggetti che non appartengono al contesto comunitario ed europeo. Non distinguendo il c.p. fra cittadino europeo e straniero, lo straniero non europeo che commettesse un rato comune al di fuori del territorio nazionale, punito severamente (limite di anni tre, salvo un limite più basso, regolato dalle disposizioni codicistiche –ad esempio l’art. 9) potrebbe essere soggetto all’applicazione del diritto penale italiano a differenza di quello comunitario, per il quale cause legittime di opposizione al rispetto del giudicato (ad esempio di altro paese europeo) non consentono la rinuncia alla giurisdizione italiana, già incisa –appunto dalle disposizioni europee.
Qui in realtà ci si avvicina a un problema più complesso. Se si fosse in presenza di un duplice andamento derogatorio rispetto ad un principio generale, enunciato a livello codicistico, derogato per gli stranieri rispetto ai cittadini italiani e a sua volta derogato, sempr edal c.p. per entrambi, per i reati commessi al di fuori del territorio, ci si troverebbe altresì in presenza di un’ulteriore deroga specificativa da parte della disciplina sull’euromandato.
Ad esempio, con riferimento alle norme considerate eccezionali o singolarissime (corte cost. 69/65;110/75;144/83) e non estensibili analogicamente, si deve fare ricorso a passaggi logici come la verifica di una sussistenza analogica (od omogeneità) delle fattispecie raffrontate, identificando in una delle fattispecie l’elemento diversificatore riconducile alla ratio della norme che disciplina diversamente e, quindi, un corretto nesso di differenziazioni, ragione che la giustifica sia sotto il profilo delle implicazione analitica sia sotto il profilo causale. Può essere così valorizzato l’elemento peculiare della fattispecie, purché la ragione della differenza trovi razionale giustificazione nel fine.
Ancora, per altro profilo, è appena il caso di ricordare la più peculiare giurisprudenza (Cons. Stato, IV 05.07.1995 che sottolinea come l’abrogazione tacita di una norma sia da dedursi dalla diretta incompatibilità logica, dall’impossibilità di coesistenza della norma nuova con l’antica sullo stesso oggetto, per l’assoluta contraddittorietà delle due disposizioni, ovvero dal fato che la nuova legge regola la intera materia anche se in modo non del tutto incompatibile con la singola norma precedente e ciò perché la disciplina complessiva importa il coordinarsi delle varie disposizioni di cui essa consta in un insieme ordinario che non tollera contaminazioni con norme logicamente ispirate a principi diversi. Aggiungeremmo noi, anteriori.
Veniamo all’istituto dell’amnistia e delle prescrizione.
Una premessa meritano le puntuali osservazioni di E.Barbé (Il preambolo della DQ istitutiva del mandato di arresto europeo, in Mandato di arresto europeo, a cura di Bargis-Selvaggi, da pag. 105 e seg.) il quale ci informa di una pubblicazione inedita relativa alla guida pratica comune sulla redazione dei testi legislativi in seno alle istituzioni comunitarie, a fronte dei servizi giuridici del Consiglio della Commissione e del parlamento europeo (doc.16.05.2000). Gli atti comunitari di portata generale, ai fini del controllo giurisdizionale debbono possedere una motivazione; seguono una struttura tipica: il titolo, il preambolo, il dispositivo e, all’occorrenza, gli allegati. I Considerando di cui si è diffusamente parlato hanno lo scopo di motivare concisamente le disposizioni essenziali senza riprodurle; non comporterebbero disposizioni di carattere normativo e sono formulati in linguaggio non imperativo. La motivazione serve altresì a far conoscere le condizioni nelle quali l’autore dell’atto ha esercitato la competenza, dando altresì possibilità alle parti di difendere i propri diritti e quindi alla Corte di giustizia di esercitare il controllo sulla motivazione cui il preambolo appartiene. Barbé su queste basi e con riferimento al mandato di arresto europeo attribuisce un peculiare rilievo, nelle specie, agli atti di preambolo, in quanto in essi sarebbero (nel caso di specie) confluite quelle parti sulle quali non vi era unanimità per inserirle nel testo vero e proprio, per un verso, e sarebbero confluite espressioni diverse da quelle contenute nel testo (es. il richiamo ai principi ed ai diritti costituzionali,) in modo da – di fatto, soprattutto con riferimento alla base giuridica –profilare una coincidenza con gli stati che in ipotesi potrebbero contestare per il proprio ordinamento una diversificazione dell’attuazione e invece i paesi che hanno aderito unanimemente al testo.
In questa luce sembrerebbe che l’autore attribuisca una rilevanza esegetica agli atti di preambolo. Queste premesse sono necessarie per ricordare che l’art. 3 fra i motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato nella DQ include l’amnistia dello stato di esecuzione, previo accertamento della sua giurisdizione sulla persecuzione del reato secondo la propria legge. Fra i motivi cd. facoltativi vi è poi la duplice lettera – discutiamo della prescrizione – dell’art. 4 n. 3 e dell’art.4 n. 4 della DQ.
La decisione, in certuni paesi obbligatoria, in altri facoltativa, di non esercitare l’azione penale o di porvi fine può essere la conseguenza dell’intervenuta prescrizione del reato o della pena. Il problema apparirebbe non porsi nell’ipotesi in cui non vi sia giurisdizione dello stato di esecuzione, ma la prescrizione sia intervenuta, ad esempio,nello stato richiedente. In generale la prescrizione del reato o dell’azione penale vi é se gli effetti estintivi si sono verificati prima della sentenza di condanna definitiva e la prescrizione della pena se tali effetti si realizzano successivamente.
Diversissimi sono gli argomenti e le finalità poste a base dell’istituto:da quello retributivo (costituito dalla perdurante paura della pena) o general-preventivo (l’affievolirsi del bisogno di pena), special preventivo (interesse del reo a non rinnovare, esponendosi, l’illecito), la presunzione di ravvedimento con il trascorrere del tempo e il carattere processuale della fruita acquisizione della prova, l’irrazionalità e turbativa sociale di un’azione penale a lunga distanza dal fatto, la sanzione di una società incapace di una sentenza veloce…
In ogni caso si è bene osservato da A. Bernardi (Gli effetti della prescrizione, dell’amnistia sull’estradizione e sul mandato di arresto europeo, in Cass.pen 2005,11,3180 (Bernardi- C.Grandi)) lo stridere con i principi del diritto penale quali l’obbligatorietà, l’indefettibilità della sanzione, nonché con gli stessi caratteri in funzione della pena che emergerebbero in negativo dalle eventuali finalità prima rassegnate.
Il diritto italiano, anche se esclude la prescrizione della pena per reati gravi e per le recidive qualificate, per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, si diversifica da alcuni paesi di common law che la ignorano o ne circoscrivono il ruolo. In USA, fra l’altro, i reati non si prescrivono (ad eccezioni di speciali disposizioni); in Scozia la prescription non è applicabile (Cadoppi, Mc Call, Smith,Diritto penale scozzese, Padova 1995,p.130). Oppure vi è diversità di prescrizioni:in Francia dopo 5 anni ex art. 133 c.p. si prescrive un reato che in Italia si prescrive in dieci.
Per quanto riguarda l’amnistia: ad esempio la Spagna ed alcuni paesi anglosassoni e scandinavi non ammettono l’amnistia a carattere generale, ma solo grazie od altri istituti ad essa affini. Addirittura in Spagna la costituzione del 1978, non prevede l’amnistia, mentre vi è l’indulto totale o parziale in base ad una legge penale del 187, modificata nell’88. Vi sono paesi che prevedono forme di indulgenza solo per reati politici,osserva il Bernardi, e sistemi prevalenti che le estendono ai reati comuni.
Un’altra differenza concerne le procedure. In alcuni stati avvengono senza l’intervento dle parlamento o con uniter legislativo ordinario, oppure come in Italian con pro9cedure aì rafforzate in base alla riforma sull’amnistia della legge costituzionale 06.03.1992 n. 1
Così come per l’estradizione un’analoga forma di incidenza avverrà rispetto al mandato di arresto europeo per quanto riguarda lo spazio maggiore o minore riservato nei singoli stati ai suddetti istituti. Ciò dipenderà anche in genere dalla disciplina dello stato in cui esse siano intervenute, che è diverso da quello che formula richiesta di esecuzione della propria decisione giudiziaria. Si è già ricordato che vi sono alternative concezioni in ordine alla summa divisio tra le impostazioni che regolano il principio della doppia incriminabilità (se da intendersi in astratto o in concreto o in forma intermedia); di conseguenza, ad esempio, secondo l’accezione più restritiva del principio, affinché si possa dare esecuzione alla consegna, si ritiene che debbano sussistere nello stato richiesto tutte le condizioni necessarie non alla previsione astratta, ma alla effettiva erogazione della pena, non essendo sufficiente la presenza in ambedue di norme a sanzione penale sul fatto. Ma dovrebbero sussistere le condizioni di procediebilità, le condizioni oggettive di punibilità, non dovrebbero sussistere cause di giustifiucazione o estintive del reato o della pena, come la prescrizione l’amnistia.
Per una nozione, nvece, restitutiva, si ricordi G.A.De Francesco, Il concetto di fatto nella previsione bilaterale nel principio del ne bis in idem in materia di estradizioni, Indice penale 1981, p.623 e Pisa, Previsione bilaterale,cit. Per questi autori è sufficiente che il fatto integri gli elementi costitutivi di una fattispecie astratta ai sensi di entrambe le legislazioni, a nulla rilevando che nello stato richiesto vi sia la punibilità in concreto, vale a dire che essa sia esclusa da tali fattori o, se si vuole, dall’elemento psicologico.
La Convenzione di estradizione del 1957 prevedeva l’opponibilità della prescrizione all’estradizione (art.10), nel silenzio su, ad esempio, l’amnistia. Cosa che fece ritenere di considerarla ininfluente sul requisito della doppia incriminazione ai fini dell’estradizione. Ma l’amnistia è stata poi contemplata dall’art. 2 del protocollo addizionale alla convenzione per l’estradizione del 1975 per chi fosse stato condannato definitivamente e la pena gli fosse stata graziata o amnistiata; ciò tuttavia era specificazione del princiupio del ne bis in idem.
Il secondo protocollo addizionale alla Convenzione di estradizione del 1978 ha modificato l’impostazione riconoscendo all’istituto in generale dell’amnistia un’efficacia preclusiva alla condizione della competenza dello stato richiesto secondo la legge penale propria a procedere. Tuttavia nella Conv. sull’estradizione del ’57 l’estadizione per reato prescrito era negata anche qualora lo stato richiesto non avesse la giurisdizione sul fatto, con riferimento a quello che abbimo definito non come un principio di doppia punibilità o incriminabilità, ma clausola di attribuzione di rilevanza al disvalore penale per difetto di equivalenza.
La prospettiva veniva rovesciata con la Convenzione sull’estradizione del 1996 che confermava la disciplina in materia di amnistia del 1978 e negava alla prescrizione il ruolo di legittimo motivo di diniego, limitando l’opponibilità al solo caso in cui vi fosse la giurisdizione dello stato richiesto. L’unico criterio era quello della giurisdizione in astratto dello stato richiesto indipendentemente dall’effettivo esercizio dell’azione penale da parte delo stato medesimo (ovviamente ciò si spiega con riferimento all’inesistenza di un obbligo di esercitare un’ azione penale nell’ipotesi di estinzione del reato, anzi, diremmo noi, alla presenza del divieto). La sostanza attribuita all’amnistia, un efficacia impeditiva maggiore rispetto all’estradizione, si è poi confermata nel mandato di arresto europeo che come detto la prevede come motivo obbligatorio di rifiuto e facoltativo per quanto riguarda la prescrizione. La DQ sembra escludere che possa opporsi l’intervenuta prescrizione secondo le leggi dello stato richiesto qualora i fatti non rientrino nella competenza di tale stato membro in virtù del proprio diritto penale. La DQ, che avrebbe secondo Bernardi potuto evitare un’indagine circa gli elementi del fatto rilevanti a tale fine, nei casi in cui il requisito della doppia punibilità non è più necessario (per le 32 ipotesi di reati); diversamente la DQ ha espresso la capacità impeditiva di amnistia e prescrizione anche per la lista, con un forte discostsamento rispetto alla proposta di decisione quadro presentata dalla commisione che escludeva l’efficacia impeditiva della prescrizione.
In definitiva la DQ rimette alla normazione del paese richiesto l’intera disciplina dei casi e delle modalità della prescrizione, nell’ipotesi in cui chiaremate essa dichiari la propria giurisdizione sui fatti per cui riceve da un altro paese una domanda di arresto.
Va però ricordato quanto espresso ad esempio a proposito degli artt. 9 e10 del c.p. nell’introdozione. Il cittadinoi taliano che commette un delitto comune all’estero, salva la reclusione minima di tte anni e salva la condizione di procedibilità della richiesta o della parte offesa per i reati meno gravi o lo straniero (e quindi anche l’europeo) che commetta all’estero, nello spazio europeo o fuori di esso un delitto comune a danno dello stato o di un cittadino per reati per cui è prevista una pena grave, se si trovi nel territorio dello stato (ed è la condizione del mandato di arresto europeo) o lo commentta ai danni delle comunità europee, di uno stato estero,di uno straniero, è punito secondo la legge italiana. Siamo ormaiu al di fuori dek campo estradizionale, se si eccettuano i paesi terzi con i quali, se la situazione non é regolamentata dalle norme convenzionali, dovrebbero applicarsi le norme del c.p. con il rischio di incorrere in situaizoni di gravi disparità di trattamento sotto il profilo dell’ applicazione o della non-applicazione della giurisdizione penale in assenza di una prevsione estradizionale convenzionale fra paesi membri più aggravativa rispetto al mandato di arresto o con paesi terzi.
Quindi se il cittadino commette un delitto comune all’estero è punito dalla legge italiana. Lo straniero, se commette il delitto comune all’ estero verso lo stato o un cittadino taliano oppure ai danni delle comunità europee, con le debite differenze sottolineate, è atratto dalla legge italiana per quanto riguarda il trattamento sia sull’ amnistia che sulla prescrizione del reato o della pena indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale conseguente. Si rientrerebbe pertanto a pieno titolo nell’art. 4 comma III e IV e nell’art.3 comma I (ad esempio per l’amnistia con riferimento alla DQ i commento).
Vale a dire: la giurisdizione dello stato richiesto vi sarebbe proprio nei casi coincidenti con quelli della richiesta del mandato di arresto europeo, con una elevazione pressoché a 360° della prescrizione,indipendentememte dal locus commisi delicti, presenti le condizioni prima descritte.
Nel consentire la causa come facoltativa, il mandato di arresto europeo ha diversamente inciso sui diversi ordinamenti nazionali di diritto penale sostanziale, nell’ipotesi in cui si desse una lettura forte alle disposizioni citate nel senso di ritenere che l’espressione “se quest ultimo era competente a perseguire il reato secondo la propria legge penale” fosse espressione di mero rinvio intergrale alla legge penale del paese di esecuzione.
La concessione dell’opposizione sia dell’amnistia che della prescrizione appare pertanto generalizzata ed indiscriminata. Anche la semplice esecuzione parziale o il contributo ideativo di un illecito che si sia consumato in forma plurisoggetiva o non continuta ma frazionata integralmente all estero, radicherebbe l’applicabilità della opposizione in termini prescrizionali per lo stato ai sensi dell’art. 6 c.p., stante la parificazione fra territorio dello stato e luogo di minima incidenza dell’illecito. Questo si profilerebbe in modo generalizzato per i reati di rilievo economico, comunitari e transanazionali.
Se si dovesse dare una diversa lettura più forte e quindi più rigorosa alla DQ si imporrebbero nuovamente profili di non compatibilizzazione tra le disposizioni del c.p. italiano e quelle della DQ. L’art.18 lettera n) della L. 60/05 rifiuta la consegna se i fatti per cui è stato emesso –e si presupone chiaramente il giudice nazionale debba verificare la riconducibilità dei fatti o al catalogo dei 32 (e il giudizio abbian esito positivo) o al requisito della doppia incriminazione, nel senso che il fatto in astratto di competenza dello stato straniero sia parallelamente – anche se non con riferimento a quel fatto punito con identità di titolo in Italia (posto che nela llegge di attuazione non vi è l’espressione “indipendentemente dagli elementi costitutivi”), se, dicevamo quindi, i fatti per i quali il mandato stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena.
A parte il riferirsi della norma al fatto che la prescrizione deve essersi già verificata e quindi che, qualora si verifichi in futuro, non è legititma l’opposizione, la lettera n) apparirebbe in linea con gli istituti contenuti nel c.p. in quanto l’espressione “potevano essere giudicati” può farsi equivale a “avere giurisdizione”. Coordinandola con la lettera p) tuttavia, apparirebbe che nei casi i cui la legge italiana consenta l’azione penale per gli stessi fatti commessi al di fuori del proprio territorio e commessi al di fuori del territorio dello stato richiedente, anche qui la prescrizione potrebbe essere ricuperata come motivo di opposizione qualora il fatto sia avvenuto in regime di extraterritorialità bilaterale.
Altri problemi concernono un’eventuale limitazione del rispetto del bis in idem e del giudicato, al rispetto degli artt. da 6 a 11 del c.p. ma di ciò in altra sede.
Se tuttavia in base agli esempi alla lettera q) dell’art. 18 si sia pronunciata in Italia sentenza di non luogo a procedere per intervenuta amnistia o prescrizione, anche al di fuori della competenza dell’Italia sul reato sorgerebbe un problema di cordinamento con l’art. 3 comma I della DQ oppure con i commi III e IV dell’art.4 DQ nel senso che la prescrizone potrebbe sempre essere opposta dal paese di esecuzione.
Che la giurisdizione sia estesa per beni fondamentali a carattere transanazionale,beni afferenti la personalità delo stato se non per la tutela del cittadino e la tutela anche delle istituzioni comunitarie non concerne solo l’Italia ma ad esempio si pensi agli artt.6 e 7 del c.p. tedesco agli artt. 113.6 e 113.12- del c.p. francese, agli art. 23 commi 2 e3 della………..organica del Poder judicial spagnola n. 66 del 01.07.1985. Sono addirittura ordinamenti con principi di universalità radicale a condizione che i reati ivi commesi siano puniti per la legge interna con sanzioni forti.
Ci permettiamo di dissentire da Bernardi quando ritiene che il fatto che sia avvenuta in alcuni paesi la tasformazione di cause da facoltative in obbligatorie per quanto riguarda la non esecuzione del mandato di arresto europeo costituirebbe una non legititma trasposizione della norma della DQ negli ordinamenti interni, così non appare condivisibile, de jure condendo, la tesi di una limitazione della opposizione di amnistia e prescrizione ai semplici casi in cui l’azione penale fosse già stata esercitata dall’autorità dello stato richiesto, con equiparazione della prescrizione e dell’amnistia agli effetti preclusivi di una sentenza di assoluzione o all’effettiva esecuzione di una sentenza di condanna.
Su questo non interveniamo: l ’oportunità di escludere l’operatività del rifiuto a fatti avvenuti al di fuori del terrutorio dello stato richiesto. Tale opzione avrebbe comportato una diretta incisione dell’istituto dell’amnistia e della prescrizione e di uno dei principi caratteristici dell’ordinamento penale interno. Al termine amnistia andrebbe ascritto il significato più elastico e più ampio, ricomprendente i provvediemti clemenziali, ivi compresi quelli individuali concessi con atto di grazia sovrana anche al di fuori del dibattito parlamentare; tenuto anche conto della differenziazione ed indistinzione, talvolta, tra significato generico o particolare dei provvedimenti di amnistia, di grazie di indulto; adirittura l’assenza in alcuni paesi. Ad esempio Bernardi ricorda come in Spagna l’indulto sia provvedimento governativo individuale; anche se la grazia individuale, come è stato acutamente osservato dall’autore, presuppone una sentenza di condanna e quindi sarebbe coperta dal principio del ne bis in idem.
Gli atti interrutivi della prescrizione, per completare l’esame dell’istituto, è stato sostenuto, si potrebbe recuperarli in via interpretativa dalla risoluzione del Consiglio Europeo n. 12 sull’ applicazione pratica della Convenzione di estradzione del 1957 e all’art.62 comma I della Convenzione applicativa dell’Accordo di Shengen. Per questi si deve tenere conto sia degli atti interruttivi e dei fatti sospensivi verificatisi nello stato richiedente, se si tratta di atti o fatti della stessa natura di quelli che provocano effetti identici nello stato cui è rivolta la richiesta. Tale volontà, pur nel silenzio del mandato di arresto europeo, risalirebbe anche dal riquadro f) dell’allegato alla DQ I (GUCE L190 18.07.2002 p.17) dove l’autorità emanante il mandato di arresto europeo fornisce , oltre le informazioni sulla extraterritorialità, anche quelle sull’interruzione del termine di prescrizone e le altre conseguenze del reato. Chiaramente sono applicabili le norme dello stato richiesto per quanto concerne i termini della prescrizione e i limiti temporali degli effetti interruttivi o sospensivi. Problemi non esistono per le legislazioni del Regno Unito (Estradiction act 2003) o olandese (29.04.2004) che non menzionano né amnistia né grazia individuale in alcun modo. In Svezia, la Sezione 5 Titolo 2 della L.1156/2003 esclude il mandato di arresto europeo per i provvedimenti clemenziali di origine governativa, autorizzando in caso eccezionale la clemenza per forme che non possono essere inquadrate nei concetti generali di amnistia generale o di grazia individuale tipici del altri ordinamenti.
Argmento del tuttu nuovo e peculiare è quello del riconoscimento delle sentenze straniere provenienti, nella sepcie, da un Autorità giudiziaria europea alla luce della DQ.
Sotto il profilo sostanziale, sia pure senza ricorrere a un rigoroso criterio di distinzione in base al fatto se una disposizione sia contenuta in una legge (ad esempio il codice penale) piuttosto che in un’altra (codice di procedura penale) – dovendosi unicamente attribuire rilevanza alla estensione e alla qualificazione nonché commisurazione dell’area di rilevanza penale- l’art. 12 c.p. prevede che possa essere dato riconoscimento unicamente alle sentenze per un delitto secondo la legge italiana. I limitati effetti accessori su cui funziona ed è basato l’art. 12 appaiono riferiti a situazioni estranee alla pena e al giudizio nel quale é stata amanata: la recidiva, un altro effetto penale della condanna per l’abitualità o per la profesionalità nel reato, la tendenza delinquere, la pena accessoria,l a persona che si trovi nel territorio dello stato e da sottoporre a misure di sicurezza personali, le restituzioni e il risarcimento delò danno oppure l’utilizzazione in giudizio nello stato per le restituzioni ed il risarcimento del danno ad altri effetti civili (i riferimenti generali sono gli artt. 713 e seg.c.p.p.; 99,102,103,104,105,108,109,del c.p.; gli artt. 28,199,215 e seg. del c.p.; gli artt.185 e 2043 c.c.; art. 185-198 del c.p.;gli artt.128,129,392. c.p.p.
Si prescinde dall’attualità di una contestazione e, qualora in un procedimento penale che tenda a costituire un procedimento valutabile, si ravvisi la notizia della sentenza straniera, si sarebbe in presenza di un atto dovuto del giudice, non occorrendo in ogni caso l’attualità degli effetti del riconoscimento ma la possibilità di essi. L’interesse sorgerebbe per il solo fatto della condanna pronunciata all’estero indipendentemente dall’esistenza di un procedimento in corso ai fini dell’esame dei precedenti penali. Secondo certa giurisprudenza gli effetti deriverebbero automaticamente ed esclusivamente dal riconoscimento costitutivo avvenuto in Italia della decisione straniera su un accusa penale assunta all’estero senza condizionamento per il tipo di procedimento eseguito all’estero. Il riconoscimento avviene anche nel caso, ad esempio, di condanna all’estero, patteggiata, ai fini dell’aplicazione della pena dell’inerdizione perpetua dei pubblici uffici (es. Cass.pen IV,23.04.1996 n.1077). Non vi è termine come invece previsto ad esempio dall’art., 128, insuscettibile di applicazione analogica. Ai fini della revoca dei benefici (sospensione condizionale dela pena e indulto) si deve tenere conto di tale condanna definitiva. Non vi è alcuna parificazione tra l’atto giudiziale straniero e quello italiano, ma la prospettiva tradizionale di Cass. Pen,II 11.01.1971 è semplicenmete quella di considerarlo un fatto storico giuridico per effetti tassativamente delineati dall’art. 12 c.p. La sentenza estera non potrebbe essere riconosciuta in caso di amnistia italiana. Non è riferibile alla continuazione dei reati per reati in corso di giudizio e accertati con sentenza straniera aon esecutiva in Italia; la sentenza straniera non vale agli affetti dell’istituto della continuazione che implica un giudizio di merito bilaterale con la pronuncia emanata in Italia e non può considerarsi altro effetto penale della condanna; non sarebbe applicabile la continuazione a quei fatti giudicati all’estero con sentenza riconosciuta e ai fatti giudicati con sentenza italiana (Corte cost.ordin. 28.03.1997 n.72, non determinando contrasto fra il detto art.12 c.p. e gli artt. 3 e 324 cost.). Infatti il reato continuato presuppone un giudizio di merito e quindi il riferimento a categorie di dirito sostanziale a reati e pene che si qualificano in ragione del diritto interno e sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’art.12. Il giudice italiano, ai sensi degli artt.10 e 117 comma I dovrebbe valutare i requisiti di riconoscibilità andando a verificare se siano stati dati al condannato i mezzi ordinamentali di impugnazione o di revisione di qualsiasi portata.
In sede di cumulo fra pene concorrenti vanno riconosciute anche quelle già espiate che hanno riflesso sul criterio moderatore dell’art. 78 c.p. e sul cumulo materiale, ai fini dell’ammisione a eventuali benefici penitenziari a meno che non siano eseguibili nel territorio dello stato. Così la pena conseguente a condanna all’estero ivi espiata, pur in presenza di riconoscimenti non potrebbe essere inserita nel cumulo sia per l’assenza della procedura di estradizione, necessaria anche in fase esecutiva, sia per la mancata previsione della possibilità di inserimenti della relativa pena nel cumulo, che non è un altro effetto penale della condanna.
Gli altri effetti penali della condanna sono gli effetti a carattere sanzionatorio diversi dalle pene principali e …………….(fine nastro)…. Cass. I 07.08.2002 n.4507.
Queste sono le premesse generali sulla portata dell’ art. 12, tuttavia l’art, 12 va inquadrato in un orizzonte più ampio che non è ancora quelo del mandato di arresto europeo. Centrale, anche agli effetti sostanziali è l’esame dell’art.730 c.p.p. il quale stabilisce che (II comma) se deve essere dato riconoscimento alla sentenza straniera per gli effetti previsti dall’art. 12 comma I n.1,2,3 c.p. richiede la Corte di appello il procedimento. La richiesta può avvenire per l’esistenza di una sentenza penale di condanna pronunciata all’estero. Qui è evidente che il codice dell’88 ha un difetto di coordinamento con il c.p. che prevede il riconoscimento, ai limitati effetti dell’art. 12, soltanto per i delitti; l’espressione contenuta nel comma 2 bis del 730 c.p.p. è di sentenza penale di condanna all’estero; tuttavia centrale è, altresì, l’art.731 che stabilisce che ha facoltà il Ministro di Giustizia, in base ad una norma di un accordo internazionale, che prevede che deve avere esecuzione nello stato una sentenza penale pronunciata all’estero o comunque che ad essa debbono venire attributi altri effetti dello stato che ne richiede il riconoscimento.
Ora, l’art. 731 dovrebbe essere coordinato con la DQ e la legge attuativa. Qui permane una facoltà del Ministro di giustizia incompatibile con il principio di obboligatorietà, nonchè con il testo delle disposizioni in materia di mandato di arresto europeo.
Anche il riferimento alla domanda di esecuzione nello stato da parte dello stato estero ovvero all’atto con cui questo stato acconsente all’esecuzione va inquadrato nel più ampio contesto accennato. Il numero 2 del II comma dell’art.731 stabilisce che il PG promuove il riconoscimento con richiesta alla Corte ove ricorrono i presupposti e richiede che il riconoscimento sia deliberato anche agli effetti previsti dall’art. 12 comma 1,2,3 del c.p. he sono diversi rispetto a quelli previsti dall’art.731 (successivo al c.p.) c.p.p che richiamano gli accordi internazionali che devono avere esecuzione per una sentenza pronunciata all’estero e che comunque ad essa debbono essere attribuiti altri effetti nello stato (si tratta di verificare quali effetti e quali isiano i presupposti).
Il tutto si inserisce nel criterio di prevalenza delle convenzioni del dirito internazionale ex art.696 c.p.p. E’ ampliato l’ambito di riconsocibilità delle sentenze estere, come imporrebbe l’art.117 della Costituzione. la sentenza straniera in questa luce con il c.p.p. vigente non è più mero fatto storico o semplice presupposto della decisione interna; il giudice italiano, dando esecuzione ad una sentenza straniera, procederà secondo le regole dell’ordinamento interno in aderenza al generale principio della lex loci ricavabile dall’art. 27 della disp. sulla legge in generale: la competenza e la forma del processo sono regolate dalle leggi del luogo in cui il processo si svolge. Ad esempio, anche se eseguito con la diretta partecipazione del giudice italiano si applicano il principio del locus regit actum in conformità ai canoni di diritto internazionale della prevalenza della lex loci sulla lex fori non le norme del codice di rito del paese richiedente, che disciplinano il processo, ma quelle dello stato in cui l’atto viene compiuto (ex plurimis, Cass.,II,13.07.1999; per una puntuale disamina dell’argomento in oggetto F.R.Dinacci, Spunti in tema di esecuzione interna della sentenza straniera riconosciuta, in Dir.pen e processo n.5/2005 p.610.
L’art. 738 comma I dispone che nei casi di riconoscimento ai fini dell’esecuzione della sentenza straniera le pene conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. Le disposizioni applicabili sono quelle del Libro X Titoli II e III del c.p.p.,nonché le norme relative all’ordinamento penitenziario. A modificare il diritto interno è stato ad esempio (si eda Cass. I,30.03.,1999) l’art. 10 della Convenzione di Strasburgo del 21.03.1983, esecutiva con l. 25.07.1988 n.334, secondo cui in caso di esecuzione in Italia di sentenze straniere riconosciute, il divieto ai sensi dell art. 10 cit di aggravare il trattamento sanzionatorio stabilito dalla sentenza straniera non implica che debba trovare applicazione anche la più favorevole disciplina prevista in materia di misure premiali dall’ordinamento straniero. Ad esempio la convenzione sul trasferimento della persona condannata (esecutiva con legge 25.07.1988 n.334) all’art. 10 prevede, per lo stato di esecuzione, se la sua legge lo esige, di adottare la sanzione della pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato attraverso una decisione giudiziaria od amministrativa. La regola di applicazione del diritto interno esplicita ancora nell’art.3 L. 03.07.1989 n.257 (la corte di appello determina sulla base della pena stabilita nella sentenza straniera lapena prevista dalla legge italiana); l’art.11 della Convenzione tra gli stati membri sull’esecuzione delle condanne penali dispone che in seguito alla trasmisione l’esecuzione della condaan é disciplinata dalla legge dello stato di esecuzine e tale stato è il solo competente nel prendere le decisioni concernenti le modalità di esecuzione per stabilire tutte le misure che ne conseguono. In linea omogenea con i contenuti del trattato istituendo di costituzione eurooea (artt.1-3 par. 2 e 1-41). L’art. 738 cederebbe il passo solo a forme di norme convenzionali di deroga o con esse incompatibili. Il giudice del esecuzione allo stato può operare composizioni sulla pena erogata dal giudice straniero e applicare la disciplina del reato continuato nel caso in cui uno dei reati in continuazione sia stato commesso nel territorio dello stato (anche se sul punto la giurisduedenza non è conforme).
E’ vero che la Corte costituzionale (72/97) ha ritenuto di competenza discrezionale legislativa le scelte dell’art. 12c.p. che non prevede di riconoscere ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ai sensi dell art.671 (giurisprudenza di merito citata).
Dinacci (cit) ha osservato che si è confuso il piano del riconoscimento della sentenza estera con quello dell’individuazione della disciplina esecutiva da applicare a sentenza gia riconosciuta (ad esempio App.Perugia sent. 03.05.1996 in Rass.giur.umbra,1996 ,735 e Cass. I 02-12.1998 in Giur.it,1999, che ha ammesso implicitamente ex art.12 che non è impedita l’applicazione del reato continuato, posta la unitarietà della condotta anche oltre il confine). Il riconoscimento agli effetti dell’art. 12 comma n. 1 non preclude al condannato di richiedere al giudice dell’esecuzione il beneficio della continuazione ex art. 671 c.p. Ci si troverebbe in presenza – osserva Dinacci, sempre sulla scorta della teorica introdotta da Conso, I fatti giuridici processuali penali, Milano,1955; Carnelutti, Teoria generale del reato, Roma,1952 – di un regime giuridico che expressis verbis interrompe ogni collegamento causale tra il riconoscimento della sentenza straniera e la sua disciplina esecutiva. Non si possono ricavare i limiti negativi di applicazione dal contenuto dell’art.12 che verrebbe ad essere caratterizzato da una sostanziale deroga – o abrogazione implicita – per prevalenza dell’art.738 c.p.p. che stabilisce che le pene conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. Si sarebbe al cospetto di leggi che non possono essere contemporaneamente applicate (abrogazione tacita ex art.15 preleggi cod civ.). L’art.657 c.p.p, contempla il computo della custodiua cautelare ai fini della determinazione dell’esecuzione dellapena anche se afferisce ad altro reato. Qui vi è inter relazione tra custodia cautelare ed esecuzione indipendentemente dal titolo. Si pensi anche al 297 comma III c.p.p. che disciplina le cd.contestazioni a catena, prevedendo i reati connessi ex art.12 lett.b) e c) c.p.p. L’art. 272 c.p.p.come novellato dopo la Corte costituzionale 253/2004 prevede che la custodia cautelare all’estero, in conseguenza di una domanda di estradizione sia computata nei termini di fase. Si pensi –ed è importante – all’art.33 DDL 2958/2004 (disposizioni di conferma del diritto interno della DQ 584/2002, ricordata molto correttamente da Dinacci) che riconosce espressamente il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero anche aifini del computo della determinazione della pena da eseguire.
Questa è la situazione del regime sostanziale del riconoscimento anteriore all’ emanazione della DQ sul mandato di arresto. Diremmo che il mandato, sia pur ai limitati fini del ricnoscimento delle decisioni giudiziali pronunciate all’estero va a intergrare la situazione normativa esistente appena tratteggiata; su di essa si inserisce – e ove la medesima sia integrabile con la seconda non dovrebbero sorgere profili strutturali di contrasto -; il mandato di arresto si riferisce soltanto alle decisioni e non alle sole decisioni di condanna straniera per delitto, anche se l’espressione delitto dovrebbe rilevare come criterio dell’ordinamento italiano, essendo fissata dall’art., 12 del c.p. Se tuttavia si ritenesse che le norme inserite nel c.p.p. hanno inciso con abrogazione sostanziale sulle precedenti, il riefrimento agli effetti dell’art.12 sarebbe a qualsiasi sentenza penale di condanna straniera, ai limitati effetti dei nn.1,2,3 e 4 con le diversificazioni del caso, dell’art.12. Ma per quanto riguarda gli effetti previsti in accordi internazionali e sia sotto il profilo del diritto penale sostanziale, sia sotto il profilo dell’ aspetto dell’ esecuzione della pena, verrebbero in tal modo a ritagliarsi e in relazione alle condizioni di estradizione e in ragione alla disciplina della DQ in commento.
Posono essere avanzate due tesi. Partendo dall’art. 1 del Titolo I (disposizioni di principi e definizioni) comma II della L. 22.04.2005 n. 69 sarebbe da rilevare che il mandato di arresto europeo è una decisione giudiziaria emesso da uno stato membro dell’UE al fine di eseguire una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà personale. Senza riferimenti all’espressione sentenza penale di condanna, ad esempio contenuta nel c.p.p. come ricordato,l’ espressione usata dal legislatore sembrerebbe alludere ai casi in cui la pena debba sseer eseguita nel paese richiedente. Scatterebbero i meccanismi di cui all art.12 unicamente con riferimento agli effetti della condanna penale diversi ed estranei al corpus della sentenza straniera. La materia pertanto non coinvolgerebbe le norme del c.p.p. né l’art.12 c.p. che prenderebbe in considerazione tale decisione sussistendone i requisiti agli effetti elencati dal n. 1 al n.4. Problemi si porrebbero nel caso in cui l’ordinamento italiano condizioni l’adesione al mandato di arresto europeo all’esecuzione della pena nel proprio paese; in questo caso si applicherebbero tutte le norme di procedura penale ed eventualmente l’art.12 andrebbe a ricoprire l’intera area dell’oggetto della dichiarazione di responsabilità penale avvenuta all’estero. Vi sono però le cause di legittimo rifiuto al mandato di arresto europeo previste dalla legge italiana, che in tal caso non attribuirebbe né ai sensi dell’ art.12 (su ciò é oportuna un’ulteriore riflesisone) né le norme sul riconoscimento della sentenza straniera in quanto la sentenza verrebbe dichiarata non riconoscibile (veri i medesimi presupposti fra la riconoscibilità e i criteri previsti dal mandato di arresto europeo, ma ciò è un’assunzione) poiché si sarebbe al di fuori dell’apllicazione della procedura del mandato di arresto europeo.
Una seconda lettura potrebbe essere più complessa ed articolata ed attribuire un rilievo di norma generale alle disposizioni sul mandato di arresto europeo per quanto riguarda i paesi europei, salvi gli eventuali, ingiustificati e possibili casi di disparità di trattamento nei confronti di cittadini terzi. Tale secondo orientamanto potrebbe desumere dalla disciplina del mandato di arresto europeo un effetto abrogativo per incompatibilità delle disposizioni del c.p.p. ed eventualmente di alcuni effetti dell’ art.12 in considerazione dell’automaticità e della non necessarietà di riconoscimento della decisione giudiziaria straniera neanche agli affetti, ad esempio, degli artt. 736, 638,686 citati nel c.p.p.
Sarebbe compito del giudice dell’esecuzione previa la valutazione della Cotre di appello valutare le modalità di trasposizione di una sentenza straniera che non è suscettiva di riconoscimento, in quanto avente già dato causa all’adesione al mandato di arresto europeo ovvero all’aplicazione del condizionamento dell’esecuzione in Italia.
Si voleva unicamente accenare al problema che merita una separata trattazione ed un approfondito esame.
Giunti a questo punto del commento, non ci si può esimere dal rinviare all’ampia bibliografia citata per il quadro sia del contesto comunitario che del contesto internazionale e convenzionale anche esteso ai cd,criniti internazionali in ordine ai limiti di estensione positivi e negativi della giurisdizione dei singoli ordinamenti giuridici in rapporto con le entità e gli organi a caratere internazionale.
Una chiara focalizzazione dell’insieme dei problemi aggiornata si trova in E.Mezzetti, L’internazionalizzazione della legge penale,cap. II,La legge penale.Fonti , tempo,spazio e persone, diretta da M. Ronco, in Commentario sistematico al c.p., Zanichelli, 2006. Si segnala in particolare da pag. 139 e seg.
Riprendendo brevemente il riferimento alle disposizioni codicistiche italiane in ordine ai limiti spaziali della legge penale (v. E.Mezzetti, I limitispaziali della legge penale, p.281 e seg., cap.V,La legge penale,cit.) ci permettiamo di richiamare la lettura data alle norme 9 e 10 del c.p., peraltro non condivisa dal Mezzetti il quale, dando atto dell’opinione intermedia di M.Gallo (che riverserebbe la necessità della previsione in entrambi gli ordinamenti) della punibilità del fatto limitatamente allo straniero, ritiene che vi siano indicazioni costituzionali in legame con il significato sostanziale del principio di legalità che comportano di ritenere che per i delitti commessi all’estero sia dal cittadino che dallo straniero, di natura comune, salva la presenza nel territorio delo stato, preferibilmente da intendersi come condizione di procedibilità, l’ordinamento connotato dal principio universalistico dovrebbe tuttavia ancorarsi alla verifica che nel territorio di commissione del fatto l’ordinamento giuridico staniero preveda la natura antigiuridica sotto il profilo penale del fatto medesimo. Anche in considerazione del principio di possibilità anche a favore dello straniero di percepire il significato antigiuridico del fatto. Sempre in senso contrario Picotti, La legge penale,in Giur.sist. Bricola-Zagrebelski;volm I, parte generale, Torino,1996,p.194.
Si è fatto questo cenno per segnalare come vi sia un andamento contradditittorio sotto il profilo extrastatuale. Per un verso la DQ postula la limitazione dell’estensione territoriale del principio universalistico, dall’altra ad esempio la Dichiarazione finale di Stoccolma, presentata al Congresso mondiale sullo sfruttamneto sessuale dei bambini del 1996, ha finalizzato i lavori per introdurre nelle rispettive legislazioni il principio di extraterritorialità per i reati a sfondo sessuale ai danni di minori, con forme di armonizzazione della normazione nello spazio giudiziario europeo ai fini di coordinamento degli strumenti penaistici.
La Clausola dell’art.7 n.5 su cui spendiamo qualche cenno afferma la punibilità secondo la legge italiana di reati commessi da cittadini o stranieri in territorio estero per i quali speciali disposizioni di legge (269,501 IV comma,537,591 II comma,604,642 Iv commac.p., 17,18 c.p.m.di pace,1080 c.n.) o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge italiana. Espressione significativa, ricordata da Mezzetti è l’art.604 c.p. novellato con l’art.10 L.03.08.1998 n.309 (norme contro lo sfruttamento della prostituzione, pornografia, turismo sessuale in danno di minori quali nuove forme di riduzione in schiavitù). Sul problema ancora dell’ assenza di alcuna norma di diritto internazionale generale che statuisca un divieto di ne bis in idem si veda Chiavario, La compatibilità del ne bis in idem previsto dall’art.1 I comma c.p. con il diritto internazionale riconosciuto, in Giur.it,1967. Ancora, sull’inconferenza del giudicato straniero in ordine alla pena principale inflitta dal giudice dello stato straniero, Mezzetti rammenta ancora l’art.733 c.p.p. che fissa presupposti in negativo del riconoscimento, nel senso che esso non può essere effettuato allorché ricorrono condizioni elencate dalla lettera a) a g) tra cui quella più importante è la doppia incriminazione del fatto, vale a dire la sua previsione espressa come reato da parte della legge italiana (ex principio di legalità astratta previsto all’art.25 cpv. Cost e dall’art. 1 c.p.).
Ora conviene rassegnare alcune considerazioni sulla DQ e sulla legge attuativa di carattere prettamente teorico.
Nel contesto europeo si fa riferimento ad una ampia discussione che va dal Convegno internazionale penalistico tedesco di Dresda del 2005 (ved. V.Militello, Un progetto alternativo europeo in materia penale fra luci ed ombre, in Cass.pen 2005,4, 1456) alla doppia versione del CJ, al progetto alternativo, al più ampio progetto di Eurodelicte in materia economica, coordinato dal Prof. Tin……………, e nonché al progetto comune europeo di contrasto alla crminalità organizzata con collaborazione tra la città di Palermo e il Max Plank Institute, soprattutto in tema di delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione. Nel più ampio panorama, stimolante è C. Paliero, La fabbrica del Golem, progettualità e metodologia per la parte generale di un codide penale dell’Unione, in Riv trim. dir e proc pen, 2004, p.466 e seg.
Non è questa la sede di affrontare partitamente i singoli ordini di area di illecito enumerati nella cd lista dei 32. Già si è fatto cenno da molte provenienze, ad esempio, alla tutela delle cosiddette frodi attraverso gli istituti della truffa e i rapporti fra gli artt.640, 640bis, 316bis,316ter connotati da difficili connessioni secondo i principi già dell’ordinamento italiano (autonomia, circostanza aggravamte, profilo di sussisdierietà, interferenza e apparenza di concorso tra norme) e si tratta di norme che senza dubbio rientrano nell’area di illecito nei confrointi della quale l’orientamento comunitario attraverso la DQ è stato quello di far fermo il principio del ne bis in idem e il divieto di inesecuzione del mandato di arresto nonché l’abbandono, in linea tendenziale, del principio di previsione bilaterale del fatto come reato.
L’affidarsi ai ben noti profili perigliosi di alternatività tra i diritti penali adottati a seconda dello stato di iniziativa, come era peraltro ventilato e profilato nella doppia versione del CJ, come è operativamente, seppur sotto il vaglio di un’unica legge dello stato, caratterizzato dalla ripartizione di competenze per procure nel’ordinamento italiano. Significa, nella sostanza, una traslazione del medesimo fatto da un diritto sostanziale, per così dire naturale, previsto e prevedibile in anticipo ad un diritto sostanziale non prevedibile, o viceversa, da un altro punto di vista, l’abbandono della garanzie tipiche dell’ordinamento di inerenza o appartenenza del cittadino o del residente, scontando i noti profili di conoscibilità della norma, previsti dall’art.5 così’ come variamente interpretato dai vari ordinamenti nazionali. La circolarità necessaria o la circolazione necessaria di una decisione giudiziaria votata alla definitività e all’assorbimento in sé di ogni possibile potestà imperativa alternativa, attraverso lo sbarramento del bis in idem procedimentale prima e processuale poi, comporterebbe altresì la circolazione del diritto sostanziale di ciascun paese membro avente iniziativa in altro paese, indifferentemente dalla cittadinanza del soggetto o dalla prevalenza o preminenza sotto il profilo materiale o sostanziale del locus commisi delicti. Ad esempio, in materia di attuazione in Italia degli strumenti dell’UE per la protezione penale degli interessi finanziari comunitari, che non è stata obiettivo, se non in aspetti tangenti, della DQ in commento, si rinvia alla dottrina più recente che costitutiva un quadro interessante della materia che ci occupa (L.Picotti, L’attuazione in Italia degli strumenti dell’EU per la protezione penale degli interressi finanziari comunitari, in Riv., trim. Dir.pen econ., n. 3 luglio-settembre 2006, p. 615 e seg.,con particolare riferimento all’ area delle frodi nazionali e comunitarie in rapporto con le fattispecie di truffa e con contesti normativi immediatamente connessi.
Degne di nota sono le chiare indicazioni di G. Grasso, prospettive di un diritto penale europeo, in Dir.pen europeo, spazio giuridico e reti giudiziarie, a cura di N. Bartone, CEDAM 2001, nonché le considerazioni di struttura di S.Moccia, L’evoluzione del diritto penale in materia economica e le fattispecie incriminatrici del CJ europeo;oltre i già citati in bibliografia Panebianco, Bartone, Roberti, D’Isanto, Castaldo,Altieri,Satta Vigna).
Prima di giungere alle note finali di commento che tuttavia non hanno la pretesa di essere esaustive rispetto a quanto osservato nella sterminata sede della discussioni erurope e non [49] può non farsi riferimento al PM nella prospettiva di un ordinamento europeo (per cui rinviamo a M. Bargis, in Riv.It.dir e proc.pen.,fasc. luglio/sett.2004,p. 745 e seg.). La allestenda o meglio approvanda costituzione europea prevede a partire da Eurojust la costituzione del Pm europeo, preveduta nelle verie versioni 1997 e 2000 del CJ, nonché dal Gb affidato all’OLAF su incarico della Commissione europea. In tema sono intervenuti svariati commenti ed alcune decine di migliaia di interventi in sede europea, da parte della dottrina e degli studiosi del campo. I problemi che concernono la procura europea toccano la obbligatorietà, la discrezionalità di un’azione penale, esercitata su criteri di competenza connotati da una certa ambiguità e soprattutto caratterizzati dallo sradicamento e dalla scissione fra esercizio dell’azione e titolare della giurisdizione, che dovrebe essere costituito dal giudice nazionale, il quale applicherebbe la propria legge nazionale, sostanziale e procesuale, ove non integrata dalla cd.parte generale del mini codice europeo eventualmente emanando limitato ad alcune fatticpecie di rilevo per beni di rilevanza sopranazionale o quantomeno di rilievo comunitario. Lo sradicamento dell’azione dal dirito soggettivo di potestà punitiva in materia penale, a prescindere dall’eventuale base giuridica affidata e dallo strumento normativo derivato di attuazione in sede comunitaria, costituisce un problema nucleare su cui in altra sede siamo ampiamemnte tornati. IL tema che va affrontato è la linea di tendenza completamente centripeta del mandato di arresto europeo rispetto ai meccanismi previsti ma mai attuati dalle convenzioni del Consiglio di Europa sulla validità internazionale dei riti repressivi (Aja,28.05.1970) e dalla Convenzione fra gli stati membri delle comunità europee sul trasferimento dei procedimenti penali firmata a Roma il 06.11.1990 che apparirebbero succedanee dell’estradizione, a titolo esemplificativo, mirando alla delega allo stato richiedente dell’intero procedimento penale e dell’esecuzione che eventualmente ne consegue.
Il mandato di arresto europeo si pone apparentemente sotto il profilo procedurale ma tocca il cd.ruolo ancillare assegnato al dirito penale sostanziale a livello normativo dal medesimo testo della DQ. Ben sottolinea Manacorda, che la partita della proceduralizzazione dello spazio penale europeo, cominciata dieci anni prima, si compie definitivamente. Le fattispecie penali interne, che rappresnetano il substrato materiale del mandato, la sponda di rimbalzo, il punto fermo lungo il quale corrono i provvedimenti restrittivi che liberamente ciroclano in ambito europeo, non sono direttamente oggetto di un intervento di razionalizzazione da parte della DQ; vengono viceversa assunte come elemento pre-dato negli ordinamenti interni. Il nuovo strumento opera ta autorità giudiziarie degli stati membri, trascurando volutamente gli assetti interni del diritto penale sostanziale ; è un meccanismo a diritto costante che rischia, entro certi limiti, di risultare impermeabile alle forme concrete della penalizzazione. Se consideriamo, come abbiamo fatto nel presente commento, la dimensione sostanziale, le tematiche di fondo sono collegateb al ”declinarsi problematico della legalità penale in uno scenario policentrico e complesso delle fonti, come va attualmente delineandosi” (Manacorda, Riv. it. Dir.Proc.pen 2004,p.793). I topoi classici, dalla selezione degli oggetti, le modalità di tutela, i principi di garanzia, la dimensione teleologica della sanzione, le relazioni tra parte speciale e parte generale, vanno in uno scenario circolare delle soluzioni penalistiche, legislative e giudiziarie di cui si postula una tendenziale fungibilità da uno stato membro all’altro. In questo paradigma a diritto costante, senza nessuna ultetriore modifica degli assetti penalistici, è parso sufficiente –ma così non è – sottoporre le decisioni giudiziarie in materia penale ad un regime di libera circolazione, al pari delle merci, dei capitali e dei servizi, per raggiungere l’obiettivo di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia.
La circolazione delle decisioni giudiziarie, come si é soltanto limitatamente ad alcuni aspetti dato lo spaione nel presente lavoro, crea una serie d qeustioni verosimilmente costitutive di un nucleo duro, derivante dalla nuova configurazione dei rapporti fra ordinamenti non completamente ad oggi né affrontata né risolta.
L’obiezione a una lettura forte del testo della DQ non appare assolutamente cogliere nel segno; nel senso che è ovvio che nulla si modifica quanto a disciplina di ogni singolo ordinamento penale nello spazio da parte della DQ e, quanto meno, espressamente da parte delle leggi di attuazione, ma è pacifico (per parafrasare Manacorda) che si rendano effettive ed efficaci le disposizioni già previste nel diritto interno, ma assoggettate alla verifica di determinati requisiti sostanziali che consentono l’attrazione nell’ambito della legge penale di fattispecie realizzate in tutto o in parte all’ estero, spesso valide solo in teorie prive di ricadute pratiche. In questa limitata accezione è stato difatti utilizzato il concetto di territorialità europea (Manacorda ,cit,p.803). Diversa dalla territorialità, ad esempio del Preambolo del CJ 2000, inteso come strumento di unificazione penale. Nelsenso che le fattispecie di un dato ordinamento dispiegano i propri effetti – o quanto meno possono, subordinatamente alla disciplina interna sull’appliazione della legge penale nello spazio – fondando l’esecuzione di una misura cautelare, di una sanzione detentiva anche per fatti commessi sul territorio di un altro stato membro, senza possibilità di tenere conto dell’ebentuale liceità della condotta ai sensi della legislazione di quest’ultimo. Questo é un aspetto lievemente differente da quello segnalato in precedenza.
Ogni cittadino sarebbe assogettato all’applicazione di 25 normative nazionali in relazione ad un medesimo fatto, con il rischio della compressione degli spazi di libertà e il fatto e la giurisdizione non apparirebbero prevedibili dal medesimo consociato.
Il requisito dell’imprevedibilità della giurisdizione naturale di eventuale assoggettamento sotto il profilo reciproco dello stato richedente o dello stato richiesto, pone un ulteriore profilo di incisione eventuale del princiupio di legalità.
Ma ciò va verificato nel diritto penale interno,in conseguenza dell’attuazione della DQ nei sistemi nazionali, che sono stati valoizzati ma non totalmente, ai fini di evitare ora e in futuro a seguito anche della giurisprudenza cosiddetta nazionale degli altri paesi membri, a tacere di quella della Corte di giustizia che comunque appare fatto imprescindibile, attraverso filtri di natura processuale e sostanziale all’esecuzione. I dubbi profilati da Manacorda a pag. 808 sul significato obbligatorio della DQ quando parla del catalogo dei 32 reati, indipendentemente dagli elementi costitutivi e dalla qualifica dello stesso, a prescindere dalla traduzione italiana, difforme da quella francese ed inglese, come ricordato, che presupponevano indipendentemente dalla verifica (il che ha consentito a Selvaggi ed ad altri di ritenere questa una presunzione semplice e vincibile), dalla lettura dell’attuazione italiana potrebbe desumersi che l’obbligatorietà della rinuncia ad una previa verifica in realtà non si caratterizzasse in termini di tassatività e di assolutezza di richiamo alla pura elencazione senza indicazione di nucleo fattuale di fattispecie. Ilproblema si presenta violento in materia di criminalità di gruppo, dove la dimensione plurisoggettiva e transnaazionale e la frammentazione dei fatti comporta sicuramente l’attrazione in più giurisdizioni concorrenti fra di loro, il che apparirebbe incompatibile con la adesione secca al principio di mutuo riconoscimento delle decisioni, senza deroghe di enorme portata ai diritti penali sostanziali nazionali non direttamente –quanto meno non al riguardo espressamente incisi – dalle rispettive leggi di attuazione.
La lettura debole, profilata dalla miglior dottrina, propenderebbe per una presunzione relativa di doppia punibilità accompagnata dall’ inversione dell’onere di allegazione, innovativa, ma non rivoluzionaria; di contro ad una presunzione assoluta.
Secondo una visione forte, ogni stat membro non solo riconoscerebbe la totalità della legislazione penale degli altri stati membri e si sottolinea totalità, ma accetterebbe anche si assisterli nel farla rispettare . La tassatività sarebbe assicurata in via indiretta attraverso il mediato riferimento alla legge penale straniera volta per volta e la genericità dell’indicazione dell’art.2 sarebbe superata dalla integrante specificità e determinatezza della fattispeceie penale violata (es. Viola, Relazione all’incontro di studi del CSM .cit; p.3 es eg.).
L’altro aspetto segnalato è che l’art. 32 del provvedimento che consente l’applicazione del mandato di arresto europeo per taluni paesi si potrebbe applicare anche a reati commessi prima dell’entata in vigore dellaDQ. Per la legge di attuazione italiana, la disciplina è stata in modo fortunato, come detto, diversamente articolata.
I principi della DQ hanno elementi di frizione con riferimento alle aree di illecito disegnate ancha nel catalogo dei 32. Ad esempio la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità Europee (punto 8 della lista) si connota in verità (ad esempio nella Conv. PIF) con una libertà per lo stato membro di optare per una sanzione amministrativa per frodi di lieve entità, ovvero a pene privative per frodi gravi. Tali discrasie daranno luogo a richieste di consegna ex art.2 anche per fatti che nello stato di esecuzione siano puntiti con sanzioni pecuniarie amministrative. Per i fatti di terrorismio (punto 2 della lista) alcuni ordinamenti puniscono condotte preparatorie che non integrano gli estremi del tentativo punibile, rispetto a luoghi ove il requisito dell’offensività richiede almeno la messa in pericolo del bene giuridico protetto. Il favoreggiamento all’ingresso ed al soggiorno illegali (punto 13) può avere elementi di frizione con la clausola umanitaria e di tutela penale da un ordinamento all’altro (Dir. 2002/90CE del 28.11.2002 del Consiglio). Per razzismo, xenofobia, sabotaggio, racket ed estorsione già si é detto. Per la partecipazione ad organizzazioni criminali potrebbe essere richesto il soggetto che abbia partecipato ad un mero accordo per commetere reati, non a seguito della realizzazione del fatto a paesi che ne bandiscono la punibilità. Ad esempio in alcuni paesinon vi è distuinzione tra misure di prevenzione e misure di sicurezza e sanzioni penali in materia.
(Per una puntuale conoscenza dei termini della questione si rinvia a Criminalità organizzata e reato transnazionale. Diritto penale nazionale: l’attuazione in Italia della cd. convenzione di Palermo,L. 16.03-2006 n. 146 ,in Dir.pen e processo n 1 ,2007,p.11 e seg. e al commenti di A.Di Martino a p. 15 e seg.
Ancora puntualissima per il panorama italiano, anche in realzione indiretta con quello europeo L. G.Bruno, Misure di prevenzione patrimoniali e congelamento di beni per reati di terrorismo. Problemi sostanziali e processuali, in Dirito penale e proceso n. 1/2007 p. 99 e seg.)
I profili di interferenza del punto 23 di lista sul reato di falsificazione e traffico di atti amministrativi si profilano con riferimento all’art. 2 Conv. PIF. Altri testi non risultano.
Il riciclaggio (punto 9 della lista) pone i problemi già analizzati di pluriqualificazione e di cultura nazionale nella strutturazione dell’illecito. Internamente, ad esempio, a prescindere dalla definizione, vi è contrasto diìretto fra la Convenzione sul Riciclaggio che ha obbligato l’Italia alla modifica della fattispecie nel 1993 e la struttura della norma che risente dei rapporti con la precedente versione e che non ribadisce espressamente l’elencazione delle modalità contenute nella convenzione.
Per le fattispecie nazionali non etero armonizzate, in realtà, in sede applicativa la concreta configurazione dei propri elementi consentono spazi interstiziali di divergenza fra gli ordinamenti (Manacorda,cit.,p.824). Neppure un’ ’’identità completa fra fattispecie garantirebbe la punibilità bilaterale e sostanziale del fatto, stante l’esistenza di istituti di parte generale incidebti sulle vicende della pena, nonché sulle sue tipologie”.
La punibilità in astratto potrebbe rivelarsi assente in concreto; la nonpunibilità in concreto potrebbe in realtà comprtare una punibilità in astratto senza rafronto fra il fatto concreto e la fattispcei.
La pena assumerebbe nella prospettiva del mandatop di arresto europeo il rischio di divenire mezzo di trasporto delle incriminazioni (Manacorda,p. 828). Le norme sull’applicazione, come si è osservato,della legge penale nello spazio variano fortemente fra gli ordinamenti e mancano anche nel mandato di arresto europeo meccanismi di coordinamento. Uno stesso reato potrà risultare contemporaneamente territoriale rispetto a diversi ordinamenti, con i problemi del radicamento territoriale di condotte realizzate tramiteinternet o le vicende delle attività terroristiche internazionali, soprattutto se nel territorio ove si è realizzata la condotta o si è verificato l’evento il fatto era lecito,salva l’ignoranza inevitabile della legge penale.
Il rischio è di tutelare il soggetto da incriminazioni fondate su norme non conoscibili, in quanto non trasfuse in testo legislativo e quindi inidonee a costituire un effettiva regola di comportamento, combinato con il rischio di colpire il soggetto che non conosce o per il quale non sono conoscibili le incriminazioni fondate su norme conoscibili altrove e idonee a costituire un’effettiva regola di comportamento per i consociati. Se le condotte sono realizzate in un paese terzo, anche extraeuropeo, punibili ai sensi della legislazione dello stato di emissione, per effetto dei criteri di extraterritorialità possono non essere puniti nello stato di esecuzione, indipendentemente dalla loro punibilità nel territorio di realizzazione. Il sicuro effetto è quello di effettiva estensione extraterritoriale delle fattispecie incriminatici interne e la loro applicabilità sull’insieme dello spazio europeo nei termini della territorialità comunitaria. Di fatto anche secondo la lettura debole effettuata nel testo della legge di attuazione, vi è la verosimiglianza, tutta da amplificare, interpretativamente, di un’estesione delle fattispecie penali sul territorio dei 25 ingenerando problemi di eguaglianza e legalità e colpevolezza. La DQ in commento in definitiva, pur prendendo le mosse da un’equiparazione in termini di dignità basata sulla reciproca fiducia tra i paesi membri, non ha tenuto conto dei rapporti con i paesi terzi sotto il profilo del trattamento eguale in base al dirito sostanziale dell’ordinamento giuridico in sé considerato e autoconsiderandosi competente, così da generare profili di limitata territorialità dell’applicazine del singolo ordinamento, una conseguente imprevedibilità dell’applicazione di detta legge, un incisione del principio di certezza e di conoscibilità del diritto nazionale applicabile.
Il rischio conseguente è la frammentazione del reato che, ove ricondotto contemporaneamente, anche solo per sezioni a diverse attrazioni nazionali di giurisdizione, potrà avere l’effetto pur nella parvenza formale di tale principio, della proliferazione di giudicati nella sostanza vertenti sui medesimi fatti.
Altro tema da affrontare sarà quello della universalità ed extraterritorialità dell’applicabilità della legge del paese nazionale che si munisce, attraverso un procedimento penale di una decisione definitiva, con incisione su pura e semplice decisione del giudice dell’area di estensione della giurisdizione del paese europeo diverso o terzo. Si prevede che nello spirito collaborativo fra le magistrature, sempre di meno, alla luce anche di precednti giudiziari che via via si svilupperanno, saranno le opposizioni alle richieste di arresto o di esecuzione di sentenza di condanna o di presa d’atto automatica di sentenze di proscioglimento.
Vi saranno presumibilmente due diverse ipotesi di sviluppo.
Per un verso potrà darsi che nel passare degli anni e alla luce delle indicazioni, se non creative quanto meno risolutive di problemi nuovi ed imprevedibili, date dalla giurisprudenza, verranno adottati strumenti di armonizzazione delle legislazioni penali in termini di estensione della propria giurisdizione in rarporto al territorio.
Anche se con un esperimento mentale si immaginasse che ogni paese adotti le medesime regole di estensione della propria giurisdizione, al tempo stesso permarrebbero i problemi di interferenza, senza regole idoenee a limitare con riferimento ad una o più porzioni del fatto illeiuto comunemente condiviso e strutturato, reciprocamente e nei confronti dei terzi le giurisdizioni. Il profilo dovrà concorrere con l’esistenza di giurisdizioni internazionali.
Altra via potrà essere quella dell’adeguamento interno del diritto nazionale, via via con limitazioni, anziché estensioni del principio di territorialità o di universalità prendendo a base le iniziative della AG straniere con un’imprevedibile, nei propri effetti concreti, rinuncia della giurisdizione dello stato qualora altra Autorità, magari discrezionalmente, abbia assunto l’iniziativa di portare a termine in via definitiva tale elisione o limitazione della giurisdizione altrui.
La previsione dell’art.4 comma VII della DQ, in definitiva, rapresenterebbe l’unica via di uscita rispetto ai casi limite prospettati.
L’utilizzo delle due riserve in sede di trasposizione in diritto interno appare opportuno, in quanto si assiste ad applicazioni extraterritoriali delle fattispecie penali da parte dei singoli ordinamenti, in assenza di qualsiasi coordinamento internazionale
Qui è la tutela del cittadino che andrebbe connotato dalla imperseguibilità per fatti che non costituiscono o non più, per effetto di scelte politiche criminali, reato nell’ordinamento di un determinato stato quando il fatto si sia realizzato sul suo terriorio. Ma ciò non appare sostanzialmente e in previsione sufficiente. Nel contesto dell’esame dell’ipotesi di un’effettiva territorialità europea connessa alla cittadinanza europea, il cittadino eurpoeo dovrebbe essere parimenti trattato dal punto di vista del diritto penale sostanziale applicabile e a lui, in maniera analoga a quanto richesto dal principio di necessaria conoscenza della legge penale, dovrebbe essere affidato l’onere di conscibilità e conoscenza della legge penale vigente sul territorio europeo.
Agganciare la attuale, ad esempio come è avvenuto da parte della Corte costituzionale tedesca, unicamente all’inerenza di un cittadino o di un soggetto al suo territorio nazionale, appare nella prospettiva europea configgere con la nozione stassa di lobertàdicircolazione. A tale libertà dovrebbe accompagnarsi il diritto dimpritezione non a cura dell’ordinamento giuridici di pura formale appartenenza, ma a cura dell’ordinamento giuridico di transito ovvero di quell’area dell’Europa in cui il soggetto eventualmente dovesse commettere in tutto o in parte un fatto penalmente illecito.
Tali considerazioni chiaramente non vogliono avere un carattere di auspcicio, ma sono unicamente effettuate al fine di sollecitare lo studio e la discussione dei problemi sottesi ed evidenti nella normativa in commento.
[2] Si rinvia a Marini-Padovani-Mantovani e Romani, la nozione di sufficienza di qualunque attività di partecipazione svolta in Italia,anche qualora non sia ordinariamente punibile alla stregua delle disposizioni in materia di concorso,ma che lo diviene a seguito delle condotte spese da altri soggetti in territorio estero. non sarebbe rilevante la semplice ideazione del reato avvenuta in Italia,ma ivi non seguita da nulla,nemmeno da un accordo (Vinciguerra). Per Siniscalco l’evento cui si riferisce è quello naturalistico. Diversamente da Pagliaro e Marini,che fa riferimento al momento di esaurimento del fatto criminoso. Anche coloro che attuarono all’estero una collaborazione nell’esecuzione del fatto nel territorio italiano risponderanno del reato come se commesso in Italia, secondo la giurisprudenza, perché la condotta è considerata come un aspetto o frazione di un tutto che ha trovato la sua attuazione anche nel territorio dello stato ai senso dell’art. 6. Si rinvia per tutto al commento di G. Bonadio, degli artt.6 e 12 c.p. in codice penale ipertestuale UTET cit.
[28] Vedi anche Udiencia national di Spagna 12.01.2004, in Foro it. 2004, IV,162 nota di G. Iuzzolino e 10.02.2004,ivi,286 con nota di G. Iuzzolino.
Per la Francia: G.Deamicis-G. Iuzzolino, Le diverse forme del mandato di arresto europeo.L’attuazione della Decisione Quadro in Francia”, in Dir.e Giustizia, 2004, fascicolo 26, p.67 e seg.
[29] Vd. altresì DQ del Consigli del 25.02.2005 n. 2005/217/Gai sulla confisca di beni, strumenti e proventi di reato,in GUCE 15.03.2005 L. n. 68, in attuazione dal 15.03.2007; DQ Consiglio 24.02.2005 n. 2002/214/Gai sul principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, in Diritto Comun. e Intern.,2005,n3,p.11. Commento di Perduca. Si richiama anche la responsabilità degli enti della doppia incolpazione, visto che la decisione prevede l’esecuzione delle sentenze anche se lo stato di esecuzione non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche (art.9 comma 3 Convenzione sull’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli stati membri dell’Unione Europea di Bruxelles 29.05.2000 che sostituirà la Convenzione del 1959) con assistenza procedimenti per atti punibili anche per il solo stato richiedente a titolo di infrazioni a norme di diritto promossi da autorità amministrative (art.3 comma I ). Sulle impugnazioni: Trib Bz, Sezione riesame, ord 28.07.2005 n. 44/05 in Guida Dir. 2005 n. 36 p.82, con nota di Frigo “Inadeguato il regime delle impugnazioni della procedura passiva di consegna: ammissibilità del riesame contro il provvedimento coercitivo nonostante l’art.9 comma VII legge rinvii all’art.719 che prevede il ricorso per cassazione per violazione di legge”. La sentenza fu cassata come si vedrà dalla Corte di legittimità.
Sul bis in idem si è osservato (G. Iuzzolino, Il ne bis in idem come limite per l’esecuzione del mandato di arresto europeo, cit,) che la DQ non contiene la definizione del principio di ne bis in idem, né gli elementi di fatto e diritto dai quali è fatto dipendere l’elemento preclusivo della consegna. Dalla nozione di giudicato a quella di AG competente ad adottare la decisione idonea a formare il giudicato; dalla nozione di sentenza a quella di identità o di medesimezza del fatto.
[30] Le DDQQ sul congelamento e blocco dei beni con finalità di confisca o sequestro probatorio; sul mutuo riconoscimentodelle decisioni penali definitive dicondanna alpagamento di sanzioni pecuniarie; DDQQ sull’armonizazione delle legislazioni penali in materia di confisca e mutuo riconoscimento degli ordini di confisca emessi dalle AAGG, sequestri probatori e specifiche forme di evidence; DDQQ sul congelamento dei beni volta a sostituire la Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio,la ricerca,il sequestro, la confisca dei proventi di reato aperta alla firma l’08.11.1990 e ratificata dall’ Italia con L. 09.08.1993 n. 328.
[31] Si veda il Consiglio europeo 4-5-novembre 2004 che ha adottato il programma pluriennale dell’AjA; Consiglio Ministri giustizia e affari interni 2-3.06.2004 di Lussemburgo, Piano di azione per l’attuazione del programma dell’Aja; Consiglio europeo di Bruxelles 16-17.06.2004. Si rammenti ancora l’art.3/270 della Costituzione europea che afferma che la cooperazione giudiziaria in materia penale é fondata sui principi di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli stati membri, mentre la legge o legge-quadro stabilisce le misure per prevenire o risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli stati membri oltre che facilitare la cooperazione … in relazione all’azione penale e all’esecuzione delle decisioni.
Si ricordi ancora la Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate del 21.03.1983, ratificata da 57 stati ed entrata in vigore il 1°.07.1985; il Protocollo Aggiuntivo del Consiglio d’Europa del 18. 12.1997 alla Convenzione del trasferimento delle persone condannate.
Per la giurisdizione nazionale e in termini di puro diritto interno si rammenti Cass. Pen. 28.06.2005 n. 34655 con nota di F.M. Ferrari D & G, 2005, 40: Ne bis in idem, mai più processi clone: ecco la strada per evitare duplicazioni; ancora nota a CGCE 11.02.2003 n. 187 in Cass. pen. 2004, 4.
[32] Per un approfondimento del principio del ne bis in idem nella giurispuìrudenza della Corte diGiustizai Ce e della Corte dei Diriti dell’Uomo si veda L. Salazar, Il principio del ne bis in idem in ambito eiripeo,cit.,Roma 19-21-09-2005, in Quaderni del CSM 2005.
[33] Sul tema si rinvia a Anna Fabbricatore, in Dir.pen e processo n. 5/2002, p.640 e seg e B. Sardella, in Giust. Civ, 2006,4-5, con nota di commento della Corte di Giustizia CE 16.06.2005 n. 105. In nota si richiama anche L. Siracusa, Tutela ambientale: Unione europea e diritto penale fra decisioni quadro e direttive, in Dir. pen e processo, n. 6/2006,p. 773 e seg, in tema di annullamento della DQ 2003-80GAI sui reati ambientali da parte della Corte di Giustizia che apre la strada ad un processi di comunitarizzazione delle questioni concernenti l’armonizzazione dei sistemi penali nazionali senza comportare il definitivo tramonto del III Pilastro. In generale sul tema si rinvia alla bibliografia. In ogni caso F. Viganò: Recenti sviluppi in tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale, G. Grasso, Diritto penale ed integrazione europea, Congresso italo-tedesco,Catania, 06.10 2006,che dà un quadro acuto della situazione).
Ancora G. Insolera-V.Manes, La sentenza della Corte di Giustizia sul falso in bilancio; un episodio deludente,Commento a Corte di Giustizia CE 03.05.2005 n. 387; G. Salcuni, Il canto del cigno degli obblighi comunitari costituzionali. Tutela del falso in bilancio, in Riv.Trim.Dir.pen. economia, 2005, p.93 e seg; M.Bargis, Costituzione per l’Europa e cooperazione giudiziaria in materia penale, in Riv. dir. pen. economia n. 1 e 2, 2004; più in generale B. Nascimbene, Cooperazione giudiziaria penale e diritto vigente. Orientamenti futuri nel quadro della costituzione europea, Dir. pen e processo n. 10/2004,p.1295 e seg.
[34] Sul punto G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova 2003; Saule, Voce direttiva comunitaria in Enc. Del Diritto, aggiornamento 2/98,p.292; Gaia, Fonti comunitarie, in Digesto Disc.Pubbl.,VI,991,p.442 e seg.
La possibilità di ricavare effetti diretti dalle direttive fu enunciata dalla CGCE nella famosa sentenza 04.12.1974,C-41/74.
Parte della dottrina, fra cui Fabbricatore, non ritiene che all’esito della decisione Pupino il giudice emittente possa colmare in via di ricostruzione interpretativa la lacuna di diritto interno che rende impraticabile l’istituto dell’incidente probatorio per reati diversi da quelli indicati dall’ art. 392 comma I bis, ma che è necessario un intervento del legislatore, diretto, che modifichi le disposizioni citate in materia conforme ai principi interpretativi affermati in sentenza. In tal senso Selvaggi, L’incidente probatorio apre le porte all’audizione protetta senza limiti, in Guida al Diritto,n. 26,p. 77 e Frigo, Solo un intervento del legislatore è idoneo a colmare le lacune in Guida al Diritto, 2005,n. 26,p. 76.
Peraltro gli stessi giudici di Lussemburgo hanno precisato che il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento per ogni interpretazione contra legem del diritto nazionale, così come non può portare ad aggravare la posizione processuale di un imputato.
[35] Richiamiamo P.Gualtieri, Il mandato di arresto europeo,cit; M.Bargis, Il mandato di arresto. Dalla decisione quadro le prospettive di attuazione, in Politica dir, 2004,49. Vale la pena di ricordare l’interpretazione in chiave estensiva delle disposizioni concernenti l’audizione protetta del minore in Corte Cost. 09.05.2001 n. 114 in Cass.Pen 2001,2325. Sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 398comma 5bis c.p.p. con riferimento all’art.3 Cost.:qui i giudici avevano rigettato in quanto non fondata l’eccezione.
[36] Prevedono l’estradizione come facoltativa le Conv. Europea del 1957; Italia/Australia 1985; Italia/Brasile 1989; Italia/Argentina 1987. Espressamente la prevedono Italia/USA 1983; Italia/Canada 1981. L’art. 5 per. 3 della DQ che copre il momento dello jus puniendi sub specie executionis della pena ma non quello sub specie judicii sarebbe nel senso che il divieto di estradizione del cittadino sarebbe giustificato dalla considerazione della ri-socializzazione del reo, peraltro garantita costituzionalmente dall’art. 27. Vi è anche sullo sfondo il problema della cittadinanza europea: si veda la Relazione della Commissione Europea alla Proposta della DQ in commento. Successivamente faremo cenno ai profili previsti dagli artt.10 e 26 Cost. in relazione alla nozione di reato politico.
[37] Con riferimento al profilo di carattere intertemporale appena menzionati con riferimento all’art.40 della L. 69/05,per una puntuale trattazione si rinvia a F. Gandini, il mandato di arresto UE punto per punto. Così l’estradizione e il diritto transitorio, in Diritto e Giustizia,2006, 4,nota a Cass. pen 24.10.2005 n. 44235.
[38] All’interno di questo nucleo problematico meriterebbe la pena la questione di essere ampiamente trattata soprattutto con riferimento agli spazi relativi al giudicato e al sindacato del giudice a quo di effettuare raffronti non solo suio fatti ma anche sulle qualificazion giuridiche,cosìcome si profilaper il riconoscimento dlela doèpèpian punibilità nel cas di mae, la peculiarità della legge di attuazioenédiavere reso obblgatorial’attivitàdeòlgiudice nazionale dell’esecuzione per neutralizzare eventuali sospetti dilegititmitàcostituzinbale per violazione del principio,già accennato,di eguaglianza, se si fosse consentito al giudice di sceglierev di proiceder omeno nell’esecuziojne senz adeguati parametri normativi.
[40] Ma la materia merita di essere approfondita in altra sdee
[41] E’ appena il caso di rassegnare F. Prato ,Lo stato di attuazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo nei diversi paesi europei e le prospettive del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, incontro di studio in Roma dal 4 al 6 aprile 2005, CSM, pubblicato in Quaderni 20505. Si tornerà sull’argomento ma è di pregio la pubblicazione sulla Riv.Trim.di Dir. pen.e dell’economia 2005 da pag. 406 e seg., fra le attualità, su Il mandato di arresto europeo davanti alla Corte costituzionale tedesca, su cui si tornerà. Sentenza 18.07.2005 Monserrat de Hoio Sancho in Cass pen, 2005 n.1, 303 Il nuovo sistema di estradizione semplificata nel UE. Lineamenti della legge spagnola sul mandato di arresto europeo; Jean Paul Pierini, L’attuazione del mandato di arresto europeo: l’Extradition act 2003e l’EUL HBG tedesca , in diritto penale e processo,n. 4, 2004, p. 512 e seg; nella rubrica Diritto comunitario e misure cautelari, G. Deamicis e G. Iuzzolino, Mandato di arresto europeo in Svezia. L’attuazione cosa fatta, anzi archiviata. Al PM tutti i poteri per l’esecuzione dell’estradizione, in D & G n. 40, 2004, p. 107 e seg.; Il Belgio rifiuta di arrestare per reati commessi prima del2002 e vale la prescrizione dell’ordinamento interno,D & G, n. 24, 2004,p. 62 e seg. Se l’arresto è per l’esecuzione della pena la Spagna può rifiutarsi. I cittadini possono scontare la condanna nello stato, D & G n. 18,2004,p. 62; La riforma britannica dell’estradizione con cui l’Italia dovrà fare i conti. Procedure più snelle, internet e videoconferenze, di Barbara Piattoli in D & G n. 2; 2004.p.105 e seg. Sempre di G Deamicis e G.Iuzzolino, D&G n. 24,2004, La Francia chiede l’arresto per delitti puniti con almeno un anno di carcere; la prescrizione rende facoltativa l’esecuzione del mandato; in Diritto e Giustizia, quotidiano di informazione giuridica, di G. Deamicis e G. Iuzzolino,Mandato di arresto europeo; così in Germania; dagli stessi Autori, Arresto europeo al via in Danimarca,ma il Regno affida al Ministro le competenze sul mandato UE, D & G n. 39,2004,p.111; In Inghilterra udienza di convalida e possibilità di rilascio su cauzione; nel successivo contraddittorio si valuta l’estradizione, D & G n. 18,2004,p. 67; Valerio De Oliviera Mazzuol, A influencia dos tractatos internacionais de proteçao dos direito humanos non direito brasilero, in Cosmo plus direito, 25.05.2004 (www\kplus.com.br); soprattutto G. Deamicis, L’attuazione del mandato di arresto europeo negli stati membri dell’UE, pag. 457 e seg.,in Mandato di arresto europeo dall’estradizione alle procedure di consegna,a cura di Bargis e Selvaggi,Torino, Giappichelli, 2005, nella Collana Procedura penale diretta da Bargis, Giostra e altri.
[42] Il già citato F.R. Dinacci, Mandato di arresto,cit.; G. Picciotto, Contenuti del provvedimento straniero: profili di competenza e attività di impulso alla procedura di esecuzione;A. Famiglietti, Procedimento passivo di consegna; M. Romano, L’arresto di polizia e la convalida; A Scalfati, Misure coercitive in attesa della pronuncia; M. Morone, La decisione sulla consegna. Contenuti, dinamica e vicende; M. Angelini, Legalità… cit; C. Pansini, Rifiuto della consegna motivato da esigenze processuali; A. Marino, L’apparato di tutela preteso nei confronti del paese richiedente; A.Lanciotti, Rapporti tra l’attuazione del mandato di arresto europeo e la giurisdizione della Corte penale internazionale; C. Cuoco, La disciplina della procedura attiva di consegna;G. Biscardi, Le misure reali. Ancora sulla disciplina internazionale: M.R. Geraci;la normativa danese; A. Confalonieri, La legislazione in Francia; M.R. Geraci; La disciplina del Regno Unito; M. Romano, Le leggi spagnole. Tutti questi contributi contenuti ne Il mandato di arresto europeo a cura di Pansini e Scalfati,cit.
Ancora, in generale sui profili processualistici: G. Iuzzolino, Congelamento dei beni da sottoporre a sequestro e confisca; Le squadre investigative comuni;G. Nicastro, Eurojust; G.M. Artone, La protezione delle vittime dei reati nella prospettiva dell’UE;G. Iuzzolino, L’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie; G. Armone, La falsificazione di monete in relazione all’introduzione dell’Euro; Frodi e falsificazioni dei mezzi di pagamento diversi dai contanti; A. Pioletti, Il riciclaggio;La lotta al terrorismo; B.R. Cimini, La lotta alla tratta degli esseri umani; F.Gandini, La repressone del favoreggiamento nell’immigrazione clandestina ;G. Armone, La corruzione nel settore privato; B.R. Cimini, La lotta allo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile; F. Gandini, La lotta al traffico illecito di stupefacenti; B.R. Cimini, Il contrasto della criminalità informatica; G. Iuzzolino, L’armonizzazione della confisca. Tutti in Diritto penale europeo e ordinamento italiano. Le decisioni quadro dell’UE: dal mandato di arresto alla lotta del terrorismo, cit, Milano Giuffré, Prefazione di G. Tesauro, a cura di Armone, Cimini, Gandini, Iuzzolino, Nicastro, Pioletti. Tali ultime indicazioni bibliografiche conviene in questa sede anticipare, anche se sommariamente in capitolo successivo del presente commento si farà qualche cenno sintetico ai rapporti fra le definizioni e le discipline sia internazionali che transnazionali nonché interne delle fattispecie incriminatici che saranno oggetto di un lavoro in via di allestimento e in pubblicazione nel 2007.
Ancora, in Mandato di arresto europeo,dall’estradizione alle procedure di consegna, a cura di Bargis e Selvaggi,Torino, Giappichelli 2005, degni di cenno sono L. Salazar, La lunga marcia del mandato di arresto europeo; S. Buzzelli, Il mandato di arresto europeo e le garanzie costituzionali sul piano processuale; M. Barbé, Il preambolo della Decisione quadro istitutiva del mandato di arresto europeo; B. Piattoli, La tutela dei diritti fondamentali. Principi della decisione quadro. Le garanzie della normativa derivata; U.Villoni, Il mandato di arresto europeo. Autorità competenti e contenuto; M. Caianiello, La Custodia cautelare all’estero; M Caianiello, Il principio di specialità; M.R.. Marchetti, Dall’estradizione al mandato di arrest europeo.Problemi di diritto transitorio;F. Lo Voi, Il procedimento davanti alla Corte di Appello e i provvedimenti de libertate. Il consenso; G. Iuzzolino, La decisione sull’ esecuzione del mandato di arresto europeo; M. Ceresa Gastaldo, I mezzi di impugnazione; A. Ragazzino, La consegna della persona ricercata. Termini e modalità; E. Calvanese, La consegna di beni ed oggetti. Le misure reali; F. Siracusano, Il procedimento di emissione del mandato di arresto europeo; Il transito. Una procedura in apparente controtendenza; Deamicis e Iuzzolino, Disposizioni finali e transitorie; G. Deamicis, L’attuazione del mandato di arresto europeo negli altri stati membri dell’ Unione Europea, già riportato.
Ancora si segnalano i contributi di : G. Dalia, L’adeguamento della legislazione nazionale alla decisione quadro tra esigenze di cooperazione e rispetto delle garanzie fondamentali; L.A. D’Angelo, La rilevanza del principio della doppia incriminazione ai fini delle determinazioni in materia di consegna della persona; F. Pier P.C. Juvino, Le finzioni assegnate al Ministro della giustizia quale autorità centrale; A. Aito, La competenza della Corte di appello sulla richesta di consegna della persona e sulle misure cautelari; P.Troisi, L’arresto operato dalla polizia giudiziaria a seguito della segnalazione del sistema di informazione Shengen; A. Bellucci La verifica sul contenuto del mandato di arresto e sui documenti allegati ai fini dell’esame della richiesta di consegna;L. Calb, Il consenso alla consegna; G. D’araio, I provvedimenti provvisori ed il sequestro di beni nella procedura passiva di consegna; A.A. Sanmarco, La decisione sulla richiesta di esecuzione del mandato di arresto europeo; G. Della Monica, La consegna della persona ricercata; L.Marchiaro, Il controllo richiesto mediante il ricorso per cassazione;G. Nicastro, Le disposizioni transitorie; B.Cimadomo, La procedura attiva di consegna; L.Calb, Sintesi dei lavori parlamentari. Tutti in Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, Commento alla legge 22.04.2005 n. 69, Milano, Giuffré, 2005, in Collana Prima Interpretazione.Le nuove leggi penali,a cura di L.Calb.
[43] C. App.Ve,03.11.2005,Cusini,cit.
[44] Non è questa la sede per approfondire il delicato tema della durata ragionevole del processo. Né quello del complessa situazione – ivi incluse le novelle italiane – sul processo contumaciale,che hanno portato già in precedenza la repubblica Italiana ad essere censurata in sede comunitaria.Le recenti attuazioni della DQ con riferimento al processo contumaciale previste dall’ Italia in ogni caso non appaiono in contrasto con laDQ. Ci si limita a richiamare le puntualissime osservazioni contenute in F. Siracusano, Mandato di arresto europeo e durata ragionevole del processo, in Riv. It.Dir e Proc. Pen,2003, III,888. L’Autore effettua puntuali considerazioni sull’istituto estradizionale e sulla sua evoluzione sino alla DQ in commento. Vale la pena tuttavia di rammentare quanto ricordato dall’Autore sul Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con la Risoluzione n.11 del 21.05.1975, di prefissazione di regole minime che dovrebbero essere osservate dagli ordinamenti nel giudizio contumaciale,che dovrebbe limitarsi,qualora l’imputato non si sia sottratto volontariamente alla giustizia ma sia stato effettivamente raggiunto da citazione in tempo utile per la difesa e non si trovi nell’impossibilità di comparire, sempre che non siano previste norme speciali per l’acquisizione della prova e,se riconosciuta,la difesa;con facoltà di impugnare la sentenza conseguente al dibattimento senza la sua partecipazione, il diritto alla ripetizione del giudizio quando si privi l’involontarietà della mancata presenza e l’omesso preavviso. Ancora, in tema, l’art. 3 II Prot. addizionale alla Convenzione europea sulla traduzione di Strasburgo del 1978. La DQ in commento ribadisce l’impostazione adottata nella fase Protocollo.
Anche la garanzia della restituzione nel termine per l’impugnazione ex art.175 comma II c.p.p. non sarebbe la stessa cosa di quanto previsto nella DQ. Una soluzione non appare sufficiente con l’art. 603 comma IV c.p.p. La garanzia della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello è diversa rispetto alla ripetizione del giudizio contemplata nella Risoluzione n. 11 del1975 e nell’art. 5 della DQ sul mandato di arresto. La soluzione confligerebbe con gli artt. 3 e 24 comma II della Cost. privando l’imputato incolpevole di un grado di giudizio per gli stessi reati per cui riconosciuto dall’ordinamento il doppio grado di giurisdizione nel merito. La rinnovazione,in ogni caso,rientrerebbe nell’ambito dei motivi.
Anche l’introduzione di uno strumento,ad oggi non esistente, di celebrazione di un nuovo processo, si incrocerebbe con il tema del meccanismo della sospensione dei termini di prescrizione che, a primo acchito, avrebbe una risposta negativa ex art.159 c.p. e 304 comma I lett. a) c.p.p.
Si è fatto il caso del titolo al mandato costituito da una sentenza definitiva con sottoposizione a procedimento nello stato di esecuzione; del titolo costituito da una decisione incidentale in un procedimento penale nello stato emittente, se il detenuto è nello stato di esecuzione per una sentenza definitiva di condanna; se, ancora, la persona é simultaneamente assoggettata a procedimenti diversi nei due stati membri competenti rispettivamente per la richiesta e per la consegna.
Lato B
Per la cittadinanza della persona, discriminante per l’art.17 della Conv.del ’57,tra i criteri da seguire per l’esecuzione da parte del paese a quo,oltre alla gravità del reato, al luogo del fatto e le date di emissione dei mandati,vi è quello della finalità del mandato; se emesso per esercizio dell’azione o per l’esecuzione della pena.
La DQ non specifica il criterio di priorità. La precedenza,è stato sottolineato,dovrebbe essere accordata alle richieste per fini procedimentali. Se una delle richieste non è di esecuzione di una sentenza, la situazione potrebbe essere risolta con il concerto, tra le autorità giudiziarie, per trasferimenti temporanei o con lo strumento audiovisivo.
Sulle relazioni con gli stati terzi,la DQ modifica la proposta della Commissione; non pone griglie preferenziali ma stabilisce, per l’AG dell’esecuzione, di fare le scelte con i parametri delle ipotesi di concorso fra più mandati di arresto. Potrebbe darsi precedenza al mandato di arresto e le relazioni con i paese terzi rimarrebbero sottoposti all’estradizione. Lo stato terzo indirizzerebbe la propria richiesta di estradizione allo stato la cui AHG ha emesso il mandato,antiche è allo stato in cui originariamente si trovava il soggetto ricercato.
Ci si permette di rinviare ancora a A. Barazzetta, Esecuzione del mandato di arresto e garanzie speciali richieste dallo stato emittente:a) giudizio contumaciale; b) ergastolo;c) consegna del cittadino dello stato membro di esecuzione, in Quaderni CSM, 2005,incontro di Studio,Roma4-6-aprile 2005,imperniato su un’ampia ed approfonditissima disamina del processo contumaciale in Italia in riferimento al contesto internazionale convenzionale ed europeo,con ampia rassegna di giurisprudenza.
Si ricorda nota a Cass. pen 15.10.2003 n. 43049, Sez I, di A .Balsamo e G. Deamicis, L’articolo 12 della L.356/92 e la tutela del sistema economico contro le nuove strategie delle organizzazioni criminali. Repressione penale anticipata e prospettive di collaborazione nazionale. Ancora, nota di E. Musacchio, La nuova normativa contro il terrorismo internazionale, nota a C. Assise Milano 18.07.2005, in Giur. Merito 2005, 10. Si tratta di una decisione sovrapponibile a quella pubblicata in merito C.Assise Milano,Pres.Cerqua, nonché in Riv. Trim.di Dir.e Proc.penale,2005,la quale è una rilevantissima manifestazione del recupero delle nozioni internazionalistiche pur in assenza di diretti richiami da parte dell’ordinamento interno, con riferimento alla nozione terroristica. Si tratta di un tema con le variazioni del caso,ermeneutica, trattato in lavori rassegnati in bibliografia dello scrivente,che pone il problema delk recupero di aspetti integrativi della fattispecie nazionali con riferimento a fonti internazionali che richiamate dal Trattato possono prevedere in caso di contrasto lo strumento interpretativo della integrazione e non applicazione delle disposizioni interne non compatibili da parte di un giudice nazionale. Ciò è emerso in numerosi convegni ed in molti lavori, ad esempio in tema di riciclaggio. Si rinvia alla bibliografia.
Non ci si può esimere,per questi ed altri problemi in un’ampia panoramica degli aspetti sostanziali e processuali, già anticipati in numerosi lavori collettanei e in articoli parzialmente rassegnati in bibliografia ai limitati fini di questo commento, da G. Deamicis, L’attuazione del mandato di arresto europeo nell’ordinamento italiano, in Giuri. Merito,fasc. 3/2006 pag. 767 e seg.,nonché da P. Balbo, Il mandato di arresto europeo secondo la legislazione italiana,Torino, Torino, Giappichelli, 2005, p.206. Puntualmente il Magistrato torinese da p. 44 esamina la doppia incriminazione e il ne bis in idem. In riferimento all’art. 50 della Carta dei Diritti fondamentali venne richiamata insieme alla proposta di DQ 2003 del governo ellenico sul ne bis in idem. Balbo puntualmente osserva che il principio andrebbe applicato alle fattispecie di reati penali e alle decisioni definitive con la possibilità di procede nuovamente nell’ipotesi (art., 2 commi I e II della proposta di DQ) nel caso di prove e circostanze nuove successive al giudicato (sul giudicato faremo dei cenni in seguito). Di pregio è il riferimento a Corte Cost. 14 02.1997 n. 58 sulla possibilità di estradizione in situazione di bis pendens.La Corte costituzionale aveva interpretato l’’art. 8 della Conv. di Parigi come norma di un diritto internazionale patrizio non operante direttamente negli ordinamenti interni degli stati membri. Non sussisteva un divieto internazionale di concessione,come previsto dall’art. 9 in presenza di un giudicato definito per lo stesso fatto per cui è stato richiesto. Puntualmente a pag.72 Balbo osserva che esulerebbero dall’ingerenza comunitaria i conteggi relativi ad aggravanti ed attenuanti,avendo importanza solo il limite minimo al di sotto del quale non è richiedibile la consegna. Il vincolo europeo sarebbe rappresentato dal calcolo del pregresso scontato dal ricercato. Dubbio viene sollevato su come si possibile valutare correttamente i mesi di condanna individuati dalla normativa europea se da questi si deve poi andare scorporare l’eventuale aggravante che fa parte della condanna stessa; il calcolo sarebbe ancora più complesso ove ritenga presente che non esiste più una distinzione tra stato membro emittente e membro di esecuzione, rappresentato l’emittente il riferimento per il limite minimo di pena erogabile o in condanna da scontare.
[45] In generale sulla più ampia problematica dei reati fiscali si rinvia alla classica voce R. Quadri,, voce estradizione – Diritto internazionale, in Enc. Dir.,Giuffré ,Milano,nonché alle corrispondenti voci della Enciclopedia del Diritto, nel Novissimo Digesto e nel Digesto delle discipline penalistiche UTET.
[46] L’autore suggeriva, per l’illecito transnazionale che toccasse anche il territorio dello stato di esecuzione un motivo obbligatorio di non consegna del condannato, prevedendo l’applicabilità della sanzione inflitta dal diverso stato solo quando il fatto commesso fosse ugualmente previsto come penalmente rilevante nei due stati membri. L’autore citato suggerisce sotto il profilo comparatistico l’adozione della dottrina finalistica del ……… e della nozione tripartita del reato fra fatto, antigiuridicità e colpevolezza, per operare il raffronto sia in astratto che in concreto, ai fini di valutare la coincidenza della sussistenza degli elementi costitutivi del reato e della qualificazione. Il fatto perseguibile penalmente e processualmente sarebbe quello in cui la fattispecie è collegata a una norma penale richiamata nel mandato di arresto o in una contestazione che contenga non solo la condotta materiale causale, ma anche lo specifico nesso psicologico formalistico, vale a dire la descrizione di azione commissiva od omissiva di una species di colpevolezza in senso psicologico. L’antigiuridicità e colpevolezza non avrebbero invece rilievo nella comparazione dei fatti-reato, ma attengono e rilevano esclusivamente nelle fase del merito giudiziale del paese da cui proviene la richiesta.
[47] Sul tema in generale richiamiamo Gualtieri, I reati perseguibili con il mae, cit; Bargis, Il mandato di arresto europeo dalla DQ alle prospettive di attuazione, Politica e Diritto, 2004; Cassese, Recepimento….cit.; Panebianco, L’aprovazione parlamentare del mandato di arresto europeo, in Mandato di arresto europeo e garanzie della persona a cura di Pedrazzi, cit; Rosi, L’elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo2. Lancia il cuore oltre l’ostacolo, in Dir. pen e proc ,2004,cit.
[48] Sugli argomenti penetranti sono le osservazioni di G. Dalia, adeguamento della legislazione nazionale, in Mandato di arresto,cit.,a cura di L Calb.
In generale sui profili si ricorda B. Nascimbene, Prefazione a mandato di arresto e garanzie della persona,a cura di M. Pedrazzi, Giuffré, Milano, 2004, il quale richiama ad esempio il veto 23.08.2004 del Presidente della Repubblica Ceca per profili di incostituzionalità alla DQ, rendendo necessario un nuovo passaggio parlamentare con relativa maggioranza aggravata. L’Autore, in Considerazioni introduttive, ibidem, aveva suggerito la strada analoga ad alcune leggi di attuazione di alcuni stati membri,cdi clausola generale, con rifiuto del mandato se vi sono ragioni serie di credere che l’esecuzione… pregiudichi i diritti fondamentali della persona interessata… consacrati dall’art.6 del Trattato UE; in tal senso l’art.c4 della legge belga del 19.12.2003; con approccio più dettagliato la legge finlandese n. 424 del 30.12.2003; danese n., 444 del 10.06.2003; irlandese, European arrest warrant act, 2003 (non incompatibile con gli obblighi dello stato irlandese per la Conv, europea…); di rilievo è A, Lang, Il mandato di arresto europeo nel quadro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ibidem, p. 20, per un panorama comunitaristico che rileva come la Corte di giustizia per regolamento di procedura, possa essere adita con domanda anche solo di una parte della controversia, statuendo con sentenza (vd. art.109ter del regolamento di procedura,GUCE C-193 del 14.08.2003); la quale sottolinea altresì che per una certa tesi il giudice diverrebbe verificare solo il massimo edittale e non la sanzione effettivamente irrogata, alla luce della ambiguità della DQ; la medesima osserva con il cittadino sia garantito come lo straniero residente, domiciliato o dimorante; che nulla previsto sulla pena di morte nella DQ; come nei lavori preparatori del Consiglio alla DQ erano motivo di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto sia la sentenza passata in giudicato sia altra decisione definitiva che ostasse ad ulteriori azioni mentre il fatto di non esercitare l’azione penale o dirvi fine era motivo di non esecuzione facoltativa. Si rammenti ancora G.A. Conte, in Mandato di arresto europeo versa la prima soglia concreta di un diritto penale europeo, ibidem; A Mambriani, Il mandato di arresto europeo, adeguamento dell’ordinamento italiano ai diritti della persona; A. Barazzetti, I principi di specialità e doppia incriminazione e loro rivisitazione nel mandato di arresto europeo, ibidem, il quale richiama Cass.14.11.1991 sulla nozione di fatto rilevante (complesso di accadimenti che integrano il reato nella sua giuridica configurazione di elementi costituiti e circostanziali di cui esso consta e ricorda anche Cass. 22.01.1985 circa l’art. 477 c.p.p.,ove solo la modificazione dell’azione, dell’omissione, dell’’evento, del nesso causale o psicologico integrano la modificazione del fatto contestato nel principio di specialità). A. Barazzetti sottolinea unna lettura forte della DQ il cui più immediato riflesso, a livello di diritto sostanziale,concerne il superamento dei limiti nazionali all’applicazione della legge penale. Ancora, F. Poggi, Il mandato di arresto europeo nella prospettiva di un avvocato, ibidem; I.Viarengo, Mandato di arresto europeo e tutela dei diritti fondamentali,ibidem; G.Iuzzolino, Mandato di arresto europeo, regime transitorio in attesa dell’applicazione definitiva,ibidem, p. 169 e seg; M. Salvia, Mandato di arresto europeo una fuga in avanti, ibidem, p. 161 e seg., il quale si domanda come saranno raccolte e vagliate le prove nonché le regole in materia di escussione dei testi sentiti in due stati differenti e i diritti dell’accusato e ricorda la Comm. Europ.14.11.2003 e la Risoluzione del Parlamento europeo 06.11.2003 (la prima sulla raccolta transfrontaliera delle prove con precise garanzie fra cui il riconoscimento del diritto al silenzio, nonché il mancato coordinamento con il sistema giudiziario dell’Unione –Corte di giustizia di Lussemburgo – e quello operativo in sede alla,CEDU – Corte di Strasburgo).